TRA MIMOSE E GELSOMINI

Voci dal Forum Sociale Mondiale in Tunisia

di Gisella Evangelisti

Ce l’hanno fatta, le associazioni della societá civile tunisina, a organizzare con pochissimi fondi  il dodicesimo Foro Sociale Mondiale a Tunisi, dove si prevedeva l’arrivo, tra il 25 e il 30 marzo, di 70 mila persone da tutto il mondo  (con 2700 organizzazioni)  per condividere  esperienze alternative per "un altro mondo possibile". Il Foro si é svolto in un campus moderno, con edifici bianchi e finestre blu, tra alberi di mimosa. Vi circola una gioventú vivace e appassionata, che discute in gruppi, distribuisce opuscoli, suona tamburi. Questa gioventú ha dato un gran tributo di sangue alla “rivoluzione dei gelsomini” del 2011,  ma non ha ricevuto ció che si aspettava: lavoro e democrazia.

Il governo di Ennhada, un  partito islamico affiliato ai Fratelli musulmani, attualmente al potere in Tunisia, secondo il Fronte Popolare, che lo avversa,  é piú attento al pagamento del debito estero contratto dalla dittatura, che ai bisogni della gente. Insomma, neoliberale in economia e tradizionale nella morale.

"Molti  hanno votato per gli islamici perché sono stati repressi ed esiliati durante la dittatura, e avevano il diritto di partecipare alla vita politica. Li credevano innocui, ma si sbagliavano, come in Egitto", spiega Bessma Khalfaoui, un’avvocata  che nel suo discorso cerca di frenare le lacrime. Bessma é la vedova di Chokri Belaid, il leader del Movimento Patriottico Democratico Unificato, che aveva denunciato in tv,  il 5 febbraio, la complicitá del governo con la violenza contro gli artisti, organizzata dalle “Leghe per la Difesa della Rivoluzione”, gruppi armati di islamici radicali. Il giorno dopo, quattro proiettili in testa lo fecero tacere per sempre.

Jamila, Zeineb, Alí, sono alcuni degli studenti volontari che,  per l’insufficienza delle apparecchiature per la traduzione dall'arabo, ci aiutano a immergerci nell'atmosfera animata del Foro. Jamila va in  jeans e maglietta, Zeineb porta un fazzoletto che copre la testa (il hijab), Alí sfoggia un berretto di llana sportivo, e fa colazione con datteri e mandorle e un té alla menta. Parlano fluidamente 3 o 4 lingue, e desiderano  aprirsi al mondo. Sono felici di poter conoscere, per esempio, un indiano nordamericano con tanto di lunghe trecce, che parla della follia della economia mondiale, grazie alla quale chi muove numeri su uno schermo, commerciando o speculando sugli alimenti, guadagna mille volte più di un agricoltore che li produce. L’ascoltano  parlare della sacralità della Terra, che anche gli stessi indios possono inquinare con l’attivitá petrolífera, come in Alaska. Il suo nome è Tom Goldtooth, e fa parte dell'Indigenous Environmental Network.

Jamila, Zeineb e Alí sono piacevolmente sorpresi nel conoscere iniziative come la  "Carovana contro la mafia", che gira per il Sud dell'Italia per aiutare la gente a liberarsi da  paura e rassegnazione,  o "L'Italia Sono anch'io", la campagna per dare voce e voto agli immigrati nella penisola, (che punta ad ampliarsi a  livello europeo, coinvolgendo 32 milioni di immigrati nel continente). Scoprono che la lotta contro le grandi dighe e le società minerarie che spostano le popolazioni autoctone, causando gravi danni ambientali, è un problema globale, che va dal Perù all'India, passando per l'Iraq, la terra dove fiorirono le civiltá della Mesopotamia sui  fiumi Tigri ed Eufrate, e che adesso li vede inquinati o quasi prosciugati, per le dighe costruite a monte in Siria o Turchia.

Varie associazioni africane presenti nel Foro,  denunciano ll land grabbing, l’accaparramento di terre nel continente, con espulsione di  piccoli agricoltori,  da parte di grandi aziende, banche, assicurazioni, o governi stranieri, che vogliono garantirsi  alimenti in futuro o semplicemente investire e speculare sui loro prezzi. Solo in Mozambico ci sono due mega contratti di milioni di ettari, uno stipulato con  Brasile e Giappone, un altro con Brasile e Unione Europea.

Con gli amici tunisini ci immergiamo nel gran fermento dello Spazio Clima,  organizzato da più di 40 associazioni ambientaliste internazionali. I disastri ambientali dovuti al cambio climatico, di cui é responsabile, con l’emissione senza controllo di gas serra, la produzione industriale degli ultimi decenni,  stanno provocando 400 000 vittime all'anno nel mondo, avvertono gli ambientalisti. Tra i fattori inquinanti meno conosciuti, l’aumento del consumo di carne. I milioni di animali che esistono nel mondo producono più gas metano e CO2 l'intera popolazione umana! Che fare? Secondo Pablo Solon, direttore di Focus on the Global South, i provvedimenti  intrapresi finora dalle istituzioni internazionali, como il mercato del carbonio,  (che lascia invariata la quantitá dei gas inquinanti), la  REDD,  gli  agrocombustibili, gli OGM, eccetera, sono insufficienti o addirittura dannosi. D'altra parte, come raggiungere l'obiettivo di lasciare 2/3 parti di carburanti interrati, come prescrive l’Agenzia Internazionale dell’Energia; come  garantire posti di lavoro dignitosi e allo stesso tempo  fermare il percorso suicida verso un’impossibile crescita "senza limiti?"

La risposta sta in un cambiamento profondo di mentalità, ridefinendo quello che serve davvero nella produzione industriale, in un’ottica di "bene comune", e calcolando  i costi ambientali di una produzione. Democratizzare l'energia, creando  posti di lavoro in piccole imprese, per sostituire le Grandi, (e spesso Inutili) Opere (si sta facendo, per esempio, in Catalogna e in Germania); puntare alla sovranità alimentare, e a un trasporto pubblico efficiente. Mangiare poco o niente carne. Collegare le lotte sindacali, contadine e indigene con quelle ambientali. Tutte le iniziative locali, anche modeste, siano benvenute, e trovino eco nelle reti, per moltiplicarsi.

Oltre alle aspirazioni di giustizia nel mondo, è arrivato nel Foro anche l'eco dei conflitti che dividono il Medio Oriente, come quelli della Siria o del Sahara occidentale, occupato dal 1979 dal Marocco, interessato al petrolio e ai fosfati della zona e che ha anche costruito un muro lungo 2000 km nel deserto per marcare il “suo” territorio. Grande solidarietá per la popolazione palestinese, che gli israeliani, fra Muro e check points, stanno obbligando a vivere in una prigione a cielo aperto.  Contro vento e marea, alcune organizzazioni per la pace e i diritti umani, come “Peace in Syria” e “Ossin, (Osservatorio Internazionale)” presenti al Forum,  propongono  di mettere a tacere le armi e costruire una diplomazia dei popoli.

Il conflitto sulla corretta interpretazione del Corano, si manifesta nel Foro in accese discussioni  tra studenti democratici e gruppi radicali salafiti, che cercano di islamizzare l’intera società, occupando anche funzioni importanti dello stato come la giustizia civile, pretendendo che questa venga amministrata utilizzando la sharia, la tradizione giuridica islámica. Uno dei temi piú algidi riguarda la posizione della donna nella società tunisina (musulmana al 98%), perché chi riesce a controllare la donna, responsabile in gran parte della trasmissione dei valori ai figli, puó controllare la società. Un opuscolo diffuso nel Foro dagli islamici radicali (pubblicato in Inghilterra dalla UK Mission), critica  il misoginismo manifestato nella storia, da cristiani, buddisti, hindú e confuciani, e afferma che solo l’Islam rispetta la donna. Se maltrattamento alla donna esiste, é dovuto alla permanenza di tradizioni anteriori all’islam, o alla cattiveria dell’essere umano, si afferma nell’opuscolo. Non si menzionano le mutilazioni genitali, le fustigazioni e lapidazioni prescritte dalla sharia, e ancora applicate in certe zone del mondo isolate da influenze esterne. Semplice, no?

La varietá degli abiti delle ragazze riflette le differenti visioni dell’Islam: alcune vanno in jeans, altre in lunghe vesti (chilaba) e  velo, altre, come l’amica Zeineb, con il fazzoletto che copre la testa, l'hijab, che si considera come un símbolo di identitá culturale. C’é addirittura una ragazza  in guanti neri e nikab, la veste nera che la copre da capo e piedi, che sfida i professori che la vogliono a viso scoperto. “Il codice civile tunisino ha abolito la poligamia, permessa e regolata, ai suoi tempi, dal Profeta, (e questo era giá un progresso rispetto alle usanze del tempo) ma ancora oggi vengono limitati i diritti e  la libertá della donna. Anche prendere un caffé in un bar é mal visto”, spiega Zeineb. In compenso nella civilissima Italia sono in aumento stupri e femminicidi, e la violenza contro la donna riguarda sia il Nord che il Sud del mondo.

Fuck your moral. Al diavolo la vostra morale” é scritto sul seno che due attiviste si scoprono nella centrale avenue Bourguiba, pochi giorni dopo il Foro, ispirandosi a Femen, un piccolo movimento di protesta femminile nato in Ucraina, che lotta contro il turismo sessuale e altre forme di ipocrisia, trovando  enorme risonanza mediatica grazie a dirompenti performances. Le due giovani vengono subito arrestate. Un imam,  Adel Almi, presidente della Commisione per la Difesa della Virtú e contro il Vizio, decreta che Amine Tyler, la ragazza che per prima ha diffuso in rete una sua foto con la scritta sul petto “Il mio corpo é mio, e non l’onore di altri”, merita cento frustate e la lapidazione fino alla morte, perché il suo gesto non contagi altre donne. Detto fatto: decine di donne gli rispondono diffondendo in rete la loro foto a torso nudo.

“Il nodo centrale irrisolto, non solo nel mondo arabo ma in tutti i fondamentalismi religiosi,  é la libertá di coscienza”, afferma Cherif Ferjani, un professore di religioni comparate, in un interessante dibattito con un gesuita barcellonese di “Cristianisme i Justicia”, e un rappresentante italiano, Vittorio Bellavite, di “Siamo Chiesa-We are Church”, un movimento internazionale che punta alla democratizzazione della Chiesa cattolica. “Le piú spietate guerre di religione si sono svolte all’interno, e non contro nemici esterni. Bisogna chiedersi chi, come, e a favore di chi, ha manipolato il primitivo messaggio dei profeti fondatori di una religione, per controllare le masse”.

Una liberazione dalle violenze strutturali, ma anche maggiore giustizia nelle relazioni personali e familiari è, in sintesi,  l’aspirazione che emerge da questo Foro, che fará discutere a lungo in Tunisia e altrove.  Uno dei suoi organizzatori, a pochi giorni dalla sua chiusura, é stato arrestato e poi liberato. Il lavoro “per un altro mondo possibile”, continua qui e ora, a Tunisi, come a Treviso, o  Citta´del Capo.       Shukran, grazie a voi tutti, e arrivederci.{jcomments on}

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