PATRIA FAMIGLIA E SECESSIONE
Quale futuro per la Spagna
di Paolo Basurto

Gli occhi puntati sulla Spagna. Le elezioni di Domenica 20 hanno dato risultati che i giornalisti di tutt’Europa hanno decodificato secondo il loro umore personale. I pessimisti (soprattutto italiani) hanno parlato di Parlamento in frantumi, di stallo politico, di sgretolamento del sistema bipartico che tanti meriti aveva avuto riuscendo soprattutto a portare la Spagna dall’autoritarismo franchista alla piena libertà democratica. Gli ottimisti, in particolare gli spagnoli, hanno salutato con interesse e a volte con entusiasmo, la fine di un’era che aveva visto l’alternanza tra destra e socialismo in quello che poteva ben ritenersi un sano avvicendamento ma che la tremenda crisi politica aveva rivelato essere un meccanismo al servizio di una stessa classe dirigente; discorsi diversi ma interessi uguali. Ma l’attenzione sulla Spagna non sarebbe mai stata così grande se non si fosse temuto che i risultati di queste elezioni avrebbero potuto avere un serio contraccolpo su un’Europa già fragile e certamente affetta dalla malattia cronica di mancanza di istituzionalità politica riconosciuta.

Due grandi temi avevano agitato l’avvio della campagna elettorale spagnola: l’austerità economica pretesa dal mondo finanziario al potere nei maggiori paesi dell’Unione e le rivendicazioni ad una secessione unilaterale della Catalogna e dei Paesi Baschi. Entrambe le questioni, comunque affrontate avrebbero avuto un gran potenziale di contagio su non pochi Paesi, tra i quali certamente anche il nostro.

La fine del bipartismo era una morte annunciata. L’avvento di Podemos tra gli attori principali sulla scena politica nazionale non poteva più essere considerato un episodio transitorio dovuto al poderoso propellente provocato dal tremendo deterioramento economico e dal susseguirsi ininterrotto di scandali a carico tanto della destra al potere che dei socialisti all’opposizione. Dopo l’incredibile exploit alle elezioni europee dove Podemos conquista a sorpresa cinque seggi all’europarlamento, il Movimento si struttura e si dà un’organizzazione di tutto rispetto, innovativa e fortemente partecipativa (vedi anche: “Sì, Podemos!” e “Spagna all’avanguardia”). Ne esce un gruppo dirigente di ottima qualità, regolarmente eletto e capace di tener testa a quelli che fino ad allora erano stati i principali partiti del Paese: Socialisti e Partito Popolare (destra tradizionale). Alle elezioni amministrative di Primavera, Podemos non solo non si schiera su posizioni estremiste e intransigenti ma apre esplicitamente alla collaborazione con le forze locali più affini favorendone il successo anche a costo di rinunciare al proprio logo. Entrano in questo modo nella sua area di influenza città prima saldamente in mano della destra come Barcellona, Siviglia e la stessa Madrid e almeno 187 membri di Podemos ricoprono, a vario titolo, incarichi pubblici. Podemos non ha mai nascosto le sue origini di sinistra e i suoi attuali dirigenti hanno avuto, quasi tutti, parte attiva nel successo internazionale del movimento autodefinitosi degli Indignatos. Non c’è dunque da stupirsi che il 21% ottenuto in queste ultime elezioni sia a detrimento principalmente del Partito socialista (risultati del voto). Anzi, il fatto che i socialisti siano rimasti il secondo Partito più votato dopo quello attualmente al potere, non sembrava affatto scontato, prima del voto, tanto forte era la caduta di consenso nei sondaggi preelettorali. E’ stata dunque la fulminante ascesa di Podemos ai danni di una forza tradizionalmente ben radicata come quella socialista che ha smosso le acque anche nell’area di destra, facendo intuire a ragione che anche qui poteva crearsi uno spazio nuovo capace di riunire liberali progressisti e moderati, delusi dalla politica di austertà rigorosa del Partito Popolare al potere. Nasce in tal modo una nuova formazione di destra, Ciudadanos che conquista anch’essa rapidamente consensi e che si presenta con leaders giovani e abbastanza preparati un consenso che nei sondaggi va molto al di là dei risultati effettivamente ottenuti. Ciudadanos è oggi il quarto partito più importante di Spagna (prima delle elezioni sembrava che potesse essere addirittura il secondo o il terzo). Tutti i suoi voti sono chiaramente il frutto della grave emorragia che subisce il Partito Popolare.

I protagonisti della politica spagnola non sono più, di conseguenza, socialisti e destra tradizionale, perché ad essi si aggiungono in modo determinante altre due formazioni: Podemos e Ciudadanos. Dunque il bipartitismo è realmente superato. Le forze in campo si suddividono in modo talmente bilanciato il numero di deputati che le alleanze tra formazioni affini (Podemos con i socialisti e Ciudadanos con il Partito Popolare) non consentirebbero a nessuno di raggiungere la maggioranza necessaria. E’ per questo che si parla di stallo, è per questo che i pessimisti all’italiana parlano di disastro parlamentare. Emerge lo spettro, da noi ben noto, del ruolo ricattatorio delle piccole forze, la cui adesione all’una o all’altra coalizione sarà offerta ad alto prezzo. Emerge anche lo spettro ancora più cupo dei voltagabbana, pronti a cambiare bandiera secondo il miglior offerente.
Nel caso spagnolo, 9 deputati appartengono al gruppo degli indipendentisti. Tra i minori è forse il gruppo più consistente. Se si sommasse ad una alleanza tra socialisti e Podemos, raggiungerebbero la maggioranza. Ma il prezzo è qui forse troppo alto. La secessione unilaterale di due importanti e ricche regioni come la Catalogna e i Paesi Baschi, rappresenterebbe la fine della Spagna e la negazione della sua storia. In particolare i socialisti non sono affatto pronti a cedere su questo fronte. I negoziati fervono intensi. Se tra due mesi si rimanesse ancora ad un nulla di fatto si tornerebbe alle elezioni.

Tutte queste analisi, però, soffrono un grave difetto: considerano ancora quanto sta avvenendo in Spagna il frutto di un gioco, certo nuovo per la recente democrazia del Paese, ma essenzialmente gestito dai partiti. In realtà è invece possibile che non sia il bipartitismo ad essere finito ma il sistema partitico in sé che ha cominciato internamente a cedere per fare spazio a una maggiore partecipazione popolare. Sotto questo aspetto il vero vincitore di queste elezioni è Podemos. Il vero cambio è nella breccia che questa formazione politica con un’ampia base è riuscita ad aprire nel sistema. La guida dell’attuale Segretario, Pablo Iglesias, poggia, prima ancora che sulle proprie capacità di leader (che indubbiamente esistono), sulla formazione di un programma largamente condiviso dalla base, che non solo lo sostiene ma ne controlla attivamente la realizzazione. Questa novità non solo strategica ma soprattutto istituzionale, nella formazione del consenso, non è stata retoricamente sbandierata nella campagna elettorale. Forse Iglesias ha ritenuto, con il suo empirismo utilitario, che avrebbe potuto spaventare indecisi ed alleati. Non condivido questa decisione ma ne riconosco il senso. Quale che ne sia stato il perché, la grande novità rappresentata da Podemos dovrà dare presto i suoi frutti. Lo si vedrà nelle sue scelte in questa fase negoziale. Se davvero l’obbiettivo non sarà quello di andare a qualunque costo nella formazione di Governo ma quello di ottenere varchi sempre più garantiti per universalizzare la formula della democrazia partecipata, gli attuali successi avranno un futuro e l’assetto politico della Spagna non sarà quello di un Paese disunito e disorientato in cerca perenne di una guida basata su compromessi fatti sulla testa degli elettori, ma un nuovo modello di concertazione politica basato soprattutto sul consenso attivo dei cittadini.

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