POLITICA E FINANZA

IL GIOCO PERICOLOSO DELL'USURA

(III)

di Marco Borsotti

Quando manca l'etica in politica

Nel nostro paese, le famiglie e gli imprenditori, quando il sistema creditizio funziona, spesso contraggono debiti per poter portare avanti in maniera adeguata le loro attività. Ma fatte poche eccezioni non sperperano poi quanto hanno ottenuto e soprattutto si preoccupano di ripagare non solo per evitare le noie penali ed amministrative di un eventuale fallimento, ma prima di tutto per il senso etico che hanno che gli impone un comportamento responsabile ed onesto.

Negli anni, la politica in Italia, tutta senza distinzione di appartenenza, ha dimostrato di non possedere quel senso etico che invece hanno la maggior parte degli italiani.

Questi politici hanno continuato a chiedere soldi in prestito, in quantità che continuavano a crescere, hanno sperperato i  fondi che avevano o peggio se ne sono impossessati per scopi personali o di partito, e hanno indebitato tutti gli italiani nel cui nome si trovavano al governo. Per ora Craxi é stato l'unica figura di rilievo ad essere stata condannata anche se riuscì a fuggire e trovare asilo in Tunisia. Tutti gli altri, se sono ancora vivi, siedono in Parlamento e continuano a fare lo stesso dal momento che indebitare il paese sino al limite della bancarotta non é considerato un delitto sufficientemente grave da poter ottenere la condanna dei responsabili e la loro detenzione in una prigione del paese.

All'estero non capiscono come tutto questo sia possibile. Guardano alle cifre, vedono il tenore di vita in cui siamo abituati a vivere, constatano che la politica é scandalosamente corrotta e non fa nulla per occultarlo, vedono infine che, chiamati al voto, gli italiani confermano la loro fiducia a quella politica e ne concludono che questo corso degli eventi sia una responsabilità collettiva del paese. Confesso di pensare anch'io la stessa cosa perché, fatta eccezione per piccole frange, non ho visto negli anni trascorsi il sorgere di un sentimento di rigetto di questa irresponsabilità politica e di domanda per un vero cambiamento.

Si sono scritti libri per spiegare le ragioni che fanno si che gli italiani continuino ad illudersi che le cose non vadano poi tanto male, che forse altri avranno dei problemi, ma loro sapranno come evitarli, che le denunce che vorrebbero  svelare il degrado del paese sono macchinazioni di persone invidiose e mal informate e comunque al servizio di fantomatici interessi esterni al paese. Forse il bene di quanto realizzato dal governo Monti smantellando gran parte degli ammortizzatori sociali potrebbe venire dal fatto che finalmente tutto questo stia riuscendo a scuotere dal torpore la gente e a far capire che la situazione in cui vivono é drammatica e con poche vie d'uscita. Questo non mi pare fosse l'obiettivo del governo Monti che sembrerebbe convinto invece che queste misure permetteranno di superare la crisi, anche se continua a spostare nel futuro il momento della ripresa, ma voglio dargli atto che nel molto male che ha generato soprattutto per le classi più deboli, ha almeno stracciato il velo che cercava d'occultare la vera situazione di miseria incipiente in cui si trovava e si trova il paese.

Temo comunque che il sentimento di paura e d'insicurezza che si sta impossessando di gran parte degli italiani sfoci, come successo recentemente nei risultati elettorali prima in Spagna e poi in Grecia, nell'accettare di correre dietro a chimere che attribuiscono la ragione dei nostri mali a fattori esterni come l'immigrazione, la crescita economica in Cina, la globalizzazione, il costo dell'energia, i mercati. Intendiamoci, molti di questi fattori hanno giocato e giocano un ruolo importante nella crisi dell'Italia, ma nessuno sarebbe riuscito a generare l'attuale situazione di quasi fallimento se per oltre quarant'anni non si fosse permesso, a chi ha governato il paese, di depredarlo.

A mio parere, nulla di serio può essere realizzato senza prima riconoscere la causa prima del dissesto e fare qualche cosa di radicale per cambiare alle radici la situazione. E' necessaria una catarsi che dall'interno porti al cambiamento di tutta la classe dirigente e poi introduca meccanismi di controllo che impediscano sul nascere il ripetersi di simili situazioni. Ma continuiamo ad analizzare i numeri.

Alcuni dettagli su entrate e spesa pubblica in anni recenti

Per leggere più in profondità gli arcani del bilancio dello Stato e del debito pubblico, é necessario soffermarsi su di un'analisi ancorché superficiale delle entrate e spese. Scrivo superficiale perché per condurre un'analisi approfondita ci vorrebbero spazi e tempi di cui non dispongo, e poi usciremmo dallo scopo di questa breve nota. Detto questo mi pare che un'analisi accurata della dinamica della spesa pubblica negli ultimi quarant'anni per riuscire a capire come si sia potuti giungere alla situazione d'indebitamento attuale sarebbe esercizio utile se svolto a livello di commissione parlamentare se non altro per comprenderne la matrice ed evitare la ripetizione degli stessi errori anche in futuro. Infatti il debito attuale é il risultato di decenni di scelte politiche fatte da vari governi che sino ai primi degli anni novanta erano guidati dalla Democrazia Cristiana, fatta eccezione per la parentesi craxiana, e nell'ultimo periodo da governi che furono diretti da Berlusconi, almeno quelli che giocarono un ruolo predominante nella crescita recente del debito.

Inizio con il riportare alcune cifre espresse in milioni di Euro tratte da un documento della Ragioneria dello Stato, Ministero dell'Economia, del finale del 2011. Giudico infatti utile riportare questi numeri per aiutare il lettore ad assimilare la grandezza di quanto sto trattando. Difatti, pur considerandomi lettore assiduo di questi temi, ho visto raramente riportati i valori assoluti di cui scrivo, preferendo, gli autori dei vari brani che si occupano del tema,  utilizzare termini di paragone relativi, utili a dare il senso delle tendenze e variazioni, ma non delle dimensioni del caso.

Allora alla fine dell'anno scorso, la Ragioneria di Stato stimava il totale delle entrate di cassa per il 2011 a €  411.279 milioni e le spese a € 500.516 milioni con un deficit di € 89.238 milioni. Lo stesso documento prevedeva poi un aumento delle entrate nel periodo 2012-2014 che ammonterebbero rispettivamente a € 449.214, € 475.708 e € 489.741 milioni, mentre le spese sarebbero dovute salire nel 2012 per poi scendere leggermente a partire dal 2013 assestandosi ai seguenti valori, € 527.866, € 527.270 e € 514.154 milioni. Il deficit netto che si andrebbe ad accumulare al già esistente debito pubblico sarebbe, rispettivamente per i 3 anni del periodo 2012-2014 di € 78.653, € 51.562 e € 24.414 milioni per un totale (se si tiene conto dei quattro anni considerati 2011-2014) di € 243.867 milioni di Euro.

Arrotondando il totale della popolazione italiana residente a 61 milioni di individui, si può facilmente calcolare che nel 2011 lo Stato in media ha incassato € 6.742 da ogni cittadino e speso € 8.205. Questi numeri di per se non significano molto se l'obiettivo é quello di condurre uno studio attento del problema, ma servono altresì per mettere in una giusta prospettiva la materia che si tratta dal momento che per il bilancio di milioni di famiglie italiane queste due cifre rappresentano un valore considerevole ben al di sopra del reddito che percepiscono. Infatti, considerando una famiglia media con quattro membri, lo Stato incasserebbe da loro € 28.968 e spenderebbe all'anno per loro € 32.820, cifre queste molto superiori a quanto la media dei lavoratori dipendenti incassi annualmente al netto della tassazione diretta.

Guardando ancora più nel dettaglio quello che lo Stato spende, si nota che l'amministrazione centrale eroga direttamente più di € 272 mila milioni e di questi più di € 100 mila milioni sono per i salari dell'amministrazione pubblica e ben € 84 mila sono per interessi dovuti che sommati agli altri costi finanziari portano il totale a € 111 mila milioni (su queste ultima cifra il valore del differenziale con il valore dei titoli tedeschi ha un'importanza cruciale). Lo Stato trasferisce poi ad altra amministrazione pubblica quasi € 228 mila milioni, di cui 17 mila ad organi centrali,  116 mila agli enti locali comprese le Regioni e  95 mila ad enti di previdenza e assistenza sociale. Contro queste spese, le entrate dirette ammontano a  218 mila milioni e quelle indirette a  165 mila con un rimanente di  28 mila milioni di entrate extra tributarie.

Alcune considerazioni sulle responsabilità per il debito

Le cifre appena elencate meritano alcune riflessioni. Il costo dell'apparato statale centrale é molto elevato, avvicinandosi al 20% del totale della spesa pubblica, ma il costo degli enti locali é ancora più alto. Insomma, l'apparato pubblico che dovrebbe dispensare servizi ai cittadini é ancora la voce più onerosa del bilancio quando ormai molti cittadini debbono ingegnarsi per fruire di servizi essenziali o pagando privatamente o valendosi dell'assistenza fornita da enti di volontariato civile, strutture ecclesiali od altre forma d'assistenza gratuita fornita al di fuori delle strutture pubbliche. Insomma, lo Stato per cui tutti i cittadini stanno spendendo cifre considerevoli non é in grado di fornire adeguatamente i servizi per cui é stato pagato.

In aggiunta, il costo finanziario del debito ormai rappresenta in media più del 22% del totale della spesa pubblica annuale. Dal momento che una quota importante del debito pubblico é in mano alle banche, il paese sta pagando a pochi gruppi finanziari, che spesso sono tra i principali responsabili  della speculazione finanziaria, cifre importanti del reddito nazionale che sono così distratte da altri usi più socialmente utili come migliorare i trasporti, la sanità, l'educazione, le pensioni e l'elenco potrebbe dilungarsi ancora.

Cerchiamo di capire come ha operato questo meccanismo che non esito a definire perverso. Infatti, in una situazione come quella italiana, dove i tassi d'interesse sul debito sono da considerarsi elevati, risulta nell'interesse dei detentori del credito  accettare rinegoziazioni del debito, rinnovandolo senza esitazioni, sempre che il debitore continui a pagare gli interessi in scadenza, meglio ancora se nel processo di rinegoziazione si riesce a far lievitare ulteriormente il valore totale del debito stesso, garantendo così maggiori interessi futuri. Si tratta della pratica di un vero e proprio strozzinaggio dove l'ente finanziario detentore dei titoli di Stato prima incoraggia il debitore ad incorrere in sempre nuovi debiti sino al punto in cui, come sta succedendo in Italia, si raggiunga la soglia della quasi bancarotta.

A questo punto, entrano in gioco le regole della finanza internazionale che obbligano tutti i paesi a dar priorità nelle scelte di spesa pubblica in primo luogo al pagamento degli interessi sul debito pregresso, e soltanto dopo aver liquidato queste pendenze a destinare il restante dei fondi a disposizione per tutte le altre spese dello Stato. La pena per l'eventuale morosità nei pagamenti sugli interessi é l'esclusione da ogni forma di credito ed il conseguente isolamento finanziario. Insomma, chi non paga diventa automaticamente un paria nella società delle Nazioni.

In questi ultimi mesi abbiamo tutti davanti agli occhi quanto sta succedendo in Grecia e quanto tra breve potrebbe succedere in Spagna e Portogallo e persino in Italia. Quando i debitori considerano insostenibile dal punto di vista finanziario la situazione del bilancio di quello Stato esigono per la concessione di nuovi crediti necessari per assicurare le disponibilità di cassa per far fronte alle spese correnti come salari dei dipendenti pubblici, pensioni, pagamento per prestazioni ricevute, tagli severi delle spese. Il Paese in questione ha perso ogni sovranità e le decisioni vengono prese altrove da persone ed entità che non devono risponderne  ai cittadini elettori. I criteri applicati nel prendere queste decisioni sono quelli dello strozzinaggio perché il pagamento del dovuto diviene la unica priorità anche a costo di spingere milioni di persone nella povertà e spesso nella miseria assoluta.

L'Italia é veramente un paese cicala?

Tornando ai numeri italiani del bilancio 2011. Depurate dalle spese finanziarie, quell'anno il paese avrebbe dovuto sostenere oneri per circa 389.000 milioni di Euro contro un volume d'entrate di poco più di 411.000 milioni di Euro. I calcoli sono soltanto approssimativi e non pretendono di passare un rigoroso esame di ragioneria contabile, ma servono per dare l'idea che se non ci fossero gli interessi sul debito da pagare, l'Italia avrebbe potuto chiudere con un attivo il bilancio 2011 invece del passivo di 89.000 milioni di Euro.

Con poche eccezioni, risultati simili sarebbero stati possibili da conseguire nelle gestioni finanziarie degli ultimi venti anni. Se questo non si é verificato é in primo luogo colpa degli “apprendisti stregoni” che dagli anni settanta in avanti hanno ignorato i rischi associati alla levitazione del debito pubblico finendo per mettere il paese nella mani della finanza internazionale, e dei loro recenti emuli di governo che, soprattutto negli ultimi dieci anni, hanno continuamente ignorato i segnali di pericolo che il deterioramento dei conti pubblici inviava.

Il problema, a mio avviso, é nelle regole che si applicano nelle relazioni economiche internazionali. Queste regole mettono al primo posto gli interessi del sistema finanziario anche quando il comportamento della finanza é riconosciuto da quasi tutti come la causa dei problemi finanziari degli ultimi anni. Furono le grandi banche d'investimento a rendere possibile la crisi del sub prime del 2007, crisi che per molti aspetti ci accompagna ancora oggi. Allora, il governo americano seguito a breve dai governi europei decise di salvare dal fallimento chi aveva generato la crisi a spese dei contribuenti tollerando persino premi miliardari per chi era a capo di quegli stessi istituti finanziari e aveva diretto queste operazioni al limite della truffa.

Si continuò, cioè, a livello politico, a decidere che la priorità fosse pagare debiti anche quando questi fossero stati originati da quelle  stesse banche che avevano avuto ruoli di rilievo nella decisione di accensione del debito in una posizione di chiaro conflitto d'interesse. Insomma, si preferì addebitare al cittadino l'onere di pagare per scelte sbagliate anche quando era chiaro a tutti che a soffrirne sarebbero stati i più deboli.

Questi fatti dovrebbero essere il centro dell'attenzione politica, con maggioranza ed opposizione intente a studiare il problema e proporre ai cittadini possibili soluzioni su cui si dovrebbero confrontare tra loro e presentarsi agli elettori per chiederne la fiducia. Nei vari salotti televisivi dove l'opinione di molti si forma, questi temi sono rarissimamente trattati e quando lo sono o si fa uso di un linguaggio di difficile comprensione per l'ascoltatore medio o peggio si indulge nella pratica della rissa verbale dove alla fine nessuno riesce a capire nulla.

Gli “apprendisti stregoni” cui ho fatto riferimento in precedenza non solo sono incompetenti, ma spesso vogliono occultare quanto stanno facendo con i soldi dei cittadini perché sono anche disonesti. Gli esempi, ormai, sono diventati così tanti che verrebbe da pensare che l'onestà sia raramente presente nella gestione della cosa pubblica. Per questo, mi é parso indispensabile tentare di spiegare nella forma più accessibile possibile la natura di questi problemi ad un pubblico non necessariamente erudito della materia perché tutti abbiano in primis la consapevolezza che si debba assolutamente affrontare la questione del debito pubblico e del bilancio dello Stato se si vuole garantire un futuro alle nuove generazioni, ed inoltre perché tutti gli elettori abbiano strumenti di giudizio per valutare le proposte che le parti politiche si apprestano a presentare alla prossima tornata elettorale del 2013.

Soltanto così la questione del debito pubblico potrà essere affrontata con alle spalle la consapevolezza dei cittadini ed essere risolta perché molti altri paesi in Asia ed America Latina hanno vissuto anche recentemente situazioni simili e ne sono usciti a testa alta anche in periodi di tempo relativamente brevi. Ma per farlo bisogna avere a disposizione non degli “apprendisti stregoni” od anche dei 'tecnici faccendieri”, ma delle persone oneste e competenti, dei genuini politici, dal significato etimologico greco di “politikòs” , proprio del cittadino dedito cioè veramente al bene comune.{jcomments on}

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