La Crimea é ancora come ai tempi del Conte di Cavour?

L'ESPANSIONISMO DELLA NATO

di Marco Borsotti

Tutti in Italia abbiamo studiato e mi immagino che si continui a studiare che nel maggio 1855, il regno sabaudo inviò un corpo di spedizione in Crimea a fianco di forze franco-inglesi per lottare contro la Russia zarista a favore dell'Impero ottomano. Leggendo di quei fatti, fatte le dovute alterazioni, si rimane stupiti nel cogliere che in fondo così poco sia cambiato nel mondo che ci circonda anche quando quasi nessuno dei potenti che allora dominavano le forze in campo sia ancora della partita, fatta eccezione per la corona inglese  ancora oggi al potere e per gli Stati Uniti che, essendo allora da un lato fautori dell'autodeterminazione dei popoli e dall'altro non ancora potenza planetaria, non avevano preso parte alla spedizione. Il Conte di Cavour sperava di trarre beneficio da quelle gesta per ben altra impresa e mi sorge il dubbio che anche oggi ci si stia confrontando con uno scenario molto simile anche se con giocatori e ambizioni differenti. Le notizie parlano di misure per difendere l'integrità territoriale dell'Ucraina riportando dichiarazioni più o meno bellicose da parte occidentale a favore di quel paese aggredito dalla Russia che, in vero, nei secoli non ha mai cambiato le sue strategie politiche di ricerca di uno sbocco al mare pur avendo cambiato e molto radicalmente le opinioni ideologiche dei suoi governanti. Scopriamo, anche, come reso chiaro dalle dichiarazioni del Presidente Obama, Premio Nobel per la Pace grazie alle sue “buone intenzioni”, a conclusione del vertice dell'Aja, che la NATO é pronta a rispondere, anche con la forza, se forze militari russe dovessero intervenire in altra parte del territorio ucraino. Al rispetto é necessario chiarire subito che almeno sino ad oggi, la Russia non ha inviato truppe in quel teatro, ma fatto uso delle truppe di cui disponeva in loco e la cui presenza era legittima, quindi scrivere d'invasione di truppe russe é quanto meno tecnicamente sbagliato. Per capire meglio il presente, consiglio di guardare su di una cartina geografica quanto successo negli ultimi 25 anni in Europa. L'immagine dice che si potrebbe sospettare che l'impresa che sta tanto a cuore all'occidente, sia un'ulteriore espansione della NATO sino a completare l'accerchiamento della Russia da tutti i lati. Infatti, nel 1989, la frontiera più ad est della NATO era nella Germania Federale e non esistevano basi a sud in Kazakhstan, Uzbekistan e Afghanistan, mentre oggi basi NATO sono presenti dal Baltico sino al Mar Nero, tenute lontane dai confini russi ad est soltanto dalla frapposizione della Bielorussia ed appunto dell'Ucraina.

I problemi sul tavolo

Il problema dell'Ucraina e della Crimea racchiude molti aspetti e molte considerazioni che spesso si accavallano nelle discussioni e nelle analisi giornalistiche. Si scrive infatti del principio d'inviolabilità delle frontiere, del diritto dei popoli all'autodeterminazione, dell'invasione armata di una altro Stato sovrano, dell'illegittimità o meno delle proclamazioni unilaterali d'indipendenza, della necessità di garantire rispetto per i diritti delle persone, della legittimità di forme di protesta anche violente quando i governi siano corrotti o irrispettosi  dei diritti della persona umana, dell'opportunità di misure di ritorsione economica per punire un paese aggressore, sino a paventare, come fatto genericamente da Obama, l'uso della forza militare anche se non si capisce come questo potrebbe avvenire nel confronto tra potenze nucleari senza scatenare un olocausto di dimensioni imprevedibili.

Si scrive molto dell'aggressività della Russia sotto la guida del Presidente Putin, ma a guardare bene le cose, fatta eccezione per l'intervento nell'agosto 2008 a difesa dell'Ossetia del Sud, Repubblica non riconosciuta internazionalmente, ma sotto la tutela delle forze di pace russe inviate con mandato CIS (Commonwealth of Independent States) con assenso OSCE, quindi tecnicamente non un'aggressione, dal dicembre 1991 la Federazione Russa non ha preso parte in nessuna operazione militare contro terzi fuori dai suoi confini nazionali. Non si può scrivere lo stesso di nessuno degli accusatori viste le tante guerre d'aggressione che hanno funestato l'ultimo ventennio dove tutti coloro che accusano l'aggressività russa hanno preso parte ad operazioni militari contro paesi terzi, sia quando queste erano state sancite da risoluzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite che in mancanza di quella sanzione.

Per completare il quadro, si deve anche menzionare che durante le trattative che al finire del 1989 portarono prima alla caduta del muro di Berlino e poi alla riunificazione delle Germania, per ottenere il consenso sovietico a non intervenire negli affari interni dei paesi del Patto di Varsavia, i negoziatori americani e tedeschi avevano dato, anche a nome dei loro alleati della NATO, rassicurazioni a Gorbachev, che l'alleanza atlantica non avrebbe approfittato dell'occasione per espandere le sue frontiere ad est. Il crollo dell'Unione Sovietica nel dicembre 1991, seguito da anni di marasma interno, non permisero alla Federazione Russa che ne aveva ereditato gran parte del territorio, di far rispettare i patti sottoscritti con l'ultimo Segretario Generale sovietico. Oggi la situazione é certamente cambiata, come ricordato in più occasioni da Lavrov, Ministro degli Esteri della Federazione Russa, per cui ogni tentativo di spostare verso est la presenza militare NATO, é visto come una violazione di accordi presi ed un atto di manifesta aggressività verso la Russia.

Complottare per cambiare governi sgraditi é lecito?

Trovo assai interessante che considerazioni in linea con quanto scrivo, siano anche state espresse da due personalità di certo molto più autorevoli di me, Henry Kissinger e Sergei Khrushchev in articoli apparsi recentemente, del primo sul Washington Post del 5 marzo e del secondo in due articoli riportati dall'edizione on line di Aljazeera del 21 e 22 marzo. Consiglio la lettura degli articoli scritti dal figlio di Nikita Khrushchev per avere un'ampia visione storica della vicenda della Crimea e dell'Ucraina, mentre il testo di Kissinger delucida chiaramente le ragioni politiche che avrebbero dovuto spingere la Casa Bianca  a seguire una politica diametralmente opposta nel caso della crisi dell'Ucraina.

Voglio anche spendere alcune parole per trattare brevemente il caso della legittimità o meno del referendum tenuto in Crimea e della mancanza di lungimiranza politica nel promuovere cambi di governo attraverso proteste di piazza per quanto esse possano essere giustificate. Inizio con la seconda questione, ossia della legittimità di cambi di governo come risultato di rivoluzioni di piazza più o meno cruente.

Le proteste di piazza sono una alternativa alle elezioni?

Prima di tutto, voglio premettere che non ho dubbi sulla veridicità delle critiche mosse al precedente governo ucraino. Pur essendo stato eletto senza brogli, il precedente governo era certamente piagato dalla presenza di funzionari corrotti ed incapaci. Incapacità gestionale, avidità personale e mancanza di una visione di medio e lungo periodo in un periodo difficile per la crisi economica internazionale rendevano la protesta di piazza giustificata, mentre le rimostranze contro la decisione dell'ultimo minuto di non sottoscrivere gli accordi con la Unione Europea erano meno convincenti perché basate su aspettative che non erano veritiere e che, soprattutto politici e governi europei, avevano presentato come specchietto per le allodole per attirare consenso verso quella scelta.

La strada da seguire sarebbe dovuta essere quella di una mediazione politica che portasse, in un periodo ragionevolmente corto, diciamo di pochi mesi, il paese ad un nuovo voto per eleggere un nuovo Presidente o confermare quello uscente mentre si sarebbe anche dovuto rinnovare il parlamento di Kiev. Quell'accordo era stato raggiunto ed elezioni si sarebbero dovute tenere in autunno. Ma mentre tutto questo succedeva, esistono forti sospetti che ci siano state pressioni per accentuare le proteste di piazza con l'intervento di azioni chiaramente provocatorie contro i dimostranti e la polizia, per far precipitare la crisi e rendere nullo il percorso negoziale convenuto.

Conoscendo la facilità con cui si generano notizie che potrebbero poi risultare fabbricate, non riporto quanto da molti asserito, ma voglio ugualmente esprimere la mia perplessità di fronte a comportamenti chiaramente irrazionali e contrari al proprio interesse ed al buon senso. Per esperienza personale in delicate negoziazioni in conflitti di questa natura, so che bastano poche persone armate che sparino anche a caso per far naufragare mesi di discussioni ormai giunti ad un esito positivo. Evito anche d'entrare in dettagli sulle finalità di molte organizzazioni “non governative” che ho visto all'opera in paesi della regione con larga disponibilità di risorse finanziarie e con programmi fumosi che non si riusciva a capire come avessero potuto ottenere simile quantità di fondi da governi occidentali per realizzare iniziative così generiche e mal definite.

Rimane poi il fatto mai negato neppure dagli organi di stampa che si sono dimostrati più favorevoli con la protesta ucraina, che i dimostranti erano poche migliaia di persone concentrate in una sola zona di Kiev, la Piazza Maidan, mentre nel resto della città e del paese la vita continuava a scorrere normalmente. Non voglio affermare che non fosse vero che in molti, soprattutto nelle regioni occidentali, fossero scontenti con il governo Yanukovitch, ma resta il fatto che pochissimi scesero in piazza, lasciando che i dimostranti finissero per essere soltanto le milizie, spesso armate con armi da fuoco, dell'estrema destra.

Per questo, considerare quanto successo come una giustificazione sufficiente per attribuire legittimità politica al nuovo governo, é di certo un'operazione azzardata che genera un precedente molto pericolo per la stessa Unione Europea, il precedente di aver accettato di firmare un accordo con un governo che non aveva ricevuto la legittimità di un voto popolare, ma che fosse frutto di una presa violenta del potere attraverso agitazioni di piazza. Il fatto é ancora più grave perché nuove elezioni erano già state indette per la fine di maggio. Meglio sarebbe stato aspettarne il risultato e sedersi al tavolo delle negoziazioni con coloro che le avessero vinte.

Riflessioni sul Diritto Internazionale

Per concludere l'analisi di quanto avvenuto, vengo alla questione della legittimità del referendum in Crimea. Il problema é complesso e non esiste un accordo unanime su questa questione anche tra gli specialisti del diritto internazionale in gran parte perché il diritto internazionale come tale é una disciplina ancora molto discussa e discutibile.

Gran parte del diritto internazionale regola o vorrebbe regolare le relazioni tra Stati sovrani, ma le norme non sono sempre considerate vincolanti da tutti, vi sono norme che vari paesi semplicemente non accettano e, fattore della massima importanza, non esistono veri meccanismi per sanzionare eventuali violazioni delle norme ed esigerne il rispetto. La cosa é persino peggiore perché certi meccanismi esistono, ma sono attuabili soltanto contro quegli Stati che siano sufficientemente deboli da doverne sopportare le conseguenze senza avere la capacità di reagire, soprattuto perché queste stesse conseguenze finiscono sempre per colpire la popolazione più vulnerabile ed inerme che, in generale, in quei paesi, non ha voce nel determinare il corso delle azioni che quello Stato adotta nel contesto internazionale.

Il Diritto internazionale vorrebbe anche regolare relazioni tra un individuo o gruppi d'individui e gli Stati. Questo é il grande calderone dei diritti umani su cui pesano molte importanti divergenze d'opinione. Infatti, per una scuola di pensiero, i diritti umani sono principalmente diritti dell'individuo, mentre altri subordinano i diritti individuali ai diritti della collettività. Leggevo recentemente che, le prime indicazioni tese ad elaborare teorie sui diritti umani risalgono ai primi del mille duecento quando l'Università di Bologna aveva iniziato a definirli per difendere i diritti del proprio corpo docente e dei propri allievi contro le ingerenze delle autorità dei Comuni e dei vari Stati e staterelli limitrofi. Quasi subito, Federico Barbarossa colse l'occasione per far propri quei principi nella sua lotta contro i Comuni. Faccio questa citazione per risaltare come spesso il concetto di diritto umano sia stato utilizzato dal potere non certo per le finalità ultime per cui quei concetti erano stati pensati, ossia per  la protezione e garanzia delle libertà fondamentali di ogni persona, ma per perseguire intenti di dominio del tutto alieni da quegli stessi principi.

Alcune parole sulla Crimea

Dopo queste premesse che vorrebbero chiarire quanto controversa sia la materia, voglio far notare  che la Crimea dal 1954 era Repubblica Autonoma parte della Repubblica Socialista dell'Ucraina, poi diventata semplicemente Repubblica Ucraina per ragioni di convenienza amministrativa come spiegato da Sergie Khrushchev. La questione dell'appartenenza della Crimea all'Ucraina o alla Russia no fu realmente risolta al momento della dissoluzione dell'Unione Sovietica, fatto questo vero in molte parti di quell'immenso territorio che oggi é suddiviso tra la Federazione Russa e le tante repubbliche indipendenti che sorsero. I conflitti irrisolti sono molti e quasi nessuno di loro, fatta forse eccezione per la questione cecena e la recente questione dell'Ossetia del Sud, raggiunsero o raggiungono mai l'attenzione degli organi d'informazione occidentali e, spesso, persino dei governi occidentali. Nella maggior parte dei casi, esistono situazioni de-facto che non riescono mai a trovare una soluzione accettata da tutti e quindi rimangono intrappolate in quello che si suole definire come un conflitto congelato, guerre non combattute dove però non c'é pace e spesso neppure armistizio.

Sono stato alcune volte in Crimea e posso asserire che in quei luoghi ho trovato poche persone che usassero l'ucraino come lingua, preferendo tutti usare esclusivamente il russo. Per questo non mi ha stupito leggere i risultati del referendum dal momento che la grande maggioranza degli abitanti si consideravano anche prima degli eventi degli ultimi mesi come dei cittadini russi che vivevano in un altra nazione. Mi pare quindi fuori dubbio che gli abitanti della Crimea abbiano voluto in grandissima maggioranza diventare parte della Federazione Russa.

Scrivendo delle persone che vivono in Crimea mi riferisco a loro come agli abitanti del luogo perché, a mio vedere, parlare, in questo come in molti altri casi di popoli intesi come un certo gruppo etnico, risulta fuorviante perché é lo stesso concetto di popolo un qualche cosa talmente elusivo da essere come dell'acqua nel palmo di una mano, un liquido impossibile da trattenere senza lasciarlo in breve scorrere via tutto. Maggior senso, a mio vedere, ha il concetto di abitante residente, definendo per completezza un periodo minimo di residenza in un dato luogo come criterio d'accettazione del requisito. Coloro che risiedono possiedono la legittimità di decidere collettivamente sulle loro sorti, approvando norme che tutelino anche i diritti di eventuali minoranze per razza o religione o altra ragione con cui convivano in un dato luogo.  Il concetto di residenza é, infatti, la base per il riconoscimento di compensazioni per danni subiti nel caso di distruzione di proprietà o forzato allontanamento delle persone dal loro normale domicilio quando avvengono esodi di massa. Nel caso specifico del referendum del 16 marzo, non mi pare, peraltro, che nessuno metta in discussione il risultato, ma soltanto la sua validità dal momento che fuori dalla Crimea molti, soprattutto in occidente, considerano quel referendum come illegittimo negando agli abitanti del luogo il diritto di decidere sulla propria appartenenza ad uno Stato o ad altro.

La legittimità del referendum

La questione della legittimità del referendum é materia molto complessa. Non ci sono infatti dubbi che alla fine del processo di decolonizzazione, le Nazioni Unite abbiano raggiunto un consenso nel sancire l'inviolabilità dei confini nazionali a meno di decisioni accettate dalla maggioranza degli abitanti di ciascun Stato o di provvisioni legali che ne autorizzassero la scissione, iscritte nei principi costituzionali di quella Nazione. Conoscendo l'arbitrarietà e la poco consistenza dei criteri con cui i confini nazionali furono definiti nel tempo, non stupisce che tutti gli Stati abbiano visto e continuino a vedere in una norma così chiusa ad accogliere variazioni allo status quo, un principio di stabilità che potesse garantire la sussistenza nel tempo dell'integrità dello Stato senza dover periodicamente rinegoziare l'entità del territorio nazionale. Questo é vero non solo per le antiche colonie i cui confini furono tracciati in modo totalmente arbitrario dalle potenze coloniali senza nessuna considerazione per le condizioni locali, ma anche per le Nazioni di più lunga esistenza dove i confini per secoli avevano continuato a variare a seconda delle fortune militari dei paesi in contesa fra loro.

Ora questo principio rimase come punto di riferimento fisso durante tutto il trascorrere degli anni della guerra fredda sino al 1989 e, in un certo senso, ancora oggi. Nell'autunno 1989, si accettò che la Germania si riunificasse. Il modo pacifico ed accettato da tutti in cui questo processo si realizzò, non alterò i principi dell'inviolabilità territoriale degli Stati e non rappresentò precedente per nessuna avventura in qualche altra parte del mondo.

La crisi nei Balcani

Però, nei Balcani esisteva la Repubblica Socialista Federale Iugoslava, un insieme di sei Nazioni federate tra loro (Slovenia, Croazia, Serbia, Montenegro, Macedonia e Bosnia Erzegovina) più due Repubbliche Autonome parte della Serbia che per molti anni avevano coesistito sotto il controllo del governo centrale di Belgrado retto dal Maresciallo Tito. Nel 1980, alla morte del Maresciallo che aveva detenuto incontestato il potere all'interno della Federazione perseguendo una posizione autonoma in relazione con i due blocchi egemoni della NATO e del Patto di Varsavia, avendo contribuito con Nasser e Nehru alla creazione del Gruppo dei Non Allineati, spinte nazionalistiche sin ad allora sopite iniziarono ad emergere nuovamente in quello Stato in mancanza di una personalità che avesse la stessa indiscussa autorità del defunto Maresciallo. I meccanismi rotativi per la gestione del potere centrale federale, studiati per salvare l'unità nazionale lasciando a turno a ciascun Stato membro l'onere ed il privilegio di dirigere la Federazione, mostrarono rapidamente le loro limitazioni con l'ascesa al potere nelle varie repubbliche di dirigenti di visione politica nazionalistica.

Queste soluzioni di compromesso nella gestione della Federazione, ovviamente andavano strette alle nuove dirigenze nazionali che invece avrebbero voluto per loro il potere anche se limitato soltanto a quella repubblica da cui provenivano. Il crollo dell'Unione Sovietica e la fine delle zone d'influenza che aveva ripartito rigidamente il mondo a partire dalla conclusione della Seconda Guerra Mondiale, offrì l'opportunità perché quelle ambizioni potessero materializzarsi. Bisogna anche riconoscere che il processo fu quanto meno facilitato dalla posizione di alcuni Stati europei, in primo luogo la nuova Germania, che furono molto solleciti ad incoraggiare con immediati riconoscimenti le aspirazioni di alcuni paesi della Yugoslavia alla piena indipendenza nazionale anche perché l'ultima Costituzione Federale approvata riconosceva ad ogni Stato membro il diritto alla scissione.

Tutti sappiamo come il processo fu molto doloroso perché quasi dovunque le maggioranze etniche che presero il potere non seppero offrire sufficienti garanzie alle minoranze con la conseguenza che per alcuni anni i Balcani furono teatro di lotte cruente accompagnate da massacri anche in larga scala di popolazioni inermi. Sappiamo anche che in alcuni casi come quello della Bosnia Erzegovina, le soluzioni trovate non sono ancora riuscite a portare una stabile pacificazione con il perdurare di tensioni che occasionalmente sfociano in violente proteste popolari.

Il Kosovo

Il principio della autodeterminazione che permise lo sfaldamento della Federazione non era però valido per le due repubbliche autonome, parte della Serbia perché la loro stessa esistenza come Repubbliche Autonome era stata annullata alcuni anni prima rendendole entrambe provincie dello Stato serbo. Questo stato delle cose non era però accettato dalla popolazione prevalentemente albanese residente nel Kosovo, che già nel passato aveva scatenato una rivolta armata contro il governo centrale di Belgrado in mano alla popolazione di etnia serba.

Ci sono molte spiegazione sul perché questo conflitto interno che aveva visto i suoi albori già nei primi anni ottanta, quindi ancora sotto l'egemonia della Federazione Iugoslava, assunse alla ribalta internazionale. Negli Stati Uniti uscì anche un film, Wag the Dog, con una teoria molto interessante su possibili ragioni per il massiccio coinvolgimento americano, ragioni di certo molto lontane dall'interesse di tutelare la minoranza albanese per proteggerne il diritto all'autodeterminazione. Comunque, in breve la NATO nominatasi protettrice dei diritti umani dei kossovari, decise d'intervenire e con una rapida operazione militare assunse il controllo di Pristina ed in breve di tutto il territorio di quella provincia serba.

Questa operazione aveva di fatto generato un vuoto di potere che venne colmato con una decisione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite che diede a questo organismo il potere di gestire quel territorio in un modo che non esito a definire assoluto. Non esistevano organi rappresentativi, tutto il potere era nelle mani del governo che era deciso non per elezione democratica, ma nominato dalle Nazioni Unite. Continuo a pensare con sconcerto come tutto questo sia potuto accadere senza una vera opposizione se non da parte dei governanti serbi che per questo divennero presto tutti criminali internazionali perseguiti per crimini di guerra e contro l'umanità dal tribunale dell'Aja. Chiarisco subito che non asserisco che non avessero commesso quei crimini, ma come loro altri governanti della ex-Yugoslavia avevano commesso gli stessi crimini e non furono per questo indiziati e trascinati all'Aja per subire un processo penale molto discutibile.

In questo vuoto del diritto, gli albanesi kossovari organizzarono e portarono a termine un referendum per sancire la volontà del popolo del Kosovo d'essere Stato indipendente dalla Repubblica serba. I risultati del referendum furono accettati e si diede avvio al processo di trasferimento dei poteri dagli organi delle Nazioni Unite ai rappresentanti dell'etnia albanese del Kosovo.

La Serbia cercò di contestare il processo e chiese il parere della Corte Internazionale di Giustizia che nel luglio 2010 rigettò la richiesta serba d'annullare la proclamazione d'indipendenza riconoscendo il risultato del referendum che non poteva essere invalidato perché non era stato espressamente vietato nella risoluzione che aveva assegnato l'amministrazione delle provincia serba alle Nazioni Unite. Lascio ad ognuno il giudizio su quanto successo, ma sottolineo che questo rappresentò un precedente che veniva meno ai principi sin allora seguiti nel dirimere casi simili. In modo unilaterale il Kosovo aveva potuto affermare la propria indipendenza con un referendum dove avevano potuto votare soltanto coloro che al momento risiedevano nel paese.

Per quanto ci si affanni a smantellare la tesi che il referendum del Kosovo non possa essere utilizzato come precedente in nessun altro caso, la tendenza a proclamare referendum separatisti sta certamente prendendo piede e non sarà cosa facile contestarne i risultati visto che la maggioranza dei paesi occidentali hanno accettato il Kosovo come paese indipendente senza metterne in discussione le procedure con cui ha ottenuto la propria indipendenza.

Conclusioni

Al momento della dissoluzione dell'Unione Sovietica, la questione della Crimea rimase sospesa, come rimasero sospese moltissimi altre realtà territoriali dove precedentemente le popolazioni locali avevano goduto di ampie autonomie in molto simili ad una completa indipendenza. L'Ucraina come Stato nazionale non può vantare una grande tradizione storica visto il susseguirsi di dominatori esterni che hanno segnato gran parte della sua storia e il continuo cambiare dei suoi confini. L'appartenenza stessa della Crimea al resto dell'Ucraina non ha tradizione storica eccetto la decisione amministrativa di trasferirne il controllo al governo di Kiev per facilitare l'amministrazione di lavori infrastrutturali d'irrigazione. Per questo, é possibile asserire che esistessero tradizioni storiche e culturali molto più consolidate che avrebbero dovuto giustificare l'appartenenza del Kosovo alla Serbia che quelle ora addotte per negare alla popolazione residente in Crimea il diritto all'autodeterminazione in nome della sua appartenenza all'Ucraina.

Sorge, quindi, legittima la domanda sul perché queste due realtà siano state viste in modo così differente sia ad occidente che a oriente. La risposta oggi, come nel 1855, risiede nell'interesse a contenere l'espansione verso il Mar Nero della Russia assicurando il controllo di quella strategica penisola alle forze che vogliono controllare dal più vicino possibile quanto succede a Mosca.

Questo non significa prendere la difesa delle politiche espansionistiche russe, ma soltanto riconoscere che per assicurare una coesistenza pacifica tra Nazioni vicine ed interessate a sviluppare legami economici e culturali, sarebbe molto più proficuo per tutti lasciare di lato l'espansione nella presenza militare per favorire invece il consolidamento di zone di contatto svincolate dall'essere associate ad uno o all'altro dei contendenti. A mio parere, come suggerito anche da Kissinger che sono certo nessuno può tacciare d'essere un pericoloso rivoluzionario di sinistra, stabilità e pace saranno garantite soltanto quando si arriverà a capire che per l'Ucraina, come per altri nazioni in situazioni simili, la soluzione giusta sia soltanto una posizione neutrale verso est come verso ovest.

La vera questione che dovrebbe essere al centro del dibattito, ma non lo é, sarebbe la ragione per il mantenimento di un apparato militare come la NATO dal momento che quello del Patto di Varsavia non esiste più e non vi sono realistiche aspettative che la Russia voglia seguire una politica d'annessioni dei paesi che si trovano alle sue frontiere.

Ovviamente, una politica simile andrebbe contro gli interessi d'importanti centri di potere sovra-nazionale come l'industria bellica o quella che controlla lo sfruttamento e trasporto di combustibili fossili. Politiche nazionali meno asservite al potere militare di organismi come la NATO o altre forze simili, dovrebbero sollevare questi dibattiti ad occidente come ad oriente per aiutare le popolazioni a capire meglio la natura dei problemi che si stanno discutendo ed a vedere quali sarebbero le soluzioni che offrirebbero un futuro migliore per tutti.

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