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Dalla teoria alla pratica

 

Negli organismi internazionali è ormai frequente incontrare concetti come partecipazione e sviluppo dal basso (“grass-root development”) come parte integrante delle procedure operative nei programmi di cooperazione. Su di essi sono fondati i criteri per la formulazione

di nuovi programmi o per valutare l’efficacia degli interventi. C’è da chiedersi, tuttavia, se questi concetti corrispondano sempre alla realtà o piuttosto non siano, il più delle volte, slogan usati come formule vuote, applicati meccanicisticamen te tanto per essere politicamente corretti, disattendendoli poi in pratica nella loro sostanza. Non è un caso, infatti, che si senta parlare di loro più che altro come ostacoli, quasi come incidenti di percorso, che bisogna purtroppo adottare nella pratica conduzione degli interventi, principî spesso considerati di difficile applicazione, pertanto trattati come criteri teorici o di rilevanza minore o addirittua retorici.

Così, in pratica, ogni volta che si lancia un nuovo intervento di cooperazione, non è raro assistere ad una specie di rituale procedurale, secondo il quale tutti questi contetti vengono rievocati solo sulla carta, senza però che ci sia la

certezza della loro applicazione sostanziale. Si prendono tutte le misure affinché essi siano inseriti tra gli ingredienti indispensabili dell’intervento. Si fa di tutto perché ci sia una piccola dose di partecipazione dei beneficiari in qualche modo dimostrata con qualche meccanismo istituzionale che ne garantisca la presenza (anche se soltanto simbolica). Si esige che il rispetto per la dimensione “genere” risulti dimostrata dall’adozione di criteri che tengano conto di qualche indicatore sulla condizione femminile. Si richiede il rispetto della dimensione “ambientale” con qualche variabile eco-sensibile. Si fa sì che l’intervento sia, per lo meno sul piano formale, sempre una risposta ad una richiesta di un ente locale così da rispettare il principio del “demand-driven approach”. E infine, perché no, si inserisce qualche espediente per dimostrare l’applicazione del principio della “national ownership”, in qualunque modo sia essa definita. Con tutte queste componenti, combinate come ingredienti di una ricetta dal sicuro successo, perché rappresentative di principî sacrosanti, ci si illude di poterne ottenere l’applicazione sostanziale grazie alla loro mera presenza.

La realtà, però, dimostra che non basta assicurarsi la presenza di questi ingredienti per realizzare una partecipazione effettiva ed efficace dei destinatari degli interventi di sviluppo. Ci vuol ben altro. Né è sufficiente indicare qualche requisito in un documento di progetto per tradurre un approccio partecipativo allo sviluppo in una realtà tangibile.

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