I 70 anni dell'ONU  
                                          ONU: NAZIONI UNITE ?
tra speranze e delusioni

di Paolo Basurto

Il 24 ottobre si è celebrata la nascita delle Nazioni Unite. Dal 1945 ad oggi il cammino è stato lungo e difficile e non tutti sono disposti a considerarlo un percorso di successi. Giulio Meotti sul Foglio saluta la ricorrenza valutando l'esperienza dell'ONU come totalmente fallimentare. Cito il suo articolo, perché tra i non pochi detrattori, Meotti è forse un campione. Il suo è uno scritto lungo e pesante. La motivazione sionista che alimenta tanta negatività è evidente e toglie molta credibilità alle sue tesi distruttive, tuttavia vale la pena dare una lettura a ciò che ha scritto per questa occasione, perchè è un vero e proprio compendio planetario delle critiche più feroci e ricorrenti rivolte al sistema delle Nazioni Unite. Sono tutte infondate queste critiche? Ne prendo una, che è anche la più frequente: l'ONU è una mostruosa burocrazia, superpagata e inefficiente. Ebbene, l'Onu è cresciuta da 51 paesi nel 1945 agli attuali 193 Stati membri e ha più di 30 fondi, programmi e agenzie specializzate. E' la prima organizzazione internazionale capace di riunire in un'assemblea, ogni anno, i capi di Stato di tutto il Mondo. L'Agenda di questa Assemblea è frutto di negoziati e compromessi ma è stata in grado di produrre una Dichiarazione sui Diritti Umani che ancora oggi ne costituisce la Carta fondamentale ed è punto di riferimento per un giudizio sull'operato politico dei governi. Ma non è stato che il primo importante risultato. La Convenzione sui diritti dei rifugiati e la creazione dell'Alto Commissariato per i rifugiati è degli anni '50. Dello stesso periodo è la Commissione per il disarmo universale (utopia ma non tanto e comunque la prima nella storia). L'Agenzia per il controllo dell'uso dell'energia nucleare (l'unica ad avere avuto il coraggio di sconfessare gli USA sul possesso da parte dell'Iraq di bombe atomiche), è un'istanza spesso strumentalizzata ma valida. La fine del colonialismo si prepara all'ONU, così anche le principali strategie per lottare contro la povertà a livello mondiale e forgiare obbiettivi di sviluppo e di solidarietà a livello planetario. La Convenzione sui Diritti dell'Infanzia, adottata dal mondo intero (eccetto gli USA) è forse la più completa ed efficace arma giuridica tecnica e politica esistente nella Comunità internazionale per la difesa dei Diritti dell'Uomo. Per la prima volta nella storia dell'Umanità esiste la potenziale disponibilità di alimenti per l'intera popolazione; tutti ammettono che il ruolo della FAO nel conseguire questo risultato non sia stato secondario. La prima Conferenza sulla condizione della Donna è promossa dall'ONU nel '72. L'impegno dell'ONU spazia dai problemi dell' urbanizzazione a quelli dell' ambiente, da quelli della salute alla regolamentazione dei diritti sul mare. La poliomelite scompare dal pianeta grazie agli interventi coordinati dall'OMS, gli obbiettivi del millennio per il 2000 producono statistiche puntuali sui problemi cruciali che affliggono l'umanità e consentono di misurare lo sforzo reale che il mondo dei ricchi dovrebbe fare in favore di quello dei poveri.

Certamente l'elenco appena fatto ( e che è ben lontano dall'essere esaustivo) non può essere considerato come una lista di successi pieni. Perché è vero che promuovere conferenze e creare fondi specializzati e relative Agenzie che li gestiscano è spesso un modo ipocrita per consentire ai Governi di affermare che si stanno affrontando i problemi. Molte volte l'ONU è un paravento per nascondere le vere responsabilità che sempre coinvolgono quei Governi. L'opinione pubblica purtroppo si lascia manipolare facilmente e molti credono che l'ONU sia un'istituzione sovranazionale, capace di decidere con giustizia, politica e sapienza tecnica, al di sopra delle volontà dei Governi. Ma così non è, e, come tutte le istituzioni internazionali, dipende totalmente, finanziariamente e politicamente, dai Paesi che ne fanno parte. Inoltre, com'è noto, il massimo organo direttivo dell'ONU è il Consiglio di sicurezza, che, lontano dal rappresentare tutta la Comunità internazionale, garantisce un posto permanente e un connesso diritto di veto, ai 5 Paesi più potenti del Mondo: USA, Cina, Russia, Inghilterra e Francia (i fondatori del sistema). C'è da stupirsi, e da rallegrarsi, davvero molto che l'ONU non abbia fatto la fine della Società delle Nazioni e che abbia invece prosperato producendo una così grande mole di iniziative, anche se non tutte concluse a buon fine. Perfino un Paese ricco, come la Norvegia, e che ben potrebbe vivere delle sue risorse senza preoccuparsi di altri, riconosce pienamente il valore storico e il peso determinante, per il futuro del suo popolo, dell'esistenza delle Nazioni Unite. "L'ONU continua ad essere importante se davvero vogliamo avere un mondo migliore. Per un paese relativamente piccolo come la Norvegia, l’ONU svolge un ruolo significativo nella regolazione dei rapporti tra gli stati e il mantenimento delle norme e degli accordi internazionali"; così ha detto il Primo Ministro Erna Solberg e non vedo come si possa essere in disaccordo.

Non credo che la burocrazia ONU sia mostruosa,soprattutto se si considera la mole delle funzioni svolte, ma è vero che il reclutamento dei suoi funzionari è spesso inquinato da pressioni politiche alle quali è difficile resistere. Le cancellerie dei Paesi maggiori contribuenti, hanno sempre una contabilità puntigliosa per verificare che le nazionalità che essi rappresentano sia ben proporzionate al loro peso finanziario e politico. E' chiaro che questo non è il modo migliore per assicurarsi competenza e dedizione. Tuttavia è un modo che è riuscito a funzionare in buona percentuale. I burocrati internazionali svolgono spesso funzioni complesse di tipo tecnico e politico allo stesso tempo, hanno responsabilità di gestione e gli organi di controllo sono di gran lunga più severi di quelli analoghi che si possono trovare nelle burocrazie nazionali. Questo non ha impedito casi anche clamorosi di corruzione e sprechi difficilmente giustificabili. Ma tutto sommato l'ONU è stato capace di produrre non solo carta ma anche risultati concreti.
In quanto ai superstipendi dovrebbero essere noto che anche se lo spirito originale era quello di creare, con l'ONU, una vera e propria diplomazia internazionale capace di dialogare alla pari con gli ambasciatori di potenze e superpotenze, non c'è confronto possibile tra le consistenti remunerazioni all'estero dei diplomatici (e quelli italiani non sono certo tra i meglio pagati al mondo) e quelle dei funzionari ONU, quale che sia la loro sede operativa. Intanto ciò che viene speso per i circa sessantamila dipendenti raggiunge appena il 15% dell'intero bilancio amministrato dall'ONU. Non è affatto una grande cifra. Pensiamo che nel nostro Paese i dipendenti pubblici superano i 3,5 milioni, con un costo superiore ai 63 miliardi di euro. Ma quello che pochi sanno è che la remunerazione dei funzionari ONU è calcolata rigorosamente sulla base di quella dei dipendenti pubblici del Paese che offre loro il trattamento economico migliore rispetto a tutti gli altri Paesi. Fino ad oggi gli USA sono stati questo Paese. Questo criterio, conosciuto come il Principio di Noblemaire, dal nome di colui che lo elaborò, fu negoziato già al tempo della Società delle Nazioni, e riconfermato più volte. La sua applicazione viene garantita dalla Commissione per il Servizio Pubblico Internazionale.
Ma sottolineare i numerosi aspetti positivi dell'esistenza dell'ONU non significa negarne i limiti e gli insuccessi. Il problema più difficile, e fonte di grave incertezza per la stessa sopravvivenza del sistema, è quello politico. Il mondo manca di istituzioni in grado di affrontare le questioni planetarie nel contesto della globalizzazione ormai affermatasi. Le moderne comunicazioni, le imprese economiche e finanziarie su base multinazionale (il che vuole soprattutto dire senza nessuno dei controlli che prima erano possibili su base nazionale), le migrazioni di massa, l'incontenibilità di traffici illegali e lucrosissimi come quelli delle armi, della droga, degli stessi esseri umani, hanno reso obsoleti tutti gli schemi operativi e relazionali dei rapporti tra Stati. L'interdipendenza è divenuta un fenomeno totale ed è sempre più evidente che si tratta di un fenomeno senza controllo perché senza guida. Ormai non si sfugge dal dilemma: o ci si dota di istituzioni sovranazionali in grado di farsi rispettare o il mondo è destinato ad una pace violenta e repressiva. Una pace come quella che i Romani furono capaci di imporre al loro mondo e che durò a lungo fino a quando persero la loro superiorità tecnica e militare. Considerando quale sia l'attuale sviluppo della tecnologia di guerra, non è un'esagerazione catastrofica pensare che sia in ballo la stessa sopravvivenza dell'umanità. I disfattisti delle Nazioni Unite possono diffondere quanto vogliono le loro critiche, ma dimostrano solamente incoscienza e superficialità nell'analisi del problema.
Tutt'altra storia è invece non perdere occasioni per migliorare le prestazioni del sistema, nonostante i suoi limiti. Nella rosa dei miglioramenti possibili, anche se difficili, c'è il coordinamento delle numerose attività promosse dall'ONU e dalle sue diverse entità operative. Se ne parla da tempo ma con scarsi risultati. Anche se è vero che a volte una sana emulazione può spingere a rendimenti migliori, il costo in termini di sinergia, risparmio finanziario e consistenza di risultati è troppo alto per non decidersi ad affrontare il problema alla radice.

Un altro problema di non poco conto ma che pure potrebbe essere progressivamente risolto, è l'omogeneizzazione di criteri ed obbiettivi sui quali si valutano progetti e risultati. Una questione tecnica e politica allo stesso tempo. Per esempio, il concetto di sviluppo (e sottosviluppo) nasce nella cucina ONU durante la complessa fase della decolonizzazione. E' l'epoca romanticamente confusa dove ideali ed interessi si confondono in terminologie ambigue (paesi emergenti; in via di sviluppo; Terzo Mondo; neocolonialismo; crescita). L'epoca è finita (anche se molti processi sono ancora in evoluzione e non sono senza conflitti), ma certi concetti, come quello di sviluppo, sono rimasti largamente in uso e fanno bella mostra di sé titolando tabelle importanti di valutazione su scala mondiale. Eppure non c'è cosa più vaga e indefinita del concetto di sviluppo. Non è solo una questione teorica. Il rapporto tra la visione assistenziale dell'aiuto allo sviluppo e quello che, invece, priorizza la crescita economica coinvolge la destinazione di ingenti risorse finanziarie. Agenzie planetarie come la Banca Mondiale, portano nel loro stesso nome (Banca Internazionale per la Ricostruzione e lo Sviluppo) obbiettivi dichiaratamente solidari e umanitari. La lotta alla povertà e alla diseguaglianza dovrebbero essere le loro strategie preferenziali. Eppure l'operato di queste istituzioni è esplicitamente coinvolto nei disastri finanziari di molti Paesi cosìdetti in via di sviluppo, travolti da un sistema di debiti divenuti di fatto impagabili. Sostenitori espliciti del liberismo economico senza controlli, queste istituzioni hanno spesso vanificato gli investimenti in progetti squisitamente sociali promossi da altre entità dell'ONU come il Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo o l'UNICEF o il Programma alimentare mondiale.
Un articolo di Luis Yañez Quiroz, pubblicato nella rivista digitale Ojo Publico, e intitolato Los clientes privados del Banco Mundial, riporta con ricchezza di documentazione una pretesa scandalosa collusione tra il mondo imprenditoriale peruviano (e non solo) e la Società Finanziaria Internazionale, che è un'affiliata della Banca Mondiale. La IFC viene creata negli anni '50 per incentivare investimenti finanziari in settori trainanti dell'economia, attraverso l'imprenditoria privata. Uno strumento più agile del canale governativo che la Banca Mondiale è obbligata a utilizzare per i suoi prestiti. Fin qui nulla di male. Ma la IFC esibisce con orgoglio il suo scopo racchiuso nella frase: "I nostri obbiettivi sono l'eliminazione dell'estrema povertà per il 2030 e la promozione della prosperità in tutti i Paesi in via di sviluppo". Il criterio più importante per dare coerenza alle sue operazioni è che i progetti siano validi in termini di sviluppo per tutto il Paese e che l'impresa privata che li ha elaborati non riesca a trovare adeguati finanziamenti ad interessi sostenibili. Quiroz si è dato la pena di analizzare ben 170 progetti finanziati in Perù dalla IFC negli ultimi 18 anni, per un valore complessivo di due miliardi di dollari. La conclusione dell'indagine è che la maggior parte di questi soldi è servita a finanziare entità bancarie, progetti energetici fortemente combattuti dalle associazioni ambientaliste e persino alberghi e cliniche di lusso.
C'è poco da meravigliarsi. La realtà imprenditoriale e il capitalismo senza regole hanno le loro dinamiche ben note a qualsiasi latitudine, però è certo che la confusione concettuale tra lo sviluppo come il mondo finanziario lo concepisce e quello che dovrebbe essere più proprio all'idea di un mondo senza povertà non fa bene alla credibilità delle istituzioni internazionali. Ma ancora una volta, è bene guardarsi dal pessimismo assoluto esprimendo condanne complessive. Nonostante le loro ambiguità e incoerenze, queste istituzioni hanno ormai aperto una via, quella del governo mondiale. Rappresentano una realtà e non ancora un esempio. Vanno criticate per tutto ciò che si potrebbe migliorare e non si migliora, ma non vanno distrutte nel loro prestigio di Grande Idea per la realizzazione di una convivenza planetaria, dove si dovrebbe riuscire progressivamente a risolvere i conflitti senza il ricorso alla violenza bellica. Una convivenza compatibile con le risorse naturali e l'equilibrio dell'ambiente e dove le profonde diseguaglianze che oggi caratterizzano la comunità internazionale si attutiscono in un contesto di solidarietà e di equità e non di competitività e di sfruttamento.
 
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