Al momento non è possibile affermare che si stia vivendo in Italia in un regime di piena democrazia. E' necessario discuterne per cercare delle risposte convincenti a questo problema prima che la crisi della democrazia  apra la strada a nuove esperienze autoritarie come potrebbe senza dubbio accadere.

DEMOCRAZIA ! DEMOCRAZIA ?

di Marco Borsotti

Possiamo ancora considerare l'Italia un paese democratico?

Prima di tutto cerchiamo di definire con precisione la natura del problema. Che cosa significa la parola “democrazia”? Cerco quindi la definizione del vocabolo in questione sul dizionario Treccani che dispone anche di una versione accessibile elettronicamente. La parola ha la sua origine etimologica dal greco antico fondendo i due vocaboli popolo e potere per acquistare come forma di governo il seguente significato: democrazìa s. f. [dal gr. δημοκρατία, comp. di δῆμος «popolo» e -κρατία «-crazia»]. – 1. a. Forma di governo in cui il potere risiede nel popolo, che esercita la sua sovranità attraverso istituti politici diversi; in partic., forma di governo che si basa sulla sovranità popolare esercitata per mezzo di rappresentanze elettive, e che garantisce a ogni cittadino la partecipazione, su base di uguaglianza, all’esercizio del potere pubblico: paese retto a d.; instaurare la d.; d. diretta o plebiscitaria, quando il potere è esercitato direttamente da assemblee popolari o mediante plebisciti; d. indiretta, rappresentativa, parlamentare, quando il potere è esercitato da istituzioni rappresentative. D. popolare, espressione con cui veniva indicata genericamente l’organizzazione politico-sociale dei paesi socialisti dell’Europa orientale e, in senso più ampio, di tutti i paesi socialisti. La stessa parola, come spiegato nel vocabolario, si può anche utilizzare in senso lato, ma questo per lo scopo di questo breve scritto non ci interessa.

 

Nel diciassettesimo e diciottesimo secolo in Europa ed America, la Filosofia Politica dibatté accesamente la questione del come poter assicurare l'attuazione pratica del principio di base che accompagna il concetto di democrazia, cioè, quello che riconosce nel popolo sovrano l'origine e natura del potere politico, cambiamento epocale dal momento che in precedenza, anche in epoca cristiana, si era sempre attribuita l'origine del potere alla divinità, fatto questo rilevante perché attribuiva al termine uno speciale valore trascendente che veniva a mancare. Molti pensatori lavorarono sulla questione di quali elementi fossero rilevanti nell'amministrazione del potere, una volta accettato il principio che esso derivasse non da Dio, ma dal popolo, ma in modo particolare furono importanti i contributi di due studiosi, Montesquieu e Kant, che gettarono le basi per la teoria della separazione dei poteri (esecutivo, legislativo e giudiziario) come cardine di un processo genuinamente democratico, fatto questo anche sancito nell'articolo 16 della Dichiarazione dei Diritti dell'Uomo e del Cittadino del 1789. “Ogni società nella quale non sia assicurata la garanzia dei diritti e determinata la separazione dei poteri non ha costituzione.”

Cercherò qui di semplificare al massimo i concetti. Il Potere Supremo  risiede nello Stato come depositario della “volontà collettiva di tutti i suoi appartenenti”. Lo Stato può assumere diverse forme (monarchia, aristocrazia e democrazia), ma quello che adesso mi interessa é concentrarmi soltanto sulla forma che si presume prevalga oggi in Italia, una Democrazia Parlamentare Rappresentativa.

Quanto del potere dello Stato é regolamentato nella Costituzione della Repubblica del 1948

Per scongiurare il rischio che il potere possa concentrarsi in una sola persona o in un gruppo ristretto di persone, la Costituzione italiana del 1948 nella Parte II Ordinamento della Repubblica assegna al Parlamento formato dalla Camera dei Deputati e dal Senato della Repubblica, con funzioni paritarie, la responsabilità della funzione legislativa (Titolo I), cioè della formulazione delle leggi (funzione questa non esclusiva del Parlamento godendo della possibilità di formulare leggi sia il governo che ne ha la responsabilità primaria, sia altri enti per ciò designati dalla Costituzione stessa sia almeno cinquantamila cittadini con diritto di voto che abbiano sottoscritto la stessa proposta di legge), discussione ed approvazione delle leggi; al Governo (Titolo III) la funzione esecutiva di dirigere l'indirizzo politico ed amministrativo del paese; alla Magistratura (Titolo IV) la gestione in totale autonomia del potere giudiziario dove i giudici risultano sottoposti, nell'adempimento della loro funzione, soltanto alla legge. In aggiunta, la Carta costituzionale assegna al Capo dello Stato (Titolo II) la funzione di rappresentante dell'unità della Nazione; nel Titolo V riconosce l'esistenza delle Regioni, Provincie e Comuni cui sono affidate funzioni specifiche ed assegna nel Titolo VI alla Corte Costituzionale l'onere di garantire che le leggi approvate siano in conformità con i dettami della Costituzione.

Nell'intenzione dei deputati costituenti, la parte seconda della Carta doveva contenere un ordinamento dello Stato che fosse la garanzia del rispetto dei Principi Fondamentali elencati nei primi dodici articoli della stessa e dei Diritti e dei Doveri dei Cittadini descritti nella Parte I, scongiurando per il paese il rischio di un ritorno a forme autoritarie di gestione del potere politico. In questo era forte la memoria della dittatura fascista e della guerra frutto di una situazione dove era venuta meno un'appropriata divisione dei poteri.

Quanto invece la Costituzione non regola

A- Il processo elettorale

La Costituzione non contiene però definizioni su come debba svolgersi il processo elettorale atto principe per l'espletamento del potere da parte di tutti gli aventi diritto di voto. I deputati dell'Assemblea Costituente discussero dell'opportunità di definire nella Costituzione norme che regolassero i meccanismi elettorali. Ma mancando un'ampia convergenza d'opinioni su di un modello di normativa elettorale, si decise di adottare per legge ordinaria dello Stato il sistema elettorale proporzionale, lasciando la questione aperta perché il Parlamento potesse, in un secondo momento e quando fosse ritenuto necessario, modificare le norme vigenti con nuove regole che raccogliessero il maggior accordo possibile tra le parti politiche.

Sin da subito il problema si dimostrò spinoso e diede occasione per battaglie politiche molto accese in Parlamento e nelle Piazze perché i vari raggruppamenti politici non riuscirono mai a trovare un accordo che potesse soddisfare tutte le aspettative ed essere pienamente condiviso da tutti. Sin dai tempi della legge Tambroni (n° 148/1953), che l'opposizione denominò “legge truffa”, lo scontro si concentrò sui meccanismi di correzione della legge proporzionale in vigore. I termini della questione si concentrarono principalmente sul premio di maggioranza che il partito vincitore che avesse raggiunto il 50% più uno dei voti validi avrebbe goduto per assicurarsi una maggioranza stabile in Parlamento con il 65% dei seggi disponibili, l'un percento in meno di quanto richiesto per poter modificare la Costituzione senza dover ricorrere al referendum popolare confermativo, possibile per ogni legge di natura costituzionale che non ottenga l'approvazione qualificata del Parlamento con almeno il 66% dei voti, articolo 138 della Carta Costituzionale, ultimo paragrafo. In quell'occasione la legge venne approvata, ma alle elezioni politiche che seguirono nessuno raggiunse il quorum minimo richiesto per poter accedere al premio e la legge fu quindi abrogata l'anno successivo dal nuovo Parlamento.

L'insuccesso della legge Tambroni non scoraggiò le forze politiche dal voler tentare di modificare la legge elettorale per correggerne l'impostazione proporzionale del sistema elettorale che, dopo ogni tornata elettorale, forzava i partiti politici a cercare alleanze di governo in Parlamento per raggiungere la maggioranza del 50% più uno dei voti. Però, sino agli inizi degli anni novanta, rimase comunque in vigore un sistema elettorale sostanzialmente proporzionale che permise l'ingresso in Parlamento ad un numero relativamente elevato di formazioni politiche di diverso orientamento e, al contempo, non assicurò mai ad un solo partito politico la maggioranza assoluta dei voti. In conseguenza, per la natura delle rappresentanze elettorali frazionate tra vari partiti politici, i governi in carica erano facilmente preda degli umori ed ambizioni dei gruppi parlamentari minori che facendo mancare il loro voto, riuscivano a far decadere il governo in carica ed aprire, così, un periodo di crisi dove poter negoziare nuovamente i termini di un loro eventuale appoggio politico ad un nuovo governo. A causa di questo stato delle cose, durante tutto il trascorrere della così detta prima repubblica, nessun governo ebbe i numeri e la capacità di restare in carica per periodi che eccedessero di molto l'anno, mentre in alcuni casi governi caddero prima di aver completato il loro primo mese d'attività.

Per molti, l'instabilità politica dei vari governi che si susseguirono a partire dal 1948 sino ai primi degli anni novanta fu causa della debolezza delle istituzioni repubblicane e di conseguenza di tutto lo Stato dove veniva a mancare una direttiva di lungo periodo che ne definisse le traiettorie di sviluppo, direttiva che soltanto governi capaci di restare in carica per vari anni consecutivi potevano garantire. Per questo, dopo una campagna promossa dal Comitato Segni, dal nome di un deputato Democristiano Mariotto Segni, iniziata nel 1988, si arrivò, dopo un processo referendario  di per sé sostanzialmente fallimentare dal momento che ben due dei tre quesiti referendari furono rigettati dalla Consulta, ma non di meno utile per sensibilizzare l'opinione pubblica sulla necessità di una riforma di tipo maggioritario del sistema elettorale, all'approvazione nel 1993 del Mattarellum (legge numero 276-77 del 1993), legge mista che assegnava il 75% dei seggi in collegi uninominali ed il restante 25% con un sistema proporzionale corretto con modalità differenti per Camera e Senato. Al rispetto va riconosciuto che la legge approvata fu oggetto di severe critiche da parte di coloro che avevano proposto i referendum perché si sosteneva che la legge approvata, conservando una percentuale anche se minoritaria di sistema proporzionale, veniva meno all'indicazione data dagli elettori che invece si erano espressi nel referendum del 1993 senza equivoci a favore del sistema maggioritario.

Va detto comunque che il processo di riforma della legge elettorale non riuscì mai a costruire una visione comune sulla questione tra i partiti presenti in Parlamento, fatto questo grave perché le varie leggi approvate furono sempre imposte dalla maggioranza ad una larga minoranza riottosa che quindi lavorò sempre per poter abrogare queste leggi appena giunta al potere per sostituirle con nuove norme che a loro volta non godevano di sufficiente appoggio per poter essere condivise come la forma migliore per tutti per esercitare il diritto di voto.

Se nel periodo che va dal 1946 al 1993, pur se condiviso sostanzialmente da tutti, mancava in Italia un sistema elettorale che potesse assicurare stabilità al governo che risultasse vincitore alle elezioni, dopo il 1993 il sistema elettorale in vigore é sempre stato contestato da coloro che non lo avevano votato che ne questionavano la democraticità e costituzionalità, fatto questo rilevante dal momento che si arrivò ad approvare nel 2005 una legge elettorale, il Porcellum, che fu successivamente dichiarata anticostituzionale dalla Consulta, rendendo almeno politicamente opinabile la legittimità dell'attuale Parlamento che fu eletto facendo appunto uso di quella legge.

B- Il ruolo dei Partiti Politici e dei Movimenti

Altro elemento importante é il ruolo assegnato ai partiti politici. Essi compaiono nella Costituzione come diritto dei cittadini ad associarsi, articolo 49, per poter partecipare alla vita politica della Nazione. La Costituzione, correttamente a mio vedere, non entra in dettaglio sul come i partiti possano svolgere la loro funzione. I partiti sono un diritto e la Costituzione, memore delle restrizioni all'attività politica del periodo fascista, pur riconoscendone l'importanza non volle entrare in nessun modo nel discutere come i cittadini che aderiscano ad un partito vogliano poi gestirlo. Non di meno é implicito nella stessa formulazione dell'articolo costituzionale in questione che la formazione di partiti politici sia sì un diritto dei cittadini, ma per questo non avrebbero dovuto mai giungere ad essere prioritari in relazione ai cittadini elettori stessi, essendo essi solo strumenti per svolgere l'attività politica e non obiettivi politici in sé.

Il problema, quindi, sorge quando l'apparato di gestione dei partiti imponga come i partiti stessi interpretino il loro ruolo all'interno delle istituzioni,(governo, parlamento, sindacati, amministrazione pubblica) e nelle attività imprenditoriali e di comunicazione di massa. Ma di fronte a numeri modesti di militanti, alcuni partiti raccolgono poi vari milioni di voti che di fatto gli assegnano una fetta importante del potere politico soprattutto ora che sono i partiti a decidere chi sieda in Parlamento. Le zone d'ombra, dal momento che i partiti sono delle associazioni private, si trovano nei meccanismi interni di gestione e nelle fonti di finanziamento delle attività che ciascun partito svolge. Ad aggravare la situazione esistente, oggi prevale la visione che assimila il partito politico alla figura carismatica del suo presidente o segretario generale. Infatti, chi ricopre questa carica, sopratutto in partiti con largo appoggio elettorale, possiede un grande potere sulle vicende dello Stato, a volte senza aver ricevuto nessun mandato popolare che lo legittimi. Le decisioni vengono prese in riunioni di partito dove nulla di quanto si discute deve essere reso pubblico. Per esempio, recentemente i responsabili di due grandi partiti si sono riuniti ed hanno deciso come realizzare la nuova riforma elettorale e come modificare ben 44 articoli della Carta Costituzionale. Tutto questo é avvenuto in forma privata, non vi sono registrazioni che rendano conto della discussione, degli accordi presi o delle motivazioni per certe scelte. Tutto é opaco, coperto dal silenzio che lascia filtrare soltanto quanto coloro che erano presenti vogliono si sappia. Ma le decisioni prese e che il Parlamento é chiamato a ratificare sono importanti decisioni politiche per tutti. Ora, le segreterie dei partiti in questione hanno ripetutamente ricordato ai loro parlamentari d'essere legati nel loro agire istituzionale al rispetto delle decisioni prese dal partito. Dal momento che i parlamentari devono la loro elezione al partito e non agli elettori, é facile immaginare dove risieda la loro lealtà. Non vi é nulla di democratico in questo modo d'agire. Questo é chiaramente un comportamento oligarchico, per certi versi quasi monarchico dove un pugno di persone decide senza che vi siano meccanismi per almeno conoscerne in dettaglio le modalità e le motivazioni. A questo si aggiunga l'oscurità che avvolge le fonti di finanziamento dei partiti. I maggiori scandali politici avvenuti in Italia hanno tutti una matrice comune, occultare le fonti di finanziamento dei partiti politici. La corruzione, il peculato, i ricatti, le associazioni illegali con attività commerciali o persino con il crimine sono dovute al fatto che i partiti non vogliono dischiudere l'origine dei loro fondi, almeno di una parte sostanziale di essi. La ragione é anche ovvia. I partiti non vogliono si sappia a quali interessi rispondano, quali padroni servano, a vantaggio di chi certe decisioni siano state prese. Per questo i partiti allo stato attuale delle cose rappresentano un grave rischio per la vita democratica appropriandosi del potere supremo dello Stato che invece dovrebbe essere appannaggio esclusivo del popolo sovrano rappresentato dal Parlamento.

I movimenti politici sono un fattore relativamente nuovo della politica italiana. Essi hanno svolto un ruolo essenziale nel condurre battaglie referendarie a difesa di beni comuni come l'acqua o per bloccare lo sviluppo di centrali nucleari nel paese. Hanno anche contribuito a far abrogare norme impopolari come quelle che garantivano il finanziamento pubblico ai partiti politici. Sino ad ora, i movimenti erano comunque rimasti ai margini della politica che al massimo cercavano d'influenzare con attività di propaganda. La situazione é però cambiata sostanzialmente negli ultimi tre anni anche a causa della crisi che la politica dei partiti sta conoscendo portando un movimento politico al centro della politica nazionale e facendo svolgere ruoli di rilievo ad altri movimento come quelli a difesa dell'ambiente in certe regioni del paese. Per quanto traspare al momento, i movimenti non sono immuni dagli stessi rischi dei partiti, anzi, la loro natura estremamente informale li rende vulnerabili a potenziali derive autoritarie dove manciate di persone decidano su questioni di portata nazionale praticamente senza controllo e senza democrazia. Essendo in una fase preliminare nell'affermazione di queste forme di realizzare attività politica é certamente prematuro trarre conclusioni affrettate. Rimane però essenziale segnalare le derive autoritarie osservate per sensibilizzare sull'urgenza e la necessità che si prendano misure correttive che possano scongiurare che anche i movimenti di base si trasformino in strutture opache ed autoritarie come quanto successo con i partiti politici.

C- Il ruolo dell'Informazione

A completare il quadro dei poteri o delle norme che non sono regolate dalla Costituzione si deve discutere del ruolo dell'informazione, perno indispensabile nella formazione delle opinioni dei cittadini elettori. La stampa é libera o almeno dovrebbe esserlo. I giornalisti dovrebbero scrivere basandosi sulla loro visione della vita, sulla deontologia della professione  che li dovrebbe spingere a riportare i fatti per quello che sono marcando chiaramente la distinzione tra le loro opinioni e gli eventi descritti e sulla consapevolezza che la professione che svolgono ricopre un'importante funzione sociale. Pubblicare costa molti denari e quindi le fonti d'informazione sono allineate alla linea editoriale espressa dalla proprietà delle varie testate giornalistiche o televisive. Per questo é essenziale che esista anche un servizio pubblico d'informazione, finanziato con denari dello Stato, ma indipendente nella gestione dei fondi e delle notizie. L'accesso a questo servizio pubblico deve essere trasparente e slegato dalla vita politica del paese. I giornalisti e tutti gli altri dipendenti devono o dovrebbero rispondere soltanto alla loro deontologia professionale ed alla loro redazione. Fatte pochissime eccezioni e soltanto per la carta stampata, non esiste in Italia un servizio pubblico che non sia legato in qualche modo alla vita politica o imprenditoriale. La cosa é tanto palese che si conoscono le assegnazioni delle varie testate televisive o giornalistiche a quel o quell'altro gruppo politico o impresa. L'informazione in Italia non vive del commercio delle notizie, ma dei contributi più o meno trasparenti che riceva da fonti pubbliche o private. La conseguenza di questo stato delle cose é drammatica per la democrazia perché i cittadini accedono soltanto alle notizie che il potere vuole che essi sappiano e nella versione che il potere considera appropriata per loro. In Italia, quindi, sono pochi coloro che hanno la competenza, il tempo e gli strumenti per confrontare le notizie e farsi un'idea propria degli eventi. Tutti gli altri cittadini sanno soltanto quanto il potere vuole che essi sappiano. Partendo da questi presupposti, cerco a questo punto d'esaminare brevemente i perché mi pare che esistano ragioni sufficienti per dubitare della validità democratica dell'attuale sistema politico italiano.

Il Parlamento

Partiamo dal Parlamento, il luogo dove dovrebbero sedere i rappresentanti del popolo sovrano responsabili per l'approvazione di tutte le leggi dello Stato. La legge che ha eletto i molti, probabilmente troppi, Deputati e Senatori é stata all'inizio dell'anno dichiarata in molte sue parti mancante dei requisiti di rispetto delle norme sancite dalla Costituzione per due ragioni principali: gli elettori non potevano esprimere il loro voto per i singoli candidati che venivano perciò designati dai rispettivi segretari nazionali dei partiti cui appartenevano in numero proporzionale al suffragio elettorale che ogni lista avesse ottenuto; e la legge elettorale attribuiva al partito o gruppo che avesse ottenuto la maggioranza relativa, qualunque fosse stato il suo valore percentuale, un premio di maggioranza che assicurava a quel partito o lista il 55% dei seggi alla Camera su base nazionale ed al Senato su base regionale. La legge conosciuta come Percellum violava il diritto degli elettori a scegliere i propri rappresentanti ed assegnava un numero sproporzionato di seggi a chi avesse ottenuta la maggioranza relativa senza definire proporzioni minime. Almeno la legge Tambroni del 1953 richiedeva che il vincitore dovesse totalizzare la maggioranza assoluta dei voti per poter poi ottenere il premio in seggi addizionali.

A mio giudizio, viste le circostanze, l'attuale Parlamento dovrebbe aver preso nota della sentenza della Consulta e provveduto a portare rapidamente il paese al voto con una legge conforme con i principi indicati nella sentenza in modo da ripristinare la legittimità politica dei parlamentari che oggi sono di fatto soltanto dei nominati che devono la loro posizione non al volere degli elettori, ma alla decisione del loro capo politico. Di certo questa sarebbe dovuta essere la priorità per il Presidente della Repubblica che é il garante della Costituzione e rappresenta l'unità della Nazione. Invece, sembrerebbe che inspiegabilmente si pensi che l'attuale Parlamento possa portare a termine il proprio mandato di cinque anni e, fatto ancora più sconcertante e grave, decidere senza averne avuto mandato elettorale sulle riforme della Costituzione, cambiandone sostanzialmente l'impostazione.

Ma c'é di peggio. I parlamentari italiani hanno screditato l'istituzione in cui siedono approvando norme o risoluzioni veramente inaccettabili come quella che de-penalizza completamente il falso in bilancio o quella che regola la procreazione assistita con norme tendenti ad imporre una visione etica del concetto di vita che la maggioranza dei cittadini non condivide. Gli esempi sono innumerevoli, ma il peggiore, a mio parere, rimane il voto in cui la Camera affermò che fosse credibile che il Presidente del Consiglio in carica pensasse che una giovane marocchina con precedenti per prostituzione, fosse in realtà la legittima nipote del Presidente di un importante paese arabo. Per queste ragioni, penso che al momento la funzione legislativa non venga espletata in un modo che soddisfi i requisiti minimi per poter accettare che i procedimenti attuati siano in conformità con le norme che sanciscono il valore democratico del processo.

Il Governo

Il governo svolge in un sistema democratico parlamentare rappresentativo un ruolo centrale nella gestione degli affari correnti dello Stato e nella pianificazione a medio e lungo periodo. Il Presidente del Consiglio, che é a capo del governo con tutti gli altri rappresentanti dell'esecutivo che lo assistono nella funzione di primo gestore della cosa pubblica, detiene un gran potere decisionale pur se bilanciato dai poteri degli altri organi dello Stato, Parlamento, Magistratura e Presidente della Repubblica. La Costituzione non assegnò ai cittadini il potere di designare il Presidente del Consiglio perché volle assegnare questo potere di ratifica e di controllo al Parlamento che, eletto per suffragio universale rappresenta comunque la totalità della popolazione civilmente attiva. La scelta del Presidente del Consiglio é perciò responsabilità del Presidente della Repubblica che, legge la Costituzione, “sentite le parti designa” la persona che a Suo vedere abbia le caratteristiche per formare il nuovo governo ed ottenere la fiducia di ambo le Camere. Non riuscendo ad identificare un candidato che abbia queste caratteristiche, il Presidente della Repubblica ha il potere, se non nell'ultimo semestre del suo mandato, di sciogliere le Camere ed indire nuove elezioni per dare al popolo sovrano l'opportunità d'esprimere un nuovo Parlamento e probabilmente una nuova maggioranza in grado di proporre al Presidente della Repubblica un candidato capace di formare il nuovo governo ed ottenere la fiducia delle Camere.

Sulla carta tutto sembra perfettamente in ordine e di certo un'ottima garanzia per la democraticità dell'intero processo. Purtroppo ci sono stati in tempi recenti almeno tre ordini di problemi che hanno messo in discredito la funzione governativa: in primo luogo molti membri dell'esecutivo erano e sono sotto procedimento penale per una grande varietà di reati, alcuni di estrema gravità e, pur se in questa condizione non certo auspicabile, continuarono a svolgere le loro funzioni di governo senza sentire l'obbligo morale di dimettersi od essere costretti a farlo; in secondo luogo, non esisteva e non esiste neppure oggi una valida legge che regoli il conflitto d'interesse cui può incorrere una persona che intenda entrare nella politica attiva essendo titolare di concessioni statali come frequenze per la trasmissione di programmi televisivi o altre limitanti che possano mettere in dubbio la capacità del soggetto di operare a livello esecutivo di governo nell'esclusivo interesse della Nazione e non nel suo interesse privato; per ultimo, di fronte ad una palese mancanza dei requisiti per riuscire a formare un nuovo governo capace d'ottenere la fiducia del Parlamento e di fronte ad una grave crisi politica e sociale del paese, il Presidente della Repubblica decise di nominare un governo usando della sua influenza per portare i partiti politici a sostenerlo con alleanze innaturali dal momento che le forze politiche in questione si erano presentate ai loro elettori con proposte di governo che, a volte, esplicitamente affermavano che non avrebbero accettato alleanze con i gruppi politici con cui furono incoraggiate con insistenza a collaborare.

A queste considerazioni di importanza fondamentale, si deve aggiungere che molte figure di governo degli ultimi vent'anni si presentavano con qualificazioni a dir poco sconcertanti per il posto che dovevano occupare. Si può accettare che il ruolo di ministro non debba necessariamente comportare una profonda conoscenza specifica del ramo, ma piuttosto una provata capacità amministrativa e di gestione, capace di programmare iniziative di governo per quell'area di largo respiro. Troppi ministri degli ultimi governi non avevano e non hanno queste competenze. Per le ragioni appena esposte, concludo quindi che il potere esecutivo in Italia da tempo non é gestito in condizioni che garantiscano la democraticità del processo che si presta a molte e severe critiche per mancanza di rispetto delle regole formali che dovrebbero assicurare che il governo in carica rappresenti la volontà politica della maggioranza dei cittadini.

Il Potere Giudiziario

Sono certo che molti considerino che almeno questo settore della cosa pubblica funzioni in Italia in modo quantomeno accettabile. L'aspetto principale che caratterizza la funzione ed i poteri di questo settore dello Stato é di certo l'indipendenza dagli altri poteri e la sudditanza esclusiva alla legge. Pur se la giustizia in Italia, per molte svariate ragioni funziona male perché lenta e farraginosa, non si può mettere in dubbio che la magistratura si sia dimostrata indipendente. I giudici e le procure hanno svolto il loro lavoro secondo coscienza controllati soltanto dagli organi direttivi che sono tutti interni alla magistratura ed il cui funzionamento si può considerare trasparente e rispettoso delle regole.

La presunzione d'innocenza é la base dell'azione penale. Ci sono ovviamente discriminanti di ordine sociale perché soltanto chi dispone di molte risorse accede anche alla migliore difesa, ma il sistema cerca in maniera almeno soddisfacente di supplire a queste mancanze che sono imputabili non al sistema giudiziario, ma alla mancanza di un'equità sociale diffusa.

Pur riconoscendo quanto ho appena scritto, trovo comunque fuori linea che sia stata delegata alla magistratura la sola responsabilità di sanare le tante magagne della gestione pubblica del potere da parte del governo e del parlamento. Sono stati infatti dei giudici a smantellare il sistema di corruzione politica su cui si basava la prima repubblica. Furono sempre e soltanto giudici coloro che smascherarono il commercio di voti sia nel processo elettorale che nella aule del Parlamento. Figure di primo piano della vita politica italiana furono forzate ad uscire dalla gestione diretta del potere soltanto dopo aver subito condanne definitive a livello penale. Pur accettando la presunzione d'innocenza, in troppi casi in Italia si sono passati i limiti del ridicolo.

Conseguentemente, figure di spicco della magistratura hanno finito per divenire personaggi di rilievo anche nell'attività politica. Nulla d'illegale fu commesso, ma di certo nel farlo la distinzione tra funzioni che dovrebbero mutualmente controllarsi e bilanciarsi si sono certamente allentate. La giustizia ha certamente svolto il suo compito, ma nel farlo é spesso sconfinata nella spettacolarizzazione dell'azione giuridica, un fatto questo che conferma che la democrazia in Italia, se ancora esiste in certi aspetti della vita pubblica, é di certo precaria ed a volte mancante del tutto.

Infine, é lecito pensare che in Italia non ci sia democrazia?

La questione é di certo delicata e non mi pare che una risposta tassativa sia possibile. Infatti, il solo fatto che la magistratura sia stata in grado di svolgere la sua funzione di controllo ed alla fine smantellare modi di fare politica che contravvenivano la legge, indica che la separazione ed autonomia dei poteri mantiene sufficiente capacità d'agire da essere in grado di bilanciare le forze in campo e reprimere atteggiamenti delittuosi. Allo stesso tempo, però, si deve ammettere che la politica é riuscita in molti casi a piegare la legge a suo favore sopprimendo reati dal Codice Penale o rendendo i tempi del procedimento penale così lunghi ed accidentati da permettere ad una grande quantità di reati, particolarmente quelli associati ai così detti colletti bianchi, di cadere in prescrizione prima che si fosse giunti ad una sentenza definitiva. Questo fatto dimostra che uno dei cardini della democrazia non é in funzione dal momento che pochi cittadini privilegiati, conosciuti come La Casta, hanno il potere di delinquere e poi sfuggire la pena cancellando il reato o valendosi di prerogative come l'immunità accessibile soltanto a loro per dilazionare i processi.

La mancanza di democrazia reale é anche indicata dal fatto che soggetti politici come i partiti hanno potuto privare i cittadini del potere di scelta dei propri rappresentanti che sono così diventati da parlamentari eletti per suffragio universale dell'elettorato, agenti nominati dalle segreterie dei partiti perché nell'ambito del Parlamento rispondano alle direttive di chi li ha selezionati per quel posto e non all'elettorato che dovrebbero rappresentare. Giuridicamente l'adozioni di leggi elettorali che impediscano all'elettore d'esprimere la propria preferenza nella scelta delle persone da mandare in Parlamento, rappresenta di certo uno dei maggiori attentati alla democrazia commessi in Italia perché elimina alla radice il legame di fiducia che deve sempre esistere tra l'eletto ed i suoi elettori. Riconoscendo questo principio, la Corte Costituzionale il 4 dicembre 2013 ha deciso d'abrogare la legge elettorale (legge numero 270 del 2005) che permetteva ai partiti di scegliere chi mandare in Parlamento, privando di questo diritto i cittadini. Incredibilmente e a dimostrazione della corruzione politica del paese, attualmente i partiti stanno cercando di approvare una nuova legge elettorale (infelicemente appellata Italicum) che ancora una volta lascerebbe solo a loro la possibilità di scegliere chi debba sedere in Parlamento. Non mi pare che al rispetto ci sia null'altro d'aggiungere.

Altro grave esempio di mancata democrazia é la forma con cui i partiti hanno ignorato i risultati del referendum abrogativo sul finanziamento pubblico ai partiti. Nella primavera del 1993, gli elettori avevano a larga maggioranza deciso d'abrogare la legge che prevedeva che i partiti politici ricevessero un contributo di fondi pubblici per l'espletamento delle loro funzioni. La politica italiana aveva fatto di tutto per riuscire a deragliare la proposta sino ad arrivare a suggerire agli elettori di non andare a votare perché non fosse raggiunto il quorum richiesto per poter convalidare i risultati del referendum. Invece, il 77% degli aventi diritto andò a votare e l'abolizione del finanziamento ottenne un numero tale di voti a favore, oltre 31 milioni , pari al 65% del totale di coloro che avevano in diritto di voto, da rendere chiaro che gli elettori non approvavano questa norma. Lo stesso anno, il Parlamento approvò una nuova legge per aggirare i risultati del referendum, legge numero 515 del 1993 chiamata Contributo per Spese Elettorali, che permise ai partiti politici di continuare a ricevere contributi statali per le loro attività anche se sotto altro nome.  Un ultimo breve esempio: il fatto che benché la Costituzione riconosca ai cittadini il diritto di presentare proposte di legge perché il Parlamento ne discuta e voti per l'eventuale approvazione delle stesse, il Parlamento ha sistematicamente ignorato simili iniziative anche quando queste avevano raggiunto più di un milione di firme di sostegno.

Per tutto quanto esposto, considero che al momento non sia possibile affermare che si stia vivendo in Italia in un regime di piena democrazia e che sia necessario discuterne per cercare delle risposte convincenti a questo problema prima che la crisi della democrazia  apra la strada a nuove esperienze autoritarie come potrebbe senza dubbio accadere.

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