GLI ERRORI DEGLI ECONOMISTI

La tesi che definisce la soglia del rapporto Debito/Pil è basata su calcoli sbagliati. Lo hanno pubblicamente ammesso gli economisti del FMI che la hanno elaborata e imposta ai Paesi in crisi. Incredibilmente in Italia nessuno ne parla.

(VI)

di Marco Borsotti

Le molte verità

Visto l'imperversare in politica e nelle fonti d'informazione di persone che sono appellate e spesso si gloriano d'esserlo con il titolo d'economisti, mi sembra giustificato porsi la domanda se quanto asserito da questa categoria di pensatori sia degno di fede. Infatti, sempre più frequentemente nei vari salotti televisivi e nei giornali costoro ci spiegano con toni diversi, ma tutti ammantati dalla certezza di sapere quello che a loro vedere sarebbe meglio per tutti dal momento che l'economia é una scienza sociale che l'uomo utilizza per definire le scelte da farsi per portare avanti al meglio la vita economica del paese, anzi dell'intero pianeta. Il futuro che prospettano é sempre roseo, ma é anche sempre futuro, cioè un qualche cosa verso cui tutti debbono aspirare per il bene comune che solo potrà realizzarsi se oggi si sia disposti ad accettare qualche sacrificio e, più importante di tutto il resto, si accetti di mettere in pratica le ricette che detti economisti reputano siano la giusta maniera per raggiungere il fine cui tutti aspirano.

Il fatto che le ricette proposte differiscano tra loro in modo impressionante al punto da proporre molto spesso cammini diametralmente opposti, non scoraggia i cultori della materia dal cercare di convincere chi li ascolta che sono gli altri colleghi a sbagliare, a volte perché in realtà non sono veri economisti, spiegazione data recentemente in un dibattito televisivo da Michele Boldrin per confutare le parole di Loretta Napoleoni (La7, Piazza Pulita del 12 febbraio 2013), mentre loro invece sanno quello che si deve realizzare per il bene di tutti. In quest'ultimo aspetto, gli economisti da qualunque scuola provengano sono tutti in accordo nell'affermare che quanto proposto da ciascuno di loro ha come fine il bene di tutti. La finalità ultima dell'economia essendo, infatti, la massimizzazione della soddisfazione dei bisogni individuali di tutta l'umanità.

Quindi perché non dovremmo fidarci di loro e, seguendo i dettami delle loro teorie, raggiungere il nirvana? Beh, in primis perché, come già scritto, gli economisti non si sono dimostrati molto d'accordo tra loro su quanto si dovrebbe realizzare, ma anche perché, guardando indietro nel tempo, per quelli tra noi che abbiano una buona memoria della storia recente, le teorie proposte non sono, praticamente mai, servite ad anticipare gli eventi che si stavano profilando. Ammetto che sempre ci siano state alcune voci discordanti che durante periodi di benessere invitavano alla prudenza ed a non pensare che la situazione sarebbe potuta durare indefinitamente. Ma il fatto che sorprende di più é che i centri di ricerca che gestiscono complessi modelli matematici di previsione economica, penso alle grandi università e ai vari organismi internazionali, non siano stati in grado d'anticipare il sopraggiungere di una inversione di rotta del sistema sino al momento in cui i dati presi dalla realtà non contraddicessero quelli prodotti dai loro modelli econometrici. Un esempio per tutti, l'arrivo della crescita successiva alla peggiore crisi economica di cui si abbia conoscenza dopo quella del 1929, quella recente del 2007 che continua sino ai nostri giorni. Tutti si affannano in questi giorni a presagire che la ripresa ,dopo la caduta del PIL che lo ha portato a valori di almeno venti anni fa, sia dietro la soglia, nel prossimo trimestre, forse prima della fine dell'anno in corso, per poi dover proclamare che i dati continuano ad essere negativi, senza però mai scusarsi per le previsioni sbagliate che sino al giorno prima vendevano come fossero oro colato.

Se non altro bisognerebbe scusarsi per aver screditato in modo definitivo i cultori della materia economica. Ma di una cosa possiamo essere certi; gli economisti non mancano di autostima e soprattutto sono privi di autocritica. Per gli errori, anche i più madornali esiste sempre una spiegazione plausibile ex-post che chiarisca perché quello che avevano affermato fosse impreciso per ragioni che erano fuori dal loro controllo.

A questo punto, prima di continuare nello sviluppo della mia tesi, mi pare necessaria una breve parentesi personale per chiarire che chi scrive ha una esperienza del tema essendomi occupato d'econometria sin dai primi anni settanta quando studiando redassi una tesi econometrica sui modelli di previsione della propensione all'investimento. Allora scoprii che gli investitori prendevano le loro decisioni basandosi esclusivamente sulla loro percezione personale del futuro, un fattore assolutamente soggettivo e svincolato dai fatti che occorrevano attorno a loro, sia in politica che nella sfera dei così detti incentivi economici. L'opinione personale del momento sommata a quella dei loro pari era infatti il solo criterio che anticipasse le future previsioni d'investimento. Tutto sommato una verità lapalissiana che però non corrisponde alle maggiori teorie economiche ancora in auge che sono tutte convinte che scelte pubbliche adeguate siano lo stimolo principale per i futuri investimenti.

Siamo sicuri che l'austerità sia la strada maestra?

Tornando al tema, é di questi giorni una notizia che avrebbe dovuto far arrossire gran parte del mondo degli economisti e  travolgere la reputazione di quasi tutti i politici del vecchio continente provocandone le dimissioni in massa per dimostrata incompetenza perché con il loro agire avrebbero causato gravi disagi immotivati alla maggioranza dei loro elettori. Questa notizia é infatti circolata, ma senza grande clamore, su riviste specializzate o giornali di nicchia invece di essere, come a mio parere avrebbe dovuto, il fondo di maggior rilievo della prima pagina dei giornali e dei notiziari televisivi.

Quale era questa notizia così sconvolgente per il sonno della politica e la reputazione degli economisti? L'asserzione che le politiche d'austerità fossero la sola strada da seguire per mettere in sicurezza il futuro di un paese quando il rapporto tra il Prodotto Interno Lordo ed il debito pubblico avesse superato la soglia del 90%, era di fatto falsa, frutto di un errore di calcolo commesso da due eminenti professori di Harvard, Kenneth Rogoff e Carmen Reinhart, nel maneggiare il foglio elettronico di calcolo, utilizzato. Ecco come si è giunti alla scoperta. Recentemente, due altri professori, Robert Pollin e Michael Ash, avevano affidato ad un loro studente, Thomas Herndon, un esercizio in vero poco praticato, quello di prendere i dati utilizzati e rifare i conti, quello che avrebbero dovuto fare, ma non fecero, né la rivista che aveva pubblicato lo studio nel 2010, né i colleghi che furono consultati per rivedere l'articolo prima che fosse pubblicato. Lo studente scoprì che i conti non tornavano e che tutta l'asserzione era viziata da un errore sistemico dal momento che i paesi a deficit superiore crescono un po' meno degli altri, ma continuano pur sempre a crescere anche a fronte di un debito pubblico superiore al valore dell'intero PIL annuale.

Per capirci meglio, il vincolo di bilancio nella Costituzione, il taglio alle pensioni, il licenziamento di personale nel settore statale, i tagli lineari alla scuola, sanità, servizi, l'innalzamento del prelievo fiscale diretto ed indiretto, tutte cose imposte nella convinzione che un alto deficit pubblico fosse la causa delle difficoltà economiche di oggi si basava su di un errore di calcolo. Per questo oggi in Italia abbiamo un numero ancora sconosciuto di esodati, i livelli di povertà e di miseria sono saliti a valori preoccupanti che coinvolgono ormai quasi un italiano su quattro, i disoccupati toccano ormai più del 12% della forza lavoro totale e oltre il 38% dei giovani sono ancora in cerca della prima occupazione. Ebbene tutte queste cose non erano necessarie, anzi probabilmente sono la ragione per cui l'economia del paese sta andando sempre peggio.

Ci si sarebbe aspettati che i due professori responsabili dello sbaglio si scusassero. No, hanno insistito che anche se i calcoli erano sbagliati, cosa che ammettono, l'economia dei paesi ad alto debito cresceva comunque un po' di meno, quindi avevano pur sempre ragione loro, come dimostrato nell'articolo pubblicato dal New York Times del 26 aprile di quest'anno. D'altra parte, i politici italiani, con la complicità della maggior parte dei giornalisti, hanno semplicemente oscurato la notizia che non ha avuto nessun rilievo per non correre il rischio di dover rispondere alle giuste rimostranze di chi, colpito dalle misure d'austeritá, era stato gettato in rovina dalle loro scelte dimostratesi errate.

Al rispetto, sono stati scritti molti libri sostenendo che i dati dell'economia sono sempre e comunque manipolati da chi controlla il sistema per poter giustificare di fronte all'opinione pubblica decisioni che altrimenti risulterebbero impopolari. Casi come quello appena menzionato darebbero ragione a questa interpretazione perché risulta francamente difficile accettare che sia stato solo il caso a svelare l'errore che si nascondeva nei fogli di calcolo dei due celebrati accademici. Prassi vorrebbe che i calcoli debbano essere verificati da una fonte indipendente prima che i risultati siano accettati come corretti e quindi pubblicati. Ovviamente, in questo caso si decise di soprassedere alla prassi e pubblicare senza una appropriata verifica d'attendibilità.

Ma anche ammettendo che si sia trattato di un errore fortuito, chi andrà a dire ai greci che la cura cui sono stati sottoposti è stata uno sbaglio? Chi potrà continuare a proporre l'austerità come la strada maestra per il risanamento e il benessere futuro dei cittadini? Chi avrebbe il coraggio di farlo? La risposta é di fronte agli occhi di tutti, i nostri politici e la gran parte degli economisti che approfittando dell'oscuramento della notizia, continuano a blaterare che non ci sono alternative e che la sola strada da seguire sia continuare a demolire lo stato sociale a tutto vantaggio del settore privato. Capisco che i politici non vadano in giro affermando di aver commesso un errore, dal momento che potrebbero compromettere il loro futuro, ma non capisco né giustifico gli economisti che, se fossero veri scienziati, dovrebbero ammettere l'errore e farne ammenda.

Le ammissioni di di colpevolezza del FMI

Mi si potrebbe obbiettare che il caso appena citato, per quanto grave, rappresenta una spiacevole eccezione e che normalmente le strategie di politica economica proposte da rilevanti scuole di pensiero economico sono in linea di massima corrette. Infatti, come spiegare che tante persone responsabili della cosa pubblica e del bene dei loro cittadini prestano fede e applicano senza tentennamenti teorie che non hanno un rigoroso fondamento scientifico e non si basano su dati certi atti a dimostrarne l'attendibilità? Forse, é giunto il momento di rivedere molte certezze e iniziare a mettere in dubbio le motivazioni che ispirano le decisioni prese dalla classe politica. Forse, anche se tutti, a parole, proclamano di avere a cuore l'interesse degli elettori e solo quello, in realtà perseguono interessi alieni a quelli conclamati, interessi di parte, di quella parte che si riconosce nei poteri forti della finanza, del sistema bancario, delle grandi multinazionali.

Ma prima di dare credito a queste supposizioni populistiche, vediamo se ci sono stati altri casi di errori di calcolo o di previsione successi nel nostro passato recente.

Non dobbiamo risalire molto indietro per trovare in gennaio di quest'anno un mea culpa senza precedenti. Olivier Blanchard e Daniel Leigh, come riporta  il Washington Post che lo cita hanno concluso un studio dal titolo poco entusiasmante: Errori Previsionali di Crescita e Moltiplicatori Fiscali. Lo studio, nel linguaggio astruso di questo tipo di pubblicazioni spiega che osservando l'andamento delle risposte dell'economia europea in relazione alle politiche di riduzione del debito e alla crescita dell'economia, si é rilevato che i criteri di calcolo applicati dalla Troica (BCE, IMF, EU) per prescrivere le sue ricette e che prevedevano una contrazione dello 0,5% per ogni punto di riduzione del debito, erano sbagliati. Lo studio dimostra, infatti, che la contrazione é di molto maggiore, oltre l'1,5% e forse anche di più.

Ma chi é Blanchard e cosa rende senza precedenti la sua ammissione? Blanchard, persona che conosco avendolo incontrato in varie occasioni, é proprio il Capo Economista del FMI. Come uomo é certamente persona mite ed onesta come dimostra l'ammissione che fa dell'errore senza cercare scusanti, ma rimane sorprendente e preoccupante che i revisori dei conti di tutti i paesi in difficoltà strutturali in Europa si siano fatti condizionare da un simile errore. Cioè, abbiano sottostimato in maniera inaccettabile le conseguenze delle decisioni che stavano imponendo. Perché la conseguenza dell'errore non é soltanto una caduta maggiore del previsto del PIL, ma anche un allungamento, per ora non ben definito, dei tempi di recupero. Tradotto in soldoni, la Troica non sa dare una risposta certa su quando le economie sottoposte al salasso cui sono state obbligate saranno in grado di ridare speranza per il futuro alle popolazioni che ne stanno pagando i costi in termini di caduta del livello del benessere, di crescita della povertà relativa ed assoluta,  , di disoccupazione e di mancanza di servizi essenziali come salute e educazione.. Insomma, una tragedia annunciata che é stata sottostimata da coloro che per mestiere dovrebbero sapere fare molto meglio i conti.

Blanchard, a modo suo, ha ammesso l'errore, ma non ho ancora visto nulla di simile da parte della BCE e della Commissione Europea, anzi, ancora recentemente il Governatore della BCE, Mario Draghi, affermava che le scelte di politica economica fatte dal governo Monti, che sono tutte in linea con le prescrizioni della Troica, erano come il pilota automatico dell'economia italiana che mantenevano ferma la rotta nell'implementazione delle misure d'austerità auspicate e che nessuna decisione politica potrebbe cambiare quel corso d'azioni. Nuovamente, tradotto in soldoni, il pilota automatico ha al suo interno dei dati che sono sbagliati e che non porteranno il paese dove avrebbe dovuto andare, ma la politica non può fare nulla per cambiare rotta perché simili decisioni violerebbero il patto di stabilità europeo e, ahimè, il vincolo costituzionale approvato l'anno scorso da quasi tutto il Parlamento. Questo fatto in sé é talmente scandaloso che non trovo parole per esprimere la mia totale ed assoluta disapprovazione per simili cose.

Sorprendentemente, l'Italia é appena uscita da una campagna elettorale piuttosto accesa dove i partiti in lizza non si sono risparmiati ogni sorta d'accusa. Fatte poche eccezioni, i temi che ho appena riportato e che erano già a conoscenza di tutti coloro che volevano sapere non sono stato oggetto di dibattito, anzi nell'ambito della politica economica gli schieramenti in lizza, fatta eccezione per il Movimento Cinque Stelle si erano tutti detti intenzionati a continuare a seguire le stesse politiche sin qui adottate dal governo precedente, aggiungo io, anche se viziate da errori.

I più forti mangiano sempre i più piccoli

La domanda che sorge spontanea é certamente: perché lo fanno? visto che é da escludere che non siano a conoscenza del fatto che tutto questo non solo non serve, ma per molti aspetti é invece fortemente pregiudiziale per una quota importante della popolazione. La risposta é semplice e trova le sue radici nei meccanismi di accumulazione di capitale che sono stati all'origine della formidabile espansione europea che, a partire dal sedicesimo secolo, ha progressivamente conquistato il resto del mondo. La colonizzazione prima e l'imperialismo poi sono stati i modelli di conquista, modelli che hanno permesso la depredazione delle risorse naturali dei paesi via via conquistati ed assoggettati, allora si diceva in tono pudico “civilizzati”, a totale vantaggio delle potenze emergenti. La forzata apertura di quei mercati e l'esproprio delle loro risorse accompagnati dall'imposizione di condizioni di monopolio per i prodotti che invece quei paesi dovevano importare, tutto fatto quasi sempre con l'uso della forza, permisero un'espansione senza precedenti nei paesi che gestivano questi processi. Sino all'inizio del secolo passato il fenomeno era ad esclusivo vantaggio di una modesta classe dirigente, ma negli ultimi novant'anni il vantaggio si estese a favore di fasce sempre più larghe di popolazione. Bene, a partire dagli anni sessanta, con l'avvio della decolonizzazione, seguita dal crollo del sistema della parità aurea nel 1971, questi meccanismi avevano progressivamente smesso di funzionare a vantaggio dell'Europa. Venuta meno questa fonte di accumulazione primaria, i paesi economicamente più forti in Europa hanno cercato e trovato soluzioni alternative. I proventi delle ormai inesistenti colonie sono stati sostituiti da una sorta di cannibalismo interno del sistema europeo. I paesi più sviluppati o comunque favoriti da circostanze interne, hanno iniziato ad espropriare i paesi periferici dell'Unione Europea. L'adozione della moneta unica ne ha semplicemente accelerato il processo dando alle grandi banche del nord Europa gli strumenti necessari per consolidare la loro supremazia.

Guardiamo allo stato attuale delle cose. Chi é intransigente nel domandare agli altri sacrifici e rifiutare qualunque soluzione di solidarietà europea? La Germania, in primo luogo, ma più in generale i paesi che appartengono al blocco del Nord. L'argomento presentato a tutti come giustificazione per tale posizione é sottilmente ipocrita. Infatti si proclama che le scelte del Sud o della periferia non debbono gravare sulle spalle dei morigerati contribuenti dei paesi nordici. Chi ha speso troppo deve adesso pagarne la conseguenza. Peccato che ci si dimentichi che in un passato ancora recente i promotori del rigore applicarono a loro stessi criteri più flessibili per permettersi di violare i vincoli di bilancio. Ma ancora più rilevante é notare che chi abbia in molti casi spinto perché quelle spese eccessive fossero approvate dai paesi della periferia europea, a volte ricorrendo alla corruzione dei politici che le approvarono, siano quegli stessi paesi che dopo averne tratto profitto allora, oggi si assicurano che il dovuto gli sia restituito senza dare spazi alla stessa flessibilità di cui usufruirono in passato. Hanno spinto per generare l'economia del debito, da buon usurai, per ora vivere degli interessi di un debito che non potrà mai essere ripagato. Per questo dico che si tratta di una forma di cannibalismo di una parte d'Europa verso un'altra che oggi gioca lo stesso ruolo che le colonie hanno rappresentato precedentemente.

Bene, l'eticità del debito non risulta soltanto essere argomento della politica, ma anche dell'economia che minaccia il fallimento per tutti se i sacri vincoli della parola data dovessero essere violati e ci si rifiutasse semplicemente di pagare. Il debito é nient'altro che denaro che genera altro denaro. Le aste per la vendita di titoli di Stato che periodicamente si svolgono servono a coprire il deficit pubblico generato dagli interessi del debito da pagare. Infatti, in Italia, ma questo é certamente vero per le altre nazioni che si trovano in una simile situazione, le entrate fiscali superano abbondantemente le uscite, lasciando un margine che sarebbe atto a ripagare il capitale ottenuto in prestito negli anni precedenti. Per fare questo, basterebbe assicurarsi che gli interessi sul debito non fossero a valore speculativo. Basterebbe fare in modo che fossero uguali o inferiori agli interessi che l'anno scorso la BCE ha chiesto alle banche che hanno fatto uso del credito agevolato emesso dalla Banca Centrale Europea. Per ottenere questo sarebbe sufficiente sapere che la BCE operi come prestatore di ultima istanza, cioè che si impegni a comprare ad un tasso minimo qualunque titolo di Stato invenduto rendendo con questo, vuoto qualunque tentativo di speculazione finanziaria.

Tutto questo gli economisti lo sanno benissimo, ma sono in pochi a dirlo e ovviamente nessuno dei politici che loro consigliano si impegna perché questa semplice soluzione del problema sia attuata. Chi ne resterebbe svantaggiato se ciò avvenisse? Il grande sistema finanziario, i poteri forti che controllano economia e politica.

Questo é ormai il terzo esempio recente dove si nota che non ci si debba fidare troppo dei consigli degli economisti in quanto non è così raro che, per errore o per omissione, suggeriscano soluzioni che possono anche essere a tutto svantaggio del cittadino.

Sarà proprio vero che si debba far pagare meno tasse ai ricchi?

Ma addentriamoci adesso in un tema molto caro ai neo liberali, una genìa particolare di economisti divenuti molto influenti e famosi grazie ai lavori teorici realizzati dalla scuola di Chicago che  fruttò loro, ed in particolare al suo esponente più conosciuto, Milton Friedman ben 22 Premi Nobel per l'Economia.

Con il rischio di banalizzare il tema, scriverò che la tesi centrale di questa scuola di pensiero é che il mercato lasciato libero di agire troverebbe sempre le soluzioni migliori per tutti, mentre gli interventi statali in economia sono stati e continuano ad essere alla radice della sua inefficienza e di molti dei suoi mali. Quindi, libero spazio al mercato perché possa dirigere le scelte di allocazione dei capitali mentre si riduca il potere dello Stato ai suoi minimi termini, limitandone in particolare le  ingerenze nella sfera economica che deve essere lasciata al gioco di per sé perfetto della ricerca del miglior equilibrio tra la domanda e l'offerta.

L'applicazione dei precetti di questa scuola di pensiero economico ebbe notevole impulso quando nel settembre 1973 ci fu il colpo di Stato ordito dal generale Pinochet con l'appoggio degli Stati Uniti, contro l'allora legittimo Presidente del Cile Allende. Quasi subito dopo il concludersi delle prime operazioni militari che erano costate la vita a Allende e a varie migliaia di cittadini, un gruppo d'economisti della Scuola di Chicago arrivò a Santiago con un breviario di cose da fare per mettere in atto il modello neo-liberista. Non mi addentro in spiegazioni su quanto successe se non per scrivere che gli iniziali apparenti successi, furono utilizzati dalla destra americana per promuovere su scala internazionale l'adozione di simili strategie.

Infatti, sino al 1972 aveva prevalso una scuola diversa di pensiero, quella keynesiana che aveva avuto la sua forza nei meccanismi  di Bretton Woods, località dove nel 1944 erano stati firmati gli accordi che portavano quel nome e che per circa trent'anni regolarono le relazioni economiche internazionali valendosi dei servigi della Banca Mondiale e del Fondo Monetario Internazionale che erano i pilastri istituzionali dell'accordo. Per semplicità mi limito a menzionare che questa scuola di pensiero economico attribuisce allo Stato un ruolo centrale per calmierare l'economia in periodi di crisi, esattamente l'opposto di quanto sostenuto dai fautori del libero mercato. L'accordo entrò in seria crisi quando il Presidente Nixon annunciò al mondo la fine della parità aurea del dollaro, moneta di riferimento che sino allora era stato il cardine del sistema valutario internazionale. Senza entrare nei dettagli della questione, la mancata parità del dollaro generò un vero e proprio terremoto che vide in una breve sequenza di anni eventi molto destabilizzanti come la prima crisi del petrolio del 1973 che segnò l'inizio di turbolenze nei mercati di tutto il mondo.

A dare una nuova risposta globale arrivò l'elezione nel 1980 di Roland Reagan alla Casa Bianca che trovò nella neo eletta Primo Ministro britannico Margaret Thatcher una forte alleata. Entrambi infatti erano convinti che i problemi dell'economia fossero il risultato delle interferenze dello Stato nella gestione dei mercati per cui la loro ricetta fu semplice: meno Stato e più libertà ai mercati perché si regolino da soli. Ovviamente, Banca Mondiale e FMI furono istruiti perché diventassero il gendarme mondiale di questa visione imponendola a tutti i paesi che volessero valersi del loro aiuto. Da enti preposti a facilitare lo sviluppo, divennero guardiani di una ideologia politica.

Questa lunga premessa per arrivare al punto che voglio toccare per ultimo. Uno dei cardini della teoria neo liberista è il fatto che a decidere dello sviluppo dovesse essere il mercato e più in particolare gli investitori che, rischiando in prima persona i loro fondi, avrebbero certamente fatto le scelte più convenienti per loro. Sino a questo punto, tutto bene, infatti chi decide d'investire si aspetta sempre di trarne profitto. Ma la teoria insinua che nell'insieme dell'economia la sommatoria di tutte queste decisioni individuali non poteva che dare il miglior risultato possibile per tutti, includendo nel 'tutti' non solo gli investitori, ma anche tutti gli altri cittadini del pianeta. Quindi, perché tutti, anche i poveri potessero trarre beneficio era essenziale offrire il miglior spazio possibile a chi avendo i capitali a sua disposizione decidesse di investirli. La cosa da fare, perciò, doveva essere ridurre le tasse alle fasce più alte di reddito perché quei soldi sarebbero stati spesi ottimamente se fossero rimasti nella disponibilità di chi li sapeva sfruttare al meglio invece che nelle casse degli Stati che erano incapaci di farne il miglior uso possibile per la collettività.

Se tutto questo fosse vero, avremmo trovato il modo di conciliare tutti gli interessi, soddisfare i ricchi che avrebbero avuto più capitale a loro disposizione, ma anche incontrare risposte per i più poveri che grazie al miglioramento generale dell'economia avrebbero avuto la possibilità di migliorare le loro condizioni. Insomma sarebbe il nirvana per tutti. Peccato che dopo circa trent'anni ci si trovi nella crisi economica più drammatica ed i presupposti della teoria non si siano mai realizzati proprio perché il mercato ha dimostrato di non sapersi regolare da solo perché i grandi magnati, i poteri forti già menzionati in precedenza, lo hanno manipolato a loro esclusivo vantaggio e non anche per il bene di tutta la comunità e perché è mancato lo strumento per impedir loro di farlo.

A dircelo, questa volta, non é una rivista pericolosa dell'estrema sinistra radicale, ma un rapporto preparato per il Congresso degli Stati Uniti del settembre 2012 (Taxes and the Economy: An Economic Analysis of the Top Tax Rates since 1945 preparato da Thomas L. Hungerford) dove si dimostra che la supposta correlazione tra basse tassazioni e propensione all'investimento produttivo ed alla crescita generalizzata, non si é mai materializzata. I ricchi i soldi li usano per diventare sempre più ricchi, ma a scapito di tutti gli altri che vedono la quota di benessere e ricchezza globale di cui dispongono ridursi anno dopo anno. Per chi fosse interessato a vedere anche una rappresentazione grafica di quanto ho appena scritto, raccomando la visione di un breve clip che in poche immagini illustra l'estensione di questa nuova mistificazione, quella cioè di dare ai ricchi perché essi aiutino i poveri a migliorare la loro situazione. Il link al clip menzionato si trova qui.

Come si può facilmente vedere, ancora una volta degli economisti hanno venduto una formula menzognera contrabbandandola come la soluzione per i problemi della società.

Per questo, mi pare sensato diffidare delle ricette troppo facili che gli economisti propongono; perché il più delle volte, intenzionalmente o no, costoro hanno a cuore soltanto gli interessi di coloro che già possiedono molto e non certo gli interessi di tutti. Cerchiamo di ricordarcene la prossima volta che dovremo dare la nostra fiducia a qualcheduno.

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