MARE NOSTRUM - DALLA TRAGEDIA ALL'OPPORTUNITA'
Il Dilemma dell’Emigrazione (II) – [Link alla Parte I]
di Gisella Evangelisti
 
Quasi quotidianamente i nostri telegiornali trasmettono immagini di sbarchi in cui operatori di accoglienza, vestiti in tute bianche e mascherine come alieni, ricevono immigranti rivestiti anche loro di tute bianche come alieni, nella ricerca di una prosperitá sfuggente, come l'Isola che non c´é.
Ma cosa succede nel Mare Nostrum e negli hotspot quando le telecamere si spengono?
Dall'anno scorso la politica europea ha stabilito alcune linee direttrici:
-potenziare la vigilanza alle frontiere marittime, attraverso le due operazioni di “Poseidon” (nel mare antistante la Grecia) e “Triton”, (fino a 138 miglia nautiche a sud della Sicilia), e il soccorso ai profughi in difficoltá. Triton conta su 18 imbarcazioni, 4 aerei e 2 elicotteri, a cui l'Italia aggiunge 3 navi da guerra e una portaerei, più l’intera flotta della guardia costiera. Si sono spesi dal 2007 al 2013, 2000 milioni di euro in sorveglianza contro 700 milioni per l'accoglienza, con una netta prevalenza della ricerca di sicurezza ripetto alla protezione dei dritti umani;
-implementare 6 hotspot, ossia centri di identificazione, registrazione, e fotosegnalazione degli immigranti in arrivo, dove lavorino congiuntamente le autoritá nazionali e le agenzie europee (EASO, Frontex e Europol) per prevenire l'immigrazione illegale;
 - favorire la distribuzione degli immigranti (o ricollocamento) fra i vari stati europei, secondo quote previste con criteri di solidarietá (ossia inviando piú immigranti ai paesi economicamente piú forti).
- finanziare i paesi di provenienza di immigranti, o paesi intermedi con programmi che possano contribuire a contenere l'immigrazione.
-lottare contro i trafficanti: nasce al confine fra Turchia e Bulgaria la “Guardia costiera e di frontiera europea”, una nuova agenzia che supera Frontex per budget annuale, e consiste in una squadra di pronto intervento di 1500 uomini. La lotta ai trafficanti é invece coordinata da Europol.
Come si stanno implementando queste politiche, e con quali risultati? Ci chiediamo, mentre salta agli occhi la prima evidenza:
 
1) Sono diminuiti gli arrivi mentre aumentano le tragedie in mare. 
Nei primi otto mesi dell'anno hanno attraversato il Mediterraneo 281.740 persone: un flusso, come previsto, di molto inferiore a quello dell'anno scorso, per la chiusura della rotta balcanica e l'accordo Turchia-UE. In Italia si sono avuti circa 150.000 arrivi, piú o meno come l'anno scorso, ma nella rotta che va dalla Libia a Lampedusa, sono affogate finora ben 4176 persone, (dati ACNUR), cioé piú di 11 persone al giorno dal settembre del 2015, a cui si devono aggiungere le recenti vittime.
Com'é possibile questa strage nonostante i lavoro di pattugliamento e soccorso della flotta di “Triton”, senza contare l'appoggio di varie organizzazioni indipendenti, tra cui Medici senza Frontiere col suo “Dignity”, Open Arms col suo “Astral”, Life Boat e altre? “Perché da due anni Triton non si occupa di salvataggio, ma si limita alla sorveglianza del mare”, afferma Oscar Camps, il responsabile di Open Arms, l'organizzazione di volontari catalani. “Siamo noi, con una barca di 30 metri che ci é stata donata ma abbiamo dovuto ristrutturare per accogliere centinaia e migliaia di migranti, che ci muoviamo per salvarli e poi li portiamo dalle navi di Triton. Abbiamo appena ricevuto un premio dall'Unione Europea (per fare il loro lavoro) ma non ci rimborsa i 16.000 euro che costa un pieno di benzina.”
“Purtroppo non si riesce a salvare tutti”, spiega alla stampa d'altra parte Paolo Monaco, un comandante della guardia costiera italiana che guida le operazioni di soccorso al largo di Lampedusa. Poiché, dal momento che i paesi europei continuano a negare ai profughi corridoi umanitari e possibilitá di intinerari legali, quella del Mediterraneo centrale, tra Libia e Sicilia é diventata la rotta migratoria piú pericolosa del mondo. Ogni giorno di bel tempo, prima dell'arrivo dell'autunno, partono dalla Libia tra 10 e 15 imbarcazioni: o gommoni dove vengono ammassate un centinaio di persone, o vecchi motopescherecci, che contengono dalle 300 alle 600 persone. Una volta al largo, i trafficanti danno ai passeggeri una bussola e il numero di telefono della guardia costiera di Roma, e poi li abbandonano al loro destino. Quando arriva dal telefono satellitare di uno dei migranti la telefonata piú o meno disperata alla guardia costiera di Roma, avvisando di un'avaria, questa deve cercare di localizzare l'imbarcazione, dirigendosi alla compagnia telefonica Thuraya, con sede ad Abu Dhabi, che é attiva 24 su 24 e riesce a farlo in meno di un'ora. Poi la guardia costiera, se si tratta di acque territoriali libiche, deve avvisare le (imprendibili, latitanti o titubanti) autoritá libiche e finalmente puó cominciare l'operazione di soccorso. Sempre che riesca ad inviare a tempo un'imbarcazione dalle dimensioni adeguate.
Apriamo una parentesi. Quando la guardia costiera libica dichiara di aver salvato 10.426 migranti dall'inizio del 2016 al mese di luglio, c'é da tremare: dove sono finiti? Che fine hanno fatto quelle migliaia di persone deportate nei lager libici (accordati anni fa tra Berlusconi e Gheddafi) o nei paesi da cui fuggivano? La Libia ha appena dichiarato di non voler creare centri di accoglienza, e ha nel suo territorio 230.000 stranieri probabilmente disposti a migrare.
 
Chi ha assistito a uno di questi sbarchi, non lo dimenticherá mai”, sostiene Luigi Ammatuna, sindaco di Pozzallo, un piccolo centro siciliano diventato da 4 anni porto di sbarco, e adesso anche hotspot.(Nel 2012 erano arrivate 250 persone, nel 2013 4000, nel 2014 28.000, nel 2015 circa 100.000).
“Noi gente di mare, seguiamo la legge non scritta di soccorrere chi sta naufragando, qualunque sia la sua origine”, spiega Ammatuna nella seconda edizione del Festival interculturale di Sabir, organizzato da Caritas e ARCI a Pozzallo nel maggio 2016, riunendo piú di 200 operatori ed esperti sul tema migratorio, provenienti dalle due sponde del Mediterraneo. “Chi insiste che gli immigranti africani si debbano rimandare subito indietro, forse non ha mai assistito a uno sbarco. Guardiamoli negli occhi, quando sbarcano infreddoliti, le mamme coi bimbi in braccio... e dicono Grazie, grazie...dopo aver passato tante vicissitudini e pericoli. Noi per una linea di febbre portiamo in ospedale i nostri figli, mentre dall'altra parte del Mediterraneo ci sono dei genitori che dicono a un figlio di 10 anni “Vai, forse morirai, ma devi tentare di avere un futuro migliore”. Nel 2014 arrivarono in Italia 1600 minori non accompagnati, (adesso sono quasi 13.000.ndr). Per legge devono essere sistemati in strutture diverse da quelle degli adulti, ma in questo momento le strutture sono sature e per il sindaco trovare una sistemazione é un problema. Perché per esempio non possiamo affidare i ragazzi a delle famiglie? Il centro di accoglienza di Pozzallo é diventato un hotspot, bisogna registrarli in 48 ore e via. Qualcuno non vuole essere identificato per via dell'accordo di Dublino, (quello per cui gli immigranti si devono fermare nel paese dove sono stati registrati, anche quando non é questa la loro scelta). Questi problemi, per quanto enormi siano, possiamo risolverli se anzitutto non dimentichiamo che apparteniamo alla stessa umanitá. Se li vediamo come “persone che non per gioco rischiano la vita”, non “clandestini” tout court.”
 
2). Il ricollocamento si incaglia negli hotspot.
In Italia sono attualmente funzionanti 4 sui 6 hotspots previsti dalla Commissione Europea (Lampedusa, Taranto, Porto Empedocle, Pozzallo); in Grecia funziona quello di Lesbos.
Dei 120.000 migranti inseriti in questo momento nel sistema nazionale di accoglienza, circa 14.250 si trovano nei centri di prima accoglienza e hotspot.
Ma l'ingranaggio che collega il punto di partenza (l'hotspot) col punto di arrivo (i paesi dove dovrebbero essere collocati quote di migranti accordate nel Consiglio d'Europa) é inceppato. Da una parte gli immigranti spesso non sono debitamente informati sui loro diritti, come quello di richiedere asilo, dall'altra vari stati europei non sono disposti a mantenere gli impegni accogliendo la loro quota di richiedenti asilo. Non sono solo i piú ostinati paesi dell'Est (Ungheria, Repubblica Ceca, Bulgaria e Polonia) a rifiutarsi di accoglierli: anche l'Austria ha varato recentemente delle leggi antiimmigrazione, la Gran Bretagna sta per costruire un muro a Calais, e il governo spagnolo ha accolto solo poco piú di 200 sui 16.000 profughi a lei assegnati, nonostante che cittá come Barcelona e Madrid si dichiarino disposte a riceverne migliaia. In questo momento, all'inizio dell'accordo sulle quote di ricollocamento, nel dicembre 2015, dei 160.000 richiedenti asilo riconosciuti in Europa solo 6000 sono stati ricollocati.
Ció significa che “migliaia di persone sono costrette a trascinarsi da un paese all'altro, inghiottite da sistemi di accoglienza fallimentari nel garantire servizi e cure adeguate, o restano intrappolate in campi in Grecia, Macedonia e Francia”, come denuncia Loris de Filippi, presidente di Medici senza Frontiere. Quando le vie legali sono chiuse, ovviamente “piú persone vengono spinte nelle braccia di trafficanti senza scrupoli, con un aumento vertiginoso di violenza e abusi”.
Negli stessi hotspot possono verificarsi vere e proprie silenziose tragedie umane, come hanno riferito a Sabir alcuni operatori Caritas. Quando per esempio dei giovani subsahariani, provenienti da Sudan o Gambia, dopo aver attraversato deserti e mari in tempesta, finalmente approdati davanti a un burocrate europeo, si sentono chiedere : “Siete venuti qui per lavorare?” “Certo!” Rispondono loro. “Allora niente, come immigranti economici dovete tornarvene al vostro paese, che consideriamo sicuro”.
Non gli viene spiegato che, se vivono in una situazione pericolosa, possono richiedere asilo. Il loro allontanamento viene eseguito velocemente, nei giorni successivi il provvedimento.
“Andate a Roma alla vostra ambasciata”, gli viene ordinato, “perché altrimenti, dopo sette giorni diventerete clandestini”. Loro si spostano solo di qualche chilometro, mentre cercano di capire cosa fare, e la polizia spesso fa finta di niente, tranne in qualche caso quando vengono trasferiti a un CIES (Centro di Identificazione ed Espulsione), dove dovrebbero restare fino al rimpatrio. Poi, se trovati in strada, vengono invitati di nuovo ad andarsene, ma nel frattempo probabilmente hanno avuto modo di conoscere qualche operatore Caritas che gli dá le informazioni di legge su come chiedere asilo, e una volta che hanno fatto domanda lo stato é obbligato a dar loro ospitalitá, se sono indigenti. In altri casi puó succedere che dei richiedenti asilo vengano reclusi per mesi e mesi in centri chiusi, per esaminare le loro domande, anche se la legge prevede una permanenza massima di 35 giorni. E´appena scoppiato il caso di un giornalista, Fabiano Gatti, che ha voluto indagare per conto dell' “Espresso”, sulla realtá del CARA (Centro per Richiedenti Asilo) di Foggia, entrando clandestinamente nel centro dove sono ammucchiati 1000 esseri umani. “E´un inferno dove vengono trattati come bestie, quando per ciascuno di loro le cooperative percepiscono 22 euro al giorno”, riferisce il giornalista.
 
3) Il sistema di accoglienza italiano risulta poco trasparente ed efficace. Con barlumi di luce.
Mentre i nostri tenaci subsahariani sono bloccati in un CARA, o se la sono data a gambe cercando di sbarcare il lunario, raccogliendo pomodori in qualche ghetto del caporalato come quello tristemente famoso di Cerignola in Puglia, o vendendo calzini, e dormendo in baracconi), é prevedibile, anzi certo, che si verifichino prima dell'inverno altri sbarchi consistenti, a Lampedusa, Pozzallo, Augusta. Eppure ogni sbarco viene affrontato come «un’emergenza» dalle Prefetture, che reclutano alberghi (si fregano le mani soddisfatti i soliti albergatori della lista, magari “amici degli amici”, a cui si garantisce la clientela), o chiamano in causa parrocchie e comuni, che allestiscono tende o container in spazi pubblici.
“La gestione è affidata a consorzi, cooperative, associazioni, spesso senza gara, dove si paga, chiavi in mano, pieno per vuoto, ma non c’è trasparenza sugli affidamenti, sui finanziamenti, sul rispetto della qualitá dei servizi previsti dai contratti d’appalto”, denuncia in un suo reportage Milena Gabanelli. Insomma, i Centri di prima Accoglienza (CAS- Centri di Accoglienza Straordinaria) sono spesso gestiti con criteri commerciali e non umanitari, spendendo il minimo possibile, e soprattutto mantenendo gli immigranti nel vuoto totale di contatti e progetti. E questa é la situazione del 70% dei profughi e richiedenti asilo, ossia 91.151 persone attualmente bloccate in circa 3000 fra alberghi o capannoni sparsi per tutta l’Italia, spesso lontani dai centri abitati, senza poter lavorare o integrarsi in qualche modo nella societá che li ospita.
E´facile, infatti, scorgere gruppi di nerissimi africani disorientati e infreddoliti in un paesino di montagna dove la gente li guarda con diffidenza, considerandoli sfaccendati, quando non gli si permette di lavorare, o ciondolare depressi in una piazza di Cagliari, dove sono stati sbarcati senza preavviso, e loro credevano di essere trasportati in Germania o Svezia. O ecco gruppi di famiglie ammassate fuori della stazione di Milano, mentre il sindaco si affanna a trovar loro una sistemazione, quando vengono respinti in blocco alla frontiera svizzera. Sono queste le situazioni che creano disagi, problemi e talvolta conflitti fra residenti e ospiti. Altre migliaia di profughi finiscono invece in uno dei 13 CARA ( Centri per Richiedenti Asilo), megastrutture governative dove si rimane per mesi in attesa di risposta (anche se, come abbiamo giá detto, la legge prevede una permanenza massima di 35 giorni).
 
4) La macchina giudiziaria é intasata, quanto costerebbe renderla funzionante?
Dentro al 60% degli immigranti che non provengono da Paesi in guerra, un numero imprecisato fugge da persecuzioni e chiede protezione. E se questa non viene concessa, intasano i tribunali con i ricorsi. Ci vogliono in media 2 anni per stabilire chi deve restare e chi no, quando sarebbe sufficiente qualche mese; ma ci vorrebbero 40 giudici dedicati solo a questo, e il costo è quantificabile in 3 milioni di euro l’anno.
 
5) I rimpatri: piú facile a dirsi che a farsi.
Siamo (o eravamo, vista la progressiva chiusura di frontiere europee) soprattutto un paese di transito. La maggior parte di chi sbarca da noi sogna di arrivare in uno dei paesi del Nord dove esistono migliori condizioni di accoglienza, per esempio alloggio e formazione fin dall'arrivo, oppure dove ci sono giá familiari e amici che possono dare una mano. Non sappiamo con precisione dove sono finiti i 170.000 immigranti sbarcati nel 2014, e i circa 160.000 del 2015. In gran parte hanno preso la strada del nord Europa senza farsi identificare, in parte sono stati inseriti nel circuito dell’accoglienza, altri vagano per la penisola, in condizioni spesso indegne. Giá alla fine del 2015 Medici senza Frontiere parlava di almeno10.000 profughi fuori del sistema, che si raggruppano in campi spontanei, baracche, edifici occupati, con accesso limitato a cure mediche e altri servizi di base.
Nell’ultimo mese, tra l'altro, si assiste a un fenomeno del tutto nuovo: i migranti che prima potevano muoversi in Europa vengono respinti da Chiasso e Ventimiglia da parte delle autorità di frontiera svizzere e francesi, e le autoritá italiane, che non possono lasciarli per strada, li trasportano in pullman fino al centro di identificazione di Taranto o in altri centri in Sicilia. Questa decisione del Ministero dell’Interno innesca una specie di gioco dell’oca per i migranti, che una volta lasciati andare dagli hotspot si rimettono in marcia verso il Nord, con meno soldi e meno speranza. Di tanto in tanto qualcuno tenta il suicidio.
Nel complesso, circa il 60% delle persone sbarcate a cui le commissioni prefettizie negano la categoria di richiedenti asilo, ossia gli immigranti economici, ricevono il decreto di espulsione. La partita dei rimpatri legali si contratta attraverso accordi con i paesi d’origine. Nel 2015 su 34.000 irregolari è stato rimpatriato forzatamente solo il 46%, con un costo di 35 milioni di euro, contro una media europea del 40% di rimpatri. Tutto (o quasi) bene? No. Vediamo perché.
 
6) Il bluff di “Aiutiamoli a casa loro”, ovvero Esternalizzare le frontiere, e girare la faccia dall'altra parte.
Nel novembre del 2015 nel Summit di La Valletta, Malta, UE ed Africa stipularono accordi per il controllo frontiere e la riammissione di immigranti, mettendo subito in gioco 2 miliardi di euro, la maggioranza dei quali provenienti dai fondi europei allo sviluppo, da fondi per stabilizzare l'Africa Orientale, e in parte dagli stati membri europei, tra cui l'Italia, diretti a 35 paesi africani. Cioé parte dei fondi per lo sviluppo (il famoso “Aiutiamoli a casa loro...”), in genere destinati ai settori sociali piú deboli, attraverso progetti di formazione, produzione o sanitá, vengono invece diretti alle polizie di Stati dittatoriali, come quelli del Corno d'Africa, (specializzate in tecniche di sequestri, detenzioni e abusi), perché pattuglino le frontiere per riacciuffare i profughi che stanno fuggendo dalla miseria e la violenza o quelli obbligati a rientrare coi rimpatri, per sbatterli in cella o semplicemente, eliminarli. In realtà, parte dei Fondi Fiduciari istituiti al Summit di La Valletta (l'Italia contribuisce con 10 milioni di euro) sono già in uso, grazie ad accordi che non sono mai passati per il nostro Parlamento, come quelli con Sudan, Eritrea ed Etiopia. La Germania, leader della “cooperazione” in Sudan, come rivela Der Spiegel, realizza training per la polizia di frontiere, consegna macchinari, e aiuti per costruire campi-prigioni a a Gadaref e Kassala.
      Ricordiamo che il presidente del Sudan, Omar-al-Bashir, é ricercato da parte della Corte Penale Internazionale (CPI) per crimini di guerra e genocidio nel Darfur, (dove secondo le Nazioni Unite, ci furono 400.000 vittime, un'intera regione destabilizzata, circa 2,7 milioni di persone sfollate). A questo genocida l'UE ha mandato una prima "tranche" dei 45 milioni di euro, destinati a Sudan e Eritrea per la gestione della migrazione, arrotondati con altri 100 milioni di euro annunciati in aprile a Kartoum dal Commissario europeo per lo Sviluppo, Neven Mimica.
      Il confine fra Sudan e Libia é pattugliato da forze paramilitari dette Rapid Support Forces (RSF), che fanno parte dei servizi segreti, note per torture e stupri di massa. Solo notizie filtrate ogni tanto da qualche giornale europeo, o da agenzie specializzate come la “Habeshia”, diretta dal sacerdote eritreo don Mussie Zerai, (candidato al Nobel per la Pace per aiutare a salvare profughi in difficoltá), riferiscono fatti come la deportazione di migliaia di profughi eritrei dal Sudan, di dove vengono riportati alle celle del dittatore Isaias Aferwerki: lo stesso che ha reso l'Eritrea una prigione a cielo aperto, dove i giovani sono obbligati al servizio militare permanente, con una paga del corrispondente di 10 euro al mese, derubati del futuro.
      Quanto all'Etiopia, il suo governo ha ucciso 500 persone nelle proteste dell'etnia Oromo dal novembre dell'anno scorso, mentre il Gambia, un altro paese con cui l'Italia ha accordi con la polizia, é tenuto sotto il pugno di ferro da 21 anni da Yahya Jammeh, un dittatore crudele confermato periodicamente da elezioni farsa.
 
7) L'accoglienza che funziona: quella diffusa, dello SPRAR.
Quando si immettono piccoli gruppi di immigrati in un paese, previo accordi con il comune, e si attiva una rete di famiglie, associazioni civili e parrocchie, per realizzare un percorso di formazione e integrazione sociale, che culmina con la ricerca di un'occupazione adeguata, l'esperienza dá in genere buoni risultati. I profughi smettono di essere visti come un gruppo di alieni, ma ritornano ad essere persone, ognuna con storie e vissuti drammatici, ma anche talenti diversi, e un'enorme voglia di fare e costruirsi una vita decente, con l'idea di restare in Italia magari qualche anno e poi tornare in patria. Se viene loro permesso, sono i primi a collaborare quando c´é un alluvione, (successe a Vicenza qualche anno fa), quando c'é da rivitalizzare un'azienda agricola gestita con fatica da anziani o addirittura un intero paese destinato a spopolarsi, come Riace in Calabria: un caso di ottima integrazione immigrati-popolazione locale che ha destato ammirazione nell'Unione Europea. Peró Mimmo Lucano, il sindaco di Riace, pur essendo considerato una delle persone piú influenti del pianeta dalla rivista Fortune, é meno conosciuto in Italia del solito Salvini che martella i telespettatori con i suoi slogans razzisti.
In questo momento sono 23.000 i profughi che seguono un effettivo percorso di formazione e integrazione sociale in uno dei 430 centri dello SPRAR ( Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati), basato sull'accoglienza diffusa. Il sistema conta su circa 2000 operatori che lavorano con piccoli gruppi di migranti, oltre a un gran numero di volontari e volontarie che colaborano in vari modi, dal rafforzamento scolastico dei bambini ai corsi di lingua, al preparare una torta insieme o uno spettacolo teatrale in una scuola. E' in questa pratica quotidiana, controcorrente, in questo fronte comune dove sono impegnati ogni giorno migliaia di persone, soprattutto giovani, risolvendo mille ostacoli e diffidenze, che si costruisce quell'Europa solidale e multiculturale sognata nelle rovine del dopoguerra da alcuni politici illuminati.
Il problema é che lo SPRAR rappresenta solo 1/5 del sistema totale di accoglienza, che é a sé stante, con CARA, CAS, hotspot, dove non si porta avanti la filiera di formazione e integrazione, ma si vivono situazioni frammentarie, con interventi e scadenze diverse.
Il costo totale del sistema di accoglienza per l'Italia, riferisce Milena Gabanelli, é stato di un miliardo e cento euro, l'anno scorso. Mentre l'integrazione sociale dovrebbe essere il nucleo dell'accoglienza, la maggioranza dei migranti rimane incagliata nel primo livello dell'accoglienza pura e semplice, di attesa inerte. E i sistemi non comunicano!!! Incredibile ma vero, non esiste finora (salvo recentissime acquisizioni) un sistema informatico per indicare per esempio dove collocare i minori in arrivo, ma si deve procedere facendo telefonate a questo o quel centro.
8) Prime necessarie alternative: i corridoi umanitari, lo status di temporanea regolaritá
Risultano piú che evidenti, da quanto detto finora, le falle del sistema di accoglienza, da quello europeo, che non rispetta gli impegni presi di ricollocare 160.000 persone in un continente di piú di 500 milioni di abitanti, immobilizzando profughi e destini in lente agonie, al sistema italiano, poco trasparente e disperso, che riesce a salvare molte vite ma molto poco a garantire un futuro. Fortemente criticate dagli organismi di diritti umani anche le politiche dell'esternalizzazione delle frontiere, che non prendono in considerazione il fondamentale diritto alla vita dei profughi. “Rimpatriare qualcuno in Eritrea é come riportare un ebreo tedesco alla Germania di Hitler”, affermano ad Amnesty International. E i fondi per la cooperazione devono servire allo sviluppo dei paesi, non alle sue polizie, insistono, fra le altre, le ONG del Tavolo per l'Asilo.
Alla base dei drammi dei migranti c'é l'impossibilitá di emigrare in forma legale: questo il primo nodo da sciogliere. Un'alternativa possibile é quella di aprire corridoi umanitari per gruppi di profughi, come ha segnalato e messo in pratica lo stesso Papa Francesco, in collaborazione con la Comunitá di San Egidio; anche la Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia e la Tavola Valdese hanno finanziato recentemente l'arrivo e l'accoglienza di un gruppo di profughi siriani, a cui il Ministero dell'Interno ha rilasciato dei visti umanitari con Validità Territoriale Limitata, validi dunque solo per l'Italia. Il rilascio dei visti umanitari é una modalitá sicura per tutti, perché prevede i necessari controlli da parte delle autorità italiane.
Arrivati in Italia, i profughi sono accolti dalle associazioni, che insegnano loro l'italiano per favorirne l’integrazione e aiutarli a cercare un lavoro. Tra febbraio e maggio, sono già arrivate più di 200 siriani in fuga dalla guerra, che vivevano nei campi profughi del Libano. Ma il progetto prevede l'arrivo di 1000 persone nell'arco di due anni.
D'altra parte, riguardo alle procedure che si realizzano negli Hotspot, Caritas Europa ha stilato nell'aprile del 2016 un documento ufficiale con varie raccomandazioni che vengono qui sintetizzate.
-sulle procedure: E´illegale discriminare gli immigranti sulla base delle nazionalitá. Dev'essere garantita a ogni persona un'intervista approfondita che valuti l'etá, la nazionalitá, i legami familiari e le abilitá linguistiche, criteri questi che possono essere utilizzati per decidere in quale stato europeo ricollocarli. Devono ricevere informazioni legali in un linguaggio a loro comprensibile.
- Si devono poter identificare persone vulnerabili
- Si deve evitare l'internamento degli immigranti in centri chiusi e le organizzazioni della societá civile devono potervi accedere.
- l'UE deve concedere uno status giuridico di temporanea regolaritá per le persone che abbiano ricevuto un provvedimento di allontanamento, ma non possono tornare nei loro paesi d'origine a causa della mancanza di accordi bilaterali.
- E´bene evitare negli hotspots misure coercitive come il prendere le impronte digitali. (una misura che non dovrebbe costituire un problema, se non fosse per l'accordo di Dublino. ndr)
-Dovrebbe essere vietata la detenzione di cittadini di paesi terzi, anche per coloro che saranno rinviati nei paesi d'origine. L'UE dia la possibilitá di un rapido riesame giudiziario sulla legittimitá del trattenimenti alle persone coivolte, e l'assistenza legale in questa materia.
-Sul ricollocamento: gli stati, come loro stessi hanno deciso nel Consiglio d'Europa, devono mettere in pratica il ricollocamento.
-Italia e Grecia garantiscano alle persone dichiarate non ammissibili un ricorso efficace contro tale decisione, usufruendo di servizi legali e interpretariato gratuiti. E chi non vuole essere assegnato a un determinato paese, possa accedere a un ricorso per impugnare tale decisione.
-Il Parlamento Europeo deve richiedere trasparenza nella gestione degli hotspot, e deve mantenere un controllo sulla loro attivitá per evitare violazioni di diritti umani.
 
9)    E' necessario un salto di qualitá organizzativo uscendo dalla logica dell'emergenza...
Lo ha affermato con decisione il sindaco di Milano Beppe Sala in una lettera aperta a La Repubblica, su cui si é detto d'accordo lo stesso ministro degli Esteri Paolo Gentiloni. Sala propone un nuovo patto con i migranti, tendente alla loro integrazione ( non piú solo ad una generica accoglienza), con chiarezza su diritti e doveri, e di un piano organico che porti a una maggiore collaborazione fra lo Stato e gli Enti locali. E´opportuno quindi istituire un'autorità unica centrale che gestisca ogni aspetto degli arrivi di migranti, dall'accoglienza, all'esame delle richieste di asilo, all'integrazione, sul modello delle agenzie federali per i migranti di Germania e Svizzera, (in Italia invece é tradizionalmente il ministero dell'Interno a farsi carico degli arrivi, mentre solo di recente sono stati coinvolti il ministero del Lavoro e le Regioni). La gestione dev'essere efficace e trasparente. Inoltre dovrebbero essere ripartiti meglio i migranti a livello nazionale (adesso il carico maggiore lo hanno Lombardia e Sicilia, Il minore l'Alto Adige) per esempio stabilendo una percentuale di accoglienza di 2,5 migranti per mille abitanti.
Anche il prefetto Mario Morcone, direttore del Dipartimento di Immigrazione del Ministero dell'Interno, spiega in un 'intervista al “País” del 9 di ottobre che abbiamo in carico per l'accoglienza quasi 160.000 persone, ma, con l'appoggio della societá civile, adesso la sfida é l'integrazione. In fondo, nonostante disaccordi e proteste verso l'Unione Europea, gli italiani ci sentiamo europei, afferma, e vogliamo affrontare i problemi.
10)  ...E un cambio di mentalitá
Ma finora, solo poco piú di 500 comuni degli 8200 esistenti nel paese stanno partecipando al piano per l'accoglienza, osserva Christopher Hein, consigliere strategico del Consiglio Italiano per i Rifugiati (CIR).
Coesistono in Italia esperienze generose di accoglienza e chiusure esasperate.
Nei bar, nelle chiese, nelle case aleggiano e risuonano timori che cercano rassicurazione: quello del confronto con altri mondi, della possibile perdita della propria identitá locale, o di un welfare che non si vuole spartire, cosí come un lavoro che é diventato sempre piú sfuggente; oltre alla rabbia quando sembra che le istituzioni riservino ai profughi un'attenzione speciale . Allora il meccanismo piú frequente é la negazione: “Non sono veri profughi!, stanno bene, hanno il telefonino” o la squalificazione: “Sono delinquenti o terroristi”; o l'evasiva : “Aiutiamoli a casa loro”, quando si sa che la loro vita é in pericolo e spesso la loro casa bombardata.
Detto in altri termini, é la fascia piú debole della popolazione, come disoccupati, anziani, persone che non sono mai uscite dai confini nazionali, a sentirsi minacciata, nel profondo, dal “globale che precipita a casa nostra, frantumando la pretesa di universalità con cui noi occidentali scrivevamo da soli la storia del mondo” , come ben esprime Ezio Mauro, ex direttore di La Repubblica. Perché se una volta potevamo occupare un paese africano cantando alle sue ragazze dalle belle faccette nere che gli avremmo dato, senza che ce lo chiedessero, “un altro duce e un altro re” ( e se non gradivano erano pronte forche e massacri), adesso che arrivano da noi tante facce e faccette nere piene di speranza...che succede? Non eravamo noi occidentali a definire chi doveva muoversi e dove, e dare un ordine al mondo? Adesso tutti possono andare dove vogliono? Se tutti i popoli della terra accampano gli stessi diritti, dove andremmo a finire?
“E´in atto, in realtá, un confronto-scontro tra i cittadini e i dannati della terra, i primi e gli ultimi del mondo in cui viviamo. E lo Stato democratico del nuovo millennio si trova a dover gestire due spinte contrapposte, apparentemente inconciliabili: da un lato, per la Convenzione di Ginevra, deve garantire accoglienza a quanti fuggono da guerre, violenze e carestie, cercando una terra promessa di libertà e opportunitá, (immagine che finora trasmettiamo nel mondo); dall'altro lato deve rispondere alla richiesta di sicurezza di quanti in Europa chiedono di essere difesi dal mondo estraneo che bussa alla nostra porta. La democrazia occidentale, fondata sui diritti, tradisce se stessa se chiude gli occhi davanti al corpo nudo del migrante che chiede solo di sopravvivere, qualcosa di sacro che viene dal profondo dei secoli”, continua Ezio Mauro, ma allo stesso tempo “tradisce i cittadini se si tappa le orecchie davanti alla loro richiesta di sicurezza, che è comunque una richiesta di presidio e garanzia”.  
Allora, come aiutare autoritá ricalcitranti e cittadini impauriti a ampliare le loro vedute, quando il trend in Europa invita a innalzare muri, aizzare le guardie di frontiera a dar la caccia al profugo, con cani e manganelli?
“I muri si costruiscono in un pomeriggio, mentre per diffondere idee occorre molto tempo”, osserva Raffaella Bollini, segretaria dell'ARCI, al Festival-convegno di Sabir. Eppure, ecco qualche idea che si fonda sui fatti.
-L'immigrazione é un'opportunitá per riequilibrare il ricambio generazionale in un continente che sta invecchiando ed é in fase di evidente declino demografico (Angela Merkel).
-Nel continente non esiste nessuna invasione, la media degli stranieri é del 6,9% della popolazione, l'Italia, con una percentuale piú bassa della Germania, ha l'8,2%.  
      In Italia per la prima volta l'esodo degli abitanti che cercano altrove migliori opportunitá di vita, (sugli 80-90000 all'anno negli ultimi anni), sta superando il flusso dei lavoratori stranieri che si stabiliscono annualmente in Italia, e risultano circa la metà di questa cifra, precisamente 43 mila nel 2010. (Nel 2014 gli italiani residenti ufficialmente all'estero sono 4.482.115, mentre nel 2016 gli stranieri in Italia sono 5.026.153. Fonte: Rapporto dei Radicali Italiani, a cura di Roberto Cicciomessere e Vitaliana Curigliano.). Si assiste in questi ultimi anni a una diminuzione dell'immigrazione e della concessione dei permessi di lavoro.
      Il lavoro dei “nuovi italiani” immigrati in Italia contribuisce al PIL quasi quanto la FIAT, (127 miliardi contro i 136 della FIAT, che peraltro é sbilanciata verso gli USA). Da loro arrivano allo stato 7 miliardi di lire di IRPEF, e 11 miliardi di contributi previdenziali, ció significa che pagano di fatto 640.000 pensioni, e sta aumentando da parte loro la creazione di piccole imprese. (Fondazione Leone Moressa)
      L'economia italiana ha bisogno di più di 150mila immigrati all’anno (circa 1,6 milioni di persone (+35,1 per cento), in un decennio, per mantenere stabile la popolazione in età lavorativa e per rendere sostenibile il sistema previdenziale, considerando il calo demografico dell’Italia e l’aspettativa di vita media nel paese. (Rapporto Radicali Italiani)
      Il fenomeno migratorio che ci accompagnerá per almeno un decennio, se affrontato con volontà politica potrá avere la ricaduta di arricchire il Paese, invece di impoverirlo. (Milena Gabanelli).
      Lo conferma uno studio del Centro studi di Confindustria, che quantifica in un contributo dell'8,7% del PIL da parte del lavoro degli immigrati.
      Gli immigrati sono impiegati soprattutto nei servizi alla persona, nella costruzioni e nell'agricoltura, senza togliere per questo lavoro agli italiani.
      Affrontando le spese per l'accoglienza e l'integrazione di profughi e immigranti economici si deve usare un'ottica di investimento a lungo termine. “Come lo stato investe nelle nuove tecnologie anche se non ci sono risultati immediati, cosí puó avvenire in questo campo, accedendo anche a finanziamenti europei che attualmente non vengono usati. Per questo la creazione di un'agenzia ad hoc può aiutare”, sostiene Christopher Hein, del CIR.
      L'esperienza dimostra che i migliori risultati si danno in piccole comunitá innovative.
-Offrendo integrazione concreta in cambio del concreto rispetto delle nostre leggi e della Costituzione si può provare a coniugare la doppia responsabilità di governo, quella per la sicurezza e quella per la solidarietà. (Ezio Mauro).
-In un'Europa che sta perdendo umanitá a causa dell'eccesso di competizione e individualismo, possiamo rovesciare l'immigrazione come “problema”, rimescolandone i colori, assumendolo come qualcosa di positivo. Si puó fare molto di piú di quanto si creda. Quando la sinistra era all'opposizione lottó per ottenere, e ottenne, piú ampi diritti sociali. Oggi occorre una mediazione culturale nei due sensi, per conoscere l'altro. Si puó avvicinare il comunitarismo africano con l'individualismo europeo. (Luciana Castellina, politica dalla lunga traiettoria).
E per finire, un contributo di Bernard Guetta, giornalista francese esperto in geopolitica, che afferma che i profughi sono i nostri alleati contro gli estremisti. “Papa Francesco, la cancelliera tedesca e la Commissione europea, credono che un’Unione di 500 milioni di abitanti abbia tutti i mezzi per accogliere in modo decente un milione di sventurati che fuggono da una morte certa, che non possiamo denunciare la barbarie della dittatura di Assad e del gruppo Stato Islamico se ci rifiutiamo di tendere la mano alle loro vittime, e che paesi la cui identità è plasmata dall'Illuminismo e dalla cristianità non possono voltare le spalle ai loro princìpi...Questi rifugiati non sono barbari ma uomini, donne e bambini, il più delle volte appartenenti alle classi medie e spinti a fuggire dall’islamismo e dalla dittatura. Sono i nostri alleati contro l’Is, le dittature e il fanatismo religioso. Anche se non ne abbiamo compassione, dovremmo comunque aiutarli per fare i nostri interessi, per non dare armi e motivazioni agli islamisti che ci accusano giorno e notte di essere irriducibili nemici dell’islam e di tutti i musulmani.
Seguendo l’estrema destra, rinnegando la nostra identità e lasciandoci dominare dalla paura, non facciamo altro che facilitare il reclutamento per il jihad, perdere i nostri alleati nel mondo arabo e avvicinarci a quella guerra di civiltà che gli islamisti vogliono scatenare”. (in “Internazionale”).

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