Cerchi nella testa.

 

di Ida Verrei

 

Odio la domenica.

Giorno festivo, riposo, divertimento, distrazione. Cazzate!

La città fa schifo, più del solito. Tutto chiuso, saracinesche abbassate, un deserto. E le famigliole con l’abito buono a passeggio. Nausea. E se non hai sigarette devi girare e rigirare prima di trovare il distributore che funzioni; e quando poi lo trovi, ti accorgi di aver dimenticato a casa la tessera sanitaria magnetica.

È un po’ che dimentico le cose,  ho cerchi che vorticano nella testa.

Vuoi vedere che divento come l’Ombra?

 

L’Ombra, oddio, non voglio pensarci, mi rosicchia la vita, mi sta sotto la pelle, ne sento il fetore, il peso lungo la schiena, me la spezza, e le gambe fanno male, e le dita dei piedi si intorpidiscono.

Tutto il corpo è dolente.

Guarda come sono ridotta, maledetto specchio! Consumati anche i muscoli! Dove cavolo sono le mie belle braccia tornite? La mia pelle liscia, che quando lo Stronzo l’accarezzava diceva: “Sei di seta”?  Lui aveva parole, anche troppe. Non come l’Ombra: silenzi, soltanto silenzi.

Accidenti, che  spalle ossute. E dov’è il mio seno sodo che gli uomini guardavano, con il pomo d’Adamo che pareva un ascensore? Eccomi qua, sembro una stampella, gli abiti camminano da soli.

Esco, fa caldo, la città fa schifo ma esco lo stesso. La casa mi soffoca. E poi magari al sole mi abbronzo un po’, ho una faccia lavata che sembro malaticcia, che poi forse lo sono davvero.

Infilo un jeans, una maglietta e vado. Mica devo vestirmi elegante, non ho appuntamenti, non me ne frega niente. Ecco, in piazza, in  quel bar coi tavolini bianchi, sotto gli alberi, che così c’è anche più fresco.

Come diavolo mi sono vestita? La maglietta alla rovescia. Va beh, tanto nessuno se ne accorge, passato il tempo in cui gli uomini si voltavano e continuavano a seguirmi con lo sguardo. Magari ora soltanto qualche vecchio bavoso, come quello lì, nel tavolino ad angolo.

Cazzo guardi, brutto scemo? Ho anche gli occhiali da sole che mi coprono gli occhi, l’unica cosa bella che ancora mi è rimasta. E li trucco pure, così magari distraggono l’attenzione dal resto.

“Vorrei essere tutto cazzo per infilarmi anche nei tuoi occhi”, diceva lo Stronzo, “dovresti bendarti, come fanno le donne arabe che coprono metà viso. Tu dovresti coprire gli occhi, sono pieni di lussuria”. Il maniaco… dove gli altri vedevano luce e stelle, lui vedeva questo. Però mi piaceva.  E ora? Perché cavolo penso al passato? Che non è neanche bello.

Ordino un cappuccino e una brioche, magari metto qualche etto. E intanto mi accendo una sigaretta, una boccata di salute. Penso ai miei polmoni che saranno neri come la pece. Quanti anni che fumo? Meglio non contarli, meglio non contare niente.

A quest’ora l’Ombra sarà partita, l’hanno portato in vacanza.

Vai, vai via con i tuoi fantasmi. Sapere che non sei in città mi fa stare già meglio. Ma non ci torno in quella casa, ci sono le tue tracce, sei ovunque, con le tue sacche di urina puzzolente, con i tuoi rutti disgustosi, con i tuoi balbettii insani, con il tuo livore affiorato nella demenza. Vivi, sopravvivi, ma stammi lontano.

Però sono proprio una stronza, dovrei essere più caritatevole, specie ora che ho trovato un’altra casa. Ma sto male, e anche la casa nuova mi sta stretta.

“Sfuggi a qualunque classificazione”, mi diceva l’Ombra, quando era sano di mente, si fa per dire…

Avrebbe voluto inquadrarmi, rendermi simile a lui. Ci ha provato, ma non c’è riuscito. Ero giovane, ma tosta.

Perché mai avrò sposato uno così? Domanda scema, la risposta la conosco. E non era neanche male da giovane, ce l’aveva un certo fascino, con le sue tempie brizzolate. Maledetto complesso edipico, anche in seguito mi hai rovinato la vita!

Però mi fa pena, un uomo come lui, con una bella mente,  ridotto a un’ameba. E se capita anche a me? Ho paura. Devo dire ai miei figli che in quel caso dovranno mettermi in qualche struttura, lontana da tutti, che nessuno mi veda. Così magari inizio a scrivere meravigliose poesie folli e divento come Alda Merini: “ …ma da queste profonde ferite usciranno farfalle libere”.
Accendo un’altra sigaretta. Il vecchio si precipita con l’accendino,  faccio prima di lui, ringrazio con un sorriso di convenienza. È ridicolo, patetico, gli uomini non disarmano mai.

“Tu odi gli uomini”, mi diceva lo Stronzo. E il poverello non aveva capito che io ho odiato solo due uomini nella mia vita, gli stessi che avevo anche amato, o che avevo creduto di amare. Gli altri no, non li odio, anzi. Ho sempre preferito le amicizie maschili, con un uomo si parla meglio, sai quasi sempre chi hai di fronte. Le donne  mi irritano, non sono mai come appaiono, neanche io sono come appaio.

Una volta no, non era così. Una volta ero trasparente come vetro. Poi lo Stronzo mi ha insegnato a mascherarmi, ho imparato bene. Alla fine gli devo molto e ho capito quel che valgo.

“Sei  intelligente”, diceva, “troppo, hai un pensiero veloce che sconcerta, hai potenzialità che devi  coltivare”. E io ho cominciato a studiare, studiare e leggere, tanto. Dio quanto ho letto in quegli anni! E così l’allieva ha superato il maestro. Ho preso coscienza di me stessa.

E come si incazzava! Lui, l’intellettuale, il filosofo, l’oratore brillante, non riusciva a spuntarla con me. Ah! quanto mi divertivo a metterlo in crisi.

“Ho avuto una vita piena e avventurosa”, diceva, “ho avuto esperienze di tutti i tipi, anche quando lavoravo alla Reggia di Caserta con gli inglesi, riuscivo a raggirarli solo con la forza della parola; la dialettica mi ha sempre aiutato a sostenere tesi e il loro contrario, così come di volta in volta mi sembrava opportuno. Con te non mi riesce. Ti ho fatta io e ho creato un mostro. Sei spietata, non sei contenta fino a quando non lo distruggi l’avversario.”

È stato l’inizio della fine. Ho capito che per lui il rapporto era una guerra di sopraffazione. E io di guerre ne avevo già subite abbastanza. Un calcio in culo e via, a raccattare i pezzi da rimettere insieme. Sono un puzzle, tante tessere ad incastro, ma basta un piccolo colpo e le tessere si sparpagliano. Le ho tenute insieme, e ho ripreso la mia vita. Libera, forse felice.

Poi dal passato remoto è riemersa l’Ombra e il mio mondo si è di nuovo oscurato.

La brioche non l’ho mangiata, era secca. L’ho sbriciolata per i piccioni.

Il vecchio è andato via: un timido cenno di saluto e si è allontanato a testa bassa, con le spalle curve. Forse non era poi tanto vecchio, soltanto solo. La solitudine invecchia. Mi dispiace, sarei potuta  essere un po’ meno scostante, avrei potuto regalargli un sorriso.

Che cazzo fai, scema? Ora ti intenerisci per uno sconosciuto triste? Quando imparerai?

“Dove stanno i tuoi più grandi pericoli? Nella compassione” (Nietzsche)

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