UNA STELLA IN PIÚ NEL CIELO D’EUROPA?

Catalogna Inquieta

di Gisella Evangelisti

Son 32 gradi a Barcellona, l’11 settembre, preludio di un autumno che si prevede molto, molto caldo in tutta la penisola iberica. Il prossimo sabato 15 le organizzazioni sociali manifesteranno  a Madrid , e il 25 sará circondato il Parlamento, per protestare contro  la política economica del governo, che  mentre protegge i dirigenti  della banche senza chiarire la loro resposansabilità nella crisi, permette che ogni giorno si sfrattino le famiglie di chi ha perso il lavoro e non puó piú pagare il mutuo, e applica tagli draconiani al sistema sanitario ed educativo. I disoccupati sono  ormai 5 milioni e 300 mila  in una popolazione di 48 milioni di abitanti.

Ma é l’11 settembre che si vive un giorno storico a Barcellona. 1111 autobus  provenienti dalle province  hanno scaricato migliaia di manifestanti avvolti nelle bandiere a strisce rosse e gialle della Catalogna, e molti di loro   hanno sventolato anche le bandiere azzurre  dell’Unione Europea, a cui é stata aggiunta  una  stella in piú: quella del futuribile  stato catalano.

La Diada, la festa tradizionale della Catalogna, (fino a pochi anni fa la piú prospera regione spagnola),

stavolta non si é celebrata con i consueti  balli in piazza,  (le sardanas), con le torri umane (i  castellers), e i fuochi d’artificio, ma con una freccia di fuoco  lanciata al cuore di Madrid con questo messaggio:  Siamo un paese, con una  lingua, una storia  e una cultura speciale. E´l’ora di separarci da voi e formare un nuovo stato.

Lo hanno gridato, scendendo in piazza, almeno un milione e mezzo, forse due milioni, di catalani di tutte le etá, la maggioranza giovani, su una popolazione di 7 milioni e mezzo di abitanti. Indubbiamente éstata  la maggiore manifestazione della storia di questi paralleli. (Furono un milione quelli che il 7 luglio del 2010, quando il Tribunale Costituzionale spagnolo ridusse le prerogative dello Statuto di autonomía votato dalla Catalogna  in un referendum, scesero in strada a protestare).

Nel frattempo, il disagio sociale é cresciuto arrivando al limite della sopportazione. I disoccupati sono 700mila, la Caritas non ce la fa ad aiutare i nuovi poveri, e alla Generalitat  mancano 5023 milioni di euro per arrivare a fine anno pagando gli stipendi di medici, maestri e funzionari. Nonostante la  sua necessitá di un riscatto finanziario, la Catalogna é una contribuente netta dello stato spagnolo. Per questo ha chiesto a Madrid un nuovo patto fiscale  ma il governo di Rajoy ha risposto picche. Anzi, nelle ultime settimane si sono accentuate le frizioni secolari  tra una Spagna che considera  la Catalogna orgogliosa e insaziabile, e la Catalogna che si sente sfruttata fino all’osso.

Una delle ultime contese fra Madrid e Barcellona é stata quella che doveva decidere chi fosse la destinataria dei “favolosi” investimenti (con una gravosa partecipazione del governo locale) promessi da un magnate americano,  Sheldon Adelson, per  costruire una nuova Las Vegas in Spagna. Ecco a voi signori, l’Eurovegas! Un concentrato di clubs, puticlubs e casini sistematicamente dedicato a ripulire le tasche agli incauti parrocchiani, o, meglio ancora, a riciclare denaro di dubbia provenienza. Peccato che pochi ricordino che Las Vegas é diventata nel  frattempo  quasi una cittá fantasma, e Adelson non é un fratello minore di Teresa di Calcutta.  Alla fine, dopo tanti tira e molla, l’EuroVegas (contro cui si é mobilitata una parte della popolazione di Barcellona) é stato assegnato a Madrid. Possono respirare i barcellonesi? No, perché si profila un altro megaprogetto di un parco tematico , il BCN World,  futuro divoratore di  megafondi pubblici.

¡Catalunya indipendent! Dicevamo.  Non c´é da meravigliarsi che la crisi abbia acuito il desiderio di milioni di persone di poter contare di piú nella política, di poter decidere liberamente del proprio futuro. Come ben ricordiamo, un anno fa, ci  fu l’esplosione del movimento giovanile del 15 maggio  (15M) che ocupó le piazze di Barcellona, Madrid e molte altre nel mondo.  E nell’agosto dello stesso anno é sorta  l’Assemblea Nazionale Catalana, (ANC)   che ha organizzato la manifestazione per l’Indipendenza, trascinandosi dietro i partiti tradizionali, indipendentisti o no. Non a caso  l’Assemblea, presieduta da una donna, Carme Forcadell,  si é data un funzionamento che vuol essere piú trasversale e democratico di quello dei partiti, organizzandosi per territorio e per settori.  La prima riunione settoriale, avvenuta nell’agosto  di un anno fa, é stata quella delle Donne per l’Indipendenza, perché  Le donne vogliono poter dire la loro, insieme agli uomini, in tutti i temi della vita pubblica, dalla sanitá alla scuola, alla famiglia, al lavoro, alla formazione.

Successivamente si sono costituiti i i Giovani e anche i Pensionati per l’Indipendenza.

“Gli Indignados sono diventati indipendentisti  o gli indipendentisti son diventati Indignados?” Chiediamo a Elsa Plaza, una scrittrice argentina attivista del movimiento, che parla a titolo personale.

“Sí,  ho potuto constatare che nel mio quartiere molti giovani del 15M sono confluiti nell’indipendentismo. Nel movimento 15M  é  rimasto forte il grupo che si oppone agli sfratti, ottenendo qualche successo. Per esempio ha occupato un intero condominio vuoto con le famiglie gettate in strada  dalle banche, mentre la solidarietá degli abitanti di Poble Nou é riuscita ad evitare lo sfratto immediato di un gruppo di immigranti africani che, perso il lavoro nel settore della costruzione, si sono dedicati al riciclaggio dei metalli in una  fabbrica  abbandonata. Ma nell’assemblea del mio  quartiere adesso si vedono meno giovani.

Eppure, non  é tutto oro quel che riluce nel movimiento independentista”, commenta Elsa, “c´é il rischio che quando aumentano le divisioni fra i cittadini (divisioni etniche, regionali, razziali eccetera, quando in realtá la política económica colpisce tutti) alla fine se ne avvantaggia il potere centrale conservatore. Non dimentichiamo come é stato applicato nella storia il principio Divide et impera, tanto noto ai Romani…”.

E poi, ci sará davvero “il paradiso all’angolo”,  appena liberati dal giogo di Madrid?  Si chiedono  anche Jaume e Jordi, due pensionati che ricordano con commozione quando nell’epoca franchista, gli si proibiva parlare catalano, mentre ripiegano le bandiere a strisce gialle e rosse.

La Catalogna dovrá avere un esercito proprio, Jordi? E guardie di frontiera? Chi pagherá le pensioni e i sussidi di 400 euro mensili ai disoccupati, che sono a carico dello stato, e noi siamo in deficit? Mi viene il mal  di testa a pensarlo, Jaume…

Ehi! Non sará mai che il glorioso Barca, ridotto a una semplice squadra catalana, debba giocare con le squadrette di provincia invece che con le grandi delle nazioni? Alambicca preocupato anche Manuel, panettiere, che si aggiunge alla conversazione.

Ma altre sostanziali questioni restano nell’aria.

La prima: é possibile rifarsi la verginitá con uno stato nuovo di zecca, lasciando che lo governino gli stessi che hanno abbassato le imposte ai patrimoni e ai redditi alti, mentre chiudevano centri di attenzione primaria alla salute,  toglievano insegnanti di appoggio a bambini invalidi, e cedevano piani interi di ospedali a imprese private? Dove sono finiti tanti milioni di euro destinati al Palau della Musica Catalana e poi scomparsi? Diventeranno  improvvisamente virtuose le banche che si sono dedicate come nel resto della Spagna alla finanza allegra della bolla immobiliaria? E di che sviluppo parliamo nella Catalogna dove (una fra le tante)  l’impresa Abertis, che gestisce i pedaggi di tutta la regione (e molti altri  in Spagna), pur ottenendo lauti benefici nel 2011, ha licenziato 400 lavoratori?

Non é solo un problema catalano, come si sa. In questa fase del capitalismo, dominata dalla finanza speculativa piu´che da quella produttiva, si é rotto il tacito patto che permetteva alle borghesie nazionali   di dar lavoro a migliaia di dipendenti, fare profitti e investire, mantenendo il ciclo del dare-avere in un certo equilibrio. Adesso si creano societá gigantesche che oltre a spostare la produzione in paesi con salari piu bassi,  stanno riducendo i lavoratori a pezzi usa-e-getta di un ingranaggio impazzito.

E poi, last but not least, di che indipendenza si potrá parlare quando appartenere all’Europa suppone una cessione crescente di sovranitá alla troika del FMI, BCE, Bundesbank?  Ricorda  Maria Dolores Garcia, nella “Vanguardia”, il principale giornale catalano.

Essere indipendenti dalle banche, dallo strapotere delle agenzie di rating, dai mercati e dallo spread, questo sí che sarebbe il paradiso, conclude.  Il paradiso dell’Europa dei popoli: un’isola che  ancora non c’é”, in un mondo senza  corruzione e senza aviditá.

E´ gratis sognarlo, ma richiede tanta pazienza costruirlo.

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