Il M5S grazie ai risultati inaspettati delle ultime elezioni costituisce una formazione politica di tutto rispetto. Ma qual'è la sua vera forza a causa delle sue intrinseche debolezze organizzative? Il dibattito aperto dai contributi di Salvatore Mazzeo e Silvano Bonfirraro ha interessato molti lettori e ha suscitato questa attenta analisi orientata ad una migliore comprensione del fenomeno che avrebbe potuto, e potrebbe ancora, cambiare radicalmente lo scenario della politica italiana.

IL M5S UNA FORZA DEBOLE

PARTECIPAZIONE, DEMOCRAZIA RAPPRESENTATIVA E ALLEANZE POLITICHE

di Massimo D’Angelo

Posizioni diverse sul Movimento 5 Stelle

I recenti interventi di Salvatore Mazzeo e di Silvano Bonfirraro su Partecipagire offrono un’occasione per fare una riflessione critica strettamente legata all’esperienza parlamentare del Movimento 5 Stelle.  Sia Mazzeo ('Frammenti di Stelle') che Bonfirraro ('Il M5S è ancora un'alternativa?') provengono da un’esperienza diretta di militanza nel M5S, ma evidentemente le loro posizioni differiscono in modo sostanziale rispetto al ruolo futuro del movimento.  Bonfirraro non sembra tanto interessato ad entrare in profondità sui temi della partecipazione e della democrazia diretta/democrazia rappresentativa. Nel suo contributo, il punto centrale è il seguente: “oggi il vero problema, quello che più urgentemente deve essere affrontato, è riuscire a dare una spallata definitiva a questo sistema politico corrotto che ci sta annientando”). Le modalità per raggiungere quest’obiettivo sono illustrate solo en passant, perché Bonfirraro preferisce mettere l’accento sui motivi per cui, secondo lui, una collaborazione tra PD e M5S era ed è improponibile.  Ciò non di meno, è proprio in quel contesto che lui accenna alle tematiche della partecipazione e della democrazia diretta, a volte ridimensionandone l’importanza, forse in risposta ai critici del M5S, che riconoscono in quei temi contraddizioni profonde. Ma, Bonfirraro ribadisce, non è questo il tema centrale: non si deve esagerare parlando di democrazia diretta. L’importante è scuotere il sistema di interessi e di corruzione che domina gli attuali partiti al potere.

 

Per questo, l’unica modalità operativa per raggiungere quell’obiettivo finale (“dare la spallata”) per Bonfirraro sembra essere il ricorso recente all’ostruzionismo, che si è dimostrato a dire il vero abbastanza efficace per esempio per ritardare la discussione del ddl sulle riforme istituzionali.  Non ci sarebbe molto altro da fare, secondo Bonfirraro, se non attendere l’implosione del governo attuale e di tutti i partiti che lo appoggiano, che emergerà a causa della crisi economica e delle faccende giudiziarie di Berlusconi.  Come questa implosione darà al M5S la possibilità di dare un contributo un pò più costruttivo dello stesso ostruzionismo, è soltanto accennato da Bonfirraro, riferendosi agli elementi del programma del M5S che contengono soluzioni utili a risolvere i problemi urgenti della nazione.

Diverso è l’atteggiamento di Mazzeo nella sua conversazione intitolata “Frammenti di Stelle”. Secondo Mazzeo, “il problema della democrazia interna è divenuto il vero problema del M5S.” Il giudizio di Mazzeo sul funzionamento interno del M5S è molto netto e negativo a livello nazionale, ma non è altrettanto negativo a livello locale, anche se i comportamenti dei quadri locali del movimento non sono immuni dai condizionamenti derivanti dall’eccessiva influenza dei vertici nazionali.  In generale, la conclusione di Mazzeo è molto chiara: “Il M5S non è affatto pronto per stare in Parlamento in modo coerente ed efficace”.

Prospettive future del Movimento

Le prospettive per il futuro sono ovviamente diverse nei due interventi. Bonfirraro, dopo aver escluso completamente qualsiasi possibilità di collaborazione con i partiti tradizionali, ed in particolare con il PD, è alquanto vago sul modo in cui il M5S potrà interloquire con altre forze politiche nel Parlamento, dopo aver ammesso che la butade del 100% usata da Grillo non andava presa alla lettera ma intesa come un invito a tutti i partiti tradizionali a rinnovarsi per presentarsi con un volto nuovo, trasparente e più onesto. Immagino che questa sia l’unica condizione che possa permettere, secondo Bonfirraro, ai rappresentanti del M5S di sedersi ad un qualsiasi tavolo negoziale per fare accordi di governo. In assenza di questo rinnovamento, ci si limita a continuare ad esercitare l’ostruzionismo parlamentare, nei limiti in cui questo strumento sarà in grado di influenzare le decisioni politiche e le iniziative varate dal Parlamento e dal Governo. Per Bonfirraro, con un PD come quello attuale, non ci sono le condizioni per stabilire alcun rapporto collaborativo.

Per Mazzeo, le prospettive del M5S sono tutt’altro che rosee. Mazzeo prevede una graduale riduzione dell’influenza elettorale del M5S, come è apparso recentemente alla Lega Nord, che era nata come un movimento di rottura e di protesta. Pur con una nota di pessimismo, tuttavia, Mazzeo ribadisce la validità della direzione intrapresa inizialmente dal M5S, che sintetizza nella necessità assoluta di avere “un progetto politico che rimetta al centro la persona e i suoi valori essenziali.” Secondo Mazzeo, resta la necessità di lavorare affinché i cittadini possano “controllare i loro amministratori grazie alla loro assidua partecipazione e vigilanza della cosa pubblica e indipendentemente dalle particolarità dell’organizzazione istituzionale”.

Qui i due interventi divergono, non tanto nelle loro premesse iniziali (ambedue abbracciarono la militanza del M5S per motivi analoghi e speranze simili), ma nelle loro conclusioni sugli obiettivi futuri da perseguire e sulle potenzialità del M5S per poter essere uno strumento adatto a raggiungere questi obiettivi. Mazzeo continua a ritenere la partecipazione come finalità centrale di una evoluzione della nostra democrazia, forse come garanzia per il rispetto dei valori essenziali della persona.  Per Bonfirraro, invece, la partecipazione è solo uno strumento, e non deve essere esagerata come condizione essenziale. L’importante è rimpiazzare il sistema politico attuale, corrotto e clientelare, con un sistema trasparente e con un superamento dei partiti tradizionali. Per il primo, il M5S non è più in grado di offrire alcuna garanzia per una maggiore partecipazione democratica. Per il secondo, il M5S continua ad essere l’unica alternativa valida per scuotere il sistema e per provocare il cambiamento rivoluzionario auspicato.

Pur nella loro profonda differenza, ambedue gli interventi condividono uno stesso limite nell’analisi condotta, in quanto sono tutti e due concentrati solo sulla capacità del M5S di essere o non essere la soluzione alla partecipazione più diretta dei cittadini per trovare soluzioni più appropriate ai problemi pressanti del paese. Nel caso del contributo di Bonfirraro, dopo aver rapidamente ripercorso le scelte del M5S di questi ultimi mesi, la capacità del M5S di raggiungere quest’obiettivo non è sostanzialmente vagliata ma ipotetizzata come vera quasi “a priori”, prescindendo dalla effettiva performance del movimento stesso o, comunque, mantenendo un atteggiamento alquanto generoso nei confronti del movimento e giustificando con frettolose assoluzioni le eventuali carenze mostrate. Nel caso di Mazzeo, il giudizio su questa capacità del M5S è nettamente negativo, concludendo la sua breve analisi del M5S con una nota di pessimismo generico. Tuttavia, anche Mazzeo non riesce ad intravvedere nuovi orizzonti al di fuori del M5S.

Che l’analisi della partecipazione democratica fosse limitata al M5S era forse inevitabile, visto che entrambi gli osservatori sono stati impegnati direttamente nel movimento, e questa loro esperienza è la fonte primaria delle loro riflessioni. Confinandole al solo M5S, però, queste analisi non riescono a valutare le implicazioni per il futuro del paese, che dovrebbero tener conto di un contesto più ampio che tenga conto anche del resto del panorama politico italiano.

Revisione critica della performance del M5S dopo il successo elettorale

Rivediamo brevemente il rapporto tra “democrazia diretta” e “democrazia rappresentativa” alla luce degli avvenimenti politici di questi ultimi mesi, e l’incidenza che il successo elettorale del M5S ha esercitato sulle politiche varate e che ci si aspetta di varare nel prossimo future. Non c’è dubbio che questo successo elettorale non ha fatto alcuna differenza rispetto al modo in cui altri partiti o movimenti italiani rappresentano i propri elettori al Parlamento. In particolare, una cosa che è sfuggita a molti sostenitori del M5S è stata che il successo elettorale ha offerto una possibilità unica (qualche osservatore ha usato l’espressione “offerta su un piatto d’argento”) di poter condizionare il comportamento dell’alleanza elettorale di PD, SEL e Centro Democratico, spingendone le scelte, con qualche forma di accordo sulla formazione e sui contenuti di un governo PD, in modo da realizzare quegli obiettivi sociali ed economici che gli elettori del M5S ritenevano urgentissimi. Questo non è avvenuto, ed il resto è ben noto, con la formazione del governo Letta e quello che ne consegue.

A mio modo di vedere, il grande successo elettorale del M5S ha messo in risalto i limiti della proposta del M5S, l’impreparazione di molti dei suoi eletti, l’assenza di una proposta politica sufficientemente articolata per poter interagire con le nostre istituzioni repubblicane, al di là di slogan del tipo “tutti a casa”, o del facile escamotage “discutiamo sui singoli provvedimenti legislativi in Parlamento”.   Di fronte a questa impreparazione, la struttura dirigente del movimento si è mostrata con un atteggiamento verticistico che minava il concetto stesso di democrazia diretta, goffamente camuffato con consultazioni in rete o riunioni lampo con Grillo e Casaleggio. Di fronte a questioni complesse, i parlamentari 5 stelle cercavano il conforto dall’alto, e quando la risposta non veniva, si chiudevano in una serie continua di contraddizioni che hanno lasciato perplessi non pochi simpatizzanti del movimento.

L’errore forse è stato sperare che l’uso della rete fosse la bacchetta magica (come teorizzato da Casaleggio nella sua visione al 2020) che avrebbe permesso la rivoluzione del funzionamento della società. Altro errore è stato quello di sottovalutare l’importanza di altri momenti e modalità del funzionamento di movimenti e partiti politici, che Grillo e Casaleggio hanno sempre eluso perché appartenenti alle parafernalia strumentali dei partiti tradizionali, ma che invece rappresentano passi inevitabili per permettere la partecipazione efficace ad una democrazia rappresentativa. Un ulteriore errore, forse fondamentale, è stato quello di concepire una struttura decisionale nel movimento che dà troppo spazio al vertice di Grillo e di Casaleggio, che non sono controbilanciati da forti strutture decisionali collegiali, espressioni della base (quindi democratiche), che abbiano veramente il volano delle decisioni collettive, anche a livello strategico.  Quello che doveva essere il megafono del M5S (Grillo) spesso è stata l’unica voce autorizzata a parlare in pubblico senza essere condizionata da alcuno, mentre tutti gli altri dovevano seguire prassi farraginose, che alla fine si sono tradotte in censura spropositata, con occasionali espulsioni che non fanno onore ad un movimento partecipativo e innovatore. Infine, l’errore più macroscopico è stato quello di concepire il M5S come “autosufficiente” (c’è chi dice, “autoreferenziale”), non interessato al dialogo con altre forze politiche riformiste, salvo poche eccezioni, ed in ogni caso incapace di intraprendere un dialogo costruttivo con  altri partiti sulle grandi tematiche, salvo provare a farlo a scartamento ridotto nel lavoro delle commissioni parlamentari.

Intendiamoci, su  quest’ultimo punto, le cose possono sempre cambiare, e le dichiarazioni di oggi (sto scrivendo il 2 agosto) del capogruppo del M5S alla Camera Riccardo Nuti, all’indomani della sentenza della Cassazione sul processo Mediaset, che fa intravvedere un margine di apertura per un dialogo con il PD sembrano contraddire queste mie osservazioni. Comunque, non è una rondine che fa primavera, e non basta una dichiarazione di Nuti per cambiare quello che è stata finora una posizione costante del M5S (tanto che Casaleggio ha minacciato di lasciare il movimento se il M5S si dovesse mettere d’accordo con il PD).

Aggiungo che il M5S – abituato in passato ad affrontare problematiche più limitate a livello locale (per esempio, l’acqua pubblica o i rifiuti urbani) – non ha ancora dimostrato di essere in grado di affrontare le complessità della politica nazionale con la competenza, l’aggressività, la flessibilità e l’articolazione di proposte che ci si aspetta da un movimento con una simile rappresentanza numerica al Parlamento.  Le riunioni in streaming con Bersani e Letta, rispettivamente, pur molto diverse la prima dalla seconda, a prescindere dal loro valore politico specifico rispetto alle questioni allora affrontate, hanno messo in evidenza plateale la differenza di livello della cultura politica dei rappresentanti di una formazione politica quale il PD, pur meritevole di tutte le nostre critiche, anche feroci, rispetto ai coordinatori/portavoce del M5S che parteciparono a quelle riunioni, che non sono stati in grado di rappresentare le istanze dei propri elettori, articolando un’offerta politica che si contrapponesse con efficacia ai propri interlocutori dall’altra parte del tavolo.

Certamente molti elettori del M5S hanno sofferto nell’assistere a quelle riunioni, pensando che il M5S stava perdendo colpi, o che forse si stavano maturando situazioni politiche che il M5S non aveva previsto, cui non si sapeva dare una risposta adeguata (le “occasioni perse”).  Non voglio entrare nella questione del mancato accordo governativo tra PD e il M5S, su cui ci possono essere opinioni discordanti, altrettanto giustificate. Non c’è dubbio che anche il PD abbia dimostrato molta ambiguità al riguardo (d’altronde, parlando di ambiguità, in quei giorni il PD riuscì anche a silurare Prodi!).

Voglio piuttosto entrare in una questione a monte: la disponibilità dei rappresentanti del M5S ad affrontare dialoghi operativi costruttivi con gli altri rappresentanti eletti nel Parlamento, con incidenza e competenza.  Certo, non sono mancate dimostrazioni in cui eletti del M5S, con i loro interventi parlamentari su singole questioni, hanno mostrato capacità apprezzabili.  Non le cito soltanto per brevità.  Ma rimane una impressione generale di una impreparazione ad affrontare complesse piattaforme programmatiche (lo stesso documento programmatico del M5S è alquanto fragile), articolando proposte o controproposte in modo sufficientemente incisivo.  Gli stessi leader del M5S – Grillo e Casaleggio – spesso non sembrano in grado di dare risposte adeguate a questioni di notevole complessità politica se non con affermazioni semplicistiche o estreme che sono spesso di scarsa incidenza operativa.

La delusione di molti elettori del M5S si è forse associata a quella di molti elettori potenziali, per esempio molti degli astenuti alle ultime elezioni, che rappresentavano una riserva elettorale di sicuro interesse per il M5S. Ma questa delusione può essere stata condivisa anche da molti elettori di SEL, che certamente si sono sentiti traditi dalle posizioni prese dal suo maggiore alleato elettorale, il PD, a partire dalle elezioni del Presidente della Repubblica, e che possono aver visto nel M5S forse l’unica possibilità alternativa per lanciare un dialogo tra forze progressiste all’interno del Parlamento attuale.  E sicuramente questa delusione è stata compartita da tutti quei simpatizzanti del PD che soffrono per la continua distanza tra una certa base del partito (che c’è chi dice essere maggioritaria, anche se nessuno può quantificarla) e gran parte della sua dirigenza politica. Ebbene, sono proprio quei simpatizzanti del PD che possono aver sperato, forse illusoriamente, che la piattaforma politica programmatica del PD presentata alle elezioni di febbraio potesse ancora avere un significato operativo se si fossero trovati punti di contatto con il M5S.

Domanda di una partecipazione democratica nel mondo politico in Italia

Il fatto è che c’è una domanda di rappresentatività democratica nel paese che va ben al di là del M5S e i due interventi di Mazzeo e di Bonfirraro la ignorano.  Il M5S senz’altro è stato in grado di carpirne e rappresentarne una buona fetta all’ultima tornata elettorale, e molti dei suoi elettori hanno riconosciuto che il M5S era l’unica proposta politica alternativa valida per dare voce alla loro protesta.  È possibile che alla luce delle convulsioni che stanno seguendo in queste ore la condanna definitiva di Berlusconi al processo su Mediaset, il M5S riesca a carpire ancora una quota significativa di questa domanda di cambiamento, anche perché il panorama politico è molto confuso, e il M5S ha ancora il fascino di una protesta chiara e totale.  Tuttavia, la chiusura finora mostrata da parte dei rappresentanti del movimento nei confronti del dialogo con le altre forze riformistiche del paese desta qualche perplessistà circa la sua capacità di rappresentare in modo adeguato la risposta di cui abbiamo bisogno per rispondere ai complessi problemi del paese, intensificando allo stesso tempo la partecipazione della gente alle scelte collettive.

Al tempo stesso è necessario che i simpatizzanti del M5S riconoscano che non sono i soli in questa lotta. Gli elettori di altri partiti condividono la critica che le formazioni politiche attuali non sono sufficientemente rappresentative, e non per questo condividono che l’unico modo per rispondere a questa critica è quello di sostenere il M5S.

Oltre a coloro che si astengono dal votare alle elezioni politiche perché non si interessano di politica, ci sono anche quelli che si astengono per protesta o perché non si sentono rappresentati dalle formazioni politiche esistenti. Questa domanda per una maggiore partecipazione accomuna anche gli elettori di altri partiti esistenti. Molti di loro, infatti, incluso il sottoscritto, non sono soddisfatti dal modo in cui  gli attuali partiti interagiscono con la propria base elettorale, e non si sentono sufficientemente rappresentati in molti momenti politici cruciali.  Basta leggere le colonne de L’Unità e i commenti dei militanti del PD a molti interventi dei soliti dirigenti del partito o dello stesso Presidente del Consiglio, per visualizzare una base del partito in continuo fermento, con una voglia matta di partecipare.  Questo spiega anche il successo di movimenti come Occupy PD; i commenti inviati a Francesco Barca dalla base del partito negli incontri esplorativi che quest’ultimo ha avuto in questi mesi in centinaia di circoli del PD; il sostegno a esponenti alternativi del PD (come Civati e Puppato), molto sensibili al dialogo con la rete; la popolarità di eletti recenti (come Ignazio Marino e Debora Serracchiani) che debbono molto del loro successo al diverso rapporto che essi hanno con la propria base elettorale.

D’altronde, l’uso della rete non è monopolio del M5S e non sono sicuro che lo sia mai stato neanche in passato.    Esistono vari esperimenti politici in atto anche al di fuori degli schemi politici attuali che ricercano un “nuovo soggetto politico” che potrebbe emergere da un dialogo a 360 gradi con l’elettorato potenziale. Al di là delle formazioni partitiche personali, che si sono fondate sull’egemonia del loro leader assoluto (Berlusconi ne è la massima espressione, ma non mancano esempi anche in partiti minori, ivi compreso il M5S), non c’è uomo politico oggi che guardi al suo futuro nelle nostre istituzioni democratiche e che non riconosca l’importanza di un’attenzione crescente all’opinione della base del proprio partito e all’intensificazione del dialogo con simpatizzanti, anche attraverso frequenti scambi attraverso la rete.

Oserei dire che l’insoddisfazione per “difetti di rappresentatività” non sia sentita soltanto da coloro che si definiscono “di sinitra” (lo stesso M5S si è definito al di là della classificazione tradizionale tra destra e sinistra), ma appartiene a tutto lo scenario politico. Alcuni centristi hanno cercato in Scelta Civica o in Centro Democratico uno sfogo alternativo rispetto alle altre formazioni partitiche esistenti, anche se i risultati elettorali di quelle formazioni di certo non sono stati eccellenti, e forse possiamo dire che i cittadini con quelle tendenze forse non siano proprio i più rappresentativi di una domanda per una maggiore parcipazione politica.  Eppure, esiste nella stessa destra italiana una domanda di rappresentatività non sufficientemente soddisfatta, specialmente tra gli elettori di orientamento liberal-conservatore, proprio perché in Italia abbiamo assistito ad un fenomeno unico nel mondo, cioè ad una destra  ancorata a partiti di stampo autoritario o che riflettono un travisamento della proposta liberale (come nel caso di Berlusconi).  È perciò possible che un conservatore dalle forti convinzioni liberali (ed io non lo sono) possa avere molte riserve nel sentirsi rappresentato dalle attuali forze politiche conservatrici.

La sfida prossima per il M5S: la sua interazione con il resto del mondo politico

Concludendo, esiste uno spazio per esprimere un desiderio di maggiore partecipazione alla vita politica, che si sta evidenziando vieppiù con la crisi che emerge nel governo delle grandi intese, specialmente dopo la conferma della condanna di Berlusconi da parte della Corte di Cassazione. Questo spazio richiede nuovi sforzi per riaprire il dialogo tra le forze riformistiche nel paese. Questa domanda di partecipazione si potrà incanalare in direzioni diverse. Il M5S continuerà a raccogliere una parte significativa di questa domanda. Ma in questo non sarà il solo ed esclusivo movimento o partito in grado di raccogliere questa domanda.

Il SEL, ad esempio, si è mostrato particolarmente sensibile al dialogo con la base, anche se spesso è visto come partito personale legato alla figura di Vendola. Il prossimo congresso del PD, su cui si stanno concentrando tanti dubbi in termini di apertura e di partecipazione, sarà in ogni caso una palestra in cui le forze contrapposte della conservazione e del cambiamento presenti nel PD si scontreranno, in vista di possibili alternative che superino l’accordo bipartitico PD-PDL.

Personalmente non seguo da vicino le vicissitudini di SEL o di altri movimenti interessati a stabilire laboratori di dibattito politico per il futuro, anche perché vivo all’estero, ma sono certo che in molti di questi movimenti e partiti ci siano tutte le premesse per una intensificazione del dibattito per una svolta politica significativa. A questo punto c’è da chiedersi se il M5S sarà in grado di raccogliere questa sfida, superando la chiusura, l’isolamento, l’incertezza e l’autoreferenzialità di questi ultimi sei mesi per poter interloquire con uno spirito più costruttivo al dialogo con altre forze politiche oppure continuerà con la stessa visione rigida e minimalistica (nel senso di accontentarsi dei magri risultati dell’ostruzionismo parlamentare), anziché operare per far sì che coalizioni progressiste diano una risposta decisiva alla domanda di cambiamento che viene da tanta parte del popolo Italiano.

Sinceramente non è nella posizione di Bonfirraro – che continua a vedere nel M5S l’unica risposta alla domanda di cambiamento, ma ancora concepisce il M5S come chiuso nella sua attuale esperienza, proseguendo quanto ha fatto in questi ultimi mesi – che intravvedo possibilità per una dinamica di questo tipo. D’altronde, la sfida di cui parlo richiede un diverso modo di essere del M5S, e se dovesse aver ragione il pessimismo di Mazzeo, c’è poco da attendersi dai 5 stellari. Eppure la domanda per cambiamento è così forte che, se il M5S non muterà captando il significato delle critiche che gli sono state rivolte anche dai suoi simpatizzanti più critici, saranno altre forze politiche che se ne faranno portatrici.

Questa sfida riguarda anche ed in particolare il PD.  La sua ambizione di partito maggioritario, di governo e riformista, non ha alcun fondamento se il PD rinuncia ad essere espressione delle istanze più profonde della sua base elettorale. Le sue lotte interne nei prossimi mesi ci diranno se il PD sarà in grado di affrontare questa sfida o invece preferirà conservare posizioni di potere finora occupate, regredendo lentamente ma inevitabilmente di fronte ad una base elettorale sempre più ridotta e lontana dagli orientamenti dei vertici del partito. Anche SEL ed altri movimenti politici potranno avere un ruolo importante in questa fase di rinnovo.

Una sfida per il futuro: vuole il M5S influenzare le linee di governo?

I militanti del M5S debbono inoltre rendersi conto che condizione per avere un certo peso sulle scelte governative è quella di avere un adeguato peso parlamentare. Per questo, la riduzione numerica del PD deve preoccupare non solo il PD stesso, ma anche gli altri partiti di sinistra e movimenti riformatori, in quanto solo con una presenza maggioritaria nel Parlamento, da parte di una qualche coalizione o di un partito, cambiamenti sostanziali di politica sono possibili, ed il peso numerico del PD potrebbe incidere in modo particolare sulle possibili coalizioni e alleanze (un successo del PDL ai danni del PD sarebbe un insuccesso per tutta la sinistra). A sua volta, il successo del PD non può più essere auspicato svincolandolo dalla necessità irrinviabile di un suo cambiamento fondamentale, che ne garantisca una maggiore democraticità e una vicinanza ai problemi della propria base elettorale naturale.

I governi dei prossimi anni dipenderanno dalla creazione di alleanze più o meno temporanee, a volte d’emergenza o di scopo, altre volte programmatiche, siano esse previste da piattaforme concordate prima del voto o siano definite dopo il risultato elettorale.  Nessun partito o movimento può aspettarsi di raggiungere, al momento attuale, la maggioranza assoluta in Parlamento che gli permetta di governare da solo (anche se il PDL ambisce a questo risultato, magari con un’alleanza strategica con la Lega e Fratelli d’Italia). Per quanto riguarda l’area riformatrice, i rappresentanti parlamentari eletti nelle prossime legislature dovranno affrontare la sfida di come “negoziare” formule politiche di appoggio ai governi, per evitare di stare soltanto all’opposizione, mentre dialogheranno con le loro rispettive basi elettorali per non tradirne il mandato ricevuto.

Quale sarà il ruolo del M5S in questo panorama? A mio modo di vedere, il M5S avrà un suo spazio in questa dinamica solo se saprà “negoziare” con altre forze politiche, superando i divieti finora imposti dalla sua dirigenza ad un confronto più dialogante.

Se si vuole sperare di tradurre proposte progressiste in programmi governativi, sarà necessario “negoziare” accordi governativi di vario tipo tra forze che interessino per lo meno l’area del M5S, del PD, del SEL ed altre formazioni minori, non escludendo a priori però neanche le formazioni di centro. Se il M5S rifiuterà a priori qualsiasi possibilità di prendere in considerazione futuri accordi o alleanze, così come ha fatto nella prima parte del 2013, l’impatto del movimento diverrà marginale e la sua irrilevanza politica verrà inevitabilmente confermata dall’elettorato quanto prima. Se il M5S saprà cambiare nei suoi modi, si possono prevedere tutta una serie di dinamiche politiche, finora inimmaginabili, che consolideranno tutti i partiti (compreso il M5S) che avrannno dimostrato al rispettivo elettorato che, interagendo tra di loro, saranno stati capaci di tradurre programmi politici in azioni concrete, con risultati tangibili di sviluppo sostenibile e di benessere diffuso, in un contesto nationale e internazionale coerente e bilanciato.  Affinché questo succeda, sarà necessaria una rivoluzione all’interno del M5S o questo cambiamento sarà il risultato di una graduale evoluzione sia dei militanti che dei suoi “cittadini” eletti? Lascio ai militanti del movimento il compito di trovare una risposta.{jcomments on}

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