LA MORTE APPARENTE DEL GLOBALISMO, di A.Placido

La competitività senza esclusione di colpi raggiunge e supera facilmente le soglie della criminalità.

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AFFARI DI CUORE 2

dal Blog di Gisella Evangelisti

Il barelliere mi mette una cuffietta verde e mi rimbocca le coperte come un buon papá, lasciandomi davanti alla porta blu, con qualche parola affettuosa. Dalla porta esce una donna dagli occhi vivaci, con un grembiule di plastica a fiori, e in testa un berretto colorato, annodato dietro come un fazzoletto da pirati. Insieme a lei, esce un giovane con lo stesso fazzoletto e tre anellini alle orecchie. Mi sembra di trovarmi alla Scuola Materna “Capitan Uncino” piuttosto che in una severa UOC (Unitá Operativa della Complessitá Cardiologica) di una cittá del Nordest. “Ehi, che bei grembiuli avete!”, commento, “ci sta bene un po' di colore in sala operatoria”.

“E lei che ci fa qui, cosí giovane e bella?”, chiede la donna.

“E´perché sono fortunata a finire nelle vostre mani, invece che restarci secca prima”, rispondo.

“Meno male che qualcuno se ne accorge!...”, ribatte lei, ridendo. E cosí, con un questo scambio di cordialitá, l'operazione alle mie coronarie (disastrate come poche), a cui si dirigono solerti due medici muniti di occhialoni di plastica, (come quelli che si usano per la fiamma ossidrica), non potrebbe cominciare meglio.

 Bisogna dire che il complimento eccessivo che mi si rivolge é dovuto al fatto che la media dell'etá delle mie compagne di avventura, nel reparto cardiologico, é di 85-86 anni. Ma se pensate che si tratti di fragili e lamentose vecchiette, vi sbagliate di grosso. Queste donne generalmente cicciose, posteggiate per qualche giorno nella UOC per rimettere a posto le tubature ossidate del loro vecchio motore, sono una forza della natura. Mentre aspettano di andare a farsi sostituire la valvola aortica, o il pacemaker, o che le calmino una buona volta le fibrillazioni, ciarlano instancabili raccontando la loro vita. E ne hanno da raccontare. Possono aver passato l'infanzia scappando tra i campi, sotto le bombe, come Bertilla, trascinando la carriola con l'ultimo fratellino dentro, per nascondersi in qualche grotta, dividendo con altri dieci parenti una pentola di fagioli al giorno; possono aver perso un figlio in un incidente, o un seno per un tumore, o possono aver dovuto badare a un marito infermo per 38 anni, dovendo tirare avanti la baracca cucendo pantaloni per una fabbrica locale, mentre allevavano tre o quattro figli e una cinquantina di galline....asciugandosi qualche volta le lacrime, ma poi sí insoma, dai, si va avanti. Mentre scorreva lontana la prima e poi la seconda e la terza repubblica, loro erano lí a preparare pastoni per le galline, o pastasciutte per i figli, con la macchina da cucire che le aspettava in fondo alla cucina, con montagne di pantaloni sopra. La sera, dopo il rosario, un po' di Delia Scala o Pippo Baudo, e poi di nuovo alla macchina a finire gli orli, fino a notte fonda. Adesso, finalmente, é un'altra cosa. Bertilla é arrivata in ospedale con i capelli appena fatti dalla parrucchiera (tinta e permanente), ogni giorno cambia il pigiama che le porta la fiola, o la cugina, o il nipote, o la cognata. Ha intorno, a ben vedere, un meritato cerchio di affetti e protezione. Bertilla mi dice che non vede l'ora di tornare a casa, copar na gallina e farsi un bel brodo. Come si sente dopo l'operazione? Ma si, Insoma, dai, si va avanti. Anca questa, xe za pasá. Veleggiando, come se niente fosse, verso gli 87 anni.

Esce Bertilla e un'ora dopo arriva Irene, 85 anni, una maestra cicciotta in pensione, con gli occhi brillanti e un vocione da camionista dopo decenni di fumo. La chiamavano “la maestra bersagliera”. Di notte russa fragorosamente, ogni tanto sospende il fiato e quando lo riprende fa una specie di ululato che mi fa sobbalzare, ma per fortuna mi riaddormento subito e riprendo il filo dei miei sogni avventurosi. E' l'unica delle pazienti della stanza 76 in grado di fare le parole crociate e leggere un libro, ma se mi vede con gli occhi aperti mi prende, tanto per cambiare, come ascoltatrice a cottimo. Il tema preferito é la sua cittá perduta, Zara, distrutta con 52 bombardamenti quando lei era una ragazzina. Perché polverizzarla fino a quel punto?, si chiede, se era solo una cittadina di 20.000 abitanti. Mai cominciarle, le guerre, obbietto. Ha l'accortezza di riconoscere che gli italiani erano anche troppo gasati, in quegli anni, e quella pazza idea dell'Impero li ha portati alla rovina. Ma la cittá natale non si scorda mai, soprattutto perché perduta. Con quel profumo di rosmarino ed erbe silvestri che si sentiva anche arrivando dal mare. Per anni Irene ha partecipato a proteste e cortei di italiani irredentisti, ma Zara non fu mai recuperata per l'Italia. Quello che Irene recuperó, in uno di quei cortei, fu invece un irredentista colto, bello e raffinato, un vero signore, dice lei, che poi le fece da marito per cinquant'anni felici. Fino a una sera di pochi anni fa, (le due poltrone davanti alla televisione), quando lei si alzó per andare in cucina a prendere lo zucchero per la camomilla, e tornando in sala, lui non respirava piú.

Viene a trovarla un omone di 48 anni con barba e baffi, che le porta la biancheria pulita. E' mio figlio, dice orgogliosa. “Da quando sono malata, ha imparato d'un colpo a farsi la pastasciutta, che prima trovava prontissima alle 12 e 25 spaccate, a mettere la lavatrice e la lavastoviglie. E' bravissimo!” Lo ammira Irene. “Ha avuto 48 anni per osservare come si fa”, le obietto ridendo, “perché non gli ha dato qualche opportunitá anche prima? Questi poveri uomini non sapranno mai di cosa sono capaci, se le donne non gli danno la possibilitá di dimostrarlo!”. Ridiamo e scherziamo, per far passare piú velocemente le lunghe ore dell'attesa di responsi medici. Qualcuno ci scommetterebbe una lira che il suo cocco barbuto di 48 anni lascerá un giorno questa mamma bersagliera, nonostante l'anca sfregiata dall'artrosi e un braccio rotto per una caduta, per vivere per conto suo o sposarsi? Figuriamoci! Ogni giorno é lí a lamentarsi da lei che le ragazzine che deve allenare a pallacanestro sono tutte vanesie, invidiose e pettegole. Irene puó dormire fra due guanciali. Il cordone ombelicale con la sua posteritá é ancora avvolto a tripla mandata.

Se ne va Irene e la mattina dopo vedo nel letto vicino al mio una dolce vecchietta, di quelle “vintage” o “retro”, come si dice adesso nelle riviste di moda, cioé con la mantelllina rosa fatta all'uncinetto, i capelli grigi raccolti in un ciuffo pure ricoperto da un centrino fatto all'uncinetto, e un cuscino a fiori sulla sedia a rotelle. Non manca un santino con un ramoscello d'ulivo da appendere al chiodo. La gabbia del canarino e l'orologio a cucú invece l'aspettano a casa. La signora Gemma, 88 anni, con la sua faccetta dolce, (senza una ruga perché sicuramente se la lava con l'acqua di riso, cosi ricca di amido ammorbidente, altro che l'Oreal), appartiene a una specie purtroppo in via di estinzione. Nessuno sa bene cosa le é successo, solo che ha perso i sensi. E lei, sorridendo, aspetta con fiducia che i medici le trovino una cura.

Ammiro queste anziane signore che approdano alla UOC, e ne escono tranquille, senza fare una piega, qualsiasi cosa le facciano. Si fanno spogliare come vecchie bambole mostrando senza complessi la loro fisicitá cicciosa, parlano della morte senza angoscia, ciarlano senza ossessione. Sembrano aver raggiunto una no fly zone, una serenitá al di lá del bene e del male. Vorrei invecchiare cosí. E mi fanno ricordare con nostalgia la madre da cui ho dovuto vivere sempre lontana. Era una bimba, e poi una donna, dai grandi occhi azzurri sognanti, che entrava in acqua vestita e tornava con un polpo, che amava la natura e insegnava al suo manipolo di bambini (7) la magia dei profumi dei campi. Una donna la cui migliore ereditá é stata la nobiltá d'animo, la gentilezza, la dignitá nei momenti avversi. L'ultimo giorno della sua vita, a 84 anni, andó a camminare in campagna, tornó con le erbette per fare la frittata,... un sospiro e poi morí. Alla sua veglia vennero a salutarla le farfalle e le rondini, come a Macondo.

Onoro queste donne della generazione che tramonta, che hanno vissuto la loro epoca con integritá, con i loro pregi e difetti. Noi, le loro figlie, abbiamo avuto piú opportunitá di realizzarci ed essere felici. Eppure le signore che vedo entrare nel micromondo della stanza 76, sembrano rimaste impantanate a metá del guado, fra una modernitá superficiale, e uno zoccolo duro di nevrosi irrisolte. In un'epoca in cui una donna astronauta conquista lo spazio della stratosfera, altre migliaia di donne italiane pare non riescano a conquistare davvero lo spazio che le si apre oltre l'orto.

Maria Berica é una bella donna settantenne, snella, con un pigiama rosa e un taglio trendy di capelli (vado dalla parrucchiera ogni settimana, precisa). Arriva per un infarto in corso, che peró, a guardar meglio, risulta solo una crisi ipertensiva. “La sua vera malattia é l'ansia”, le dice senza mezzi termini il cardiologo, che stamani va particolarmente per le spicce. “Sí, forse sono un po' ansiosa”, comincia a spiegarmi quando il medico esce. “E forse aveva una mamma ansiosa, si é sposata un uomo ansioso, e pulisce tutto il giorno perché non si veda un grano di polvere...?”, butto lí. “Si, come fa a saperlo?

Ma adesso che io e me marío (mio marito) siamo in pensione, e potremo godercela un po', sa invece cosa succede?”

Secondo copione, io devo chiedere: “No, cosa succede?”

“Succede che me marío non vuole mai uscire da Vicenza! O é nell'orto a zappare le carote, o sul divano a vedersi la Coppa Uefa del 2010, o la Champions del 2013. E se io gli dico, andiamo a fare due passi? Lui risponde sempre di no. E se io dico: Prendo la macchina e vado al centro commerciale con le amiche, lui risponde : Ti ci porto io. E cosí, io non prendo mai la macchina!!!!!! ha capito??????”

“E quindi?”

“E quindi io alle due di notte mi sveglio con una crisi di soffocamento, e piango, piango. Mi sento bene solo, sa dove?

“No,dove?”

“Quei 15 giorni all'anno che andiamo al mare, almeno lí c´é un po`di vento, sento l'aria del mare...”

“...che canta: libertáaaa”. E ci rido su. Ma lei non mi segue.

DIOOSSSS. Di dove cominciare a risponderle qualcosa di sensato? Che si legga “Casa di Bambola”, scritto da Ibsen nel 1879 e per lei totalmente attuale? Che si compri la collezione intera di Osho o Paulo Coelho e se li vada a meditare nel bosco, senza marío fra i piedi, per qualche ora, giusto per cominciare a capire l'alfabeto dei sentimenti ? Che si eserciti a fare una piccola cosa nuova ogni giorno, tanto per scrollare un po' la mente dalle ragnatele che l'avviluppano? Ma qualsiasi cosa le possa suggerire, so che non le servirá. Credo che una minaccia d'infarto non é ancora stata sufficiente per farle muovere qualche passo da sola. Sta annaspando ma non é ancora pronta a cambiare. Le occorre forse una botta piú forte, o un fulmine sulla strada di Damasco.

Mi chiamano per l'operazione e la saluto.

Il giorno dopo arriva el marío, e mentre io sono in tilt con nausee varie se la porta via con aria protettiva. (sento un lontano sferraglíare di reciproche catene).

Intanto passano nel reparto i volontari e volontarie disposti a dire due parole di conforto agli afflitti ricoverati. Nella stanza 76 entra una donna allegra e burrosa, Elvira, ex cuoca, che dice sedendosi nella poltrona al lato del mio letto: “Posso sedermi qui, vero?” “Come no!” rispondo, e lei comincia a sciorinare vita morte e miracoli della sua famiglia. Anche lei, da poco in pensione, non vede l'ora di godersela un po', dopo una vita a spadellare per 50 persone alla volta. Sua figlia, una ragazza intraprendente, si é trasferita in un'isola dal clima tropicale dove lavora felice e la invita a visitarla almeno un paio di settimane, vedrai mamma come ti fará bene il sole alla spalla che ti duole.

E lei tutta contenta chiede al marito: “Nemo Toni a trovar la tosa?” Andiamo dalla nostra figlietta bella? Guarda, ho giá la valigia pronta, cosa metto nella tua?” Ma Toni butta acqua gelata sul suo entusiasmo. “Sfai quella valigia, io non vengo, e non ci vai neanche tu”, brontola Toni.

“Perché Toni non vuole venire?” Chiedo. “Perché ha paura, ha un by pass da 16 anni ma non c'entra niente, é solo che é pigro qui, e segnala la testa. Ahi. Un altro. Prima Bepi, adesso Toni.

“E allora sa cosa gli dico?”

“No, cosa gli dice?”.

Attenti bene, gente, a questa battuta della ex Cuoca Esasperata, che a suo modo non manca di senso epico. La immagino con un peplo, in un coro greco, con gli occhi neri truccatissimi come Irene Papas.

“Gli dico: E TU, per cui mi sono ANNULLATA per 45 anni, sempre a fare quel che volevi tu, non mi concedi 15 giorni di vacanza per un viaggio che per una volta piace a ME?”. Eh? Che vi dicevo. Ha senso tragico o no?

A questo punto il Coro dovrebbe fare un grido acuto, e la gente applaudire mentre cala il sipario sull'Uomo che, vergognoso, si dá alla fuga.

Invece non va cosí. Pare che Elvira faccia di tanto in tanto la valigia, (proclamando terzine intere dell'Iliade e l'Odissea), e Toni gliela sfaccia. E a lei non resta che venire a sfogarsi in ospedale con le signore dalle valvole cardiache intasate. Vogliamo smuovere una buona volta questo meccanismo incriccato?

Stavolta mi tocca dire qualcosa, visto che aspetta che le risponda almeno qualche parola.

“Signora, lei pensa di esserselo VERAMENTE meritato quel viaggio dopo 45 anni di spadellamenti e sughi e minestroni e risotti per truppe di affamati?”.

“Síiiii! Come no, accidenti se me lo sono meritato!” Dice lei ravvivandosi.

“E allora ci vada una buona volta, nell'isola tropicale! Non aspetti sempre che siano gli altri a darle Permessi o Medaglie al Valore o regalarle la Felicitá. Quella é l'unica cosa gratis, a disposizione di tutti, se uno si dá una sveglia. Si crogioli al sole e si risani la spalla, la gamba o l'anca sbilenca. E intanto pensi alle puntate seguenti, a come organizzare i prossimi sfizi che tiene nascosti fra le pentole da almeno mezzo secolo. Andare a trovare la vecchia zia a Canicattí? La compagna di scuola a Forlimpopoli, il primo amore a Mondoví? Se li tolga tutti quanti. E se la prenda con calma, MOLTA calma.

E quando tornerá dal suo Toni, se uno dei due, o tutti e due avrete fatto un salto quantico, bene, se no, ci sono sempre tante opzioni nelle relazioni umane: dal ritrovarsi come LC (Lontani Cugini), e TSA (Ti Saluto Appena), a TSQA ( Tutto Sommato Quasi Amici), SF (Soci Forever), o chissá quante altre varianti del CTA (C'eravamo Tanto Amati). Non é poi cosí tragico, no?”.

“Eh giá. Sa che giusto ci stavo pensando?”Bacione, bacioni. “Arrivederci e auguri”, ci diciamo con Elvira.

“Arrivederci sí, ma non di nuovo alla Complessitá Cardiologica”, dico io. “Non sarebbe meglio direttamente a Trinidad e Tobago? Quando ha detto che va? Non si dimentichi di farmi un fischio.”

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P.S. E adesso, forse qualcuno ha la curiositá di sapere com'é andata, la mai abbastanza benedetta operazione alle mie coronarie. Che erano disastrate ve l'ho giá detto, funzionando al 15% del loro compito. Previsto Infarto a babordo, in tempi brevissimi, per Gisellina. Che invece é stata presa per il colletto da qualche Angelo Custode perché non era il suo momento, a detta dei Superiori. Ma come riparare quel cuore bizzarro? I medici della UOC ci hanno pensato su un paio di giorni, fornendo pareri diversi. Qualcuno optava per l'angioplastica, nonostante tutto, altri per la tecnica del by pass, il che implica, dando per perse le attuali coronarie, l'andar giú di brutto a tagliarti lo sterno, come a un agnello pasquale, e lavorare sul cuore applicandoci sopra, a mó di ponte, uno o due pezzi di vena estratti dalle gambe. Siccome il cuore ha senso pratico e gli va bene lo stesso anche se gli si aggiungono altre vene, basta che la pompa pompi, il sangue circoli e cosi via, il tutto dovrebbe funzionare al meglio. Ovvio, non é che tu subito dopo lo squartamento, riprendi a fare le parole crociate: devi stare due giorni in rianimazione e poi via, ti portano in ambulanza fino a un istituto al lago di Garda dove per venti giorni ti fanno fare esercizi di respirazione e di recupero, fra cip cip di uccellini e meditazioni cosmiche. Nei due giorni di attesa delle decisioni mediche cerco di convincermi che il cip cip degli uccellini del Lago di Garda sará sublime e lo sciabordio dell'acqua meraviglioso. Quando giá ne sono totalmente convinta, direi quasi entusiasta, mi avvisano che invece no, possono tentare di risanarmi col sistema piú veloce, che é appunto l'angioplastica, ed eccoci quindi alla scena iniziale, con i due infermieri dal cappellino colorato e il grembiule a fiori, Debora e Giorgio, che escono sorridenti dalla porta blu. E poi arrivano i due medici, Esther e Andrea, col viso coperto dagli occhialoni di plastica, e i fili pronti da infilare nell'arteria che passa per il mio polso per arrivare fino al cuore. Tutto questo andirivieni di fili, ombrellini e palloncini dura almeno un paio d'ore, con la sottoscritta in religioso silenzio fino a che comincio a sentirmi svenire, col campo visivo tutto tremolante. Li avviso che non mi sento bene ma loro dicono che non é grave, dai, resisti. State giá sbaraccando, vero? Chiedo speranzosa dopo un po' sentendo attrezzi che si muovono.

Quasi, quasi. Ecco fattooooooo, mi avvisano dopo un altro po'.

Ecco, finito. Finito? Possibile? Potró ritornare a una vita totalmente e favolosamente normale? IL cuore che sbarellava riprenderá a battere regolare? Si, si, assolutamente, mi ripetono Debora e Giorgio.

La sera, non riesco a dormire. Guardo il soffitto della camera 76 con gli occhi pieni di lacrime. Ricordo quando fu l'ultima volta che non avevo dormito piangendo di gioia. Ero in Amazzonia, il 24 ottobre del 2014, sotto una tenda a cui non avevo messo il tetto....Per non perdermi lo spettacolo di milioni di costellazioni, galassie, vie lattee: di migliaia di stelle cadenti, e, piú in basso, di decine di lucciole. Come perdere tempo a dormire in quel trionfo gratuito di bellezza? In quel carnevale generoso di meraviglie?

E adesso, sotto questo soffitto anonimo della stanza 76, penso a come possono essere meravigliosi anche gli Esseri Umani, quando ci si mettono. Quando studiano per anni, magari senza i finanziamenti giusti, il corso dei nostri milioni di fiumi interni, per captare i segreti del loro funzionamento, sperimentando senza risparmio i modi piú appropriati per raddrizzarne i corsi deviati. Per regalare altri giri di giostra a chi soffriva, e un sorriso a chi aveva perso la speranza. Al bambino e alla vecchietta, al povero e al ricco, perché la vita sia un po' piú vita.

Grazie a tutti voi, per questo, uomini e donne della scienza. E grazie a tutti voi, infermieri che accendete la luce alle sei di mattina sugli occhi dei pazienti che vi stramaledicono silenziosamente, quando gli ficcate un ago in vena per l'ennesimo prelievo; grazie a quelli che ogni benedetto giorno chiedete ai pazienti se vogliono la minestrina, il brodo, o la pastasciutta bianca o rossa? “Oggi voglio vol au vent con bouillabasse e crepes flambantes”,azzardo una volta per confondere l'infermiera nel suo elenco automatico.....”Hem, oggi non abbiamo vol au vent, risponde sorridendo. “Beh, allora semolino”. Grazie alla signora negra che spolvera i tavolini, a quella bionda che passa e ripassa il pavimento lucido, alle due assistenti che fanno i letti e a quelle che puliscono piaghe e sederi, dicendo “Come va caro? Fatto tutto, cara?” “Domani andrá meglio, sa?” .

Ma sí, non va poi cosí male il mondo, se nel buio brillano tante piccole stelle, che spesso neanche vediamo. Di professionalitá. Di umanitá. Di pazienza. Che poi sono la stessa cosa.

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