DEMOCRAZIA -  EVOLUZIONE DI UN SISTEMA

di Gianluigi Cavaliere

Un modello di democrazia che da sistema di potere delegato o rappresentativo evolve verso un modello di organizzazione della comunità, basato su un concetto sia pure debole di democrazia diretta, non costituisce in nessun modo una novità  nelle forme della politica  e del potere della contemporaneità, essendosi tante volte in essa storicamente configurato secondo le più svariate modalità. Fin dalla rivoluzione russa del 1905 Lenin aveva teorizzato la necessità di superare ogni differenza tra rappresentanti e rappresentati (classica configurazione della democrazia rappresentativa) allo scopo di determinare le condizioni del superamento di ogni tipo di assetto statuale, come espressione degli interessi di potere delle classi dominanti, attraverso l’azione e la lotta dell’avanguardia del partito socialdemocratico russo. ‘Stato e rivoluzione’ costituisce una testimonianza teorica di prima mano, da parte del rivoluzionario russo, per comprendere la

prospettiva teorica e politica, incardinata su un’idea di estinzione dello Stato, verso cui proiettare la rivoluzione. ’Stato e rivoluzione’ rappresenta una elaborazione audace nella prospettiva di un comunismo, che neutralizza i  corpi intermedi dell’organismo statuale fino a far cessare ogni forma di separatezza tra dominatori e dominati e perciò stesso ogni forma di delega ancorché democratica . Si sa, naturalmente, come le cose siano finite in Russia nel 1917:  Lenin, immemore delle precedenti suggestioni di democrazia diretta, si risolse a regolare, anche per decreto, tutti i conti con gli avversari politici sia interni che esterni.

 

Ma se Sparta (Il socialismo reale) piange, Atene( le democrazie occidentali) non ride. Infatti il politologo, filosofo e pensatore politico americano, Robert Paul Wolff, fin dagli anni Settanta del 20° secolo, discutendo criticamente le tesi di John Rawls, e in particolare la sua ben nota teoria del cosiddetto ‘velo di ignoranza’ quale fondamento di una rinnovata riscrittura dell’hobbesiano ‘ pactum societatis ( Rawls aveva cioè immaginato una situazione in cui gli uomini, allo scopo di scongiurare forme di intollerabile iniquità sociale, riscrivessero il contratto sociale da una base per la quale nessuno dei soggetti contraenti avrebbe potuto precostituire il proprio destino sociale, da ciò il ‘velo di ignoranza’; la società in tal modo riassumeva il carattere di insocievole socievolezza e ridiventava teatro di una competizione virtuosa tra individui dotati di equivalenti opportunità di partenza) aveva elaborato una sua originale critica della democrazia americana, affermando che non riusciva a comprendere per quale ragione in un paese a vocazione democratica, quale erano e sono gli Stati Uniti, la ‘minoranza (degli ‘elettori’ ndr) avesse l’obbligo di sottostare alle decisioni della maggioranza’.  In realtà Wolff era perfettamente consapevole del fatto che nelle democrazie mature d’occidente lo scacco della minoranza, per non far ricorso all’abusata espressione ‘tirannide della maggioranza’, quasi sempre appare come la conseguenza di dinamiche interne, dinamiche determinate da gruppi oligarchici, condizionati  da una  ossessiva ricerca del potere e del suo consolidamento, che nulla ha a che fare con una politica finalizzata all’ottenimento di significative affermazioni di una astratta idea di giustizia o, per usare un’ espressione a forte corrività con uno degli idòla del senso comune presente, di bene comune. Il modello di democrazia delegata in auge negli USA ha mostrato, solo per richiamare un esempio, diversi limiti negli ultimi anni, come ha rivelato l’episodio della clamorosa impasse della rielezione di G.W. Bush nel 2004, allorquando il riconteggio delle schede elettorali venne interrotto d’autorità con una controversa decisione, a maggioranza, della Corte Suprema.

 

Nel nostro paese, che pure manifesta una indiscutibile anomalia, sotto il profilo del suo assetto istituzionale, caratterizzato com’è dalla presenza di pochi e ben strutturati raggruppamenti partitici di impianto democratico con una autentica democrazia interna, non dipendenti dalla personalità del leader o non espressione di leadership carismatiche e con uno scarso funzionamento del sistema di ‘checks and balances’,  si è imposto, negli ultimi venti anni, un tipo di democrazia parlamentare contraddistinta da una ragguardevole e muscolare,ma solo in apparenza, tendenza alla contrapposizione delle forze politiche alternative. Essa non solo non ha dato luogo a nessuna sana dialettica parlamentare, anzi , nutrendosi di massicce dosi di sterili personalismi , e facendo continuo ricorso alla tecnica delegittimante dei veti incrociati,  ha notevolmente sfibrato qualunque tentativo di individuare e portare a esito un sia pur timido processo di  riforma. Ma le contrapposizioni all’insegna dei personalismi o dei familismi amorali, sono un fenomeno che storicamente ha avuto una sua specifica origine  nazionale, essendosi formato come espressione di quello che Gramsci ha voluto qualificare come antico vizio delle classi dirigenti, cioè il sovversivismo delle classi egemoni. Si consideri, inoltre, che dalla fine del 2007, e soprattutto dall’estate del 2008, la crisi strutturale che si è abbattuta sul sistema capitalistico occidentale, e di conseguenza anche su quello italiano, e che si è manifestata in tutta la sua virulenza,  inizialmente mettendo in causa il sistema bancario e poi attraverso le ripetute aggressioni speculative a danno dei debiti pubblici sovrani, si è ripercossa su quella che da sempre è stata considerata la più imponente conquista sociale del 20° secolo: il welfare state. La violenta tempesta economica degli ultimi anni ha concorso, dunque, ad appesantire le già complesse criticità strutturali che hanno costellato L’Italia degli ultimi decenni.

 

Gli indugi dei diversi governi sul terreno degli interventi a sostegno del sistema produttivo ha costituito un ulteriore problema, che si è innestato sullo stato già critico dei modesti saggi di occupazione degli ultimi due decenni e ha frustrato qualunque iniziativa finalizzata a dare luogo a significativi aumenti nella produttività del lavoro con la conseguenza che il costo del lavoro, per ogni unità di merce che è stata prodotta dal sistema industriale, soprattutto in Italia, si è mantenuto a livelli non competitivi con ricadute negative  sulla dinamica delle esportazioni. La crisi occupazionale che ha devastato la grande industria pubblica e anche quella privata (la FIAT, ad esempio, prima degli anni  Settanta occupava oltre 100.000 dipendenti), a partire dalla fine degli anni Ottanta, non è stata mai completamente riassorbita dai ripetuti piani di ristrutturazione e di riconversione produttiva. Anzi a partire dal primo decennio del nuovo secolo, a seguito dei massicci processi di trasformazione strutturale del capitalismo e con l’approfondirsi del fenomeno della globalizzazione, la grande impresa ha subito un ragguardevole ridimensionamento mentre sono emersi con crescente intensità piccoli nuclei produttivi caratterizzati da un basso impiego di manodopera. Tuttavia la crescita, in valore assoluto, di piccole, medio-piccole e micro agglomerati produttivi ha dato un fortissimo impulso alla rottura del patto storico, in Italia come nei maggiori paesi industriali, tra economia di mercato e loro attori e classi dirigenti egemoni, contribuendo a depotenziare gli effetti che l’indirizzo delle politiche economiche adottate dai vari governi, sia al livello centrale che periferico, fa ricadere sulle dinamiche di mercato. Appare, in questo senso, quanto mai significativa la  incapacità di impiego degli aiuti europei, i fondi FAS sopra tutti, i fondi strutturali di riequilibrio economico,da parte sia dei governi nel loro potere d’indirizzo, e sia  di numerose regioni e non solo di quelle meno attrezzate. Il potere dunque sembra essersi precipitato in una palude limacciosa che ne sterilizza qualunque capacità di mediazione e di incisività nelle scelte politiche strutturali.  Si aggiunga che ai problemi specifici dell’Italia si sono sovrapposte le questioni irrisolte di una Unione Europea in cui la crisi del sistema bancario, oltre a tutte le altre difficoltà, seguita alle ondate di crisi provenienti dagli Stati Uniti a partire dall’estate del 2008, ha depresso ulteriormente il sistema produttivo. In seguito ad andamenti congiunturali complessi e drammatici è accaduto per la prima volta che sia stato posto in essere un perentorio intervento della BCE presieduta da Mario Draghi, già dai primi mesi del 2012, a sostegno degli istituti di credito in crisi nella misura di 1000 miliardi di euro, a un tasso dell’1% della durata di 3 anni. Ciò al fine di consentire a quegli stessi istituti di acquistare cospicui quantitativi di titoli dei debiti sovrani che in precedenza erano stati dismessi, causando numerose difficoltà ai paesi, come l’Italia, che dal Trattato di Maastricht in poi, avevano registrato i maggiori scostamenti nel rapporto tra debito e PIL. Questa importante e inedita iniziativa  europea però, anche se finora non ha prodotto significativi miglioramenti degli outlook di ripresa della economia nella cosiddetta eurozona inietta nei cittadini un po’ di ottimismo della volontà quantomeno.. Con ogni probabilità i mercati non hanno ancora creduto alla efficacia di un intervento della BCE a difesa della sostenibilità dei debiti dei paesi più vulnerabili e più a rischio di eventuali default, visto che la banca centrale di Francoforte è nata con il compito di garantire la stabilità dell’euro e di neutralizzare in radice qualunque pressione inflazionistica anche la più debole.

 

In una cornice così preoccupante allora, e così foriera di sviluppi negativi per le prospettive di benessere e per la tenuta del welfare in tutta l’area dei paesi a sistema democratico maturo, la mediazione storica, il grande compromesso o great bargain tra capitalismo e sistema democratico, che pure aveva resistito a innumerevoli crisi cicliche, dagli inizi degli anni Settanta del Novecento, corre il rischio di esaurirsi con conseguenze drammatiche soprattutto per i ceti più vulnerabili e più esposti agli effetti delle pressioni recessive. Nella crisi del 1929 il capitalismo americano seppe reagire con grande decisione alle sue conseguenze, grazie alla incisiva azione dei governi rooseveltiani. Il New Deal, e tutto il piano di iniziative messe a punto per fronteggiare i contraccolpi della crisi generale del capitalismo, diede un fortissimo impulso al rilancio della economia e già alla fine degli anni Trenta del’900 tutti gli indicatori economici più significativi avevano registrato così consistenti innalzamenti da far dimenticare gli effetti della desolante recessione di inizio decennio.

 

Occorre dire che la situazione di oggi è quanto mai complessa e forse anche di più  rispetto agli anni Trenta poiché la crisi si è prima di tutto insinuata nel settore delicato del credito bancario. L’aumento progressivo dei fenomeni di deindustrializzazione e la grande espansione del numero di disoccupati che ne è derivata, soprattutto tra i lavoratori di più giovane età, sta mettendo a dura prova la tenuta del tessuto democratico di molti paesi capitalistici. La radicalizzazione della lotta politica in Grecia, uno dei paesi dell’Unione Europea più colpiti dalla crisi di sostenibilità del suo debito pubblico, è uno dei segni preoccupanti delle implicazioni che l’attacco della speculazione internazionale ha determinato sulla tenuta degli equilibri non solo economici di quel paese, ma anche politici e sociali. Gli analisti internazionali non esitano a definire la situazione della Grecia come un classico esempio di un sistema economico che, anche a seguito di politiche del tutto imprudenti volute da classi dirigenti largamente inefficienti ,  mostra tutti i propri limiti avvitandosi in una spirale recessiva che potrebbe ben presto determinare un progressivo peggioramento della situazione generale con costi umani imprevedibili.

 

La crisi generale, ha accresciuto e incrementa sempre di più il generale discredito dei gruppi dirigenti tradizionali ritenuti responsabili di una situazione che appare ai limiti di un disastro senza precedenti. Ed essa potrà essere fronteggiata, nel nostro paese come negli altri paesi in crisi, solo seguendo il modello di quelli più avanzati, e solo da classi dirigenti più selezionate, ragione per la quale occorrerà mobilitare le competenze migliori  per determinare un reale rinnovamento dell’ intero establishment.

 

La democrazia diretta, che potrebbe diventare un efficace rimedio alla crisi strutturale, secondo la sua declinazione più recente, da Wollf a Bauman, appare sempre di più come  una sorta di democrazia liquida ed essa potrebbe avvalersi, a differenza del passato, del nuovo supporto delle reti informatiche come, d’altra parte da alcuni anni accade con esito interessante in alcuni paesi. Nel 2006 in Svezia fu fondato il ‘partito pirata’ che propalava le sue proposte politiche attraverso specifiche piattaforme informatiche con le quali i cittadini avevano la facoltà di discutere per aree tematiche individuate e selezionate in base a ordini del giorno non rigidi gestiti da admin dedicati con la funzione di controllare e certificare le deleghe riconducendole a persone fisiche.  Le deleghe erano  scelte secondo un sistema di proxy vote da parte di coloro che si erano iscritti alla piattaforma. Nel caso del ‘partito pirata’ si è verificato che gli utenti più attivi sulla piattaforma abbiano gradualmente preso una sorta di sopravvento sui meno presenti e in taluni casi sono stati proprio costoro, i più attivi, a concorrere alle decisioni più importanti. Un fenomeno simile si va imponendo in Italia dal 2007 e solo grazie alla formazione del ‘Movimento 5 stelle’. Tale raggruppamento politico, che fa capo a Beppe Grillo, costituisce una delle novità degli ultimi decenni nel nostro paese. Esso è una emanazione del blog di Grillo, www.beppegrillo.it, che è uno di quelli più visitati al mondo, come viene attestato da tutte le autorevoli agenzie di rilevazione. Il movimento nacque nel  2007 sotto la spinta di una singolare manifestazione svoltasi in diverse città italiane, a Bologna in primo luogo, che chiamava i cittadini a mobilitarsi contro la corruzione dei politici e contro un Parlamento, quello di quegli anni  (ma non è che le cose da allora siano mai cambiate), inzeppato di condannati con sentenze gravi e definitive. Il 4 ottobre del 2009 a Milano venne ufficialmente presentato il cosiddetto ‘Non-Statuto’ che evidenzia le caratteristiche della associazione. Anzi il ‘Movimento 5 stelle’ è Una ‘Non-Associazione’ che rappresenta una piattaforma finalizzata a facilitare il confronto politico che può svolgersi sul blog. Inizialmente questa inedita organizzazione ha stentato a imporre la propria agenda politico-programmatica. Tale piattaforma telematica favorisce una partecipazione diretta con discussioni e deliberazioni sulle proposte veicolate dal blog, ma due curiosi e singolari aspetti del ‘Non-Statuto’ emergono, destando qualche perplessità. In primo luogo, la sede del movimento coincide con l’indirizzo web, www.beppegrillo.it, e tutti i contatti transitano attraverso l’indirizzo di posta elettronica del comico genovese. Vi è, in secondo luogo, un art., l’art. 3, che puntualizza come “il nome del Movimento 5 Stelle, viene abbinato a un contrassegno registrato a nome di Beppe Grillo, unico titolare dei diritti d’uso”.

 

Occorre dire che, al netto degli scivolamenti autoritari che hanno costellato le ultime iniziative del leader fondatore, la novità politico-culturale della quale il ‘Movimento 5 Stelle’ è portatore rimane  inalterata poiché è la prima volta in Italia che una proposta  politica si rivolge al cosiddetto popolo della rete. Per quante perplessità possano sorgere rispetto a questa nuova forma partecipazione alla vita democratica, queste vengono dissipate giorno dopo giorno, se si considera che ben il 36% di cittadini italiani usa la rete per tenersi informato e partecipare al dibattito politico. Oltre il 20% di cittadini discute di politica online.

 

Il ‘Movimento 5 Stelle’ non intende trasformarsi in un partito politico neanche se dovesse vincere le prossime elezioni politiche per il rinnovo del Parlamento, ma tra le dichiarazioni di intenti e quello che realmente potrebbe accadere in caso di fortissima affermazione del movimento nulla si può pronosticare. Non vi è dubbio però che la volontà di non subire contaminazioni di ordine partitico è supportata sempre dal ‘Non-Statuto’ che all’art. 4 evidenzia come ‘M5S’ ‘vuole essere testimone della possibilità di realizzare un efficace scambio di opinioni e confronto democratico al di fuori di legami associativi e partitici e senza la mediazione di organismi direttivi ( sic! Ndr) riconoscendo alla totalità degli utenti della Rete il ruolo di governo ed indirizzo normalmente attribuito a pochi”.

 

L’elemento portante della nuova ‘Non-organizzazione’ è costituito dalla piattaforma, cioè da un social-forum, un meet-up,  una rete virtuale che si è, negli anni ben radicata permettendo di veicolare i programmi elettorali del movimento in tutte le consultazioni che hanno avuto luogo a tutti i livelli, locale regionale e prossimamente nazionale Gli esiti sono stati clamorosi, come nella consultazione regionale in Sicilia in cui ‘M5S’ è risultato di gran lunga il raggruppamento più votato dagli elettori siciliani. La scelta di Meet-up, un social- network fondato nel 2001 e disponibile in varie lingue, segnò un’autentica svolta poiché facilitò i primi contatti e stabilì le prime linee programmatiche che furono condivise dai pionieri del movimento. Il Meet-up nazionale e quelli che si costituirono localmente permisero di discutere ed elaborare proposte trasformando gradualmente la rete in una sorta di piazza virtuale nella quale realizzare un confronto democratico non privo di un’aspra dialettica orientata e influenzata dall’organizer, al quale è demandato il compito di suscitare la discussione sui punti di un ordine del giorno. Si può anche decidere di convertire la discussione virtuale in confronti aperti nel corso dei quali sottoporre i piani programmatici al vaglio di una verifica durante un incontro reale tra gli iscritti alla piattaforma. Il ‘M5S’ non solo discute  le questioni politiche aperte e prospetta soluzioni, ma, in vista delle elezioni politiche generali, ha organizzato delle autentiche  primarie online  per selezionare i candidati per il nuovo Parlamento, le ‘parlamentarie, così definite dagli esponenti del movimento. La partecipazione degli iscritti è risultata però largamente al di sotto delle attese.

 

Il ‘M5S’ si è, pertanto, strutturato secondo  modalità che sono tipiche di un movimento politico che ha nel web il proprio mezzo di mobilitazione ma non solo. Il web, in realtà, costituisce anche un fine in sé, poiché, sempre se si considera l’art. 4 del ‘Non-Statuto’, è in capo agli utenti della rete che ricade una precipua responsabilità di governo, e sono proprio costoro con la loro partecipazione a costituire la fonte che legittima ogni deliberazione e che dà fondamento democratico ai contenuti e alle indicazioni della piattaforma programmatica,  sia che essa riferisca i propri obiettivi al governo del territorio, sia che essa diventi supporto del  gruppo di candidati selezionato in rete per il futuro Parlamento.

 

Il problema che si pone infine, se si considerano con attenzione le implicazioni che discendono dal ‘Non-Statuto’del ‘M5S’, è dato dal tentativo di conferire alla rete anche un carattere di fine oltre che di veicolo di idee e di mezzo di elaborazione politica. L’avere cioè voluto trasformare il web in una liquida Agorà, teatro di una democrazia non solo virtuale, costituisce per l’Italia una novità significativa, anche se quello di Grillo e dei suoi amici non è il primo tentativo di trasformare internet in principio e fine della politica. Occorrerà valutare però, e con molta attenzione, in che misura lo spontaneismo democratico del popolo di internet  potrà essere coniugato con la esigenza di portare a esito le deliberazioni  con il contenuto delle quali solo una parte di cittadini, anche se maggioritaria, si riconoscerà. La sconcertante svolta autoritaria di Beppe Grillo negli ultimi tempi, con gli anatemi prima indirizzati a un gruppo di dissidenti interni del ‘M5S’, con la sua unilaterale decisione poi di espellerli dalla organizzazione diffidandoli dall’uso del marchio del movimento, oltre a non promettere nulla di buono per il futuro della nuova forza politica, fa emergere, in essa, una complessa contraddizione, che è poi l’eterna contraddizione delle forze politiche con venature populiste, tra la natura democratico-anarchicheggiante degli utenti dei Meet-up, e il decisionismo autoritario del fondatore che proprio costui considera ineluttabile. Le scadenze politiche delle prossime settimane daranno una risposta a queste questioni irrisolte e  anche al bisogno di una maggiore trasparenza e meritocrazia nella difficile opera di selezione dei gruppi dirigenti del paese. Tali scadenze, forse, potranno farci comprendere meglio se il processo di trasformazione della democrazia delegata in democrazia liquida costituisce un reale avanzamento sul terreno di una maggiore partecipazione pubblica ai processi di decisione politica oppure se si tratta di una semplice astuzia dettata dalla inconfessata vanità di qualche politico emergente.{jcomments on}

DESIGN BY WEB-KOMP