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Una primavera calda

Era primavera inoltrata, quel 1974, cinque anni dopo lo scoppio della rivoluzione studentesca, quando il presidente della Repubblica di allora, Giovanni leone, firmò il decreto n.416 che, convertito poi in legge, avrebbe cambiato il volto della scuola italiana fino ai nostri giorni. Era una primavera calda e splendente, avevo ventisette anni e insegnavo in un liceo scientifico della periferia romana, combattendo la mia quotidiana battaglia tra lavoro e famiglia.

Ma le battaglie dure erano quelle che si svolgevano a scuola, la lotta politica tra gli studenti accesissima, la contestazione degli insegnanti, e in genere dell’autorità, feroce. Mi ricordo, di quegli anni, le suole delle scarpe dei ragazzi di quinta che, seduti agli ultimi posti, spiegavano polemicamente davanti a me le pagine di Lotta Continua, accavallando le gambe sui banchi mentre spiegavo Manzoni; ricordo la porta dell’aula che si spalanca di colpo e l’irrompere di una faccia da galera che strilla “Ah professore’, la repressione ha colpito ancora!”, e poi i collettivi senza fine, le assemblee caotiche con centinaia di ragazzi pericolosamente accatastati gli uni sugli altri, urlanti, rossi di rabbia nel tentativo di sovrastare con la propria voce quella degli altri, i mesi passati nella nuova biblioteca a catalogare libri su libri durante le occupazioni, mentre fuori gli studenti si affrontavano in masse che avanzavano e indietreggiavano come maree impazzite a scatti, a spintoni, a pugni. Le botte: quanti lividi, quanti occhi neri ho visto. E le minacce, la paura dei più deboli, il bullismo di alcuni che si insinuava cinicamente tra le fila di quelli che ci credevano.

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