PROMENADE DES ANGLAIS
Dare un senso all'accordo tra l'Unione Europea e il Regno Unito
di Paolo Basurto
L'ACCORDO DEL 19 FEBBRAIO. Chi abbia ascoltato, come me, la trasmissione di Radio3, Prima Pagina, nei giorni che hanno seguito l'Accordo tra l'UE e la Gran Bretagna(1), prima che i giornali passassero ad altre attualità più drammatiche, deve aver notato quanti ascoltatori abbiano chiesto al povero giornalista di turno, quali fossero i vantaggi per l'Europa a trattenere ad ogni costo il Regno Unito. Francamente l'unica sincera risposta sarebbe stata quella di ammettere che di vantaggi non ce ne sono. Se l'Europa di nazioni solidali tra loro è un progetto che ha senso, quello di Paesi tenuti assieme da un opportunismo dalla vista corta, non solo non ha senso ma non ha nemmeno futuro.
Questo Accordo, condizionato per fortuna a un referendum che imprudentemente Cameron ha promesso agli Inglesi per il prossimo giugno, è, per molti versi, sorprendente. Cameron ha ottenuto tutto quello che voleva, tranne qualche insignificante dettaglio sulla questione della moratoria delle prestazioni sociali per i cittadini europei che lavorano in Inghilterra. Uno Status speciale consentirà agli inglesi di metter bocca nelle decisioni europee senza che nessun obbligo ne nasca per loro. A volerla dire brutalmente, questa è la sintesi. In cambio l'UE potrà dire di aver fatto tutto il possibile per convincere gli inglesi a stare ancora un po' con noi, anche se a modo loro e secondo i loro comodi. Una separazione in casa che farebbe meno infelice il coniuge abbandonato.
Ma questo accordo è troppo squilibrato per non indurre a qualche lettura che, per quanto basata solo su ipotesi, potrebbe dare qualche spiegazione un po' meno romantica dell'avvenimento.
Quando gli inglesi regalarono alla Contea di Nizza la English Way, poi divenuta Promenade, dissero che si trattava di un gesto umanitario (una grande strada dove i molti mendicanti dell'epoca provenienti dai geli eccezionali del Nord, avrebbero meglio chiesto l'elemosina). Forse così era nelle intenzioni di Lewis Way, il benefattore che trovò i fondi per la costruzione dell'arteria(1). Tuttavia l'interesse dei britannici per certe enclaves mediterranee era sempre stato abbastanza evidente. A volte fu pienamente soddisfatto, come nel caso di Gibilterra, altre volte non diede i risultati sperati nonostante i consistenti investimenti finanziari e militari, come fu il caso di Barcellona e della stessa Nizza.
 
Gli inglesi si occupano dell'Europa solo se conviene ai loro interessi...Ma la Perfida Albione non si comporta diversamente dal resto dell'Europa. La creazione dell'EFTA(2) fu voluta dall'Inghilterra per contrastare il progetto nascente europeo. Non ci voleva un grande statista per capire che i sogni imperiali inglesi erano finalmente finiti con la seconda Grande Guerra e che, agli occhi degli europei continentali l'Inghilterra era destinata a divenire un Paese come gli altri. Un Paese utile; molto utile per due ragioni: sarebbe stato un ascoltato mediatore con i potenti (e qualche volta pre-potenti) Stati Uniti; e un Broker mondiale eccezionale che attraverso la sua City ordiva il tessuto dei traffici finanziari mondiali in piena intesa con Wall Street. Una struttura, quella della City, così tanto articolata e complessa che spesso nemmeno i cosiddetti esperti sono in grado di decifrarla. Una struttura attraverso la quale si potevano mobilitare i grandi investimenti necessari allo sviluppo del continente. Quando la Comunità Economica Europea fu in grado di negoziare, forte dei primi successi della sua integrazione economica, l'Inghilterra comprese che o entrava a far parte di quella Comunità cercando di avervi un ruolo prominente grazie alla sua influenza sulle piazze finanziarie del mondo o il continente europeo avrebbe avuto molte probabilità di riuscire a fare da sé anche in quel settore. L'Inghilterra lasciò l'EFTA per entrare nella Comunità. Molti dicono che in realtà questo Paese non fece mai realmente parte del progetto europeo e anzi cercò sempre di ostacolarne la crescita istituzionale. Il rifiuto a inserirsi nella zona euro ne sarebbe un esempio tra i più significativi. Temo che questa sia solo una visione superficiale del fenomeno. L'Europa forte economicamente è, per gli USA, più un concorrente che un partenaire. Un Euro in grado di spiazzare il Dollaro nelle transazioni internazionali e mettere a nudo la pericolosità dello spaventoso debito pubblico e privato degli Stati Uniti (il più alto del mondo) (3), non poteva certamente essere gradito dall'altro lato dell'Atlantico. In una tale situazione il doppio gioco finanziario del Regno Unito acquistava un enorme valore per tutti i protagonisti e in particolare per le grandi istituzioni finanziarie pronte a tutto pur di non vedere la nascita di una nuova moneta globale capace di essere fuori dal loro controllo. Un possibile cavallo di Troia, rappresentato dall'Inghilterra, dotato degli strumenti necessari per interventi di emergenza, fu la garanzia che permise all'Euro di nascere e, relativamente, di prosperare.
L'idea di una moneta unica prende corpo concreto nel 1988 quando viene approvato il Rapporto Delors che traccia il percorso tecnico e politico che poi condurrà effettivamente all'Euro. Un anno dopo cade il muro di Berlino; la Guerra Fredda si spegne e comincia l'era della Globalizzazione. E' l'apoteosi del nuovo capitalismo, quello della deregulation, il capitalismo finanziario senza barriere né leggi; senza bandiera e senza altro scopo che il profitto di coloro che quei capitali posseggono e dirigono. Da quel momento un Mostro sempre più ingovernabile ha cominciato a crescere e la crescita è stata veloce. Se qualcuno seppe prevedere quanto poi sarebbe accaduto ai giorni nostri, questi non era certo tra gli uomini politici europei, preoccupati solo di non rimanere indietro, quale che fosse la loro appartennza ideologica, nella corsa alla privatizzazione di tutto, alla competitività sfrenata e irresponsabile e al perseguimento di profitti elevati quanto improbabili.
E' difficile dire quando esattamente il potere finanziario scavalca quello politico e i Governi cominciano a subirne i condizionamenti, divenendone, in alcuni casi, strumenti ed emanazioni. L'inizio della prima grande crisi bancaria, negli Stati Uniti dell'ultimo Bush, potrebbe benissimo essere preso come data convenzionale. Il Mostro si svela. Sul tavolo delle grandi scommesse della speculazione finanziaria le vittime soccombono senza che i Governi riescano ad intervenire efficacemente. Il bersaglio preferito è il cosiddetto welfare, cioè quel sistema di garanzie sociali messo in piedi grazie a decenni di lotte sindicali e che aveva rappresentato una grande conquista per l'equità e la redistribuzione della ricchezza; una conquista ritenuta fino ad allora irreversibile ma anche un serbatoio appetibile di mezzi di pagamento per debiti altrimenti insolubili. Per la prima volta dalla fine della seconda Guerra, anche Paesi di avanzata industrializzazione vengono minacciati apertamente di fallimento. Le Agenzie di Rating, ambigui guardiani delle dinamiche finanziarie, osano persino declassare gli USA. Alcuni Paesi al fallimento si avvicinano davvero: la Grecia, la Spagna, l'Irlanda, il Portogallo e l'Italia; Cipro fallisce di fatto ma non formalmente, l'Islanda preferisce fallire e ricominciare da zero. Anche le grandi democrazie dimostrano quanto siano pericolose le fragilità dei loro sistemi.
 
Naturalmente quando si parla di Mostro si commette quella facile semplificazione tipica di coloro che vedono complotti segreti dietro ogni fenomeno la cui analisi è complessa e spesso carente delle informazioni sufficienti. Dubito che quello che ho appena chiamato Mostro finanziario sia davvero una bestia diabolica dotata di una testa capace di architettare, a livello planetario, progetti coerenti, e di una struttura in grado di organizzarne l'esecuzione. Penso piuttosto che si tratti di un fenomeno policefalo con una direzione di marcia comune: il profitto; e un'arma formidabile a disposizione: la possibilità di muovere capitali immensi in tempi rapidissimi. Sono abbastanza convinto che non manchino conflitti di interessi ai quali probabilmente si devono cambi imprevedibili di scenari e tecniche operative. E' anche molto probabile che la natura stessa del fenomeno spinga a sempre maggiori concentrazioni di capitali ma non è affatto detto che simili concentrazioni siano durevoli. Come che stiano veramente le cose è indubbio che la maggior parte delle operazioni che contano per dimensioni e impatto passano attraverso i templi consacrati e legali delle scommesse finanziarie: le Borse. Queste istituzioni sono delle vere e proprie imprese, private a tutti gli effetti anche se inutilmente controllate da enti pubblici appositamente creati ma privi, nei fatti, di poteri di intervento efficaci per delle ragioni che sono insite nella collusione, se non asservimento, tra l'autorità politica e quella finanziaria. Protagonisti esclusivi delle operazioni di Borsa, sono naturalmente le Banche che, del Mostro, rappresentano veri e propri tentacoli. Ormai siamo assuefatti all'impunità di cui godono le Banche, ma giusto per ricordare di che cosa stiamo parlando vale la pena citare alcuni fatti. La HSBC, una delle più grandi holding bancarie del mondo, con base inglese, è stata scoperta complice di collaborare con i Cartelli della droga messicani e colombiani ed è stata provata la sua responsabilità nel lavaggio di denaro sporco per almeno 880 miliardi di dollari. Nel 2012, diciotto tra le maggiori banche internazionali furono trovate responsabili della manipolazione del Libor (London Interbank Offered Rate) uno dei più importanti indicatori finanziari utilizzato tra l'altro per il calcolo degli interessi dei mutui a tasso variabile. Tra gli istituti coinvolti, gli immancabili UBS, Barclays, Deutsche Bank e la Royal Bank of Scotland. Il Deutsche Bank, tanto caro alle Autorità monetarie tedesche, ha un dossier criminale per niente disprezzabile che va dalla vendita fraudolenta di titoli di garanzia, al falso in bilancio, alla manipolazione dolosa del prezzo di materie prime e alla corruzione di gestori di fondi pensione (grandi acquirenti di titoli bancari) giapponesi. Non manca l'accusa (ancora non provata) di lavaggio di denaro sporco. E, a proposito di Grecia, una delle Banche più coinvolte nella famosa falsificazione dei conti pubblici greci è la Goldman Sachs, peraltro già più volte denunciata per frode, vendita abusiva di titoli ipotecari, sequestro illegale di immobili nonché condannata dall'Autorità di vigilanza finanziaria (SEC) degli USA per aver raggirato i suoi clienti nella vendita di un prodotto bancario, l'ABACUS. Nessuno ha mai avuto la forza sufficiente per ritirare la licenza a queste istituzioni di fatto criminali. Le pene, quando comminate, sono state solo multe che per dei bilanci che a volte superano il PIL dello stesso Paese al quale appartengono, rappresentano solo una bazzecola (4).

 

Nel teatro europeo i gangli vitali del sistema borsistico si trovano a Londra (la London Stock exchange) e a Francoforte (la FWB, Frankfurter WertpapierBȍrse, o, Deutsche Bȍrse Group). Tra le due entità corrono vincoli ovviamente assai stretti che non eliminano una rivalità andata crescendo con l'accentuarsi del lideraggio tedesco in Europa. E' di alcune settimane fa la notizia che, per la seconda volta, la Deutsche Bȍrse sta tentando di comprare la London Exchange. Ed è singolare che la notizia sia divenuta pubblica pochi giorni dopo l'accordo intervenuto tra Cameron e il Consiglio della UE. E' un avvertimento. Se il Regno Unito lascia l'Europa la sua piazza finanziaria lascerà il campo a quella tedesca. Si spiega così il comportamento tollerante e disponibile degli europei continentali. Per molti la Brexit è un affare e, a ben guardare, l'Inghilterra è ormai gia fuori dall'Europa che conta. C'è ora da domandarsi perché Cameron si è messo in questo pasticcio, apparentemente, con le sue mani. Qui entriamo nuovamente nel campo delle ipotesi. Il Primo Ministro inglese non è affatto uno stupido. Nel mondo, e in particolare in quel pezzo di mondo a noi più vicino, il Medio Oriente, sono avvenuti due fenomeni le cui smisurate dimensioni erano del tutto imprevedibili solo vent'anni fa: il terrorismo diffuso e vincente e le correnti migratorie verso i Paesi europei divenute alluvioni inarrestabili. Solo la politica può fare fronte a questi problemi mentre l'ingovernabilità del mondo finanziario non solo non aiuta a risolverli ma certamente contribuisce a ostacolarne possibili soluzioni (soprattutto se consideriamo con che disinvoltura il sistema bancario riesce a finanziare traffici delittuosi come quelli delle armi e della droga). E' possibile che alcuni leader politici di peso in Europa stiano cercando di recuperare autonomia rispetto ai condizionamenti del mondo finanziario. La proposta di un'unione bancaria sta andando avanti nonostante lo sbarramento di fuoco delle grandi banche e in particolare dei circoli londinesi. Per quanto perfettibile questa proposta deve essere riconosciuta come un primo passo verso una maggiore regolamentazione delle attività bancarie e, forse anche di quelle borsistiche. La City inglese vede come il fumo negli occhi questa possibilità di controllo alla quale non vuole assolutamente sottostare. Le pressioni su Cameron in questo senso devono essere state enormi. D'altro canto se il prezzo da pagare è cedere la primazia a Francoforte e perdere parte dell'influenza finora avuta sulle piazze dell'Europa continentale, questo potrebbe essere un prezzo caro da pagare. Anche su questo punto le pressioni non devono essere state lievi. Ciò spiega il successo solamente mediatico con il quale è stato salutato in Inghileterra l'Accordo tra Cameron e il Consiglio UE. Successo cui ha fatto ecco un esplicito sorprendente malcontento sui giornali degli altri Paesi. In realtà, come già si diceva prima, l'Inghilterra è già fuori dall'Europa con questo Accordo e il fatto che possa continuare ad avere suoi rappresentanti al Parlamento Europeo (fermo ancora per molto nel suo processo per divenire un organo politico sovranazionale) o a partecipare alle riunioni delle massime istituzioni europee senza poteri decisionali permette agli Inglesi solo di mantenere l'illusione che in Europa contino ancora qualcosa. Vedremo se Cameron riuscirà a salvare la poltrona, ma ne dubito molto, comunque vada il referendum di Primavera.

 

Adesso lo scontro sarà principalmente in Germania, dove si gioca la vera battaglia dell'unione bancaria che le banche non vogliono ma la Merkel sì. Il sostegno al tentativo di compera della Borsa di Londra da parte di quella di Francoforte e la disponibilità già dichiarata a salvare ancora una volta la Deutsche Bank dalla sua ennesima crisi dolosa con i soldi del contribuente, potrebbero essere elementi determinanti in questa guerra clandestina. Forse l'Europa potrebbe segnare l'inizio della ripresa da parte della politica dello spazio decisionale che le spetta rispetto al mondo finanziario.
Finalmente devo ammettere, anche se molto controvoglia, che, in questa partita difficile, Renzi non ha giocato il solito ruolo gregario dell'Italia. Ha sostenuto discretamente Cameron e si è schierato esplicitamente a favore dell'unione bancaria in buona intesa con la Merkel, che, forse, assieme a Cameron anch'essa rischia il suo posto di leader indiscussa.
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(1) Price, Stanley &Munro.The Road to Apocalypse: The Extraordinary Journey of Lewis Way'.
(2) EFTA - European Free Trade Association. Creata, per volere del Regno Unito soprattutto, nel Maggio del '60 come contraltare all'Europa , includeva, all'inizio i seguenti paesi: Austria,Danimarca,,Portogallo,Svezia,,Regno Unito, Finlandia,Norvegia, Svizzera, Islanda, e Liechtenstein. Oggi solo gli ultimi quattro ne fanno ancora parte.
(3) Attualmente il debito pubblico americano è di ben 18.500 miliardi di dollari. Secondo cifre attendibili, raggiungerà i 20.000 miliardi nel 2017.
(4) Chi volesse saperne di più sulle malefatte bancarie può riferirsi all'ottimo libro di Eric Toussaint "Bancocrazia", citato nel mio art. "L'Europa deve morire"
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