Un fallimento del disegno europeo finirebbe per essere una catastrofe per tutti coloro che vivono in Europa

L'EUROPA CHE NON AVREBBE DOVUTO ESSERE

III

di Marco Borsotti

L'Unificazione tedesca

L'unificazione dei 16 Stati Federali tedeschi fu certamente l'evento di maggior prestigio associato con la caduta del muro di Berlino. Infatti, il 3 ottobre 1990 i cinque Stati Federali che sin ad allora avevano costituito la Repubblica Democratica Tedesca si unirono agli undici che avevano formato la Repubblica Federale Tedesca che riuscì così a ristabilire sotto un unico Stato tedesco gran parte del territorio della Germania prima della Seconda Guerra Mondiale. Le differenze tra Stati erano però profonde, le infrastrutture, l'apparato produttivo della Repubblica Democratica non poteva sussistere a lato di quelli esistenti negli altri Stati. Per questo, il Cancelliere Kohl non ebbe altra scelta che lanciare un grande programma di modernizzazione della ex-Germania Democratica per portare nel più breve tempo possibile le due parti del paese ad assomigliarsi. I fondi per pagare i costi della riunificazione furono trovati in parte in Europa, in parte chiedendo un sacrificio di solidarietà ai cittadini degli undici Stati più ricchi ed in parte potenziando ulteriormente la capacità produttiva del paese per generare una maggiore crescita dell'economia principalmente a vantaggio dell'esportazione dei prodotti manufatti in Germania.

 

In questo, l'introduzione dell'Euro offrì alla Germania indubbi vantaggi per poter situarsi in posizione di predominio nelle economie degli altri paesi europei, soprattutto quelli della zona Euro dove la moneta unica proteggeva la Germania dal rischio di veder rivalutata la propria divisa. La scelta di favorire l'adozione di una moneta unica certamente permise alla Germania di poter affrontare con maggior rapidità e ad un prezzo sociale interno minore i costi dell'unificazione. Anche nel caso tedesco, vale la pena sottolineare come l'evolversi nel tempo di questa strategia iniziata sotto il Cancellierato Kohl dove la maggioranza era assicurata da una coalizione del CDU/CSU e FDP, continuò anche dopo la vittoria socialdemocratica che portò al governo Gerhard Schroeder a capo di una coalizione SPD e Verdi e si mantiene ancora oggi dopo che nel 2005, Angela Merkel seppe guidare il suo partito CDU/CSU a riprendere il controllo della Repubblica Federale tedesca, prima in alleanza con il FDP, seguita da un nuovo mandato questa volta con il SPD come alleato ed oggi la ripetizione del governo di larghe intese con il SDP. Le profonde divergenze ideologiche non hanno impedito che con gran pragmatismo, i partiti tedeschi abbiano deciso d'attuare una politica economica che ha permesso loro di portare avanti il programma d'integrazione della ex-Germania Est senza perdere la spinta propulsiva della loro economia che se ne é anzi avvantaggiata per consolidare la propria posizione leader in Europa.

La Globalizzazione

La fine della guerra fredda ha anche contribuito a togliere molte limitazioni alla globalizzazione. In questo caso, l'Europa Unita é certamente arrivata svantaggiata perché il sistema di tutele sociali che caratterizzavano tutte le economie nella zona occidentale richiede costi del lavoro al di sopra di quelli di altri paesi dove i diritti dei lavoratori non sono considerati una priorità sociale e quindi non sono tutelati dalla legge. Questi costi addizionali che quasi ovunque esistono nell'Europa Unita non possono oggi più essere ammortizzati con rendimenti maggiori ottenuti grazie ad una netta superiorità tecnologica, come avveniva nel passato anche recente, quindi la produzione europea si è trovata svantaggiata nel libero mercato dovendo vendere i propri prodotti a prezzi più cari senza poter offrire qualità dei manufatti che possa compensare i prezzi più elevati. Infatti, la capacità produttiva in molti paesi del Terzo Mondo, le conoscenze tecnologiche della forza lavoro sono ormai praticamente le stesse di quelle che si trovano nella maggior parte dei paesi industrializzati.

Le normative del commercio internazionale, quelle adottate con la mediazione dell'Organizzazione Mondiale del Commercio, organismo internazionale di recente costituzione, poi, avvantaggiano i detentori dei grandi marchi perché a queste multinazionali è stato permesso continuare a proporre i prodotti della loro gamma sul mercato internazionale con prezzi stabili e persino in ribasso, ma con margini di profitto comunque in crescita grazie alle normative che hanno consentito  loro di trasferire le produzioni dei loro manufatti nei luoghi dove potevano abbattere al massimo i costi di produzione. Per farlo, hanno de-localizzato la produzione in zone in cui il costo unitario per unità produttiva e i carichi fiscali sono minori, le normative sono meno gravose ed i trasporti, soprattutto marittimi, sono a basso costo per l'offerta di enormi navi porta contenitori che permettono favorevoli economie di scala anche quando l'impatto ambientale di questi giganti del mare é molto maggiore e contribuisce ad accelerare l'inquinamento degli oceani. A questo si deve aggiungere che spesso le materie prime sono più vicine ai punti di produzione abbattendo ulteriormente i costi. E parlo soltanto dei vantaggi leciti dal punto di vista legale perché spesso le imprese, lontane dai controlli violano ogni principio etico a partire dall'uso di mano d'opera in condizioni di schiavitù per poi continuare con lo scarico di materiali tossici nell'ambiente e con la corruzione di funzionari pubblici per scavalcare controlli di qualità e di sicurezza.

Il sistema produttivo europeo non era pronto per questo tipo di competizione e questo sta impoverendo la capacità produttiva del settore manifatturiero di quasi tutti i paesi europei ridotti ormai a dover contare sul settore dei servizi e della distribuzione come fonti primarie nella formazione del loro reddito nazionale. Comunque, il maggiore esempio di quanto la globalizzazione possa incidere non si trova in Europa, ma a Detroit, la storica capitale americana dell'industria automobilistica, ormai ridotta ad essere l'ombra di quello che essa era quando le macchine si fabbricavano ancora in quei luoghi.

A tutto ciò, si possono aggiungere i redditi frutto delle attività finanziarie, che generano grandi profitti, ma con livelli d'impiego piuttosto bassi.  L'Europa che per gran parte del secolo scorso aveva primeggiato nella sua capacità di produrre manufatti di alta qualità, si trova oggi a dover sussistere grazie al funzionamento del terziario, con l'incidenza nell'occupazione del settore manifatturiero, estrattivo ed agricolo in costante riduzione. Il primo fattore negativo di questo stato di cose é certamente dato dal fatto che il valore aggregato che il lavoro può generare nel terziario é molto inferiore a quello che si poteva produrre precedentemente negli altri settori economici oggi in calo. In conseguenza, il livello delle retribuzioni per coloro che trovano impiego sono oggettivamente in calo e questo, soprattutto negli ultimi sei anni, sta contribuendo ad accentuare lo stato di crisi di quasi tutte le economie della zona che ottengono livelli di crescita, nel migliore dei casi, di poco superiori allo zero.

Le risposte all'evolversi di questa nuova situazione dei vari governi europei sono state frammentarie e divise. Ogni paese dell'Unione ha finito per adottare politiche diverse, spesso in contraddizione tra loro ed ancora più spesso in conflitto molgrado il fatto chetutti operano sotto lo stesso sistema finanziario basato sull'Euro. I risultati visti non solo nei paesi in maggiore difficoltà come la Grecia o il Portogallo, ma nelle economie relativamente importanti come quella francese e quella italiana danno una misura della gravità del problema. L'Europa non era preparata ad affrontare le sfide della globalizzazione ed oggi le risposte rigoriste che vorrebbero scaricare i costi della conversione a tutto carico del lavoro stanno generando situazioni di tensione sociale che provocano instabilità e mettono in discussione l'intero apparato su cui si sta cercando d'edificare l'integrazione europea.

L'adesione dei paesi dell'est europeo

Non ho dubbi che la grande maggioranza dei popoli di etnia europea che vivevano in alcune repubbliche dell'Unione Sovietica ed in altri Stati del Patto di Varsavia agognassero ad entrare a far parte dell'Unione Europea. Ho vissuto a lungo in quella parte del mondo e so che anche prima della caduta del muro di Berlino, molti guardavano al predominio russo con risentimento e speravano in cuor loro che un giorno si sarebbe concluso. Anche le popolazioni slave, che con la Russia hanno certamente molto in comune, pensavano che il dominio di Mosca fosse una forma d'oppressione dei loro diritti e delle loro libertà. Quindi, non mi ha sorpreso che, al cadere del blocco dei paesi socialisti che Mosca controllava, molti abbiano visto nell'occidente un sogno che volevano al più presto realizzare. Per loro, l'occidente europeo era libertà ed accesso ad un tenore di vita migliore, intendendo con questo dire che anche loro volevano essere parte della società dei consumi, possedere macchine, viaggiare a piacere, vestire alla moda. Pur con una censura rigida come quella dell'epoca socialista, i governi non erano riusciti a fermare la diffusione del mito dell'occidente, una specie di terra di Bengodi dove tutto era bello, facile e soprattutto accessibile. Sono personalmente convinto che se non ci fosse stata quella censura e se la comunicazione avesse potuto fluire liberamente, quel mito non si sarebbe sviluppato in quella forma, ma tutti sappiamo che la storia non é fatta di se, ma di fatti e la censura funzionò e cercò di presentare l'occidente come un inferno, a pochi fu permesso viaggiare e sempre sotto la stretta sorveglianza della Sicurezza dello Stato, con il risultato che qualunque voce circolasse, e in quelle società le voci erano il veicolo di diffusione delle notizie, venne sempre e comunque accettata come veridica contribuendo a formare il mito dell'occidente come una sorta di Paradiso in Terra.

La conseguenza fu che i governanti di tutti questi nuovi Stati dovettero presto riconoscere che per mantenere un certo grado di popolarità interna dovevano mostrarsi favorevoli all'annessione europea e dimostrarlo aprendo le porte ai rappresentanti delle Istituzioni europee. Questa domanda trovava nelle capitali europee e a Brussels orecchie interessate a sentire le loro richieste e ad iniziare il dialogo. Bisogna anche riconoscere che l'Europa seppe dimostrarsi generosa con programmi come l'ECHO, gli aiuti umanitari europei, e che ovunque seppero permettere a chi, per le più svariate ragioni si trovò in miseria, di sopravvivere dando loro assistenza. Ma non furono soltanto aiuti umanitari, la Commissione Europea aprì rapidamente uffici di rappresentanza in ogni nuovo Stato e assegnò fondi per la realizzazione di programmi di sviluppo, molti di questi indirizzati ad affrontare quei problemi del paese che potessero impedirne o rallentarne l'annessione. Spesso questi programmi furono affiancati da programmi bilaterali di Stati membri dell'Unione, Germania, Inghilterra, Francia, Olanda, i Paesi Nordici furono particolarmente attivi contribuendo così a consolidare la visione che partecipare all'Unione Europea fosse un fattore positivo per tutti. L'Europa era un insieme solidale o, almeno, tale pareva.

Tutti sappiamo come il processo si sia sviluppato portando in breve tempo vari Stati ad accedere all'Unione. In alcuni casi, bisogna riconoscere che le condizioni esistevano per una rapida assimilazione, in altri invece la scelta d'accelerare il processo fu prima di tutto politica, dettata in fondo da quella visione che prima della caduta del muro aveva visto nel blocco dell'Est europeo il maggior rischio per la pace in Europa e nella Russia il nucleo centrale di quel pericolo. La Germania ebbe certamente un ruolo centrale in tutto questo. Infatti, ottenuta la riunificazione con la Germania dell'Est rimaneva forte la memoria che la separazione della Nazione tedesca era stata una preoccupazione soprattutto dei paesi dell'Est con la Russia in testa. Le preoccupazioni tedesche ebbero, come visto, un ruolo predominante nel definire l'agenda europea per l'unificazione.

I Balcani e la loro Odissea

Lo sfaldamento sovietico mise anche in crisi l'altro grande raggruppamento di paesi socialisti europei, non allineati con Mosca, indipendenti nella loro visione di cosa dovesse essere una società socialista, orfani da pochi anni del loro capo artefice dell'unificazione balcanica nella Yugoslavia. Questo paese era anche lui formato da vari Stati che si erano federati tra loro sotto la guida del potere federativo centrale che aveva sede a Belgrado. La Yugoslavia era un altro prodotto della Seconda Guerra Mondiale dove le truppe partigiane guidate da Tito, da tutti conosciuto come il Maresciallo Tito, avevano condotto una feroce guerra contro l'invasione germanica e contro quelle etnie balcaniche che si erano alleate con i nazisti. Come nel caso di altri movimenti partigiani europei, la principale componente si ispirava ad una visione comunista del mondo anche se Tito non vedeva di buon occhio il ruolo che Stalin gli aveva assegnato nell'Unione Sovietica. Quindi alla fine della guerra, la Yugoslavia decise di darsi un governo ispirato alla visione marxista leninista del potere, ma indipendente da Mosca e dal Patto di Varsavia come dall'occidente e dalla NATO. Tito, con Nehru e Nasser fu l'ideatore del movimento dei non allineati, cioè di tutti quei paesi che non si identificavano né con l'occidente dominato dagli americani, né con l'est dominato dai russi.

Alla morte di Tito avvenuta nel 1980, ci si era posti il problema di come mantenere l'unità del paese dal momento che nessuna figura politica balcanica poteva ricoprire il ruolo di padre della patria che il Maresciallo aveva svolto. Si giunse quindi a proporre, per evitare il sorgere di rivalità ed invidie tra le varie componenti etniche del paese, la continuazione del sistema federativo, ma con una gestione collettiva e rotatoria del potere centrale. In un mondo diviso in blocchi contrapposti, nessuna potenza straniera ebbe la forza o l'audacia di mettere in discussione questo modello. Ma con la fine della Guerra Fredda anche questo tabù venne meno e le aspirazioni indipendentistiche di alcuni paesi della Federazione trovarono incoraggiamento soprattuto nella Germania del Cancelliere Kohl. Quando, la Croazia, seguita presto dalla Slovenia e poi da altre repubbliche volle proclamare la propria indipendenza da Belgrado vista come simbolo del dominio serbo della Yugoslavia, la Germania fece pressioni sul resto dei paesi d'Europa per il riconoscimento dei nuovi Stati. In una situazione difficile e certamente esplosiva, la posizione tedesca fu la scintilla per la guerra che sconvolse i Balcani sino al 1995. Ovviamente non sarebbe giusto asserire che le posizioni tedesche provocarono la guerra, ma mi pare accertato affermare che la favorirono privando d'attrattiva.i tentativi diplomatici per risolvere la questione In un certo senso, lo stesso scenario si ripropose quando la regione del Kossovo cercò l'indipendenza dalla Serbia, ma questa volta la Russia non era più completamente incapace di reagire come quando successero i primi fatti balcanici ed il processo di riconoscimento del Kossovo come Stato indipendente nacque male e per ora non é ancora riuscito ad ottenere un univoco e largo riconoscimento da parte della comunità internazionale.

Ma qual'é la politica europea?

Guardando ai fatti descritti in quest'articolo e nei tre articoli che lo hanno preceduto, si può constatare che la visione politica europea non é cambiata di molto negli anni. Alcuni degli obbiettivi centrali sono stati ottenuti, come l'instaurazione di un sistema di libera circolazione tra gli Stati membri. Il risultato é ancora parziale, perché alcuni dei nuovi membri dell'Unione non godono ancora di tutti i diritti per la circolazione dei loro connazionali, ma non vi sono dubbi che in un intervallo accettabile di tempo, la libera circolazione sarà una realtà per tutti i ventotto membri dell'Unione.

Anche l'appoggio dato alle aspirazioni tedesche per la riunificazione tra est e ovest ha avuto successo. Oggi esiste una sola Repubblica Federale Tedesca che comprende tutti i sedici Stati a prevalenza germanica tra la loro popolazione. Questo risultato si è ottenuto senza guerre o spargimento di sangue, fatta forse eccezione per le vittime della Germania Democratica uccise dalle guardie di confine di quello Stato per impedir loro di scappare in occidente. I costi della riunificazione sono stati e continuano ad essere grandi, ma non vi sono dubbi che il processo può ormai essere considerato un sicuro successo non solo dello Stato tedesco, ma di tutto l'insieme dei paesi dell'Unione Europea.

La minaccia di un'invasione verso occidente da parte dei paesi del Patto di Varsavia é anche scomparsa. Molti di quei paesi sono oggi parte dell'Unione e la loro adesione é stata una delle maggiori priorità dell'Europa dopo la caduta del muro di Berlino. Rimangono incerte le relazioni con la Federazione Russa, ma non mi pare che nessuno consideri anche solo potenzialmente possibile un conflitto armato con quel paese. Rimangono aperti e si sono anzi acuiti molti contenziosi sulle zone d'influenza tra la Federazione Russa e i paesi dell'Unione Europea. I problemi attuali dell'Ucraina ne sono per certo un buon esempio, ma la questione dovrebbe rimanere soltanto sul piano della diplomazia politica. Per certo, molti continuano a vedere nella Russia il perno di un sistema che osteggia l'Unione Europea e ne ostacola i piani. La Federazione Russa é certamente il maggior avversario per l'Europa negli occhi di Brusselle, ma di certo non é un nemico da temere come minaccia di una possibile aggressione armata. Prima della caduta del muro di Berlino la Russia era un nemico da contenere con la forza deterrente dello spiegamento dell'arsenale atomico lungo tutta la frontiera. Oggi, la Federazione Russa é un avversario politico ed economico, anche se in molte aree é anche un partner economico di valore strategico, che deve essere contenuto riducendo la sua sfera d'influenza su quei paesi europei che non sono ancora parte dell'Unione.

Lo scontro oggi é sull'Ucraina e domani potrebbe diventare sulla Bielorussia, quando quel paese dovesse cambiare regime politico e forse persino sui tre paesi del Caucaso del Sud, Armenia, Azerbaijan e Georgia. L'obiettivo é quello di portare la Federazione Russa a guardare verso l'Asia centrale e l'Estremo Oriente perdendo interesse a mantenere aperte vie che le diano accesso anche al Mediterraneo e a tutto quanto questo comporta in termini di geo-politica. In fondo, questo non é soltanto un obiettivo europeo, ma é certamente anche un'aspirazione americana che vedrebbe il proprio ruolo di unica potenza militare globale grandemente rafforzato se la Russia dovesse perdere la sua flotta del Mar Nero. Per il resto, la politica estera europea non avrebbe potuto cambiare molto almeno sin tanto che Francia ed Inghilterra non decideranno d'abbandonare i loro tentativi di restare potenza globale indipendente dal resto dei paesi dell'Unione grazie al loro posto permanente nel Consiglio di Sicurezza della Nazioni Unite, la loro capacità nucleare e le relazioni privilegiate che ancora mantengono con i paesi che un tempo colonizzarono in Africa ed Asia. Per quanto appena asserito, la politica estera dell'Unione Europea non differisce sostanzialmente da quella  perseguita prima del 1989 quando l'Unione aveva meno paesi membri ed il suo raggio d'azione era più modesto.

Ma c'é un aspetto della politica dell'Unione che invece é cambiato radicalmente: la sua visione predominante di politica economica. Sin dagli inizi, pur essendo molti dei padri fondatori politicamente conservatori, il Mercato Economico si caratterizzò per essere orientato verso sistemi che privilegiavano l'attenzione sociale e una visione dello sviluppo preoccupata d'assicurare occupazione e benessere a tutti i cittadini degli Stati membri. Si voleva facilitare la circolazione per permettere una maggiore concorrenza interna che avrebbe permesso di contenere gli aumenti dei prezzi dei vari prodotti, ma anche per stimolare il sistema produttivo dei paesi perché si modernizzasse ed adottasse appropriate economie di scala favorendo la produzione all'interno dei confini del Mercato Unico là dove le condizioni per la produzione si dimostrassero più favorevoli.

Allo stesso tempo, il sistema si andava organizzando per proteggere l'agricoltura dalla concorrenza esterna con l'adozione di misure atte ad assicurare che gli addetti in questo settore non fossero forzati fuori dal mercato e che attività agricole continuassero ad esistere in tutti i paesi membri. Inoltre fondi dell'Unione venivano assegnati agli Stati perché questi potessero destinarli allo sviluppo di aree arretrate al loro interno. Tutto si realizzava, tra l'altro, per assicurare che le sperequazioni sociali non degenerassero mai al punto di poter generare tensione all'interno dei singoli paesi e tra i paesi medesimi.

Quanto realizzato nei mesi scorsi in Grecia, a Cipro, in Portogallo, in Spagna, in Italia non segue più quest'approccio dal momento che oggi in Europa domina, almeno in Economia, il pensiero liberista. La burocrazia europea non ha più timore di generare conflitti sociali anche acuti con le sue decisioni imposte agli Stati membri che chiedano l'intervento centrale per affrontare i loro problemi di sviluppo. La parola d'ordine, come spiegato precedentemente, é il rigore al punto che si é giunti a forzare Stati membri ad adottare legislazioni che impediscano per legge il rilassamento delle regole del rigore finanziario, anche quando questo possa portare il paese a dover convivere con alti tassi di disoccupazione, caduta del tenore di vita medio della popolazione e tagli ai servizi sociali primari. Il modello di Stato sociale che aveva caratterizzato l'Europa della seconda metà del secolo scorso é oggi stato abbandonato. La prima priorità é proteggere il sistema finanziario, assicurare che il sistema bancario privato non corra rischi sino al punto d'accollare alla collettività eventuali salvataggi di banche private che fossero in difficoltà, mentre se i livelli di disoccupazione raggiungono valori percentuali a due cifre e l'economia del paese stagna, l'Unione non vede ragione d'intervenire a meno che il paese acceda a politiche di tagli selvaggi, non trovo altro aggettivo che possa esprimere meglio di cosa si stia parlando, della spesa pubblica a danno delle fasce sociali più deboli.

Alcune riflessioni per concludere

La scelta di voler contenere la Federazione Russa cercando d'espellerla dal Mediterraneo é molto pericolosa e potrebbe portare ad alzare i toni del confronto sino a farli tornare a livelli simili a quelli della Guerra Fredda dove a delimitare e proteggere le reciproche zone d'influenza erano gli arsenali nucleari. La Federazione Russa ha questa capacità e non riesco a vedere perché, se a rischio d'essere estromessa da un area che considera strategicamente rilevante, non dovrebbe farne ricorso. A questo aggiungo che l'Europa dovrebbe differenziare le proprie fonti d'energia per non correre il rischio di non poter usufruire d'alternative se necessario. Non si deve dipendere dal gas russo, ma non sarebbe buona politica rinunciarvi del tutto. Alla caduta del muro di Berlino, ma soprattuto dopo la dissoluzione dell'Unione Sovietica, molti cittadini di paesi europei trassero vantaggio economico, spesso con forme illegali, vere e proprie truffe ai danni dei russi, dal caos che caratterizzò i primi difficili anni della Federazione Russa. Gli Stati europei fecero poco o nulla per prevenirlo e persero un'occasione che direi unica per avviare relazioni con quel gran paese e quel grande popolo basate su reciproco rispetto e collaborazione. Questo fu uno sbaglio strategico che ormai non ha rimedio, ma che dimostra che i governanti europei dell'epoca mancarono di una visione politica di largo respiro. Sarebbe ora che i governanti europei capissero che non é strategicamente rilevante continuare a trattare la Federazione Russa come un avversario d'abbattere. Questa era la strategia degli anni della guerra fredda. Quando la guerra finì e l'occidente si trovò senza il nemico degli ultimi 45 anni, in Europa si pensò di poter saccheggiare le spoglie del paese vinto. Poi, visto che la Russia aveva ritrovato al suo interno la capacità di risollevarsi, si decise che bisognava tornare alla strategia prima del crollo, invece di valutare alternative che potessero cercare di costruire una relazione di mutua collaborazione. Oggi la Russia si é alleata con la Cina, India, Brasile e Sud Africa, leeconomie più dinamiche del pianeta. Quanto ci vorrà alle Cancellerie europee per capire che essere in buone relazioni con la Federazione Russa é nel nostro interesse prima di tutto?

Le politiche di rigore economico stanno portando molti paesi verso il fallimento. Con poco più di una dozzina di miliardi di Euro si sarebbe potuto fermare sul nascere la tragedia che é poi avvenuta in Grecia. Per quanto i politici e i funzionari europei cerchino di proiettare ottimismo, i dati mostrano che molti paesi europei continueranno a  rimanere in una situazione di recessione economica che ormai sta diventando stagnazione.  Le rigide norme di bilancio imposte agli Stati richiederanno per quasi tutti gli Stati tagli, anche significativi della spesa pubblica per riuscire a portare il livello del debito pubblico ai valori richiesti dai trattati. In queste condizioni, parlare di una ripresa dietro l'angolo non sembra accettabile. L'Europa dovrebbe modificare queste politiche, i paesi con una situazione economica migliore dovrebbero accettare d'essere più solidali con gli altri anche perché é molto probabile che da questa crisi si esca tutti insieme o si finisca tutti nel baratro se la moneta unica dovesse franare.

Le scelte dell'Europa paiono sempre più lontane ai cittadini di molti paesi dell'Unione Europea. Le istituzioni europee sono lontane dal sentire della gente e non mostrano la propria esistenza se non quando ci siano da prendere delle decisioni negative per  qualche paese. Da quando la crisi economica é iniziata, molte forze politiche nazionali hanno approfittato dell'opportunità per scaricare sull'Europa le responsabilità per quanto stava succedendo. L'Europa non ha saputo reagire e dimostrare che queste accuse erano false. Anzi, ha fatto l'opposto con l'esigere dai paesi l'adozione di misure impopolari che danneggiavano i cittadini ed andando poi in televisione e sui giornali per affermare che quelle decisioni che loro imponevano erano sì negative, ma la colpa era dei cittadini stessi che avevano voluto vivere al di sopra dei loro mezzi. Una strategia di relazioni pubbliche veramente controproducente. Il rischio oggi molto reale é che nel prossimo maggio quando si voterà per il Parlamento europeo raggruppamenti politici come il Fronte Nazionale Francese, il greco Alba Dorata e molti altri che ormai esistono in ogni paese dell'Unione ottengano un risultato per loro positivo di voti arrivando a portare un numero elevato di parlamentari con l'agenda di invertire il processo d'integrazione che é in atto. Mi auguro che questo non accada perché convinto che un fallimento del disegno europeo finirebbe per essere una catastrofe per tutti coloro che vivono in Europa, ma temo che vista la mancanza di risposte adeguate da parte sia dei governi nazionali che della burocrazia europea questo scenario possa avverarsi con conseguenze gravi per tutti.

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