scuola e SCUOLA

La Scuola come centro principale di educazione e formazione civica

(I)

Conversazione  con Andreina Russo

-Partecipagire.net: La scuola è un'istituzione antica. Si dà per scontato che debba esistere. Si dà per scontato che l'obbiettivo della scuola e la ragione della sua esistenza siano ben definiti e chiari a tutti. Eppure potrebbe essere utile, in quest'epoca di cambiamenti così profondi e rapidi, verificare se questo sia ancora vero. Verificare insomma come viene definito oggi l'obbiettivo principale della scuola.

*Andreina: L'obbiettivo della scuola di oggi include due aspetti che dovrebbero essere bene integrati. Da un lato, anzitutto, la formazione umana e civile dell’alunno, dall’altra fornirgli conoscenze e competenze. Molti pensano che la scuola sia ancora quella che era cinquant’anni fa,  ma in realtà non è affatto così.  Una volta si riteneva che il compito più importante della scuola fosse quello di  trasmettere  le conoscenze, e, con

esse, nella migliore delle ipotesi, un patrimonio di valori condivisi . Oggi il nozionismo in sé  è completamente superato,anche se rimane vero che un bagaglio di conoscenze, di informazioni, è comunque indispensabile come base primaria per ogni alunno. Esso si deve poi integrare  con quello che ho chiamato{jcomments on} competenze. Le competenze, cioè il saper fare, sono le capacità non solo innate ma anche acquisite che consentono di poter capire la realtà attraverso  non solo l’esperienza diretta,  ma anche attraverso  tutte le forme di comunicazione, scritta, orale gestuale, ecc. (alle tecniche di comunicazione si presta oggi  nella scuola  un’attenzione inconcepibile prima degli  anni '70). Insomma l’obiettivo primario , sotto il profilo cognitivo, è quello che ogni ragazzo acquisisca  gli strumenti intellettuali per “leggere” criticamente la realtà e, di conseguenza, agisca in modo consapevole.

 

-Sembra una visione un po' ottimistica, la tua. Davvero i ragazzi di oggi hanno una formazione scolastica superiore a quella di un tempo?

*Ne sono convinta.. La scuola di oggi offrirà forse un patrimonio di conoscenze inferiore a quello di quaranta/cinquant'anni fa, ma consente ai giovani di affrontare la realtà in modo decisamente migliore. Pensiamo a quanti progressi ha fatto l'atteggiamento della scuola nei confronti dell’universo femminile. Pensiamo all'accesso critico e non più ossessivamente censurato di tutti i processi formativi che riguardano la sessualità, la conoscenza del proprio corpo, il sociale, la responsabilità internazionale per i gravi problemi che affliggono i Paesi poveri. Naturalmente stiamo parlando qui di programmazione e metodologia. Questo non significa che non ci siano ostacoli al pieno raggiungimento di questi obbiettivi..

-Ma la Scuola si misura davvero con i problemi reali della società che i giovani dovranno affrontare?

*Evidentemente bisogna qui tener ben conto dei molti limiti che ostacolano la scuola nel raggiungimento pieno dei suoi obbiettivi, a cominciare dalla cronica inadeguatezza degli strumenti didattici, delle strutture, degli investimenti a favore della scuola pubblica. Altro fenomeno è costituito dall'eterogeneità nella preparazione e nelle capacità del corpo insegnante. Ogni docente gode di notevole autonomia nell'impostazione del suo insegnamento. Ovviamente esistono delle linee programmatiche nazionali che ciascuno è tenuto a rispettare ma, fatte salve queste, la libertà è poi veramente considerevole. Se questo è certamente positivo da un lato, dall'altro le caratteristiche proprie di ogni insegnante, la sua preparazione, il suo vissuto, la sua ideologia, giocano un ruolo a volte eccessivo per la bontà dei risultati che si vogliono ottenere. Ma è comunque innegabile che la Scuola non sia più quella di ieri. Prendiamo, per esempio, i libri di testo e paragoniamoli a quelli prima del '68. La loro diversità è abissale, non solo nel numero di pagine, che oggi è almeno triplicato, ma soprattutto nell’approccio critico e metodologico alla disciplina.

-Ma allora perché i giovani d'oggi sembrano invece così impreparati, specialmente dal punto di vista politico? A volte scendono in piazza anche loro come quelli del '68, ma non sembra che sappiano bene perché e a cosa mirano e la loro assenza dalla vita politica è evidente.

*Non dobbiamo fare l'errore di pensare che la scuola sia un'isola distaccata dai problemi del suo tempo. Questi problemi li sente e ne risente. Dall’immediato dopoguerra  a tutti gli anni ‘70  l'ideologia riempiva la vita quotidiana di tutti e quindi anche la scuola. L'esigenza di schierarsi era sentita nell'intero paese e anche i giovani lo facevano  con una  passione che li portava, nelle strade come nelle aule, anche a frequenti scontri verbali e fisici. Col passare degli anni sono emersi sempre più le contraddizioni e i limiti del movimento studentesco, fino  a quella che si può definire una vera  e propria “delusione storica”, analoga a quella che è seguita , nei secoli, a momenti di grande speranza e fiducia che qualcosa potesse veramente cambiare. La delusione storica ha portato tutti, adulti e giovani, a ripiegarsi in se stessi e limitarsi a perseguire interessi ed obiettivi privati,  spesso in contrasto con il bene comune. Di qui il disinteresse fino all’avversione per  la politica, dimostratasi incapace di non dico risolvere, ma nemmeno attenuare i gravi problemi che ci affliggono. La tendenza si è diffusa nella società, nelle famiglie, e di qui ovviamente nella scuola, sia tra gli insegnanti  sia tra gli alunni. Oggi, quando affronto un tema di carattere politico  collegato con un argomento di studio colgo spesso tra gli studenti, anche quelli più grandi, reazioni di indifferenza e di noia , a volte di aperto fastidio, che si esplicita con frasi, pronunciate con ostentato orgoglio,  del tipo “A casa mia non si parla di politica”.

Quanto all’impreparazione dei giovani, la cosa dipende, a mio avviso, non solo dalle carenze strutturali della scuola che ho elencato prima, ma anche dalle modalità di verifica e dai criteri di valutazione  dei risultati scolastici, profondamente mutati a seguito dello sviluppo delle scienze umane del ‘900, che hanno fatto irruzione nella pratica quotidiana  della nostra scuola a partire dagli anni ’70. A questo aggiungi il cambiamento progressivo ma rapidissimo delle abitudini di vita dei nostri ragazzi, che ha rivoluzionato il loro rapporto con la scuola.  Questa ha perso il ruolo centrale che occupava fino agli anni ’60, venendo affiancata in maniera sempre più massiccia da altre attività, dallo sport  alla musica alla danza  all’approfondimento delle lingue straniere e poi  via via al computer con tutte le sue applicazioni ludiche, sociali ecc..  Per raggiungere la preparazione scolastica che si pretendeva dagli alunni fino agli anni ’60 un ragazzo dovrebbe dedicarle il tempo e l’attenzione che noi le dedicavamo, e questo non è più possibile, quindi la tendenza è stata quella di pretendere sempre meno, di alleggerire i contenuti  di studio, di  accontentarci, per dare una valutazione di sufficienza, di quelli che oggi vengono tecnicamente definiti “i saperi minimi”, ufficialmente definiti nei documenti di programmazione.  Il tutto  per venire incontro alla richiesta sociale, anche questa profondamente cambiata negli ultimi quarant’ anni.

-A questo proposito: oggi si può parlare di un vero e proprio stato di conflitto permanente tra la categoria dei professori e quella dei genitori, fenomeno una volta inesistente. Quali ne sono le cause?

*E’ vero, quando noi eravamo ragazzi, ma anche quando ho cominciato ad insegnare alla fine degli anni ’60, c’era una condivisione di vedute e di intenti tra queste due categorie:  posso ricordare genitori che venivano a dirmi che ero troppo indulgente, che i figli non studiavano abbastanza e che dovevo pretendere di più da loro. Si credeva, credevamo tutti nel valore formativo di quello che si insegnava a scuola, sia come conoscenze che come valori.  Anche questo si è profondamente trasformato e mentre il corpo docente, pur criticando per primo alcune parti dei programmi  ed auspicando uno svecchiamento dei contenuti disciplinari,  conserva la convinzione della validità di ciò che insegna, nelle famiglie è andata affiorando pian piano quella che è oggi la tendenza dominante: il disinteresse, quando non l’aperto disprezzo, di quanto il proprio figlio viene chiamato a studiare nel corso di studi prescelto. Così ci troviamo ogni giorno di fronte a genitori che hanno mandato il proprio figlio al classico e poi vanno dal professore a dirgli “Ancora con questo latino?” o  quelli che hanno scelto lo scientifico e protestano contro l’eccessiva difficoltà della matematica o della fisica. In realtà moltissimi genitori oggi sono convinti che per il futuro dei propri figli molto più che le discipline scolastiche siano fondamentali altre esperienze, come lo sport agonistico, che forgia il carattere, lo studio approfondito delle lingue straniere, i periodi di studio all’estero atti ad allargare gli orizzonti mentali e a fare dei loro figli dei cittadini del mondo. E fin qui tutto bene. Per converso numerosi   genitori oggi  sembrano interessati solo al successo scolastico dei propri figli, senza che questo abbia una corrispondenza reale con  il livello di acquisizione di competenze e di apprendimento raggiunto. Il messaggio che spesso essi trasmettono ai ragazzi, implicitamente o meno, è che il successo vada ricercato e ottenuto con qualsiasi mezzo, senza il rispetto di quelle norme etiche che dovrebbero regolare la vita di una comunità,  sia quella scolastica o   nazionale.  Di qui non solo il dilagare delle pressioni su docenti e dirigenti, ma anche dei ricorsi e dei tentativi più disparati di superare gli ostacoli con mezzi più o meno leciti.

Non starai mitizzando un po’ troppo la tua categoria? Non vorrei che apparisse come una difesa corporativa…

*Non ho certo  intenzione di idealizzare la classe insegnante, all’interno della quale la qualità umana ed etica presenterà statisticamente  le medesime falle, ma istituzionalmente un professore  deve insegnare allo studente  il rispetto delle regole, anche durante il  processo di raggiungimento dei propri obiettivi e quindi: la competizione  leale con i compagni , la ricerca del  risultato  basata sull’impegno e sulla costanza , la disponibilità a partecipare attivamente al dialogo educativo, il rispetto reciproco tra coetanei e tra professori e alunni, il rispetto per le strutture e gli strumenti, ecc.  So che ti apparirà un discorso “bacchettone”, ma all’estero questi principi basilari di convivenza civile vengono evidenziati nella quotidianità scolastica  in modo così insistito ed esplicito  che i ragazzi li assimilano fin da piccoli, e senza che nessun adulto si vergogni di apparire  moralista o bacchettone.  D’altra parte, una scuola che sappia “inoculare” nei giovani le norme basilari della convivenza civile, non imposte dall’alto da un potere politico  o religioso dominante, ma derivanti da un patto sociale che garantisca  il più possibile l’equità e la giustizia , le pari opportunità di soggetti forti e deboli, un clima di armonica collaborazione e non di conflitto permanente tra gli individui,  opererà  concretamente  per creare  generazioni di cittadini  capaci di dare forma  ad una società migliore.  E  devo dire che, mentre il quadro dei giovani appena usciti dal ciclo dell’istruzione può in effetti apparire deprimente  (ma questo fenomeno, oltre a quanto detto finora, richiede un’analisi più approfondita, che possiamo fare un’altra volta), osservando il panorama generale della società  ci accorgiamo che questa, dal Nord al Sud, mostra segni di una consapevolezza ed una  reattività che da alcuni  anni a questa parte stanno lentamente ma gradatamente migliorando dopo che si è toccato il fondo dell’indifferenza e del disimpegno civile; basti pensare alle migliaia di associazioni di privati  che si mobilitano efficacemente contro fenomeni negativi, ivi comprese, ad esempio, quelle contro la criminalità organizzata nel Sud , che richiedono non solo la partecipazione e l’impegno ma anche il coraggio di affrontare rischi reali. Una parte del merito di questo cambiamento va anche alla scuola, che opera sistematicamente per  sensibilizzare i giovani su temi scottanti attraverso innumerevoli  progetti inter-  ed extradisciplinari realizzati con scarsi mezzi economici e grazie a tantissimo lavoro volontario non retribuito di una parte considerevole del corpo insegnante. Se qualcuno ne  dubita, basta  che navighi  in rete tra i siti delle innumerevoli scuole d’Italia e vada  a guardare il loro P.O.F: il Piano dell’Offerta Formativa  viene elaborato obbligatoriamente  all’inizio di ogni anno da ogni istituto in completa autonomia ed elenca tutti i progetti extracurricolari con cui quella scuola arricchisce l’offerta formativa,  al di là delle discipline tradizionali. L’osservatore scettico valuti  il numero e la varietà dei progetti, i temi trattati, la quantità di persone coinvolte, dagli esperti esterni ai docenti, al personale ATA, consideri  che il tutto viene svolto con finanziamenti risibili, una minima parte dei quali è destinata al compenso del personale interno. Per finire confronti il tutto con la sua esperienza di studente e, se vuole davvero partecipare, ci scriva le sue impressioni!

Grazie Andreina, continueremo  ad approfondire il tema  con l’apporto, speriamo, di osservazioni e integrazioni  da parte di rappresentanti di  tutte le componenti del mondo della scuola, compresi, ovviamente, i genitori.

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