FINE DEI GIOCHI - LA RESTAURAZIONE

di Roberto Villani

Elezioni del Presidente - Tatticismo dei partiti e stallo della politica - voglia di presidenzialismo

Come tanti italiani ho trascorso la settimana passata in attesa di vedere l’esito delle elezioni del Presidente della Repubblica e l’inizio di quel cambiamento che tutti i contendenti della tornata elettorale del febbraio scorso avevano posto come punto di partenza del loro programma elettorale.

Alla fine dei giochi abbiamo: un Presidente della Repubblica riluttante, vecchio per età e carica (mai successo finora che un Presidente ripetesse il mandato) con la manifesta prospettiva di favorire un governo appoggiato dalle forze parlamentari che hanno governato finora, guidato da un politico (Amato ?) pescato dalla prima repubblica, ci mancava solo il ripescaggio di Andreotti e il “rinnovamento” era completo.

 

E’ stato affermato che non vi erano altre soluzioni a causa dell’incapacità del PD di esprimere un candidato condiviso da tutto il partito; per questo l’atteso segnale di cambiamento non c’è stato.

Ma le altre soluzioni erano i maldestri tentativi delle prime votazioni, vanificati dai boicottatori del PD; e questi rappresentavano delle novità? Rappresentavano la sperata svolta nel modo di gestire la politica ?

Marini è un sopravvissuto della vecchia DC con tutte le caratteristiche della politica della prima repubblica con nessun anelito di evoluzione, pronto a varare un governo appoggiato da PDL e PD in barba alle indicazioni degli elettori del PD.

Prodi, per le prospettive di governo, è l’esatto contrario, inviso al PDL e probabilmente fautore di un governo PD e forse 5stelle, ma sicuramente anche lui non ha nulla di nuovo avendo già vissuto (e subito) tutti i compromessi, le ambiguità e i tradimenti dei protagonisti della seconda repubblica.

Quindi non ci sono state novità, rispetto al passato,  ma nemmeno si sono tentate. Forse nessuno le vuole.

Sicuramente non le vuole il PDL che è compatto, arroccato attorno al suo leader, finanziatore e padrone, che si avvia agli ottant’anni e che con il vecchio sistema si è trovato benissimo, sia a livello personale-aziendale, sia a livello politico, tenendo magnificamente la scena per vent’anni e arrivando oggi, dopo i disastri dei suoi governi, a interpretare la figura del salvatore della patria che sacrifica i propri interessi per il bene del Paese votando i candidati del nemico e rivotando un comunista.

Non le vuole il PD o meglio non le vuole la dirigenza del PD. Probabilmente perché farebbero saltare equilibri di potere interni conquistati in anni di lotte intestine e che illusoriamente si era creduto di aver eliminato con il sistema delle primarie.   Le primarie, che pure qualcosa di novità e di serietà avevano, sono state una verniciatina di democrazia. Ma non sono state sufficienti a far pervenire il segnale che i partecipanti avevano mandato. Chi ha votato il vecchio (Bersani), per avere maggiori garanzie rispetto al nuovo (Renzi) contro l’ipotesi di un imparentamento col PDL ,sarà servito con un bel governo di grande coalizione.

L’unica forza nuova, il movimento di Grillo, che ha nel cambiamento la sua ragion d’essere, ha fatto solo finta di adoperarsi per il cambiamento. Ha sostenuto la candidatura di Rodotà, ottantenne esponente da sempre della sinistra. Rodotà intransigente giurista, osservante delle regole fino alla pignoleria (l’abbiamo visto nel ruolo di garante della privacy), rispettoso delle istituzioni fino al sacrificio dei propri interessi, poteva esse un ottimo candidato del PD. E’ stato invece sostenuto dal movimento di Grillo, ma senza cercare preventivamente un accordo con lo schieramento dal quale il candidato proviene, anzi la candidatura è stata proposta dopo che ogni corteggiamento del PD era stato sdegnosamente rifiutato, come tutti hanno potuto constatare con la penosa diretta streaming dell’incontro Bersani, Crimi e Lombardi. Ora Grillo sostiene che il voto per Rodotà da parte del PD avrebbe aperto scenari meravigliosi di novità politiche e di governi con interessanti prospettive. Ma non poteva proporlo prima? Per come sono andate le cose viene forte il sospetto che il comportamento sia frutto di una tattica ( ben riuscita) per mettere in difficoltà il PD e potersi fregiare di un’altra vittima fra i vecchi partiti, come ripete assiduamente Grillo. Peccato che Grillo faccia vittime solo da una parte e trascuri quello che dovrebbe essere il suo naturale avversario, che si sta invece nutrendo di queste vittime senza dover nemmeno fare un grande sforzo. Credo che un forte segnale di novità poteva essere dato subito adottando un comportamento leale nei confronti degli elettori, anche dei partiti avversari, dicendo in tempo utile per metter i partiti di fronte alle loro responsabilità, chi dovrebbe guidare il governo (nome e cognome perché il Presidente del Consiglio non può essere un’associazione) quali forze potrebbero concorrere alla maggioranza e quale potrebbe essere il Presidente della Repubblica. Aspettare che l’avversario faccia dei passi falsi per poterne trarre vantaggio è da vecchia politica e certamente non giova al cambiamento e al futuro dell’Italia. Ciò non toglie che il PD ha fatto tutti i passi falsi che poteva fare superando ogni più fervida immaginazione. Poteva ancora porre un parziale rimedio alla frittata già fatta, votando anche tardivamente, Rodotà, come molti elettori PD hanno richiesto.

L’unico aspetto positivo che vedo in tutta questa vicenda di tatticismi e incapacità a gestire in modo responsabile la cosa pubblica è la partecipazione della gente, che manifesta in diversi modi, più o meno condivisibili, la propria saturazione. Tutte queste alchimie politiche sono state consumate per decenni nella totale indifferenza della popolazione che aspettò anche più di venti votazioni per conoscere il nome del Presidente, senza dimostrare particolare impazienza e senza partecipare neanche emotivamente ai giochi di Palazzo.

Credo che la sfiducia totale nella classe politica abbia ora reso i cittadini intolleranti anche a quelle forme di accordi e compromessi che sono insiti in una repubblica parlamentare, dove non esce quasi mai un vincitore assoluto e i governi si formano in parlamento con le alleanze fra le diverse forze politiche in base alle affinità ideologiche e di programma. Questo però presuppone che l’elettore abbia fiducia nel proprio rappresentante e gli dia ampio mandato.

Le infedeltà commesse in anni di vita parlamentare nel mandato dei rappresentanti del popolo e quelle che si stanno maturando in questi giorni potrebbero far riflettere se non sia venuto il momento di cambiare metodo e avvicinarsi a quelle democrazie di tipo presidenziale dove, con un sistema di ballottaggi o di corsa a eliminazione, vince uno solo e governa per tutto il periodo del mandato; chi vota sceglierà: premier, programma e possibilmente composizione del governo, su queste proposte si scontreranno le forze in campo e non ci saranno cambiamenti in corsa.

Un sistema simile già l’abbiamo per i comuni e nel complesso ha funzionato; potrebbe essere ancora più trasparente se il candidato sindaco si presentasse alle elezioni anche con la squadra degli assessori per dare un criterio di valutazione in più all’elettore.

D’altra parte, di fatto, c’è già stato un rafforzamento significativo delle prerogative  del Presidente della Repubblica, tanto che oggi la sua scelta ha corrisposto con una scelta anche di indirizzo politico e di composizione del futuro governo.

Una misura prudenziale, da contrapporre al maggior potere del Presidente, dovrebbe essere il divieto di replica del mandato; sette anni (ma anche i cinque della legislatura) sono già molti e poterli bissare potrebbe, in futuro, diventare un pericoloso consolidamento di potere e una altrettanto pericolosa assuefazione da parte del popolo.

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