MANIPOLAZIONE POTERE VIRALE 

di Paolo Basurto

 

  L’OSSESSIONE PUBBLICITARIA Avete mai seguito la serie TV I Tudor? E Mad Men? Ma la migliore, secondo me è finora House of Cards. Per un corso accelerato sulla manipolazione, è indispensabile vedere queste serie. Perché? Me lo spiegò qualche tempo fa, Hélène, la mia figlia più giovane. Appassionata di serie TV, definivo la sua propensione un po’ frivola e in cerca di storie leggere, da fotoromanzo (come si diceva un tempo). Fu proprio lei, allora a dirmi, con inconsueta calma e una certa aria di sufficienza, che, sapendo ben sceglierle, queste serie sono una fonte ricchissima di informazioni sull'evoluzione culturale delle nostre società. Non si tratta di informazioni sulla realtà ma su quello che le persone credono sia la realtà.  La nostra è l'epoca della pubblicità. Ma meglio sarebbe chiamarla l'epoca della suggestione e della manipolazione. Forse la loro importanza è sempre stata determinante nella storia e il potere non ha mai potuto farne a meno. Ma potrebbe anche essere che questo fatto non sia del tutto ineluttabile. La storia sembra ripetersi ma non si ripete mai nello stesso modo. Il contesto attuale è assolutamente inedito nella storia umana che ci è dato conoscere. L’uomo ha sviluppato tecnologie incredibilmente complesse ed efficaci. La sua capacità di trasformare l’ambiente naturale è assolutamente straordinaria. Le sue conoscenze tecniche si evolvono continuamente e ormai nessuno si meraviglia più se a qualcuno viene in mente di creare una società d’investimento per la colonizzazione di Marte. Il mondo dell’uomo ha perso i suoi confini e la fisica quantica ha definitivamente messo in discussione l’unicità del suo universo. Riferimenti fino a ieri indiscutibili hanno perso agli occhi di tutti la loro certezza e la domanda se il tempo e lo spazio esistono davvero non appare più a nessuno come il frutto di qualche mente folle.
E’ un’epoca entusiasmante per le novità e le potenzialità che sta sviluppando. Eppure, non c’è giorno che passi senza che accada qualcosa che alimenti l’ansia esistenziale di una catastrofe immanente. Perché di fronte a tanti risultati sorprendenti esiste purtroppo un fronte oscuro di problemi irrisolti la cui gravità coinvolge seriamente la sopravvivenza stessa dell’uomo e del suo, ormai piccolo, mondo.
 
  RITORNO ALL’IRRAZIONALE Questi problemi ruotano tutti intorno ad una sola questione: la convivenza. La socialità umana non è in grado di far fronte alle nuove modalità che la realtà attuale richiederebbe. Nel passato le esigenze di sopravvivenza in un ambiente con risorse insufficienti per tutti venivano soddisfatte attraverso la competizione violenta. Oggi questa competizione dovrebbe essere esclusa perché potrebbe non avere più vincitori ma solamente perdenti. E le probabilità che si tratterebbe di una perdita totale e irreversibile sono alte.
Quello che angoscia maggiormente non è la constatazione che lo sviluppo, che con tanta orgogliosa meraviglia l’uomo è riuscito a promuovere abbia dei limiti. Ciò che davvero spaventa è la diffusa incapacità di adottare scelte coerenti, mentre si espande come un contagio la propensione per comportamenti irrazionali, animati da emozioni dogmatiche le cui radici hanno sicuramente avuto un fondamento in condizioni arcaiche che però oggi, si dovrebbero considerare completamente superate.
La ribellione per l’ingiustizia; la disperazione per l’inadeguatezza dei propri mezzi; la frustrazione per il rifiuto sociale; l’insoddisfazione per l’impossibilità a partecipare alle decisioni cruciali per la propria vita, sono tutti sentimenti a loro modo vitali, che obbediscono a logiche primitive di soluzione dei conflitti sociali. ‘Che muoia Sansone con tutti i Filistei’ è pur sempre un avvertimento di non spingere oltre certi limiti la sopportabilità dell’abuso. Oltre quei limiti nemmeno le colonne di un tempio poderoso garantiscono la resistenza.
 
IL CASO BLAIR E IL RAPPORTO CHILCOT Ma il problema contemporaneo non è la ricerca delle motivazioni ancestrali e funzionali che nutrono condotte altrimenti inspiegabili. La questione è la loro pericolosità e la grande difficoltà per modificare comportamenti che non obbediscono a logiche razionali, senza ricorrere a mezzi coercitivi la cui efficacia può essere addirittura controproducente.
Scriveva Mussolini che “Regimi democratici possono essere definiti quelli nei quali di tanto in tanto, si dà al popolo l’illusione di essere sovrano” (‘Dottrina del Fascismo’ ed. S. e D. vol VIII pg.79/80, in ‘Popolo Libertà e Potere, l’arte di dominare le folle’ di Franco Livorsi).
Lo scorso anno, dopo sette anni di lavoro, è stato diffuso il Rapporto finale della Commissione Pubblica d’Inchiesta sulla guerra in Iraq, che il Parlamento britannico aveva affidato al deputato John Chilcot. Le conclusioni dimostrano inequivocabilmente che Blair fece entrare in guerra l’Inghilterra al fianco degli USA, senza ragioni sufficienti, non rispettando le regole parlamentari, mentendo sull’interpretazione delle informazioni dei Servizi segreti, aggirando in modo scorretto la posizione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU. Anche la preparazione delle truppe fu affrettata e inadeguata. Circa duecento cittadini britannici persero la vita e, com’è noto, quelli iracheni furono centinaia di migliaia.
Dopo la pubblicazione del Rapporto, qualcuno ha chiesto a Blair di scusarsi almeno con gli inglesi. Per tutta risposta, Blair ha cinicamente detto che semmai sarebbero gli inglesi che dovrebbero scusarsi con lui per gli ingenerosi e ingrati sospetti sul suo operato politico ai tempi della guerra irachena.
Sette anni di indagini per delle conclusioni sconvolgenti che non porteranno a nulla. I Conservatori stando al potere, lo stesso Chilcot ha scritto, nell’accompagnare il Rapporto della Commissione da lui presieduta, che per lui è stato un gran sollievo che al momento della diffusione delle conclusioni i politici coinvolti non si trovassero più sulla scena. Parole sorprendenti che fanno sospettare sul perché vero di una durata così lunga per formulare un rapporto, la cui attualità sembra ormai persa. In tutti i modi l’opinione pubblica, o il popolo come vorremmo chiamarla per dare maggior senso alla citazione di Mussolini, è distratta e, con la brexit, ha ben altro a cui pensare.
 
  MA IL POPOLO… PENSA? Mussolini affermava che il popolo fosse un’entità puramente astratta. “Non si sa dove cominci e dove finisca. L’aggettivo di ‘sovrano’ applicato al popolo è una tragica burla. Il popolo tutto al più, delega, ma non può esercitare sovranità alcuna. I sistemi rappresentativi appartengono più alla meccanica che alla morale. (‘Preludio al Machiavelli’, in Gerarchia dell’aprile 1924. S. e D., vol.IV, pg.109, citato da Livorsi)
Certo citare Mussolini può scandalizzare qualcuno. Eppure credo che sia necessario che ci si renda conto che anche se la Storia non si ripete sempre con le stesse modalità, è essenziale capire come alcune dinamiche della convivenza umana si alimentano di ingredienti che bisogna saper riconoscere perché producono sintomi di situazioni che senza poter essere considerate uguali possono però evolvere in modo assai simile. Mussolini diceva e scriveva quello che molti pensavano. Anzi, bisognerebbe dire: che molti sentivano, e che Mussolini era capace di interpretare, drammatizzare e utilizzare politicamente.
D’altro canto come non ammettere che la nozione di popolo sovrano appartiene alla mitologia romantica che traeva abbondante profitto dalla sua ambiguità per creare dogmi politici che ancora oggi resistono. L’epoca che viviamo è segnata tragicamente da un fenomeno migratorio che ha fatto riaffiorare concetti indefiniti e distorti che sembravano appannaggio del linguaggio antropologico e che oggi si pretende di utilizzare per spiegare e talvolta giustificare, conflitti sociali e guerre civili. Il popolo, la nazione, l’etnia; avere una stessa lingua, uno stesso patrimonio culturale, uno stesso retaggio storico, una stessa religione. Lenin sosteneva con la sua abituale passione che l’autodeterminazione dei popoli fosse un principio irrinunciabile per lo scardinamento radicale dei sistemi capitalisti. Le Nazioni Unite sono riuscite persino a fare adottare più Convenzioni nelle quali il pricipio di autodeterminazione dei popoli viene richiamato come norma inderogabile della convivenza internazionale. Ma si era in piena epoca di decolonizzazione e le discussioni in merito non erano né numerose né illuminanti. Tuttavia ancora oggi, non esiste nessuno strumento giuridico internazionale che definisca in modo univoco il concetto di popolo. Ora il problema riaffiora in tutta la sua ambiguità grazie all’emergere di antiche passioni nazionaliste e indipendentiste che più opportunamente andrebbero chiamate secessioniste. Sul perché di questa riemersione dovrebbero appuntarsi le nostre prossime riflessioni; la manipolazione, come strumento di rottura di legami sociali e politici, elementi di riferimento di una comunità, sembra infatti, giocare un ruolo importante e pericoloso nell’evoluzione del fenomeno.
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