RIVIVERE IL CILE

Conversando con Miriam e Luigi

di Andreina Russo

Un’occasione speciale: poter tornare in Cile venticinque  anni dopo. Il primo viaggio era stato magnifico: una galoppata da Santiago alla Patagonia, in auto  lungo la Panamericana,  poi in aereo fino a Punta Arenas  e col traghetto alla Terra del Fuoco; e indietro, fino alla capitale e ancora un salto di quattromila chilometri fino a quella cima di vulcano sottomarino che è l’isola di Pasqua, con le sue misteriose presenze. Ma il 1989 era anche, per il Cile,  l’anno del giro di boa: a febbraio, quando noi lo percorrevamo,  il paese ribolliva di tensioni opposte perché già era nell’aria il Grande Cambio, la fine di un’era, il ritorno alla democrazia. Il plebiscito dell’ottobre 1988 era stato infatti  indetto per determinare se il popolo volesse conferire a  Pinochet un ulteriore mandato di otto  anni come presidente della Repubblica, come stabilito  dalla nuova Costituzione del 1980, che prescriveva che fosse effettuato un referendum popolare al termine del primo mandato presidenziale. Il "No" vinse con il 55.99% dei voti e rese quindi inevitabile l’indizione delle elezioni presidenziali.  Durante quel viaggio ascoltammo le discussioni che avvenivano ovunque tra i cittadini cileni, quelli entusiasti  e quelli che, come uccelli del malaugurio, profetizzavano “Vedrete, dovrete rimpiangerlo …”. Dieci mesi dopo, a dicembre, le elezioni generali , le prime libere dopo quindici  anni di dittatura, portarono all’elezione del Presidente democratico Patricio Aylwin, anche se Pinochet mantenne ancora per otto anni l’incarico di Comandante delle Forze Armate. Dunque ero molto curiosa di vedere il “nuovo” Cile, di scoprire se, al di là dei dati socio-economici positivi che tutte le fonti riportano, davvero la democrazia avesse fatto bene al Paese e soprattutto se gli effetti benefici, se c’erano, riguardassero tutte le classi sociali.

 

Quando Luigi Loria, un ingegnere che tutta la vita ha lavorato in giro per il mondo ed ha finito la sua carriera all’ONU, e la sua compagna Miriam Krawczyk, dirigente nella stessa organizzazione, mi hanno invitato ad andarli a trovare a Santiago, ho superato  dubbi e timori ed ho affrontato piena di entusiasmo le quindici  ore di volo che mi dividevano da loro. Non sbagliavo: Gigi e Miriam sono due persone intelligenti, sensibili alle problematiche politiche e sociali, che hanno fatto tesoro delle loro straordinarie esperienze di vita e di lavoro. Mi hanno guidato attraverso una Santiago per me irriconoscibile, mi hanno presentato i loro amici che, essendo in gran parte della Izquierda cilena, sono passati attraverso il bagno di sangue della dittatura, sopravvivendo sì, ma spesso riportandone ferite fisiche e morali profonde, mi hanno condotto nei musei della Memoria, alle case di Pablo Neruda, al Palacio de la Moneda davanti al quale sventola una gigantesca bandiera cilena, mentre il monumento ad Allende,  più misurato, si eleva in un angolo della piazza alle spalle dello stesso edificio. Con infinita pazienza mi hanno raccontato, mi hanno spiegato situazioni e ruoli, retroscena e relazioni occulte, ed alla fine hanno anche accettato di farsi intervistare per esprimere quello che per loro è oggi il Cile. Due testimonianze autorevoli, che traggono il loro interesse anche dall’intrecciarsi delle loro diverse esperienze.

1)      Il Cile è un paese attualmente lontano dalle zone “calde” del mondo, eppure  ha una storia complessa, a volte tormentata: in passato ha visto arrivare popoli lontani il cui scopo era la conquista e lo sfruttamento, in tempi più recenti  una parte del suo popolo ha dovuto cercare lontano la salvezza e la libertà per sfuggire ad una dittatura : oggi  è un paese  da cui si parte o è una  meta per  chi cerca libertà e benessere ?

LUIGI: Paese in crescita, non solo economica: dopo oltre venti anni dalla fine della dittatura il sistema politico e le istituzioni democratiche sono in fase di trasformazione, con l’attuale governo di centrosinistra che per la legislatura in corso conta di modificare la costituzione (che è ancora sostanzialmente quella di Pinochet) e riformulare il sistema fiscale e della pubblica istruzione. Oltre agli indici economici, che seppure in calo per la crisi internazionale, continuano positivi, anche le condizioni sociali sono in miglioramento – la povertà è in diminuzione nonostante la distribuzione della ricchezza  continui ad essere tra le più squilibrate al mondo.

La seconda che hai detto: in aggiunta agli immigrati sudamericani, sostanzialmente peruviani e boliviani, che vanno a ingrossare le fasce di reddito minore, il paese è oggi meta anche di professionisti europei, principalmente spagnoli, che fuggono dalla crisi che ormai da anni morde il vecchio continente. I giovani cileni che partono, per andare a specializzarsi in prestigiose università per lo più del mondo anglosassone – USA, Inghilterra, Australia – generalmente tornano e costruiscono qui la propria carriera lavorativa tanto nel pubblico che nel privato.

MIRIAM: Il Cile non è mai stato un paese di grandi immigrazioni né emigrazioni. Tantomeno ora. Qui arrivano gruppi di persone che amano la natura, alcuni nordici, alcuni americani, desiderano tranquillità  e si installano nel Sud. Qui arrivano peruviani che possono guadagnarsi da vivere un po’ meglio che nel loro paese. Arrivano medici cubani, ecuadoriani, colombiani, nonostante  debbano sostenere esami per l’equivalenza dei titoli riescono a trovare un lavoro più stabile specialmente nel settore pubblico, che ha sempre bisogno di medici.

2)      La dittatura di Pinochet ha segnato il paese dal ‘73 all’89: dov’eravate in quel periodo? Come siete venuti a conoscenza dei fatti di quell’epoca? In che misura ne siete stati coinvolti?

Luigi: Nel ’73 ero fra Italia e Medio Oriente (seguendo progetti in Iraq e Siria) e come tutti gli italiani politicamente orientati a sinistra, dai mezzi di comunicazione di massa apprendevo con orrore i misfatti della dittatura seguiti al golpe dell’undici settembre, cosa che mi spinse a  partecipare alla protesta contro di essa attraverso  collette e manifestazioni; nella seconda metà del decennio e fino alla fine dell’81, mi sono trasferito in Mozambico, dove ho avuto occasione di conoscere e frequentare esuli cileni in fuga dal loro paese; poi per cinque anni il problema è sparito dal mio schermo, dato che Cina e Zambia, entrambi paesi abbastanza indifferenti anche agli echi degli avvenimenti sudamericani, sono state le mie sedi di residenza fino all’86. Nella seconda metà di quell’anno, mi sono trasferito in Brasile per dirigere un progetto della FAO che copriva tutta l’America Latina (dal Rio Grande alla Patagonia). In questo periodo mi sono recato più volte in Cile, paese che partecipava alle attività del progetto, lavorando quindi gomito a gomito con istituzioni pubbliche e private del Paese, venendo quindi a contatto sia con sostenitori che con oppositori del regime; a questi ultimi manifestavo in privato e con molta circospezione la mia solidarietà, unico coinvolgimento consentito in base a una specifica norma in vigore nelle Nazioni Unite, circa il comportamento dei propri funzionari riguardo alla politica nei paesi in cui si opera. Mi trovavo in  Brasile quando ho appreso con una certa soddisfazione l’esito del referendum dell’89, che ha segnato la fine della dittatura.

MIRIAM:  Ho vissuto il colpo di Stato e la dittatura di Pinochet in Cile. Dopo le speranze e l’aria di libertà degli anni ’60 e gli inizi dei  ’70, il colpo di stato dei  militari aprì nel paese una breccia  che non si è chiusa fino ad oggi. Tutti siamo stati coinvolti. Io lavoravo all’Università del Cile, il suo rettore Fernando Kutnesoff  fu trascinato fuori dall’Università con la violenza  davanti ai suoi studenti. Trascorse il suo esilio a Berkeley,( molti anni dopo  riceverà un’onorificenza  nella stessa Università l’11 novermbre del 2013 e morirà  il 24 novembre dello stesso anno).  Albrecht, il mio professore titolare di cattedra , stava già in carcere. Naturalmente io rimasi disoccupata. Molti miei colleghi si sparsero per il mondo. Ad altri andò peggio: un grande amico,Ricardo Garcìa , ex funzionario dell’ONU, in quel momento era ispettore della Miniera 'El Salvador', fu giustiziato dalla Carovana della morte. Blas Espinoza,  un altro amico, economista, sopportò le pene dell'infernoquando fu detenuto a Cachabuco. Riuscì a sopravvivere ma non fu mai più lo stesso. Abraham Muskablit, un altro amico, fu crivellato di colpi per la strada. Diana Aron scomparve. Non continuo con l’elenco. Ho nascosto a casa mia Grazyna, la moglie polacca di Lucho Inostroza, l’incaricato  dei sussidi alimentari,che riuscì a ottenere asilo nell’Ambasciata d’Italia. Grazyna arrivò a casa mia di mattina presto, con i mobili e i suoi cinque figli. Già tenevo alloggiata da me un’altra amica, sposata con un membro del MIR (Movimiento de la Izquierda Revolucionaria), con i suoi due figli. L’ACNUR(Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati riuscì a far espatriare Grazyna e un po’ per volta vendetti le sue cose inviandole il denaro attraverso amici che viaggiavano. Era complicato tenere nove  bambini in casa in un periodo in cui i vicini potevano anche denunciarti. La casa all’angolo con la mia, dove vivevano studenti universitari brasiliani fu perquisita dalla polizia a causa di denunce. Tutte le cose dei ragazzi furono distrutte e loro stessi furono vittime di violenze. Ti racconto  i primi giorni. Trovarono morto un altro amico, Carmelo Soria, uno spagnolo che torturarono, assassinarono, cosparsero di alcool  e gettarono nel canale San Carlos con la sua Fiat 600 come se si trattasse di un incidente di un ubriaco. Tutto questo  con in più un coprifuoco permanente o imprevedibile Tutti noi che ci conoscevamo cercammo di fare la stessa cosa: trasferire gente, nascondere persone in pericolo; la mia piccola Citroen del ’62 si mosse molto per Santiago in quei giorni. L’incubo è durato 17 anni.

3)      Come pensate che oggi i cittadini cileni si rapportino a quel periodo? A livello ufficiale il paese sembra aver affrontato il processo di analisi e di giudizio storico di ciò che è avvenuto, ma individualmente? Tutti hanno fatto i conti con il proprio passato o hanno preferito in qualche modo cambiare pagina, per evitare dolorosi bilanci e ulteriori traumi?

LUIGI: Il paese è ancora abbastanza diviso, e anche se gli oppositori della dittatura sono numericamente maggioritari, esiste una nutrita minoranza di “nostalgici”; nonostante varie iniziative dei governi democratici succedutisi dopo il ristabilimento della democrazia – la “Comision de la verdad” presieduta da Reitig e il lavoro che continua anche oggi di varie organizzazioni, prima fra tutte la “Vicaria para la solidaridad” - per giungere a processare i responsabili di delitti contro i diritti umani perpetrati durante la dittatura, i conti non sono “chiusi”, anche perché una volta estromesso dal governo, Pinochet ha continuato a occupare cariche pubbliche e alla fine è morto nel suo letto, celebrato e pianto da non pochi connazionali, lasciando dietro di sé sia la costituzione sia la struttura economica del paese.

MIRIAM: Credo che non ci sia una sola maniera di pensare a quel periodo in questa società. Continuano i processi. Appaiono ogni giorno condannati per assassinii del ’73. Signori vecchissimi che senza dubbio non saranno più messi in carcere. Alcuni – pochi – sono stati arrestati. Tra gli oppositori, ci sono persone che hanno trascorso l’esilio all’estero e gli è andata male, le loro famiglie si frantumate e rimarranno spezzate per sempre. Ci sono persone che invece hanno trascorso l’esilio studiando e ottennendo dottorati poi sono tornati e si sono fatti carico di importanti posizioni nel paese. Ci sono persone che da giovani  hanno lottato contro la dittatura con grande dedizione e molte speranze e che all’arrivo della democrazia non hanno trovato posto nel sistema di potere dei partiti politici e si sono ritirati a vita privata. Ci sono persone – la destra cilena tradizionalista e conservatrice – che rimpiangono la dittatura. Rimpiangono l' impunità che garantiva il mondo degli affari; la complicità e la sicurezza che dava a questa gente il sentirsi protetti dai militari.. hanno nostalgia di quel mondo. Ci sono persone che si sono organizzate in movimenti portatori di nuove istanze che questo tipo di democrazia non può soddisfare (non ci scordiamo che in Cile l’1% detiene il 30% delle entrate e Piketty dice che è il 38%). La povertà è diminuita, senza dubbio, sono anche cambiate le metodologie di  rilevamento statistico. Senza dubbio. La disuguaglianza in questo Paese è impressionante e questo fenomeno  è difficile da gestire in una società strutturalmente squilibrata e basata su circoli esclusivi.

4)      Entrambi avete radici altrove, ed avete vissuto in altri paesi: ora  avete scelto il Cile;  in che misura hanno giocato a favore di questa decisione le motivazioni personali e in che misura  le caratteristiche particolari di questo paese?

LUIGI: Motivazioni personali cento per cento, senza dubbio (cherchez la femme…).

MIRIAM: Non ho scelto il Cile. I miei genitori arrivarono qua alla fine degli anni ’50 fuggendo ancora – suppongo – dalle esperienze della seconda guerra mondiale. Non me ne andai durante la dittatura perché non potevo far espatriare i miei figli, in Cile la patria potestà è legge. Entrai a lavorare nelle nazioni Unite  e la multiculturalità di questa organizzazione mi aiutò a vivere, mentre  i viaggi di lavoro mi permisero di respirare. Un po’ alla volta ho imparato a vivere in Cile.

5)      Riguardo alla domanda precedente: tra le vostre conoscenze che hanno una storia simile , quali motivazioni prevalgono?

LUIGI: Risposta simile alla precedente: credo che nell’età matura – nella gioventù è la scoperta del mondo ciò che attrae -  in generale la geografia sia un “accidente”, la risposta al “perché” non è “dove” ma “con chi”.

MIRIAM: Colleghi dell’ONU che sono rimasti lo hanno fatto per la bellezza del Paese, perché hanno sposato donne cilene, perché qui la loro pensione non viene tassata, perché è una democrazia che favorisce  per la classe media agiata, perché hanno figli, nipoti cileni …. Credo che si tratta sempre di motivazioni private.

6)       Pensate che lo stare in Cile costituisca uno stimolo intellettuale e culturale che impedisca di “invecchiare” mentalmente?

LUIGI: No, non credo; ho sempre vissuto con “pensiero” e “azione” che, senza eccessi/fanatismi dell’uno o dell’altra, sono andati a braccetto, e quindi il “mentale” non è per me molto separabile dal “fisico”, il cui degrado nel tempo si può, nella migliore delle ipotesi, in qualche misura mitigare, ma non di più.

MIRIAM: Credo che l’invecchiamento mentale oggigiorno ha poco a che vedere con il luogo in cui si abita. Il Cile ha un’offerta culturale ragionevole, i miei contatti con la rete di amicizie e conoscenze che mi ha dato la mia lunga vita funzionano, i libri di cui ho bisogno li trovo, questo è un Paese bello e alzarsi la mattina  e vedere il sole apparire dietro la cordigliera è un grande stimolo. Ho lavorato intensamente dall’età di quindici anni. Posso godermi le mie personali divagazioni intellettuali con più calma e senza tanta necessità di sollecitazioni esterne.

7)      Pensate di sfruttare ampiamente tutte le possibilità che il Cile  offre?

LUIGI: Certamente no, a causa della mia progressivamente limitata capacità/disponibilità (vedi risposta precedente): in altri termini “più che la speme, il desiderio è spento” (e non solo riferito ai “dolci inganni”).

MIRIAM: Credo che il Cile offra  più di quello che io sfrutti. Potrei godermelo di più. C’è tempo.

8)      La democrazia oggi in Cile ha  un valore largamente e trasversalmente condiviso tra le categorie sociali?

LUIGI: Il termine “democrazia” è correntemente sbandierato da tutti i raggruppamenti politici che rappresentano le varie categorie sociali, anche se ciascuno di essi gli attribuisce un significato differente. La destra evita l’uso del termine “dittatura”, utilizzando “governo militare” per identificare il periodo Pinochet.

MIRIAM: Come ho risposto al punto 3, non credo che tutti amino la democrazia. Almeno non una democrazia reale. Ci sono alcuni – purtroppo hanno un grande potere economico – che rimpiangono  i tempi del Leader (anche se ho difficoltà a pensare che Pinochet si possa considerare un leader nella reale accezione del termine). Ho la speranza che la maggior parte di quelli che votano preferisca la democrazia – con tutti i suoi difetti – a una dittatura.

9)      Lo sviluppo economico degli ultimi anni ha prodotto secondo voieffetti sostanziali nella vita di tutte le classi sociali ed ha avuto una distribuzione geografica uniforme nel territorio?

LUIGI: Le classi sociali hanno beneficiato della crescita economica in misura differente e anche se la povertà – specialmente quella “assoluta” – è calata, i ricchi sono diventati sempre più ricchi; per la distribuzione sul territorio, le aree urbane hanno risentito di una maggiore ricaduta degli effetti positivi.

MIRIAM: Come dimostra una recente inchiesta CASEN (Caracterización Socioeconómica Nacional), la povertà diminuisce, la diseguaglianza si mantiene. Continuiamo ad essere uno dei paesi più affetti da diseguaglianza del mondo.

10)  Nella divisione tra le classi sociali presenti in Cile come in tutti i paesi del mondo, gioca soltanto l’aspetto economico o anche l’aspetto razziale? Se entrambi sono presenti, in che proporzione?

LUIGI: Come eredità del periodo coloniale, terminato oltre duecento anni fa, e nonostante sia ufficialmente negato dalle classi  dominanti, l’elemento razziale si configura come un tratto determinante della stratificazione sociale qui in Cile; la “crema” della società è costituita quasi esclusivamente da cognomi europei, e anche fattori fisici come “occhi chiari/capelli biondi” rappresentano una prima caratteristica spesso indicativa di appartenere al mondo che conta. Ignorate per molti anni e addirittura represse durante la dittatura, stanno riproponendosi le rivendicazioni dei Mapuches, la popolazione indigena numericamente più importante, localizzata nel sud del paese, che reclamano la restituzione delle proprie terre occupate durante le guerre coloniali, peraltro esaurite a suo tempo con il ritiro progressivo delle tribù indigene di fronte all’avanzata dei coloni e mai concluse con definitiva conquista o trattato di pace.

MIRIAM: Recentemente una istituzione privata ha fatto uno studio serio sulla discriminazione in Cile. Ha rilevato che le cause principali di discriminazione  riguardano la situazione economica (si discriminano  i poveri), l'orientamento sessuale (si discriminano gli omosessuali), la razza (si discriminano peruviani, boliviani e mapuches). Questo spiega il 90% della discriminazione, e di queste motivazioni la percentuale più alta riguarda l’omosessualità. No comment.

11)  I giovani cileni e il futuro del Cile: quali modelli, quali aspirazioni? A quali paesi del mondo si sentono più affini?

LUIGI: Non frequento molti giovani, e non ho quindi elementi per una seppur sommaria analisi con un minimo di riscontro con la realtà; ma l’impressione è che l’attuale globalizzazione renda modelli e aspirazioni della gioventù non dissimili da quelli dominanti nel resto dell’omogeneizzato occidente.

MIRIAM: I giovani in Cile sono molto  eterogenei come in altre parti del mondo, con l’aggravante che qui appartengono in modo molto evidente  a certi raggruppamenti più che a classi sociali. Il livello più alto tende ad essere conservatore ( cattolico/ Opus dei ): hanno le loro scuole le loro università, le loro scuole di specializzazione, le imprese dei genitori o familiari, i quartieri in cui vivono, i viaggi che fanno, ecc. Qui la prima domanda che ti fanno quando cerchi lavoro è “In che scuola hai studiato? “, basta questo per individuarti socialmente. Primo se esisti o non esisti, secondo  a che categoria appartieni.

Ci sono i poveri, che hanno poche prospettive reali di mobilità sociale ascendente che funzionava nel passato con un certo margine. Anche se hanno un’istruzione secondaria questo non garantisce loro impieghi meglio remunerati.

Ci sono quelli fortemente legati al modello americano – modernità e tecnologia: successo che si traduce in successo economico e professionale.  Orari pesanti.

Ci sono gli alternativi senza appoggi (sopravvivono in comunità, nei dintorni di Santiago, e in certe regioni, si danno alla meditazione, sono vegetariani), o gli alternativi con appoggi , figli di famiglie più agiate che scelgono di vivere con semplicità contrastando il modello di consumismo spinto.

Ci sono quelli che si formano nei vari movimenti sociali e poi entrano a far parte dei partiti politici. Troppo presto sapere che succederà con loro. Ne sono esempi Camila Vallejos, Giorgio Jackson, Karol Cariola, Gabriel Boric. Ce ne sono anche  fuori di Santiago , ma percentualmente assai pochi.

12)  Senza pensarci troppo, potreste indicarmi tre cose che il Cile  offre e che non trovi altrove e tre cose che qui mancano e che lo migliorerebbero ulteriormente? E per concludere: che cosa è oggi per te il Cile?

LUIGI: A mio avviso, il paese è caratterizzato da una buona disponibilità’ di “natura”, “ordine” e “tranquillità”, mentre una maggiore e più articolata “offerta culturale” certamente renderebbe la vita più interessante e gradevole. Il Cile oggi è la mia “home”: qui vivo e voto, senza molta nostalgia per l’alquanto malridotto Belpaese, del quale, nell’attuale scarsità di prospettive future, pure ritengo inarrivabili molti aspetti  culturali ed eno-gastronomici.

MIRIAM: Ho fatto la pace col Cile. E’ probabilmente il paese dove terminerò la mia vita. E’ il paese di cui conosco  i codici meglio di qualunque altro . Mi ci trovo a mio agio anche se mi irritano la doppia morale, l’ipocrisia, il fatto che le cose non si dicano apertamente, l’eccessivo conservatorismo. E’ il Paese dove sono nati i miei figli e i miei nipoti. Probabilmente sono loro le uniche radici che avrò.

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