QUANDO POCHISSIMI DECIDONO PER TUTTI

di Marco Borsotti

Tra dicembre e gennaio scorsi, il comune di Quarto, situato nell'area partenopea, sorse brevemente alle cronache nazionali. A dire il vero, questo era già successo in precedenza quando successive giunte comunali erano state sciolte per decreto perché vittime d'infiltrazioni mafiose. Allora, però, l'attenzione era stata minima, trattandosi di uno dei tanti comuni in cui associazioni mafiose, non importa quale ne fosse la denominazione, avevano, diciamo così, pilotato il voto popolare per assicurarsi il controllo del comune e delle commesse che sarebbero state messe a concorso negli anni a venire.
Questa volta invece si trattò di notizia di prima pagina o di apertura per i notiziari televisivi perché coinvolti nell'inghippo c'erano sindaco e consiglieri eletti sotto il segno del Movimento Cinque Stelle (M5S) che dell'onestà e della trasparenza aveva fatto una delle sue bandiere principali. La campagna era iniziata in novembre, ma con il passare delle settimane era cresciuta di tono spinta da elementi di spicco nazionale del Partito Democratico (PD) che volevano usarla a pieno per sostenere la tesi che il M5S non era in realtà esente dal male nazionale italiano, la corruzione del sistema politico retto dai partiti, anzi ne era un esempio persino peggiore degli altri perché ipocrita.

 Uno sguardo al passato prossimo per capire come si giunse a tanto

Facciamo un passo indietro per capire come sia stato possibile che gli eventi successi in un piccolo comune di poche migliaia d'abitanti dove la presenza della mafia nella gestione pubblica é una tradizione, abbia sollevato tanto clamore su scala nazionale mettendo anche nel mezzo il Parlamento e vari esponenti del governo in carica.
Da sempre potremmo dire, il M5S ha utilizzato come barra d'orientamento della sua politica l'accusare i partiti, sia quelli di destra che quelli di sinistra, tanto come dicono loro sono tutti uguali, di corruzione e mala gestione della cosa pubblica. Ogni qualvolta uno scandalo nuovo irrompeva sulla scena, rappresentanti del movimento si affrettavano a rilasciare dichiarazioni che possono tutte essere ricondotte ad un semplice concetto: la gestione dei partiti é slegata dalla gente, i partiti sono associazioni chiuse dove pochissimi prendono tutte le decisioni, i partiti sono prima di tutto meccanismi per raccogliere fondi che poi useranno per sostenere i costi di campagne elettorali sempre più dispendiose ed anche per permettere ai loro massimi dirigenti di condurre stili di vita molto privilegiati, quindi i partiti sono la prima causa della corruzione nel paese perché usano del loro potere per richiedere “mazzette” a chiunque voglia lavorare in Italia con il settore pubblico. La cosa in sé ha funzionato permettendo al Movimento d'ottenere alle ultime elezioni politiche del 2013 un risultato certamente spettacolare.

Preoccupati per questo risultato non atteso, per vanificarlo, gli avversari politici del M5S iniziarono a battere sul tasto che affermava che il Movimento non avrebbe avuto esperienza e capacità per governare. A dire delle opposizioni al M5S, formata da tutti i partiti presenti in Parlamento con pochissime eccezioni individuali di parlamentari interessati ad un dialogo con questi loro nuovi colleghi, la loro era soltanto un'aggregazione capace di raccogliere le tante voci di protesta di cittadini infuriati per il continuo ladrocinio cui era sottoposto il paese, ma non erano in grado di assumere responsabilità di governo. Per questa ragione, dopo il voto del 2013 pur essendo il M5S arrivato secondo con pochissimi voti di scarto dal primo partito gli furono negate posizioni di rilievo in molte commissioni parlamentari ricorrendo a sotterfugi per negare loro la presidenza di enti di indubbia importanza come il Cosapir, commissione che supervisiona gli affari pertinenti la sicurezza nazionale, ente che tradizionalmente viene affidato alla presidenza di un esponente del maggior partito d'opposizione nella giusta logica costituzionale del bilanciamento dei poteri. Per questo, d'Alema ne fu presidente quando al governo si trovava Berlusconi. Questa violazione di una pratica ben stabilita che durava da decenni poté realizzarsi soltanto perché tutti i partiti eletti al Parlamento si allearono per escludere il M5S da cariche considerate pericolose dando come giustificazione il non poter rischiare di scaricare tanta responsabilità sulle spalle di persone che venivano dal nulla e nulla sapevano della gestione degli affari di Stato. Questa tesi fu accettata da tutti i partiti, ma anche da gran parte della stampa e delle altre organizzazioni che contano nel paese, ignorando le proteste del M5S, ma anche di molti studiosi costituzionali che vedevano in questa scelta un pericolosissimo precedente che comprometteva alla radice il principio dell'equilibrio dei poteri sancito dalla Costituzione del 1948.

Per questa ragione, il M5S capì l'importanza per loro di elaborare una strategia per poter controbattere questa tesi convinti dal fatto che quasi nessuno si era scandalizzato per la decisione presa d'escluderli ed i cittadini elettori si erano dimostrati o poco interessati al tema, i più, o persino in accordo con la tesi dei partiti, ignorando le pur tante voci autorevoli che avevano tentato invano di protestare. L'unica risposta convincente doveva essere dimostrare falsa la tesi riuscendo a gestire bene situazioni d'amministrazione e governo locali. Per questo, il Movimento si concentrò sulle successive elezioni amministrative cercando di raccogliere i consensi, fatto questo relativamente semplice a quel livello aggregando gruppi, movimenti, organizzazioni che avevano fatto della loro presenza attiva sul territorio la loro bandiera. Questa era stata la matrice da cui nel 2009 il Movimento aveva preso avvio approfittando della crisi dei partiti come centro di aggregazione popolare nei territori che aveva permesso loro di occupare il vuoto che si era generato per offrirsi come cinta di trasmissione delle istanze di base dei cittadini nella gestione locale dei territori proprio usando trasparenza ed onestà come loro principale attrattiva per l'elettorato scosso da decenni di scandali politici e malgoverno.

Alla conquista dei comuni

Questa strategia, per riuscire, doveva ottenere il controllo di amministrazioni di media grande dimensione, non solo piccole realtà comunali. Il primo grande successo fu certamente la conquista di Parma, risultato reso possibile dalla legge elettorale per le elezioni comunali che vuole che siano i cittadini a designare chi dovrà essere il loro sindaco nel successivo quinquennio. A questa seguirono altre vittorie in comuni minori, ma non solo considerando anche la conquista recente di Livorno. Vittorie tutte importanti, ma non ancora sufficienti per sfatare l'accusa d'impreparazione che bollava e bolla gli eletti del M5S.

In alcune grandi città, il M5S non riuscì nell'intento, ma ottenne comunque risultati rispettabili a dimostrazione che molti cittadini si fidavano di loro per l'amministrazione del loro comune. Per rendere, però, il risultato convincente, il M5S capì di dover conquistare un grande centro urbano, almeno una città metropolitana di rilevanza nazionale. Tentarono a Milano, Genova, Napoli, Bologna, Roma, ma fallirono. In tutti questi centri, i partiti seppero schierare come candidati sindaci personalità di grande prestigio personale come Pisapia a Milano, De Magistris a Napoli, Doria a Genova, persone lontane dagli apparati dei partiti, ma proprio per questo credibili per i cittadini. Il caso di Bologna fu differente, ma trattarlo esulerebbe dallo scopo di questo mio scritto. A Roma in un certo senso contro corrente rispetto alle altre grandi città, vinse Marino, uomo del PD, come dimostrato dal fatto che fu persino candidato a Segretario Nazionale con un discreto successo personale di voti, ma anche figura smarcata dall'apparato di partito, non per nulla lo hanno denominato “marziano”, quindi capace d'essere convincente presso gli elettori pur essendo cento per cento identificato con il partito che lo proponeva.

Per capire l'importanza di Roma bisogna ricordare come essa sia il più grande centro metropolitano d'Italia, quindi per questo una realtà molto complessa d'amministrare. Infatti Roma é capitale d'Italia, dando al sindaco un ruolo che trascende le semplici questioni amministrative del comune. Essa é anche il luogo dove si trova il Vaticano, centro di potere su quasi due miliardi di fedeli della chiesa cattolica ed infine é centro internazionale sede di organismi come la FAO o PMA (Programma Mondiale dell'Alimentazione). Insomma, riuscendo ad amministrare Roma il M5S fugherebbe tutti i dubbi di non avere le carte in regola per governare.

Roma

Nel giugno 2013, Ignazio Marino fu eletto sindaco di Roma con il 64% dei voti, un successo personale molto al di sopra delle aspettative pur se il suo avversario era Alemanno, figura di spicco della destra romana e sindaco uscente, ma non di meno molto screditato dopo un'amministrazione piagata da scandali e malversazioni. Nel 2008, Alemanno aveva vinto con quasi il 54%, quindi con ben il dieci per cento in meno di quanto Marino riuscì ad ottenere cinque anni dopo. Il mandato dato dai cittadini a Marino era chiaro, ma era anche chiaro che gli elettori bocciavano senza appello l'esperienza precedente di Alemanno dando quindi un segnale di discontinuità con il passato.

Poco dopo l'elezione della giunta di centro sinistra, iniziarono ad emergere i risultati di anni d'inchieste condotte dalla magistratura e che alcuni giornali come l'Espresso avevano anticipato pubblicando servizi di giornalisti che smascheravano come la malavita fosse potuta penetrare in forma capillare nella gestione del comune capitolino associandosi anche con forze riconducibili alla destra eversiva. Famiglie mafiose, bande criminali come quella della Magliana, organizzazioni dell'estrema destra si erano unite per spartirsi i profitti della gestione dei fondi pubblici del comune di Roma. Lo scandalo era veramente molto grave perché vedeva coinvolte persone sia vicine alla destra, ma anche alla sinistra, particolarmente al PD.

In questi giorni, sta finalmente iniziando il processo per questi fatti che vedono molte persone coinvolte, molte si esse ancora in detenzione, altre arrestate e poi rimesse in libertà in attesa di giudizio. Quindi presto potremo conoscere le prime verità giuridiche di questo scandalo. La presenza nei banchi degli accusati di elementi sia di destra che di sinistra fu subito vista dal M5S come un'opportunità per promuovere una loro candidatura alle prossime elezioni. In questo potevano contare sulla visibilità, anche mediatica, di alcune delle figure parlamentari romane del Movimento maggiormente conosciute al pubblico nazionale. Parlamentari come De Battisti o Taverna riuscivano a farsi sentire lanciando accuse sempre più forti contro quello che loro definivano come il sistema di potere della destra e della sinistra che alternandosi nel controllo del comune di Roma avevano permesso che questa attività delittuose potessero svilupparsi sino al livello che avevano raggiunto. L'unica vera pecca in questa narrazione era rappresentata dal sindaco Marino che, pur se accusato di non essere in grado di realizzare quanto aveva promesso in campagna elettorale, non poteva in alcun modo essere associato anche se indirettamente con le attività criminali che ogni giorno riempivano le pagine dei giornali.

Il caso Marino

A tutto questo pose fine una ricerca minuziosa nei libri contabili del comune quando alcuni consiglieri del M5S trovarono quelle che loro definirono spese improprie sostenute dal sindaco facendo uso della carta di credito istituzionale del comune di Roma. Sin da prima dell'estate 2015, il M5S aveva iniziato ad accusare il sindaco di malversazione per aver usato la carta di credito, a dir loro, per pagare spese personali non di rappresentanza. Come spesso succede in estate, giornali a corto di notizie sensazionali che sostengano le vendite, iniziarono a dar voce a quelle tesi.

Una volta preso il via, gli eventi iniziarono a succedersi a ritmo pressante. Il M5S presentò un atto formale d'accusa contro il sindaco alla Procura di Roma che, per obbligo, dovette iscrivere Marino nella lista degli indagati. Marino inspiegabilmente sottovalutò quanto stava succedendo e non si affrettò a porre rimedio alle accuse contro di lui, prima rifiutandosi d'interrompere le ferie, poi facendo il gesto che alla fine risultò del tutto controproducente di dichiararsi vittima di un complotto pur avendo deciso di restituire i fondi di cui era accusato di essersi indebitamente appropriato alle casse del comune, a suo dire, come un suo contributo alla gestione finanziaria di Roma.

In poche parole, il caso Marino, fatto giudiziario ancora oggi da chiarire che, tenendo conto della modestia delle cifre che sarebbero state malversate e della gravità invece dei crimini che erano associati al caso di Mafia Capitale, risultava quasi come un tentativo per distogliere l'attenzione da quei fatti per parlare di cose che probabilmente non erano altro che piccoli problemi amministrativi, riuscì a mettere in crisi il sindaco con voci sempre più crescenti che ne chiedevano le dimissioni. Persino Papa Francesco fece dei commenti non di certo casuali che vennero utilizzati per attaccare Marino. Mali lingue dicono che la Curia temesse quel sindaco al potere a Roma all'avvicinarsi del Giubileo straordinario.

Il sindaco cercò d'opporsi rifiutando a più riprese di dimettersi anche quando questo gli fu chiesto formalmente dal PD che, a mio parere, non lo aveva mai accettato come sindaco e che, alla prima occasione, fece tutto quanto in suo potere per assicurarsi che decadesse dalla sua posizione. Marino eletto da quasi i due terzi di coloro che votarono venne privato del posto di sindaco per calcolo politico del maggior partito d'opposizione al PD in Parlamento, per la campagna di stampa che da subito fiutò l'occasione per cavalcare la crisi e incrementare le vendite dei propri quotidiani e l'ascolto dei propri notiziari, dell'apparato televisivo dei Talk Show che imbastì puntate per processare mediaticamente Marino, e per ultimo per la decisione del Segretario del PD che volle sbarazzarsi di una figura scomoda che non era in sintonia con lui e di uno scandalo che costava molto in termine d'immagine per il suo partito.

Nulla di quanto era sino a quel momento successo richiedeva al sindaco di dimettersi o all'autorità giudiziaria di farlo sospendere dopo averlo incriminato. Tutto quanto successe era estraneo ai meccanismi della democrazia, ma ugualmente poche persone con la complicità della stampa scritta e televisiva annullarono il voto che nel giugno 2013 aveva eletto direttamente Marino sindaco di Roma. Come ho già scritto, i giudici che investigavano il caso dopo aver trovato riscontri sufficienti avrebbero potuto chiederne l'incriminazione. Altri giudici indipendenti avrebbero dovuto visionare il caso per accertare la sua correttezza. Se tutti avessero concordato che Marino poteva ragionevolmente essere accusato di qualche cosa di rilevanza penale, una volta che l'accusa fosse stata formalizzata nel primo grado di giudizio con una condanna, si sarebbe potuto dare avvio alle procedure previste dalla legge Severino che introdusse nell'ordinamento italiano la sospensione dall'incarico per personale incriminato e condannato che ricopra incarichi amministrativi anche dopo solo il primo grado di giudizio. Il sindaco avrebbe a quel punto potuto ricorrere e sarebbe stato un atto giudiziario a decidere della sua sorte come Primo Cittadino di Roma, non l'opinione interessata del M5S, né la volontà del segretario del PD, né le campagne di stampa messe in atto contro di lui.

Tutto non fu altro che un'operazione politica dove a coloro che la portarono avanti non importava nulla se Marino fosse o no colpevole di qualche reato. Il M5S voleva il comune di Roma commissariato e costretto ad elezioni anticipate che loro speravano di vincere. Il PD voleva minimizzare i danni e cercare di non perdere il controllo della capitale, soprattutto a favore del M5S per non dar loro adito di poter rispondere a tono alle accuse d'impreparazione a governare nel caso avessero successivamente vinto le elezioni comunali.

Non so assolutamente nulla dei dettagli del caso, quindi mi astengo dall'esprimere qualunque giudizio sull'operato di Marino, persino di usare la presunzione d'innocenza che pure é prevista dal nostro ordinamento giuridico. Mi limito ad osservare che tutto l'affare Marino fu gestito fuori dai canali previsti dalla legge. L'unico atto conforme era stato quello del M5S di presentare denuncia in procura contro il sindaco. A quel punto avrebbero dovuto soltanto lasciare alla giustizia il suo corso ed al massimo seguire l'iter del processo per accertarsi che non ci fossero inghippi a frenarne il procedere sino ad ottenere una decisione del tribunale. Invece, quanto seguì la denuncia fu un completo stravolgimento delle procedure. I processi si fecero sui giornali e negli studi televisivi invece che nella aule del tribunale. Persone estranee come il segretario del PD decisero che, contro la sua volontà, Marino doveva essere privato del posto di sindaco. In conclusione, forzature politiche di pochi privarono gli elettori della scelta che avevano fatto eleggendo Marino sindaco.

Quarto

Certamente al Nazzareno, sede romana del PD, molti avranno pensato che l'esito del caso Marino fosse stata un sconfitta d'immagine per il partito, soprattutto perché il M5S a Roma era ben radicato nel territorio e quindi avrebbe certamente rappresentato un temibile avversario nelle prossime elezioni amministrative per eleggere il nuovo sindaco. Quasi certamente il M5S sarebbe arrivato al ballottaggio ed a quel punto, nella concreta possibilità che un candidato del M5S potesse attrarre molti dei voti della destra o della sinistra che fosse stata esclusa perché terza forza alla fine del primo turno, la vittoria per il Movimento della poltrona di sindaco sarebbe stata una cosa non solo fattibile, ma anche probabile, dandogli così l'opportunità di dimostrare di avere le competenze per governare. Certo il governo di un comune non é il governo di una Nazione, ma governare un comune come Roma, come ho già scritto, sarebbe divenuta comunque una prova difficile da confutare per dimostrare che il Movimento non avesse ormai la maturità, le competenze e le persone per essere forza di governo. Non solo più gente onesta ed estranea alla politica dei partiti, ma anche gente sufficientemente competente per assumere la responsabilità di guidare la Nazione.

Nel cerchio magico dei principali collaboratori del segretario del PD e attuale Primo Ministro queste considerazione devono essere state da subito molto sentite. Infatti, a nessuno di loro deve essere scappato quale fosse il vero intento della campagna M5S contro il sindaco Marino, cioè ottenere la fine anzi tempo della giunta e la chiamata al voto prima dell'estate 2016 per cercare la scalata al Campidoglio e la definitiva consacrazione del Movimento come forza in grado di governare a livello nazionale. Per questo, al Nazzareno debbono aver pensato indispensabile trovare una contro mossa che potesse servire quanto meno a sminuire gli effetti negativi d'immagine che lo scandalo romano aveva gettato sui partiti in generale, incluso il PD.

In questo contesto dove il PD attraverso il governo controlla non solo l'amministrazione dello Stato, ma anche gran parte del sistema d'informazione, il caso del piccolo comune di Quarto divenne subito centro d'attrazione per capirne le sue potenzialità per screditare il M5S che recentemente ne aveva assunto l'amministrazione dopo aver vinto con ampio margine le elezioni comunali.
La storia penso sia nota a tutti visto il clamore che ottenne nelle scorse settimane, quindi mi limiterò a tracciarne gli aspetti essenziali come emersi nei resoconti dei giornali.

I ricatti interni al M5S di Quarto

Il comune di Quarto era stato oggetto d'attenzione dell'autorità giudiziario che aveva decretato lo scioglimento dell'amministrazione nel 2013 per sospetta collusione con la camorra. Nel giugno 2015, una lista del M5S capeggiata da Rosa Capuozzo aveva ottenuto un risultato elettorale di prestigio sfiorando quasi il 70% delle preferenze che abilitava il Movimento a governare la cittadina con una giunta monocolore.

Quasi subito, però, il consigliere De Robbia, la persona eletta nella lista del M5S con il maggior numero di consensi, aveva avvicinato la Sindaco per chiedere l'assegnazione di certe posizioni nel consiglio comunale a quanto pare, facendo presente al Sindaco Capuozzo che se le sue richieste non fossero state accolte, certe irregolarità nei lavori di ristrutturazione della casa di famiglia del sindaco, fatti senza le dovute autorizzazioni, sarebbe emersi. Sono cauto nel riferire perché per ora non ho letto da nessuna parte che questa verosimile ricostruzione dei fatti abbia avuto anche dei riscontri giudiziari. Comunque, l'avvocato Capuozzo prese contatto con parlamentari del M5S, figure di grande spicco come Di Maio e Fico, che si erano spesi per sostenere la sua lista durante la campagna elettorale, per chiedere l'allontanamento di De Robbia dal M5S con la sua espulsione formale.

I parlamentari menzionati negano aver saputo la vera gravità della situazione, asserendo che a loro sarebbe solo stato detto dell'esistenza di contrasti tra il sindaco ed il consigliere senza riferimenti a minacce o presenza della camorra. La Procura della Repubblica ha raccolto agli atti le varie deposizioni e prove, ma questi elementi, almeno per ora, sono ancora coperti da segreto istruttorio, quindi non é dato sapere se sia giusta la versione del sindaco che asserisce averne parlato con loro esplicitamente, o quella dei parlamentari che lo negano. Rimane il fatto, questo si accertato, che in autunno il M5S decise d'espellere De Robbia privandolo del diritto di dirsi membro del Movimento.

A questo punto si arriva a novembre, cioè alla fine del tormentato caso Marino. Informati dalla propria sede di Quarto, la segreteria del PD venne a sapere del caso e del possibile coinvolgimento di persone di spicco del M5S come Di Maio che ormai superava il Capo del Governo Renzi in tutti i sondaggi di popolarità.
Parte quindi la campagna che presto trasforma il caso facendolo assurgere alle prime pagine dei giornali. Paradossalmente, la sindaco che pure stava collaborando con la magistratura e che aveva chiesto al suo movimento d'espellere De Robbia per la sua possibile vicinanza con la camorra, venne accusata di non aver denunciato le minacce subite, a detta dei suoi accusatori perché timorosa di svelare l'irregolarità commesse dal marito nei lavori di ristrutturazione della casa, dando quindi implicita copertura al comportamento mafioso di chi l'aveva minacciata. Per questo, asserivano i responsabili del Pd, l'avvocato Capuozzo doveva dimettersi. Interessante far notare come la stampa in generale, nel parlare del caso non desse risalto al fatto che la sindaco fosse stata vittima di tentata estorsione, ma piuttosto della sua riluttanza a denunciarla, in una zona dove tutti sanno che la camorra non esita ad uccidere per coprire le sue colpe. Interessante anche notare come la magistratura abbia aperto un fascicolo contro De Robbia, proprio per tentata estorsione, mentre al momento non risulta che ci sia nessun procedimento giudiziario contro la sindaco.
 
In un primo momento il M5S a livello dei suoi dirigenti responsabili difese l'operato dell'Avvocato Capuozzo, ma in gennaio, preoccupato per la risonanza del caso ed i possibili danni d'immagine associati, cambiò orientamento chiedendole di dimettersi dal posto e visto che lei aveva deciso di non farlo, arrivò rapidamente alla sua espulsione dal Movimento sostenendo proprio la stessa tesi che gli esponenti del PD avevano deciso di seguire per chiederne le dimissioni. In questo contesto, si ebbero anche prese di posizione di personaggi di grande prestigio come lo scrittore Roberto Saviano che ebbe a difendere la ragione di chi chiedeva le dimissioni della sindaco.
 
L'esito di questa brutta storia la sappiamo. La sindaco cercò di resistere come aveva fatto anche Marino, ma alla fine cedette dimettendosi dal posto, ma anche facendo pubbliche accuse contro il M5S che, a suo dire, l'avrebbe prima lasciata sola e poi l'avrebbe sacrificata per ragioni di “partito” anche se il Movimento neghi ferocemente d'esserne uno.
La conclusione di questo caso ricalca molto quanto successo a Roma. Di fronte ad un'indagine giudiziaria dove la magistratura sta portando avanti il proprio lavoro, i partiti politici decidono di dibattere la cosa sui giornali ed alla televisione. Un fatto molto circostanziato e locale diviene evento d'interesse nazionale perché questo serve gli interessi di un partito che vuole usarlo per screditare i propri oppositori. La stampa, dimostrando che non é un caso se l'Italia si trovi soltanto al 76 posto nella graduatoria dei paesi per libertà di stampa, si é prestata a questa manipolazione mediatica. I vertici del M5S decisero di chiedere le dimissioni del sindaco e fecero tutto quanto in loro potere per ottenerle ignorando il fatto che la sindaco era stata eletta dalla stragrande maggioranza di coloro che avevano votato alle elezioni comunali del 2015. Anche questa volta, la vittima é la verità giudiziaria che non interessa nessuno e la democrazia che viene stravolta per ossequio ad interessi di parte.

Alcune considerazioni per finire

Quanto successo a Roma con il sindaco Marino e quanto successo a Quarto con la sindaco Capuozzo ricalca, a mio giudizio, lo stesso schema. Molti degli aspetti sono ovviamente diversi, iniziando dal livello di popolarità dei due sindaci, il primo conosciuto in tutta Italia, la seconda ignota a quasi tutti e avviata a tornare in un normale anonimato dopo la breve apparizione sulla ribalta nazionale. Comunque, le loro storie dimostrano come l'agone politico in Italia stia deteriorando e si allontani sempre più dall'essere espressione del governo del popolo per essere invece nelle mani di una ristrettissima oligarchia.

La prima cosa che risalta é la facilità con cui, possedendone i mezzi, si possa ribaltare un risultato elettorale che non piaccia. Infatti, basta avere al proprio fianco il sistema informativo per manipolare qualunque situazione. I giornali, ma soprattutto la televisione dei notiziari fatti da veline trasmesse dal potere e dei salotti di discussione dove esperti di nulla discutono ed opinano di tutto, fanno apparire come reale e veritiero quello che loro vogliono far credere. La televisione ed oggi anche la rete informatica sono strumenti potenti di suggestione. L'essere umano crede in quello che vede. Da milioni di anni, già al tempo dei precursori dell'uomo sapiens, i sensi sono stati il canale diretto per raccogliere informazioni. Gli esseri umani, ma penso anche gli altri esseri della fauna animale si fidano istintivamente della vista, del tatto, dell'odorato, del gusto, dell'udito. Quanto si percepisce con i sensi é diretto, non ha intermediari. Oggi però, la televisione con la sua capacità ipnotica di attrarre lo sguardo da l'impressione di vedere dal vivo. Spesso, in un angolo dello schermao appare la scritta “dal vivo” per rafforzare l'impressione che tutti abbiamo di essere presenti e vedere con i nostri occhi. La conseguenza é che finiamo per credere certo quanto invece ci hanno soltanto fatto vedere, supponendo che l'occhio della telecamera sia come il nostro occhio, un servo imparziale che trasmette al cervello le immagini esterne perché siano analizzate.

Chi si interessa di comunicazione sa che questa impressione é sostanzialmente falsa. L'immagine che vediamo é frutto di una attenta regia che segue un copione. Non vi é mai nulla d'imparziale e certo. Solo cambiare l'angolo dell'immagine ne può radicalmente distorcere il significato. Approfittando di questa percezione sbagliata, esperti della manipolazione commentano poi le immagini suggerendo a volte in modo suadente a volte gridando quello che gli spettatori debbano pensare. In un certo senso, si sostituiscono al cervello per elaborare le immagini e formare le percezioni e le idee. Si tratta di processi manipolativi ben conosciuti che però la quasi totalità delle persone subiscono senza poterne percepire l'esistenza. Per questa ragione la società dei consumi ci porta a comprare cose di cui non abbiamo assolutamente bisogno. Per la stessa ragione, come spettatori si é invogliati a dimenticare quello che non ci viene mostrato e dare credito a quello che invece vediamo sullo schermo e siamo spinti ad accettare come reale.

La politica dei professionisti é diventata questo. Per questo costa tanto portarla avanti perché si devono utilizzare mezzi informativi, dovrei scrivere disinformativi, molto sofisticati e costosi per plagiare gli spettatori. Solo pochi specialisti abituati a verificare da varie fonti, con il tempo e le risorse per farlo, riescono a filtrare i messaggi vedendo se non tutta la realtà, almeno una buona parte di essa. Gli altri sono facile preda dell'incantatore di turno. Un ottimo esempio di manipolazione anche se non specificamente visiva é l'uso di twitter, un messaggio elettronico ridottissimo nel suo formato, che oggi é il più usato da tutti i politici per commentare, influenzare, giudicare e persino condannare. In 140 caratteri comprese le separazioni si dice tutto, banalizzando qualunque argomento, ma non per questo mancando l'obiettivo di convincere chi riceve simili messaggi.

Per esempio chi cerca di affermare che la realtà é differente da quella vista sugli schermi o letta in quei messaggini, in poche parole é squalificato come gufo, portatore di iella, diffusore di tristezza. Bene, per evitare che questo continui a succedere e ci si accorga molto dopo e sempre troppo tardi di essere stati ingannati bisogna cambiare a fondo il sistema di fare della politica.

Il primo e, penso, più importante cambio deve essere smettere per quanto possibile con il sistema della delega in bianco. Non basta votare a scadenze predestinate per essere veramente cittadini, bisogna esercitare il diritto di decisione e questo si ha soltanto con la partecipazione. Ovviamente, rendere possibile questo cambiamento radicale richiede l'impegno di molti, moltissimi perché ci sia sufficiente massa critica che possa iniziare a cambiare il modo di portare avanti le cose. I cittadini di Roma o di Quarto non dovevano accettare che il loro voto fosse ignorato scavalcandolo con decisioni prese da lontano da persone che non avevano nessun interesse nella buona gestione del loro comune. In tutti i due casi analizzati, alcuni hanno tentato di opporsi, ma erano troppo pochi e le forze in campo erano sproporzionatamente a favore di coloro che alla fine furono i vincitori. Ma potrebbe anche non essere andato così e ci sono state volte in cui la volontà degli elettori ha trionfato. Pensiamo al divorzio, all'aborto, al nucleare. Purtroppo é vero che i successi per ora sono stati pochissimi, ma il solo fatto che ci siano stati dimostra che sia possibile ottenerli.

Il secondo cambio deve essere nell'informazione. Questo cambio é molto più complesso d'ottenere e richiede un alto livello di consapevolezza dei cittadini, consapevolezza che soltanto l'educazione può far acquisire. Bisogna richiedere un sistema educativo che apra la mente, aiuti a pensare, generi senso critico, tutto il contrario di quanto la scuola odierna offre con il modello della “buona scuola” che vuole comparare la formazione del sapere ai meccanismi di gestione dell'impresa capitalistica subordinata al volere assoluto di chi possiede il capitale.

Il terzo cambio deve essere fare della politica non un mestiere come é oggi, ma un modo per essere pienamente cittadini. Tutti siamo molto attenti ai diritti e anche ai nostri interessi. Dobbiamo capire che l'unico modo per proteggerli veramente é seguendo gli eventi e partecipando. Dobbiamo investire tempo nella comunità, perché questo é il modo per essere nei processi decisionali e decidere insieme agli altri. Le brevi esperienze repubblicane del passato antico, quelle della civiltà greca, quella degli albori della repubblica romana, si basavano nella partecipazione di tutti i cittadini liberi nella gestione della cosa pubblica anche se bisogna anche ricordare che costoro erano una minoranza di coloro che abitavano in quelle città.

Il quarto cambio deve essere ribaltare il concetto che la governabilità sia più importante della rappresentatività. Le attuali leggi elettorali sono infatti la negazione del principio che a decidere debba essere sempre e comunque la maggioranza dei cittadini. Oggi sappiamo che con poco più dell'appoggio del 15% dei votanti, visto il gran numero d'astenuti e schede bianche, si ottiene il 55% dei seggi in Parlamento. Questo stato delle cose viene aggravato dal fatto che gli eletti sono scelti dai partiti e non dai votanti. Poche decine di persone, quindi, controllano chi vada in Parlamento e possono decidere se debbano essere ricandidati, subordinandoli al loro volere e non a quello dei cittadini. In questo contesto, non é più possibile parlare di autentica democrazia.

Rendere fattibili oggi questi cambiamenti non penso sia facile, ma sono anche sicuro che se non ci riusciremo adesso, allora ci aspetta nuovamente un periodo di dittature più o meno benevole come quelle verso cui ci stiamo avviando. Il tema é quindi troppo importante per non rifletterci e discuterne come il sito dove scrivo oggi ci invoglia a realizzare, partecipare per poter poi agire con cognizione di causa per affermare il rispetto dei diritti dei cittadini.

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