I PARTITI POLITICI SONO MORTI. VIVA I MOVIMENTI ?

di Marco Borsotti

Da molti anni il Movimento Cinque Stelle nelle parole del suo portavoce più conosciuto, Beppe Grillo, ha annunciato la morte dei partiti politici in Italia. Non vi era spettacolo o comizio dove Grillo non ripetesse il suo mantra che i partiti politici non esistevano più, si erano estinti anche se nessuno lo ammetteva. Quest'autunno, francamente con certa sorpresa, leggo che ormai il tema non é più prerogativa del M5S e dei comizi o proclami in rete di Beppe Grillo, ma invece é diventato argomento di discussione sui giornali di maggiore tiratura, in testate che non possono essere sospettate di sponsorizzare anche se indirettamente il Movimento Cinque Stelle.

Le misure del disincanto per il voto

Da tempo si parlava e scriveva diffusamente della crisi dei partiti del centro destra dove ormai neppure gli eletti in quelle liste, sembrerebbe, siano disposti a pagare contributi per il loro funzionamento. Di questi giorni la notizia che Silvio Berlusconi ha dovuto provvedere di tasca propria i fondi necessari a sanare il sempre più preoccupante deficit finanziario del Partito che lui dirige. Rimaneva, però, ancora l'impressione che nel centro sinistra almeno il Partito Democratico conservasse una sua solidità, unico partito di massa sopravvissuto al crollo della Prima ed, ormai direi, anche Seconda repubblica. Invece, dati non ufficiali diffusi da Repubblica, il quotidiano diretto da Ezio Mauro, fanno capire che ormai la militanza di base del partito si sta rapidamente squagliando, quasi meno ottanta percento d'iscrizioni tra il 2013 ed il 2014.

Non ci sono state conferme ufficiali a questo dato, anzi il responsabile del PD per quest'area ha affermato che quanto scritto non tiene conto dei dati a sua conoscenza, ma nel negare l'informazione Lorenzo Guerini non cita cifre alternative, mentre il bilancio preventivo del PD ascrive per questa voce come entrate €12,8 milioni contro gli oltre sessanta che andarono a bilancio nel 2011. Se le entrate per le quote sono cadute in questa proporzione é persino possibile assumere che la contrazione nelle iscrizioni sia ancora maggiore di quanto affermato da Repubblica. Se questa tendenza dovesse confermarsi, presto le oltre 7,000 sedi del PD sparse un po' ovunque nella penisola diventerebbero monumenti di un passato che non esiste più.

Il dinamico Segretario Generale del PD e Presidente del Consiglio in carica, Dr. Matteo Renzi, avrebbe commentato a chi gli faceva notare la questione che per lui questo dato non conta molto visto che il PD si preoccupa del suo elettorato e non dei suoi iscritti. I dati alle europee di maggio sembrerebbero dargli ragione avendo il partito raggiunto la quota del 40,8% dei suffragi validi, risultato che nessun partito del centro sinistra aveva mai raggiunto dopo la fine della seconda guerra mondiale.

Guardando più a fondo i risultati bisogna però segnalare che nel 2008, il primo anno in cui il PD si presentò come partito con un suo simbolo alle elezioni politiche ottenne oltre 12 milioni di voti quando a votare si recò l'80% degli aventi diritto, mentre nelle elezioni regionali menzionate dal segretario Renzi, i voti ottenuti furono un po' meno di 11,2 milioni con un calo di voti rispetto al 2008 di circa novecentomila unità. Bisogna anche dire che alle europee del 2014 votò soltanto il 59% degli aventi diritto, per cui il valore sempre ripetuto come segnale di legittimità popolare data dal voto, come se i consensi ottenuti rappresentassero il 40,8% dell'elettorato, se ponderato per numero di votanti su quanti avrebbero avuto il diritto di voto, scenderebbe al meno eclatante 23%, ossia un elettore in favore su quattro. Di fatto, é certo che chi non vota o vota scheda bianca, vota implicitamente chi avrà raccolto la maggioranza dei voti, ma rimane la constatazione ugualmente incontestabile che solo poco più di 23 elettori su cento hanno espresso un chiaro segnale di fiducia nel partito uscito vincitore dalle elezioni, fatto questo che dovrebbe consigliare maggior prudenza nel valutare il consenso nel paese per il PD e per il suo segretario. Diamo quindi una sguardo adesso alla partecipazione al voto, cioè al numero dei cittadini che avendone diritto hanno voluto esercitarlo. Le tabelle a seguito danno un quadro della situazione.


Tabella 1- Percentuale votanti alla Camera dei Deputati

Anno

%

Anno

%

Anno

%

1946*

89,1

1972

93,2

1994

86,3

1948

92,2

1976

93,4

1996

82,9

1953

93,8

1979

90,6

2001

81,4

1958

93,8

1983

88

2006

83,6

1963

92,9

1987

88,8

2008

80,5

1968

92,8

1992

87,4

2013

75,2

*Elezione dell'Assemblea Costituente

Fonte: Ministero degli Interni, Archivio Storico Elettorale

Tabella 2- Percentuale votanti alle Elezioni Europee

Anno

%

Anno

%

Anno

%

1979

85,7

1994

73,6

2009

65,1

1984

82,5

1999

69,7

2014

58,7

1989

81,1

2004

71,7

-

-

Fonte: Ministero degli Interni, Archivio Storico Elettorale

Balza subito agli occhi del lettore il cambiamento dell'atteggiamento degli italiani verso il voto. Pur riconoscendo che agli inizi sino al 1948 esisteva la disposizione poi andata in disuso di notare nel casellario giudiziario di ogni cittadino la dicitura “Non ha votato” qualora non avesse prelevato la scheda elettorale o non si fosse presentato al seggio per votare, sino agli anni novanta la partecipazione al voto dei cittadini era molto alta, superiore o almeno molto prossima al 90% degli aventi diritto, per poi iniziare a calare a partire dal 1996 sino ad arrivare al dato di minore affluenza, quello registrato nelle elezioni politiche del 2013.

Per le elezioni europee, la partecipazione é sempre stata inferiore a quella riscontrata nelle votazioni politiche nazionali, scendendo già dagli anni novanta a valori prossimi al 70% per poi calare ulteriormente nel 2009 e 2014 dove si é avuto il risultato peggiore con meno del 60% degli aventi diritto che hanno sentito la necessità d'esprimere la propria preferenza politica.

Perché molti italiani hanno smesso di preoccuparsi di votare?

Molte possono essere le spiegazioni per questo cambiamento radicale di comportamento, ma non vi sono dubbi che ormai ci si avvicina alla situazione riscontrata in altri sistemi rappresentativi ad elezione universale dove a votare si reca poco più o persino poco meno della metà di coloro che potrebbero farlo. In tutte le democrazie moderne, il sistema politico si fonda sulla presenza di partiti politici a cui i vari candidati sono associati. Queste strutture sono veicoli per l'organizzazione della vita politica della Nazione. Infatti, i partiti, tutti enti di diritto privato, arrivano per diverse vie alla definizione di un programma elettorale più o meno vincolante ed alla scelta di una rosa di candidati che s'impegnino, qualora eletti, a realizzare quanto previsto dal programma. Presentandosi sotto il nome di quel partito cui hanno aderito, i candidati o le liste in cui sono iscritti vengono riportate sulla scheda elettorale contraddistinti da un simbolo depositato in tribunale come mezzo per la identificazione anche visiva del partito stesso perché ogni singolo votante possa esprimere la propria preferenza barrando quel simbolo con un tratto di matita e, quando permesso dalla legge, scrivendo i nominativi dei candidati prescelti.

Tutte le Costituzioni moderne riconoscono all'eletto libertà di coscienza nell'esercizio della propria funzione legislativa, ma é pratica comune che le segreterie dei partiti diano indicazioni di voto che si considerano vincolanti per gli eletti nella loro lista. I partiti non hanno strumenti legali per obbligare al voto, ma esiste quella che si chiama disciplina di partito che in genere spinge tutti gli eletti a rispettare nella maggior parte dei casi le indicazioni di voto ricevute.

Nella pratica politica, almeno in Italia, é prevalsa ormai da molti anni la procedura che i partiti dopo le elezioni prestino poco o nessuna attenzione alle promesse fatte in campagna elettorale e che gli eletti votino non per rispettare gli impegni presi con gli elettori che gli hanno dato delega, ma per seguire le decisioni prese a livello della direzione dei vari partiti. Mi pare quindi ragionevole assumere che molti elettori constatando l'irrilevanza del loro voto in relazione con le leggi approvate, abbia concluso che votare sia in fondo un esercizio insulso, privo cioè di attrattiva ed interesse, in poche parole irrilevante.

Gli esempi per sostenere questa affermazione che riconosco molto categorica sono innumerevoli. Mi limito ad accennare che oggi il Parlamento é impegnato quasi a tempo pieno a portare avanti una serie di riforme che cambierebbero radicalmente la natura dell'assetto costituzionale del paese, pur se un recente referendum nel 2006 sancì che la grande maggioranza degli elettori vogliano mantenere la Costituzione inalterata. Ma non basta, il governo basato su di una maggioranza diversa da quella che si era presentata al voto sia nel centro sinistra che nel centro destra, infatti l'attuale governo é sostenuto da parlamentari eletti sia nelle liste del centro destra come del centro sinistra, intende sopprimere leggi che assicuravano garanzie ai lavoratori, riformare il sistema giudiziario, scolastico e sanitario, tutto questo facendo approvare queste nuove norme da un Parlamento che la Corte Costituzionale ha sancito fu eletto con una legge che non aveva i requisiti prescritti dalla Costituzione e che quindi avrebbe dovuto dimettersi per permettere nuove elezioni. Alla fine la ciliegina sulla torta, nessuna di queste riforme e leggi che si vogliono far approvare in queste forme alquanto discutibili era nei programmi elettorali di coloro che adesso le portano avanti, con il risultato, quindi, che tutto ciò avvenga senza mandato degli elettori per farlo.

Che cosa erano i partiti di massa in Italia

Per molti anni, in Italia, i partiti furono certamente un punto di discussione e di contatto con il loro elettorato. Grandi partiti di massa come la Democrazia Cristiana, il Partito Comunista o il Partito Socialista non solo godevano di suffragi elettorali a due cifre percentuali, ma disponevano anche sul territorio di apparati di partito che li radicavano nella società. I partiti erano presenti nel territorio non soltanto quando c'erano scadenze elettorali alle porte, ma durante tutto il periodo tra elezioni dove mantenevano un dialogo abbastanza serrato almeno con i propri iscritti e, spesso, con tutti coloro che in un momento dato volessero avvicinarsi alle loro sedi.

Soprattutto i due partiti di maggiore peso elettorale, la DC ed il PCI, disponevano di strutture che associavano all'attività politica iniziative ricreative o di pubblica utilità. Gli iscritti e soprattutto i militanti erano un fattore imprescindibile nell'attività di questi partiti e gli assicuravano radicamento nel territorio per conoscere le domande ed esigenze della popolazione ed, al contempo, gli permettevano di condurre campagne di promulgazione delle idee politiche che essi rappresentavano. Si trattava, insomma, di un sistema a doppia polarità per ascoltare e per farsi ascoltare.

Come comunicano oggi i partiti

Oggi i partiti sono soprattutto presenti attraverso i mezzi di comunicazione, le televisioni in primis. I rappresentanti dei partiti sono ormai veri professionisti della comunicazione televisiva, mezzo che utilizzano in parte per far conoscere le proprie idee, ma soprattutto per far conoscere la propria immagine. I messaggi infatti sono in genere molto brevi e generici, mentre nei così detti programmi d'approfondimento, il clima rissoso dove tutti cercano di soverchiare l'avversario sovrapponendo la propria voce a quello che sta dicendo l'altro, rende il tutto molto difficile da seguire e soprattutto da capire.

Alla fine, lo dicono i risultati, vince il più telegenico, colui che, per usare una parola del gergo televisivo, fora lo schermo stabilendo una relazione d'empatia con lo spettatore. Tutto questo serve per raccattare voti, ma é anche molto rischioso perché si finisce per perdere il contatto umano con l'elettorato che vive nella propria realtà, con i propri problemi e che non ha più mezzi per proporre o per spiegare, quindi per partecipare nella vita politica del paese perché la televisione, il mezzo che ormai rimpiazza il contatto umano nella propaganda politica, é un sistema ad una sola direzione, fatta soltanto per ascoltare, meglio sarebbe scrivere imbonire, senza discussione e senza un vero confronto che per essere efficace deve essere a due sensi.

Il sistema precedente con i partiti radicati ed attenti alle esigenze dei propri elettori era in fondo un sistema sufficientemente partecipativo da permettere, attraverso la trasmissione interna dei risultati e contenuti di migliaia di riunioni e discussioni, una sintesi politica, pur se realizzata a livello delle direzioni nazionali, capace di rimanere radicata nella realtà. Oggi, la realtà é tutta nella virtualità dei sondaggi e delle discussioni in rete spesso con ignoti senza faccia che hanno sostituito il contatto diretto con le persone per rimpiazzarlo con il surrogato dell'indagine d'opinione e della conversazione virtuale. Si intervista, spesso per via telefonica, un migliaio di persone per poi dedurre dalle loro risposte quello che i cittadini vogliano e pensino. Si accetta quello che scrivono sulle pagine elettroniche persone che molto spesso non sono altro che provocatori prezzolati se non addirittura calcolatori predisposti allo scopo.

Prima ci si conosceva, esisteva un contatto tra individui, esisteva la possibilità di soppesare la veridicità di quanto ascoltato, oggi tutto si basa sulla validità del modello matematico disegnato. Oggi ci si fida degli algoritmi, non più delle persone. La partecipazione é scomparsa e con essa la passione per la politica, il senso etico di percepire la politica come un diritto dovere di tutti.

I partiti esistono ancora, ma sono evoluti in qualche cosa di molto diverso da quello che erano. I partiti non sono più luoghi per le idee, ma macchine di propaganda del proprio apparato direttivo che vuole prima di tutto convincere l'elettore a riconoscergli fiducia votandolo e continuando a confermarlo nei vari incarichi presso cui si presenti per essere eletto. Ormai il politico di professione vede nel successo elettorale non un delega perché assolva un compito pubblico conforme al programma elettorale con cui si é presentato all'elettorato, ma una tappa in un percorso, direi una carriera, che porti quelli con maggior successo a ricoprire posizioni di potere sempre più elevate.

Ci si fa eleggere come trampolino per nuove avventure politiche di potere. Non tutti i professionisti della politica ragionano in questo modo, ma la gran parte di essi lo fa. Vedendo poi l'imperversare di scandali associati con traffici illeciti d'influenze e di denari, si può anche pensare che l'obiettivo vero della politica sia oggi quello di ottenere potere per poter lucrare con esso a fini personali e di partito.

Tutto questo é però molto fragile ed il successo di oggi può scomparire in un nonnulla. Basta considerare le esperienze di due figure di primo piano sino a poco tempo fa, ormai sparite dall'agone politico, Gianfranco Fini e Antonio di Pietro. Per alcuni anni entrambi godettero di un discreto successo che li portò ad occupare posizioni di notevole importanza istituzionale, ma venuti meno nel favore del loro elettorato d'appartenenza per ragioni variegate, sono entrambi ormai tramontati non trovando più spazio nei mezzi d'informazione televisiva, il luogo dove erano soliti coltivare la propria carriera politica. Umberto Bossi potrebbe essere un altro buon esempio di politico ormai oscurato e la lista di casi simili é infatti molto lunga.

Per tutti loro é successa la stessa cosa, hanno perso la fiducia del loro elettorato ed il partito che li sosteneva e che si identificava in loro ha sofferto in conseguenza rovinose cadute di consensi. Il partito non era l'apparato, i militanti, le idee, era la popolarità dei propri dirigenti, soprattutto il capo  che infatti aveva posto il proprio nome nel simbolo per sancire la simbiosi esistente tra le sue fortune e quelle del gruppo politico d'appartenenza.

Le vicende personali di Silvio Berlusconi stanno portando il partito che lui aveva edificato quasi dal nulla a perdere consensi e non sarebbe una sorpresa se al prossimo voto anche questo gruppo dovesse ridursi in modo tale nei consensi da diventare marginale nella vita politica del paese dopo averla dominata per oltre un ventennio.

Il futuro é nella Partecipazione che, al momento, solo i Movimenti assicurano, ma per farlo ci vuole più coraggio

Simili risultati sarebbero stati impossibili con la DC o il PCI o il PSI, quest'ultimo fino a quando non divenne lo strumento di potere di Bettino Craxi che snaturandone la struttura ne causò anche il crollo insieme con la sua caduta per le note vicende penali legate a tangentopoli. Gli ultimi eventi indicano che anche il PD ormai ha intrapreso la stessa china portandomi a concludere che, come affermava Grillo, i partiti politici sono proprio morti. Ormai, non si é più in presenza di un sistema di potere parlamentare dove deputati e senatori sono eletti dalla quasi totalità dei cittadini con la delega di rappresentare gli interessi degli elettori perché la Nazione prosperi, ma abbiamo un sistema dove gli eletti sono scelti dai partiti politici spesso quasi solo dal loro segretario generale, colui che con la sua capacità d'immagine riesce a catalizzare il numero maggiore possibile di voti per la lista che dirige, assicurando così l'elezione dei parlamentari designati. Ormai, non si votano idee o programmi, ma la capacità di conquistare la fiducia che il capo del partito riesce ad esercitare sull'elettorato perché lo voti e con lui voti i nomi scelti per accompagnarlo nella gestione del potere.

Una volta vinte le elezioni, il partito porterà avanti le scelte che più gli confanno e continuerà a farlo, indipendentemente dai risultati ottenuti nell'attuazione del programma, fin tanto che il suo capo e pochi altri alti dirigenti saranno in grado di assicurare la fedeltà del loro elettorato. Berlusconi ed il PD sono andati al potere negli ultimi vent'anni promettendo migliorare il tenore di vita degli italiani. Non ci sono dubbi che nessuna delle promesse fatte é stata mantenuta né da Berlusconi, ma neppure dal PD, anzi le condizioni di vita sono decisamente peggiorate come dimostrato dall'esame implacabile delle serie statistiche che parlano di crescente povertà, perdita di posti di lavoro, aumento dei fallimenti e scadimento della qualità della scuola, della sanità e delle infrastrutture. Paradossalmente, il paese é ancora in mano a quegli stessi che anno dopo anno promettevano quei miglioramenti che non ci sono mai stati.

Tutto questo non é più democrazia, ossia governo del popolo, ma al massimo una forma d'oligarchia dove a decidere quel che sia il bene per la collettività sono soltanto i pochi ai vertici dei partiti. Per questo partecipare alle discussione, essere iscritto ad un partito o persino votare alle elezioni non risveglia più interesse nel cittadino. I partiti sono oggi gusci vuoti che vivono di fondi pubblici e di donazioni spesso occulte di quei gruppi di potere che invece in questi anni hanno prosperato grazie ad appalti, commende ed altri favori elargiti senza parsimonia dai partiti al potere. Detenere il monopolio dell'informazione, soprattutto quella televisiva, é stata la chiave per assicurarsi che nessuno disturbasse il manovratore ogni qual volta ci sia stato da votare.

Il cittadino si sta ritirando dalla politica, non si iscrive a nessun gruppo politico, molti ormai non votano e questa tendenza, come visto nell'esame della partecipazione al voto, é in chiara accelerazione. Di fronte a questa risposta al sistema politico dei partiti, sono però cresciute le esperienze delle liste civiche nelle elezioni comunali, dei movimenti a difesa dell'ambiente, dei beni pubblici o della Costituzione. Nel referendum costituzionale del 2006, il governo Berlusconi fece di tutto per oscurare le ragioni di coloro che non volevano approvare i cambi che la sua maggioranza parlamentare aveva approvato. L'obiettivo era impedire che si raggiungesse il quorum richiesto perché la consultazione referendaria avesse valore. Ebbene, pur senza una visibilità televisiva, vinse con largo margine chi si opponeva alla modifica della Carta Costituzionale.

Questo significa una sola cosa. I cittadini hanno perso fiducia nei partiti, hanno capito che queste strutture sono soltanto cinghie di trasmissione del volere di una ridotta autocrazia di alti funzionari di queste istituzioni, la Casta come furono definiti in un libro di successo scritto da due giornalisti,  Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella. Ma significa anche che i cittadini sono ancora attenti e preparati a mobilitarsi quando capiscano che quelle iniziative sono veramente in loro favore. I movimenti di base sono la nuova forma di condurre l'attività politica. La forma principe di questo nuovo approccio é soprattutto la partecipazione, il coinvolgimento di tutti secondo le proprie disponibilità di tempo nel promuovere iniziative che siano direttamente ancorate alle esigenze dei cittadini nel posto di lavoro, nel quartiere dove abitano, nel territorio in cui vivono.

Nelle ultime elezioni politiche, il Movimento Cinque Stelle ha ottenuto un incontestabile successo di popolo, risultando il gruppo più votato. Purtroppo, la gestione verticistica vista dopo il successo del febbraio 2013 ha oscurato questo risultato facendo presagire un possibile calo significativo nei consensi se si dovesse tornare brevemente a votare. Il Movimento aveva promesso che si sarebbe aperto alla partecipazione mentre invece si é chiuso in una gestione direi “padronale” delle decisioni. Il Movimento si é dimostrato molto coerente con quanto promesso, ma ha, almeno per ora, fallito la prova politica non riuscendo a portare avanti nessuna delle riforme che lo avevano fatto votare, mentre, spesso, il governo in carica ha copiato malamente dal programma del Movimento dando quindi l'impressione che solo loro avevano la capacità di portare a compimento le riforme che il Movimento, per il suo rigido comportamento, non aveva saputo gestire.

Grillo e Casaleggio, il duo che ha concepito le linee basi del Movimento, si sono dimostrati inadatti nella gestione della fase politica una volta che erano riusciti a portare un numero considerevole di persone in Parlamento. Trincerandosi nell'assurda pretesa che per assumere responsabilità di governo, il Movimento avrebbe dovuto raggiungere la maggioranza assoluta dei suffragi, si sono lasciati passare davanti molte occasioni in cui avrebbero dovuto accettare una discussione su proposte concrete che gli avrebbero permesso di realizzare alcune delle loro proposte. Il risultato si é già visto alle elezioni europee dove mancano all'appello quasi 3 milioni di voti se si confrontano i suffragi ottenuti per la Camera dei Deputati con i voti raccolti per il Parlamento Europeo. Accetto che tutti i contendenti hanno perso in numero di votanti tra le elezioni politiche e quelle europee, ma nessuno nella misura sofferta dal Movimento Cinque Stelle.

Ma ancora più grave, a mio giudizio, é stata la non discussione che si é svolta dopo il voto. Ancora una volta il duo ha impedito ogni dibattito mentre sarebbe stato molto utile confrontarsi per capire quanto era successo per porvi rimedio. La perdita di oltre il 33% dei voti poteva diventare un momento di crescita del Movimento e, forse, aprire le porte a riforme che permettessero una reale partecipazione dal basso. Nulla di questo si é realizzato mentre ha continuato ad imperare il dogma che il Movimento possa essere gestito in modo partecipativo facendo uso dell'informatica, un'utopia che probabilmente costerà cara a meno che non si sappia, con tempo, porvi rimedio.

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