MIRACOLI di GENTE NORMALE

Come resistere in tempi avversi

di Gisella Evangelisti

“Che fate qui con quella faccia di culo? State forse andando a un funerale?” Cosí apostrofa il pubblico, con piglio da allenatore di rugby, il conferenziere uruguayo che una serata grigia e piovosa, ha attratto una settantina di persone in un auditorio di Barcelona, venute ad ascoltare  la sua storia. Ognuno ha tanta storia, tante facce nella memoria, ma la sua é davvero super. E per addolcire un po' la prima frase, l'allenatore Gustavo Zerbino, conosciuto anche come dirigente dell'Unione dei Laboratori Farmaceutici del suo paese, continua dirigendosi al pubblico: “Come vi sentite adesso, tu..e tu...e tu?”  “Preoccupato”, risponde uno. “Triste”, segnala un altro. “Ansiosa”, confessa la terza. Andiamo bene. A questo punto io non posso dire: “Mi sento come un pesce nell'acqua”, perché mi guarderebbero storto.

I Tristi-Preoccupati-Ansiosi si accomodano meglio nei sedili dell'auditorio, mentre Gustavo Zerbino si accomoda sullo sgabello nel palcoscenico, e comincia a passare delle immagini, il silenzio della sala diventa profondo. Perché sullo schermo appaiono i fotogrammi  di un aereo che sta perdendo quota, e dopo vari inutili equilibrismi finisce con lo schiantarsi fra le grida dei passeggeri sulle rocce di una montagna...anzi sulla cima di una montagna, come vedremo, circondata da ogni lato da altre enormi e ghiacciate montagne, fino a perdita d'occhio. Cime che forse non erano state calpestate da orma umana in milioni di anni. La Cordigliera delle Ande. É il 13 ottobre del '72. Molti passeggeri perdono la vita nei rottami dell'aereo. Tra loro, un gruppo di ragazzi uruguaiani che appartengono a una  squadra di rugby che andava a giocare in Cile, tutti fra i 18 e 28 anni.Dopo un tempo indefinito, dai rottami dell'aereo escono 16 ragazzi che non osano credere di essere ancora vivi. Sta per calare la notte, fra urli, imprecazioni, preghiere, singhiozzi, gemiti. Ma siamo a 4500 metri, non c'é tanto da sprecare fiato, la respirazione é lenta, come quella di un pesce che boccheggia, anche camminare richiede sforzo. Poi quelli che restano in vita capiscono  che a 40 gradi sotto zero, l'unica forma per sopravvivere vestiti con giacchette leggere (siamo in estate in questi paralleli) e calzati con mocassini, é fare gruppo e tenersi strettissimi, come in una partita, cambiando spesso di lato per non far congelare chi ha i fianchi esposti, picchiettando le facce di quelli che stanno irrigidendosi, in una notte che sembra non finire mai.

 

E finalmente sorge il sole, da una delle vette piú lontane, lá in fondo all'orizzonte. C'é qualcosa di sacro in questa immensitá, ricorda Gustavo. Il respiro immenso della natura, il silenzio infinito e trasparente come un cristallo, che avevi paura di rompere. Qualcuno cominció a dire il rosario, mentre altri tacevano. E adesso bisognava porsi come obiettivo sopravvivere, notte dopo notte, giorno dopo giorno, per non raggiungere nei pascoli del cielo i compagni che il destino aveva sepolto nella neve. Le scorte di alimenti, (qualche scatola di tonno qua e lá, qualche arancio, sacchetti di noci e barrette energetiche) sono finite, la fame urla nello stomaco. Chi sa qualcosa di medicina, fascia i feriti, chi di ingegneria mette su una radio artigianale con qualche rottame. Arriva la notizia che le ricerche sono state interrotte. La notte del 29, mentre dormicchiano, sono travolti da una valanga. Muoiono altri 8.  Gli aerei che passano altissimi non possono scorgerli  tra le macchie scure delle rocce. Devono farcela da soli.

Non c'é piú cibo. O almeno, cibo normale. Peró ci sono dei corpi congelati in mezzo alle rocce,  che tecnicamente, sono carne. Qualcuno grida che mai e poi mai. Un altro ragiona che se dovessse non farcela, che almeno il suo corpo possa servire a far sopravvivere i suoi amici. È l'argomento chiave, l'unica  forma per accedere all'impossibile:  “Sono disposto che altri lo facciano con il mio corpo, se sono destinato a perire”. Con amore. E cosí avviene la consumazione di uno, e tanti pasti, per settanta giorni, quasi una comunione, con enorme rispetto.

Qualcuno dei sopravvissuti non vorrá mai piú sentir parlare di quei terribili momenti, che ritornano a volte a turbare le sue notti. Neanche Gustavo vuole farlo, e meno che mai essere oggetto di una curiositá morbosa. Quello di cui vuole parlare, invece é di ció che si puó riscattare da quest'esperienza, e trasformarla in una specie di guida su “come superare le avversitá in tempi estremi, o anche in tempi d'incertezza”. Per questo accede a passare da una cittá all'altra, raccontando e ragionando su quei 72 giorni che gli cambiarono  la vita. Perché tutto il dolore di quella tragedia possa servire a qualcuno. E anche stavolta chiede al pubblico: “Cosa pensate sia necessario di fronte a un'emergenza?” “Unione”, risponde uno, “Volontá”, aggiunge un altro. “Solidarietá”. Benissimo. “Guardare avanti, non  indietro”. Ottimo, soprattutto per chi ha perso nell'incidente sua madre, suo padre e un fratello. Ma resiste perché ha ancora una sorella, e non avrebbe mai pensato quanto é importante per lui.

“Ma la prima cosa qual é?”. Il pubblico resta in silenzio. Come, la solidarietá non basta? E l'obiettivo nemmeno? Non basta, precisa l'allenatore. La prima cosa é NON PERDERE ENERGIE IN LAMENTELE. D'ora in poi, fu il nostro patto: basta ripeterci “Accidenti, che bel letto caldo che avevo, e il mate dopo la partita, e quel bar dove ci riunivamo a sghignazzare, e le ragazze, e la mamma con le sue lasagne..., e guarda qui che schifo, i miei calzini sono ghiacciati, mi cola il sangue dal naso e dalle orecchie, che male atroce...e porco qui e porco lá, avró diritto a imprecare dopo questo stramaledetto incidente in queste fottutissime montagne??”  “NO!  zitto che fa peggio a te e tutti gli altri! E se tutti ci mettiamo a fare il coro della tragedia greca, prima di finire le lamentele siamo diventati statue di ghiaccio. Concentriamoci invece su cosa fare per uscire di qui.  Abbiamo tutti un cervello, no? Anzi siamo sedici cervelli con tutti i neuroni funzionanti alla grande, in modo diverso da quando stavamo in pianura, piú lento e piú essenziale allo stesso tempo. Meno balle, meno parole inutili, piú sentire”.

Qualcuno commenta. “E´vero, ragazzi, di qui non usciremo vivi, quando anche l'ultimo pezzo di carne sará finito. Sono giá passati due mesi. Bisogna incamminarsi, prima o poi ci sará una valle verde, lá in fondo all'orizzonte. E in fondo al fondo del fondo, ci sará il mare. Chi va?” Io, io. “Tu no, sei zoppo, non vedi?  Noi proviamo di qua, voi di lá”. Qualcuno ritorna scoraggiato:  impossibile, da questa parte non c'é visibilitá.  Da quest'altra niente,  il ghiacciaio é scivoloso. “Beh, ogni tentativo fallito ci avvicina a quello giusto. Alva Edison quante volte sbaglió prima di inventare la lampadina?  Lasciateci provare a noi”. Non ci resta che insistere.  Adesso scendono in tre verso un'improbabile valle verde, e un ancora piú improbabile mare, perso in fondo al Paese dei Desideri. Non sanno neanche in che montagna  o paese si trovano. Giá in Cile? Forse.

Dopo cinque giorni di cammino, o meglio rotolando a zig zag, i pantaloni quasi stracciati, i due in discesa (uno si é dovuto ritirare) scorgono tra le rocce un po' di muschio, e qualche vacca in lontananza. Ci siamo! Ancora piú lontano, un arriero. Sí, uno di quelli che a cavallo di una mula trasportano fra una montagna e un'altra il loro bestiame, o mercanzie varie, legali o illegali. Gli urlano qualcosa, ma lui pensa che sono terroristi e sparisce. I due compagni sono troppo sfiniti per rincorrerlo. E restano lí, aspettando, l'arriero deve per forza ripassare di qui, perché delle vacche si erano spinte da quella parte. Sí, infatti il giorno dopo ripassa di lí il loro arcangelo Gabriele, circondato di serafini, cherubini e quant'altro. Nei panni di un  ometto tranquillo, di nome Sergio Catalán, cileno. Stavolta sí che possono piangere un po', prima di avvisarlo che lassú, vede? Giusto fra quel picco e quel ghiacciaio  ci sono altri 14 ragazzoni che aspettano la Buona Novella. Via, non c'é tempo da perdere. L'arriero sprona la mula e si fa centottanta km come un fulmine, o quasi. Due giorni dopo arriva sulla vetta il frastuono dell'elicottereo, le telecamere, i giornalisti, e la prima scontatissima domanda agli ex ragazzoni (nel frattempo uno era morto di sfinimento, con 30 kg di peso):  “Come vi sentite?” E loro rispondono: “Perfettamente bene”. “Cooome? Se avete perso i vostri compagni, siete mezzo congelati, questo é ferito e zoppica e l'altro non ci sente quasi piú...” “Sí, stiamo perfettamente bene”, ripete uno di loro. “Speriamo che i nostri cari siano in pace... a me é rimasta una sorella, un bar, una squadra, e la vita, vi rendete conto che abbiamo ancora una vita? E vi par poco?” Qualcuno li tratta da eroi, qualche altro da mostri. Non siamo né l'uno né l'altro, commenta Gustavo. Siamo normali, é la gente normale, ad essere capace dell'impossibile.

E quindi, cari miei, questo é in sintesi quello che ho da dirvi. La vita dipende da che occhiali ci mettiamo. La stessa giornata puó esser vista come un regalo da vivere con intensitá, momento per momento, o un ammasso grigio di ore di rabbia, da stillare su chi capita, perché ci dovrebbe dare questo e quest'altro, e invece no, guarda che merda. Pensiamoci su un attimo su quanto tempo perdiamo a lamentarci, invece di concentrare le energie sul come risolvere i problemi. La depressione, frustrazione, figlie dell'individualismo, sono diventate l'epidemia occidentale. Anche a livello sociale. Tutto é un disastro, la crisi, la corruzione, nessun governo si salva, a meno che stiamo in Norvegia, dove festeggiano  come pazzi le prime ore di sole dopo due mesi di buio, mentre i nostri giornali intitolano quando piove un po':  Bufere qua e lá, imperversa il maltempo!, come se dovesse essere estate tutto l'anno. Tutti ci dedichiamo con passione allo sport della lamentela, provate a sentire tante conversazioni. “Ti rendi conto che la parrucchiera mi ha sbagliato il Palette mettendomi un F8 invece che un F 14, e guarda qua che meches schifose! Sono disperata!!!!!” E c'é chi picchia i genitori perche non gli mettono limiti all'uso di cellulari...Intendiamoci. Nella vita quotidiana, una cosa é denunciare, protestare per quel che non va, sacrosanto diritto e dovere, un'altra limitarsi alle lamentele da bar.

É comodo stare in panchina, criticare tutti, non fare niente e sentirsi tutti direttori tecnici. Ok, il mondo va male, anzi malissimo, con l'1 per cento che si crogiola in una vasca da bagno piena di gioielli e monete come Paperon de' Paperoni, e non gli basta,  e altri che allungano il collo per metter su un piatto di ceci o fagioli. Ma TU, che contributo dai al mondo perche le cose vadano un po' meglio? Ma via, mi risponderete, se anche Obama coi suoi bei discorsi, in pratica ha le mani legate, figuriamoci noi semplici cittadini di Belpaese dove la democrazia é una balla..., che vuoi fare in questo schifo?  non si risolverá mai niente. E invece no. Se le formiche nel loro piccolo si incazzano, e poi nel loro piccolo si organizzano,  e poi nel loro piccolo inventano, dài e dài, qualcosa di buono SEMPRE succede. E mentre Gustavo Zerbino parla e parla e scorrono sullo schermo altre immagini su “Lavoro in equipe.leadership.tutti siamo leaders” e altri bei concetti, a me vengono in mente le immagini delle tende di piazza Catalunya, dove accamparono per mesi gli Indignados.

Erano ragazzi che sentivano che il mondo, cosí, non poteva continuare, sequestrato dalla speculazione che gli aveva rubato un futuro. E nel 2011 piantarono le loro tende in piazza, aprendo dibattiti e laboratori di idee. Con una “biblioteca del popolo”, sala massaggi e bicicletta ecologica, paella comunitaria. Sorse una piattaforma sul tema della Casa, gli Sfratti, le Banche, la Donna, la Salute, l'Educazione. Io portai una valigia di libri per la biblioteca, qualche idea, a volte solo un “buona notte” e un sorriso a quei ragazzi, che i benpensanti definivano fannulloni. Si presero sonore legnate dalla polizia quando furono sloggiati, arrivó un governo di destra (molti cittadini schifati della politica, non votarono, e cosí vinse la destra), il movimento degli Indignados si sgonfió, te lo dicevo io? Non era che una bolla di sapone, cosa vuoi che contino  questi con l'anellino al naso? Ma intanto scesero in strada milioni di persone, protestando perché il governo aveva tolto 10,000 milioni di euro al settore Sanitá ed Educazione, per immettere denaro fresco nelle banche sfinite dalle speculazioni...e bbravi! Mors tua, vita mea, da sempre, no? Le leggi non cambiarono di una virgola. Ma dalle varie piattaforme sulla Casa, nei quartieri, sorse l'idea di passare all'azione, non solo protestare. E gruppi di vicini, includendo agguerriti vecchietti, si frapposero fra la polizia e gli inquilini da sloggiare dalle case che non riuscivano piu a pagare avendo perso il lavoro ed essendo ingannati dalle banche. I comitati per la Casa, che riuscirono a evitare o negoziare centinaia di sfratti, si riunirono sotto la direzione di Ada Colau, una lavoratrice catalana, madre di due bambini. Altri gruppi di vicini si riunivano sotto le case dei politici piu vistosamente corrotti per cantargliele chiare. Che palle, ci tocca ingozzarci di valium per dormire, e non si puó piú rubare in pace! E quelli del governo emisero la “Ley mordaza”, per la quale nelle manifestazioni non si puó piú insultare nessuno, meglio  limitarsi a cantare il Salve Regina. Ma non finí lí, ovviamente. Ada Colau “scese in campo”in Catalogna con un partito di buon augurio “Guanyem, vinciamo”, e in Spagna un giovane professore con la codina riunisce altri 70 cervelli per mettere su  il partito “Podemos”, che si allea con l'ex spaventapasseri di Syriza in Grecia per fare un fronte caldo del sud contro la fredda austeritá tedesca.

Esco dalla conferenza, che è terminata con la gente in piedi e gli ex Tristi e Preoccupati applaudendo entusiasti.  Mi sento ancora di piú un Pesce nell'Acqua. Giro l'angolo e vedo una vecchietta rugosa che cerca di vendere una crema Lançome (che ha l'aria di essere stata sgranfignata in qualche negozio di Sephora);  dal macellaio halal, vedo un uomo di pelle scura, con il maglione sbrindellato, che compra per cinquanta centesimi di euro una borsa di ossi di pollo ben tagliati, ma su cui non brilla neanche un pezzetto di carne. Chissá  quante persone dovrá sfamare, quel brodo allungatissimo di pollo. Le Ande con le sue tragedie sono anche a livello del mare, e dappertutto, penso. Con tristezza, certo. Ma con un senso di sfida. Meglio rimboccarsi le maniche, ché guardare non basta.

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