CITTADINANZA: IL BUON SENSO DEI DIRITTI UMANI

di Roberto Villani

Jus sanguinis e jus soli - Cittadinanza come diritto fondamentale -  Possibili evoluzioni nel panorama italiano

Fra i vari motivi di dissidio che separano le forze politiche in campo, è riemersa la questione della cittadinanza italiana e dei modi con cui essa possa essere acquisita da quelle persone che, risiedendo o essendo nate nel nostro territorio, ne rivendicano il diritto secondo le leggi naturali che regolano i rapporti fra gli uomini al di là delle leggi codificate dalle singole nazioni.

Come per altre questioni i toni della discussione si sono subito accesi dividendo l’opinione pubblica fra “conservatori”, che vorrebbero mantenere in vita i vincoli attuali, e “innovatori”, che vorrebbero liberalizzare il sistema odierno per offrire la cittadinanza, non solo con il principio della discendenza da italiani, ma anche con quello della nascita sul suolo italiano.

Ritengo che il problema richiederebbe maggiore impegno ed equilibrio di quello fino ad oggi dimostrato e soprattutto dovrebbe trovare soluzioni che non siano condizionate dall’emozione del momento o dalle strumentalizzazioni che sono state fatte per taluni episodi di violenza commessi da stranieri sul nostro suolo.

 

Le decisioni che si adotteranno, avranno conseguenze ben superiori al risultato elettorale delle elezioni dei prossimi anni, perché incideranno in modo irreversibile sulla fisionomia che assumerà la nostra società.

Attualmente la legislazione italiana è fra le più restrittive, incentrando l’accesso alla cittadinanza essenzialmente sullo jus sanguinis cioè sul requisito della discendenza da genitori italiani e consentendo l'applicazione dello jus soli solo in presenza di determinati requisiti (temporali, famigliari, comportamentali, reddituali).

Il sistema presenta delle evidenti incongruenze. Ai sensi delle leggi 13.6.1912 n. 555 e 05.02.1992 n. 91 sulla cittadinanza italiana, i figli nati all’estero da padre cittadino italiano, acquisiscono dalla nascita il possesso della cittadinanza italiana. Da ciò deriva la concreta possibilità che i discendenti di seconda, terza, generazione di nostri emigrati siano investiti della cittadinanza italiana. Possibilità ampliata da una sentenza della Corte Costituzionale che ha incluso anche i figli nati da madre italiana. L’anomalia più evidente è che oggi vota, quindi decide dell’economia, tasse, salute, istruzione ecc. chi non risiede in Italia, non paga le tasse e non subisce gli effetti del proprio voto. Le conseguenze le abbiamo viste, i parlamentari eletti all’estero (ben 12 deputati e 6 senatori ) nella migliore delle ipotesi sono rimasti sconosciuti e nella peggiore hanno acquisito notorietà per aver cambiato casacca in un momento molto redditizio ( vedi Razzi). Di contro abbiamo milioni di residenti e nati in Italia che, pur contribuendo con le loro tasse all’economia italiana, non possono influire sull’impiego dei soldi da loro dati allo Stato (quindi alla comunità che non li accetta).

Viene da chiedersi il perché di questa disparità, in un mondo dove tutto è valutato in denaro (pago quindi voto) e contro la logica che dovrebbe far sentire maggiore vicinanza con chi, nato qui, lavora, vive e condivide gioie e dolori della nostra società, rispetto a chi aveva degli ascendenti italiani, ma in Italia non è mai venuto.

Non sarà che questo attaccamento al principio dello jus sanguinis nasconde vecchie pulsioni razziste o di conservazione dell’integrità della razza e la preoccupazione che la nostra società si trasformi in multi razziale e multi religiosa ?

La preoccupazione, a parte ogni considerazione ideologica e umana, è comunque inutile perché l’arroccarsi su posizioni conservatrici e di difesa della razza non potranno mai fermare le ondate di popolazioni povere che dai paesi d’origine si riverseranno su quelli più ricchi, come già da tempo stanno facendo. L’unica possibilità ottenibile nell’immediato è di ritardare l’apertura agli altri, ma ciò provocherà solo l’accrescersi di tensioni e di rancori per diseguaglianze non gjustificabili.

Nello scenario attuale le opinioni della nostra società e le proposte delle varie forze politiche sono variegate e contrastanti e spesso coperte da una buona dose di ipocrisia e opportunismo.

Una percentuale non insignificante degli elettori, per egoismo o per paura di perdere la propria identità, rifiuta di convivere con persone di diverso colore, religione o etnia.

Altre forze politiche pur non essendo dichiaratamente razziste, non vogliono perdere consensi fra quanti credono (vogliono credere) che la delinquenza si annidi principalmente fra gli emigrati irregolari e vedono come un pericolo la loro presenza sul territorio. Essenzialmente sono i partiti che da noi vengono definiti di centro destra ma che in qualsiasi altro paese europeo sarebbero definiti di destra tout court.

Diversamente la sinistra, con qualche adesione in controtendenza anche fra le fila di centro destra, cerca di trovare soluzioni per riconoscere a chi è nato in Italia da genitori stranieri, diritti pari a quelli di chi è nato da italiani e magari all’estero. L’atteggiamento però è cauto per “rispetto” dell’attuale alleato.

Un atteggiamento tattico (con considerevoli consolanti defezioni) è stato assunto da Grillo che, per non scontentare nessuno, dopo essersi preoccupato per mesi di quisquilie da poche centinaia di euro, non prende posizione su una questione tanto importante e pensa di demandare tutto al referendum popolare nella convinzione che il popolo, se opportunamente stimolato (tanto purtroppo ci sarà sempre qualche fatto di cronaca da sfruttare), risponderà negativamente, incattivito anche dalla situazione economica disastrosa.

Di fronte a posizioni così diverse appare veramente difficile immaginare soluzioni di compromesso. Né mi sembra corretto demandare al voto diretto del popolo ogni decisione. se, come credo, il diritto di cittadinanza rientra fra i così detti  diritti fondamentali.

Sono così chiamati i “diritti umani” o “inviolabili” o “costituzionali” quelli insomma sui quali si basa la struttura del nostro Stato che non sarebbe concepibile nella sua attuale natura senza il loro riconoscimento.

Poiché sono l’essenza stessa dello stato italiano essi non sono mediabili e nemmeno demandabili alla censura popolare. Sono garantiti dalla nostra Costituzione e non possono essere messi in discussione da referendum o da maggioranze popolari, pena il sovvertimento del nostro sistema democratico.

Essi sono contenuti e descritti nella Parte prima titolo I della Nostra Costituzione. Secondo quanto stabilito dalla sentenza della Corte Costituzionale n.13 del 1994 il loro insieme costituisce il diritto irrinunciabile all’identità personale di ogni persona.  Il diritto di cittadinanza rientra fra questi? Esplicitamente esso è richiamato all’art, 22 “Nessuno può essere privato, per motivi politici, della capacità giuridica, della cittadinanza, del nome” . Ciò significa che sicuramente per chi possiede la cittadinanza esiste una garanzia di carattere costituzionale, a maggior ragione se inseriamo anche la cittadinanza nel diritto all’identità individuale richiamato e tutelato dalla sentenza prima ricordata.

Se quindi ha la stessa dignità degli altri diritti fondamentali, se ha la stessa derivazione dal diritto naturale della persona, se è compreso nel bagaglio dei diritti di ogni individuo così come riconosciuto dalla nostra Costituzione  non dovrebbe essere messo in discussione nemmeno il principio della sua  acquisizione: chi nasce in un luogo abitato da una comunità ha diritto di far parte di quella comunità come, da tempo, riconosciuto in diversi altri paesi (per tutti: gli USA).

Si tratterebbe in sostanza di riconoscere ciò che in natura c’è già: il vincolo esistente fra l’individuo e il territorio che lo ha visto nascere.

Il problema potrebbe essere se sia gjusto ( o meglio “opportuno”) applicare un automatismo nascita-cittadinanza (come in USA), con il rischio, già visto all’inizio per lo jus sanguinis, di avere riconosciuto la cittadinanza a soggetti che non avranno più legami con il Paese (per esempio nati ed emigrati subito in un terzo paese).

Riconosciuto quindi il diritto di cittadinanza, per nascita sul luogo, come diritto fondamentale dell’uomo, potrebbe essere “sospeso” al verificarsi di altri requisiti che siano significativi  dell’appartenenza alla comunità .

Le condizioni richieste ora dalla legge (collegate alla residenza e non alla nascita), sembrano più strumenti per ritardare il riconoscimento del diritto o per negarlo, perché sono soggette a criteri di valutazione non obiettivi ma discrezionali; come tali sono anche sensibili alla variazione del clima politico nazionale.

Riporto i requisiti per la cittadinanza, indicati nel sito del Ministero dell’Interno, per gli extracomunitari che abbiano maturato dieci anni di residenza sul territorio:

Redditi sufficienti; Integrazione sociale; Assenza di precedenti penali; Assenza di motivi ostativi per la sicurezza della Repubblica.

Siamo lontani dall’applicazione ragionevole dello jus soli e non vedo come il Governo attuale, con tutti i suoi precari equilibri possa affrontare una questione che vede il paese così diviso.

Anche questa poteva essere un’occasione per modificare la nostra società con la collaborazione fra 5stelle e la sinistra sugli argomenti comuni, ma inaspettatamente (almeno per me) Grillo ha assunto anche in questa occasione un atteggiamento tattico già nel merito della questione e non solo nelle procedure, come finora aveva fatto per le naufragate alleanze governative.

Temo che il rifiuto di Grillo di sostenere un governo PD e la decisione del PD di accogliere l’abbraccio mortale col PDL abbiano chjuso definitivamente la possibilità di trovare maggioranze, nell’attuale Parlamento, che facciano evolvere il Paese verso una società più umana e più civile.

Non resta che sperare in una ribellione degli elettori PD e 5stelle, nei confronti dei propri leader, prima che il Caimano ritorni a governare sfruttando la legge elettorale che, con questa maggioranza governativa, non sarà cambiata.{jcomments on}

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