Una telenovela semiseria sul reale stato della scuola italiana

BENTORNATI TUTTI … MA IN QUALE SCUOLA?

I

 

di  Laboccadellaverità

Chiedo cortesemente  a Partecipagire di ospitare quantosegue, che mi è stato ispirato dall’articolo di A. Russo  “Bentornati a scuola”. Chiedo ospitalità ma anche anonimità, perché quanto sto per scrivere deriva dall’esperienza diretta mia e di altri colleghi che lavorano oggi nella scuola, ed assistono ogni giorno, come me, al suo inarrestabile declino. Posso testimoniare quanto so ma non posso permettermi il lusso di farmi riconoscere.

Ho letto con interesse l’articolo “Bentornati a scuola”, che  illustra in modo efficace quelli che sono i difetti “congeniti”  dell’istituzione scolastica, ma lo fa sulla base  di considerazioni  teoretiche che riguardano la scienza dell’educazione.  Io vorrei parlare invece della cruda realtà, dei guasti sempre più profondi nel nostro sistema scolastico, della decadenza  di un’istituzione che in certi casi è ridotta a mera facciata di un edificio pieno di rovine.

 

Ovviamente la situazione è variegata come una pelle di leopardo, e sul territorio italiano, se possedessimo un immaginario mezzo di esplorazione, scorgeremmo edifici semi diroccati  ed altri curati e solidi. Per parte mia   ho un orizzonte di osservazione relativamente ristretto, e posso testimoniare  solo di una  sezione limitata del fenomeno,  che però mi sembra significativa. Essa  comprende alcuni  licei, classico, linguistico, scientifico,  frequentati  quasi  esclusivamente da ragazzi della media e piccola borghesia in una grande città dell’Italia centrale. La posizione geografica è importante, perché rappresenta una situazione media, che esclude i picchi di eccellenza di alcune  (poche) scuole del Nord e i picchi di inefficienza di alcune (poche) del Sud.

Si evidenzia da un po’ di anni una tendenza governativa  che orienta potentemente  l’operato dei presidi,  spingendoli   a curare  quasi esclusivamente la “facciata” dell’edificio,  obbligando   il personale docente ad un “trattamento” degli studenti  finalizzato alla massima soddisfazione delle aspettative delle famiglie. Si vuole in qualche modo ottenere – almeno sembra a noi insegnanti – lo stesso effetto “tranquillizzante” sull’opinione pubblica di quando si  diceva (ora  è finita, per il non più celabile  contrasto con la realtà  che chiunque poteva toccare con mano) che la crisi economica era una bufala d’oltralpe e che tutto andava bene. Teniamo quindi buoni i genitori, mettendoli davanti a risultati prevalentemente positivi, e nascondiamo le magagne come la polvere sotto il tappeto. Stupendo. Nutriamo il popolo bue di illusioni e chisseneimporta quando poi sbatte il naso da solo.

Ma il lettore potrebbe obiettare: e che c’è di male a soddisfare le aspettative delle famiglie? Dipende dalle aspettative. Le famiglie italiane medio-piccolo borghesi nutrono  oggi prevalentemente nei riguardi dei loro figli preoccupazioni di ordine pratico, economico, psicologico-sociale, sanitario, estetico, ecc., tutte comprensibili e naturali, ma molto raramente aspirazioni di tipo culturale. I genitori italiani oggi non hanno alcun interesse a che il proprio figlio, in tredici  anni di scuola, acquisti per davvero le competenze e le conoscenze di cui si favoleggia in tutti i documenti ministeriali e in tutte le programmazioni che gli insegnanti sono tenuti a sfornare ogni autunno per le loro discipline. Fin troppo preoccupati dell’equilibrio psico-fisico del proprio figlio, tremano all’idea che esso possa venire sconvolto da un normale corso di studi, in tutto simile a quelli della gran parte dei paesi occidentali. Di qui l’angoscia genitoriale per ogni brutto voto, per ogni ansia da interrogazione, per ogni segno di nervosismo, di qui la conseguente corsa dal preside e la convocazione da parte del capo d’istituto del professore colpevole che viene strigliato, in maniera più o meno brusca, con la raccomandazione “Non mi turbi per carità il ragazzo” cui segue, se il rapporto tra preside e docente è schietto, la frase rivelatrice della maggiore preoccupazione del dirigente: “Se no la madre continua a venire qua a rompere”.  In genere i docenti più invisi ai presidi sono quindi  quelli più bravi, che fanno lezione con passione, usano mezzi audiovisivi, portano materiale didattico, accompagnano i ragazzi a fare  attività extracurricolari ecc., ma poi richiedono loro il riscontro  di tanto lavoro. I prof invece che o per incapacità o svogliatezza fanno finta di insegnare (e gli studenti sono i primi a diffonderne la fama negativa in tutta la scuola) ma poi promuovono tutti  anche se non sanno nulla,  sono meno stimati dal dirigente, che però li preferisce di gran lunga perché almeno non procurano grane. Ne consegue che molti insegnanti, che sono insegnanti sì ma non  cretini,  attaccano l’asino dove vuole il padrone e si adeguano alle direttive esplicite o implicite.

Ma non basta: quando arrivano gli scrutini il dramma si compie: il dirigente scolastico esamina  il tabellone generale  con le proposte di voto dei docenti e con orrore scopre che quella strega di Latino e Greco o quel pazzo di Fisica o di Filosofia hanno infierito sui  poveri adolescenti. D’autorità, senza dare spazio ad un minimo di discussione che una volta in sede di scrutinio era d’obbligo, trasforma magicamente i tre  in cinque, i quattro e i cinque in sei, equiparando di fatto i risultati di ragazzi che hanno bene o male studiato con quelli  dei loro compagni  che non hanno aperto libro. Quando questi  risultati diventano pubblici, provocano un immediato effetto di giubilo nei lavativi e di amarezza negli studiosi, ed un effetto molto più grave l’anno successivo, quando gli studiosi, che sono studiosi sì ma non cretini, passeranno in massa nella categoria lavativi e saranno allegramente  promossi  tra il tripudio generale. Questo sistema, prolungato e diffuso  negli anni, ha fatto sì che oggi i livelli di apprendimento degli studenti italiani  siano arrivati ad un punto così basso, che risultiamo sempre tra gli ultimi in tutte le classifiche internazionali.

DESIGN BY WEB-KOMP