Il 18 dicembre è stata la Giornata Mondiale delle Migrazioni, promossa dall’ONU

In quello stesso giorno si è svolto a Vicenza, grazie all’iniziativa di varie associazioni (1) un incontro che ha avuto per tema:

“DECRETO SICUREZZA, QUALI CONSEGUENZE?”

L’interesse di questo incontro non è solo nell’attualità del tema ma nella ricerca di una comprensione oggettiva della complessità dei problemi e nell’intento di cercare forme di comprensione e di dialogo che consentano di superare lo scontro polemico, moralistico e facinoroso.

Pubblichiamo di seguito alcuni estratti delle conclusioni della Relazione finale. Chi volesse leggere il documento integrale potrà trovarlo nella sezione dei Download.

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Oggi nel mondo la povertà sembra una colpa sulla quale il ricco occidentale non abbia alcuna responsabilità. Anzi, pare stabilito il diritto di girarsi dall’altra parte rispetto ai drammatici problemi del Sud del mondo. Per quanto ci riguarda, dobbiamo ricordare che normative come il Decreto in oggetto, hanno un substrato nell’opinione pubblica che si è sedimentato nell’arco degli anni.

*Occorrono iniziative educative sistematiche per ridurre il linguaggio cupo e aggressivo che porta alla disumanizzazione dei rapporti interpersonali, la diffidenza, le chiusure pregiudiziali, la squallida ignoranza e ottusa indifferenza nei confronti di quanto succede oltre il nostro vecchio contesto culturale, i casi di razzismo, di emarginazione nelle mense degli asili, di bullismo nelle scuole, di fischi negli stadi, di violenze nelle famiglie.

*Occorrono iniziative educative sistematiche sui valori che hanno fondato la nostra Costituzione e ispirano la Dottrina Sociale della Chiesa di Papa Francesco; sulla necessità di prepararci meglio ai cambi provocati dalla globalizzazione di cui le migrazioni sono un aspetto.

*Essere autocritici e resilienti. In questi anni ci siamo scontrati con un grande senso di paura nei cittadini e nei parrocchiani. In parrocchia si discuteva se accogliere o meno nella canonica o in un appartamento vuoto, una famiglia di richiedenti asilo. La parrocchia si ritrovava o divisa, o unita nel dire di “no”. Questa paura non è stata sufficientemente accolta, ci siamo divisi nel giudicarci l’un l’altro fra “chi è accogliente” vs. “chi non lo è”. Dobbiamo ripartire da qui per vivere un’esperienza di solidarietà. Dobbiamo riconoscerci umanamente con vissuti e sentimenti diversi, rimettendo al centro non la parola sicurezza-legalità, ma la persona e il volto di quella persona. Anche fra di noi. Perchè una comunità divisa in logiche di pregiudizio, come potrà essere accogliente? Dobbiamo fare comprendere ai nostri vicini di banco di chiesa, e di casa, che tutti facciamo fatica ad accogliere persone che vengono da altri posti, ma che nessuno vuole creare sacche di illegalità. Ma che diciamo sì all’integrazione, al volontariato per accompagnare i richiedenti asilo, per essere in un paese più “sicuro”. Perchè dove c’è inclusione, lì siamo tutti più “sicuri”.

*Una “narrazione” più corretta. Con chi dialogare? La nostra co-responsabilità riguarda il fatto che non abbiamo trovato una narrazione incisiva e convincente, in grado di smuovere le coscienze e porre rimedio alla deriva. Non abbiamo cercato di capire cosa inquieta le persone in questa fase di rapidissimi cambiamenti globali.

Dobbiamo rivolgerci a chi è confuso, affaticato, a chi ha paura, a chi abbiamo colpevolizzato. “A chi sta in mezzo”. IPSOS e More in Common hanno pubblicato quest’anno “Un’Italia frammentata: atteggiamenti verso identità nazionale, immigrazione e rifugiati in Italia”1. Secondo l’indagine, il 24% si sono riconosciuti nelle “categorie” affini alla linea dura. Un 28% si sono autodefiniti aperti, cattolici umanitari, italiani cosmopoliti.

*Bisogna essere portatori di dialogo con “chi sta in mezzo”, tra i due estremi. Con quella consistente fetta di persone comprensibilmente incerte, preoccupate, che faticano ad arrivare a fine mese, che si sentono trascurate, bombardate da raffiche impietose di notizie contrastanti, in un mondo globalizzato che cambia troppo velocemente.

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Non siamo “buonisti” e comprendiamo il bisogno di costruire sicurezza. Contemporaneamente crediamo e sosteniamo principi e sentimenti come: rispetto dei diritti umani e della Legge del mare, uguaglianza di diritti/doveri fronte alla Legge, Bene Comune, corresponsabilità personale, senso di umanità, solidarietà.

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sappiamo per esperienza diretta che l’accoglienza diffusa non solo contribuisce ad affrontare e a superare la “percezione” di paura e a prevenire i conflitti, ma anche favorisce nuove interrelazioni, apre orizzonti, genera più coesione sociale e quindi maggiore “sicurezza”.

Il cambio nel contesto sociale e antropologico ci chiama però a sfide totalmente nuove.

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(1) Casa per la Pace, Giuristi Democratici, Pastorale Sociale e del Lavoro, Caritas, Migrantes Vicenza

(2) https://www.moreincommon.com/italy-report1 . Scaricabile gratituitamente in pdf, versione italiana e inglese.

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