COME SIAMO ARRIVATI DOVE SIAMO OGGI

(Tempi Moderni III)

di Marco Borsotti

Studiare la Storia serve

Ritorniamo quindi al 1929 ed alla crisi che prese il suo nome. Iniziamo con il ricordare che l'economia politica era una disciplina relativamente recente avendo posto le sue basi nel diciottesimo secolo grazie soprattutto al lavoro di studio realizzato da Adam Smith che nel suo trattato sulla Ricchezza delle Nazioni aveva enunciato alcuni dei principi chiavi di questa disciplina. Tra i cultori della materia tutti ricorderanno il concetto della mano invisibile, una sorta di Provvidenza, che partendo dagli impulsi egoistici di tutti nel cercare la realizzazione dei propri interessi particolari finiva per trovare un punto d'equilibrio dove la somma di tutte le domande trovava un punto d'incrocio nella somma di tutte le offerte. Quel punto d'intersezione delle due curve espresso dal valore monetario di un prezzo aggregato d'equilibrio era, nella visione di Smith, in quel momento, la forma più razionale ed equa per ripartire le risorse disponibili. Qualunque altra scelta forzata da un intervento esterno, per esempio dello Stato, non generava altro che instabilità ed in ultima analisi occasioni di crisi.  Ovviamente, le circostanze mutavano continuamente e gruppi tra loro antagonisti cospiravano per trarre maggior profitto del dovuto, quindi lo stato d'equilibrio era una tendenza mai compiuta che periodicamente portava per la sua incompiutezza a crisi di squilibrio che però finivano sempre per trovare nuovi punti di stabilità per, mi si perdoni il pasticcio di parole, il riequilibrarsi della domanda ed offerta aggregata di beni secondo come aumentasse o diminuisse il valore dei prezzi aggregati.

La crisi della Borsa Valori di New York dell'ottobre 1929 ha molte concause di cui le principali furono una cattiva distribuzione del reddito, una cattiva gestione delle attività industriali, una cattiva struttura del sistema bancario caratterizzato da un eccesso di prestiti a natura esclusivamente speculativa, una cattiva gestione del bilancio dello Stato ossessionato dall'idea di pareggio come stato ideale da perseguire. Quello che queste considerazioni ci dicono é chiaramente che il mercato lasciato a se stesso, contrariamente a quanto pensasse Adam Smith, non aveva saputo trovare quel virtuoso equilibrio che la teoria affermava dovesse raggiungere tra l'altro perché non esistevano se non nei modelli matematici teorici quelle condizioni necessarie perché la competizione fosse perfetta, come, per esempio, l'esistenza d'operatori tutti uguali, tutti con accesso alle stesse informazioni, tutti tendenti alla massimizzazione del proprio interesse, e nessuno in grado con il suo agire di disturbare lo stato di perfetta competitività di tutti contro tutti. Inoltre, per permettere la realizzazione delle condizioni di mercato perfetto, la teoria economica asseriva anche che lo Stato dovesse astenersi dall'intervenire garantendo soltanto il continuo riequilibrio delle proprie entrare ed uscite per garantire il pareggio di bilancio. Questa fu quindi la politica messa in atto dal Presidente del momento, Hoover, che, comprimendo la spesa pubblica per compensare le mancate entrate dovute alla caduta generale dei redditi, non fece altro che acuire le cause della crisi tagliando i consumi che portarono a nuovi tagli dell'offerta in una spirale perversa che spingeva masse sempre più grandi di persone nella miseria ed alla fame.
 
I cattivi risultati diremmo oggi delle politiche d'austerità di bilancio balzarono subito agli occhi di alcuni politici che vedevano risposte diverse alla crisi come l'unica alternativa da mettere in atto. Questi politici promossero alle presidenziali del 1932 la candidatura per il partito democratico di F. D. Roosevelt, democratico di New York, che vinse le elezioni e assunse la carica di Presidente degli Stati Uniti nella primavera del 1933. Il nuovo Presidente aveva una visione opposta di quella del suo predecessore su quanto si dovesse fare per uscire dalla crisi ed, appena eletto, si mise al lavoro per realizzarla aderendo ai principi teorici contenuti nel modello di sviluppo conosciuto come modello keynesiano, dal nome del suo ideatore John Maynard Keynes.
In sostanza, semplificando al massimo i concetti, il sistema si basava su alcuni assunzioni nell'arco temporale considerato: il consumo dipende dal reddito; il risparmio é la differenza tra consumo e reddito; l'investimento é costante nel tempo; in ogni periodo di tempo considerato gli investimenti sono sempre uguali al risparmio. In questo modello, il punto d'equilibrio tra domanda ed offerta non rappresentava necessariamente la condizione ideale che potesse garantire l'impiego di tutta la popolazione attiva, quindi per riequilibrare la situazione lo Stato, diceva la teoria, doveva intervenire con politiche monetarie e fiscali ed interventi diretti per aumentare la domanda aggregata e l'occupazione perché i consumi potessero crescere e quindi generare condizioni per un aumento anche dell'offerta, ossia della produzione. Il modello in questo modo risolveva il problema di come uscire dalla stagnazione in cui era affondata l'economia dopo il crollo della borsa del 1929, la caduta generale dei redditi, dell'occupazione, della produzione e del consumo. L'intervento statale era la chiave per rimettere in moto l'economia. Questa era la profonda novità apportata dal modello che vedeva e voleva lo Stato come forza attiva nell'economia e non solo come garante della concorrenza per favorire il mercato.
 
 Non tutti erano d'accordo
 
L'economia come disciplina sociale non é però monolitica. A differenza delle materie propriamente scientifiche dove, quando una nuova teoria dimostra la propria superiorità incorpora i principi ancora validi di quelle che l'avevano preceduta, ma aggiungendone degli altri relega le teorie precedenti nel museo delle scienze, dove studiarle é utile per chi deve imparare, ma che a nessuno verrà mai in mente di continuare ad applicare nella ricerca e nell'uso pratico, invece nelle teorie economiche anche quando esse siano state superate continuano comunque a sussistere come opzioni plausibili con fautori che si augurano di poter tornare ad impiegarle anche quando altre le hanno ormai soppiantate. Questo fu valido anche per le teorie liberiste di mercato che rinominate teorie neo-liberiste continuarono a contrapporre ai modelli keynesiani proposte alternative sempre basate sul principio della sovranità ed inviolabilità del libero mercato. Come scritto in precedenza, i fautori principali di questa visione ideologica appartenevano ad una scuola di pensiero austriaco di cui la figura principale era Friederick Hayek.
Il termine neo-liberalismo fu coniato per la prima volta in un incontro a Parigi nel 1938 dove studiosi di varie provenienze si riunirono per discutere del “pericoloso”, a loro dire, cammino che aveva intrapreso la politica economica rappresentata dal New Deal di Roosevelt. Nei loro occhi i dettami del New Deal opprimevano l'assoluta libertà degli individui d'intraprendere le scelte che più gli aggradavano e non erano altro che manifestazione del collettivismo che già si era manifestato nelle due versioni predominanti del nazismo e del comunismo. Le politiche che i fautori delle teorie keynesiane auspicavano erano minacce che avrebbero portato inesorabilmente a regimi di controllo autoritario dove le libertà degli individui sarebbero state annichilite. Queste idee pubblicate in vari libri usciti in quegli anni trovarono ovviamente un auditorio molto attento tra i ricchi dell'epoca che erano sommamente infastiditi dai regolamenti e dalle tasse che i modelli keynesiani imponevano. Presto queste idee permisero la fondazione di organizzazioni come il Mont Pelerin Society il cui scopo era quello di promuovere la diffusione delle teorie neo-liberali. Di quegli anni anche la creazione di centri come Heritage Foundation, Cato Institute, Institute of Economic Affairs, Centre for Policy Studies, the Adam Smith Institute. Tutti questi centri in gran parte operanti ancora oggi godettero di generosi contributi finanziari che ne permisero l'espansione. Questi centri ebbero anche un ruolo centrale nel finanziare cattedre e dipartimenti nell'Università di Chicago ed in quella della Virginia che divennero i centri principali per la diffusione di queste teorie nel mondo accademico.
 
La scuola di pensiero associata con il neo-liberismo continuò a prosperare anche in assenza d'opportunità per riuscire a trovare spazi politici per mettere in atto le proprie convenzioni teoriche di politica economica. Anzi, con il passare degli anni pensatori come Milton Friedman iniziarono ad apportare aggiustamenti teorici che rendevano l'intera operazione ancora più appetibile per il grande capitale che sin dal primo momento ne aveva appoggiato la diffusione. Per esempio arrivando sino al punto di trovare giustificazioni per il formarsi di monopoli intesi come compensi per l'efficienza dimostrata nella realizzazione dei loro affari in ambito di mercato. Hayek arrivò ad asserire durante una visita al Cile di Pinochet di preferire una dittatura ispirata a principi liberali come quelli del Generale che governi democratici ostili al liberalismo e questa frase dice meglio di qualunque altro tentativo che cosa sia in essenza il neo-liberismo.
 
La Rivincita del Neo-liberalismo
 
Le grandi opportunità di rivincita per queste idee di politica economica si manifestarono agli albori degli anni settanta quando furono consiglieri economici formatesi alla scuola di Chicago che ebbero il compito di assistere la dittatura di Augusto Pinochet in Cile nella messa a punto di un piano di sviluppo economico conforme con i dettami del pensiero neo-liberista. La libertà che essi offrivano era la libertà dei predatori e non quella delle loro vittime. In pratica, essi introdussero con la affermazione in vero incoerente per dei fautori della libertà di scelta individuale che “non vi erano alternative” a quanto da loro proposto, norme che resero possibile sovvertire i principi del modello keynesiano. Libertà venne quindi a significare sbaragliare i sindacati e la contrattazione collettiva per favorire la riduzione dei salari. Significò smantellare i regolamenti a tutela dell'ambiente per poter inquinare impunemente. Permise di mettere a rischio la vita dei lavoratori per la mancanza di misure di sicurezza adeguate. Rese possibile la libertà d'imporre tassi d'interesse da strozzinaggio e la possibilità per le banche e gli istituti finanziari d'immettere sul mercato meccanismi d'investimento ad alto rischio, ma solo per gli ignari acquirenti. Permise anche la privatizzazione di funzioni pubbliche come l'educazione, la previdenza sociale e la salute e la vendita di beni pubblici come l'acqua o il sistema dei trasporti. Infine, sdoganarono come legittima la libertà di poter cercare paradisi fiscali per non dover pagare le tasse mettendo a rischio e spesso rendendo impossibili programmi per la riduzione della povertà per mancanza di fondi nell'erario statale.
 
Prima di quanto successo nel Cile, nel 1971 Nixon negli Stati Uniti aveva già inferto il primo colpo al modello keynesiano sospendendo in forma unilaterale la parità aurea del dollaro. Dopo di lui, furono amministrazioni che avrebbero dovuto in principio essere inclini a seguire il modello del New Deal come quella di Carter negli Stati Uniti e Callaghan nel Regno Unito che introdussero riforme nel sistema monetario dettate da principi neo liberali. Come già ricordato, entrambi furono presto sostituiti da fautori molto più convinti di loro dell'utilità del liberalismo, Margaret Thatcher e Roland Reagan che in poco tempo terminarono il processo di rimozione dei lacci e laccioli che con gli accordi di Bretton Wood avevano messo le briglie alla finanza speculativa aprendo il varco al rinnovato trionfo del neo-liberismo come teoria principe di politica economica. Il caso del Cile ed i suoi successi, almeno così li descriveva la stampa, furono usati come giustificazione all'abbandono del sistema di politica economica usato sin dal 1933 quando Roosevelt lo aveva introdotto negli Stati Uniti.
 
Il Prezzo pagato dai Paesi in Via di Sviluppo al Neo-liberismo  
 
Negli anni trascorsi in Africa, America Latina e alla fine Europa dell'Est vidi con i miei occhi come i principi del neo-liberalismo furono imposti come l'unica risposta che avrebbe assicurato la crescita economica e, conseguentemente, la caduta dei tassi di povertà. Gli alfieri di questo credo per molti versi molto simile ad una qualunque fede religiosa perché fondato sull'accettazione acritica di assiomi non dimostrabili come quello della ricchezza che sarebbe gocciolata giù dalla cima sino alla base della piramide sociale perché, arricchendo i ricchi, come grasso che cola il loro benessere avrebbe anche interessato, ovviamente in misura molto minore come giusto che sia per rispettare un altro assioma del sistema quello cioè che decreta che il guadagno sia la giusta ricompensa data al merito, tutti gli altri ceti sociali sino a quelli più umili, erano la Banca Mondiale, il Fondo Monetario Internazionale, le principali agenzie d'aiuto allo sviluppo bilaterali, le ambasciate dei paesi più sviluppati orientati nel loro fare dalla posizione assunta da quella degli Stati Uniti. Le Nazioni Unite per cui lavoravo e che da un certo punto in avanti mi é toccato spesso rappresentare avevano un ruolo secondario dal momento che a noi in quel contesto toccava preparare una breve presentazione sulla situazione sociale ed umanitaria del paese. Li scoprii che, indipendentemente dalla nazionalità, quasi tutti i funzionari delle agenzie internazionali di credito e finanza avevano studiato a Chicago. La supremazia ideologica del neo-liberalismo era assicurata dal fatto che praticamente tutti coloro che lavoravano nelle principali agenzie di quel sistema provenivano dalla stessa scuola. L'investimento lungimirante delle varie fondazioni menzionate in precedenza nel sostenere cattedre e facoltà d'economia a Chicago anche con un sistema di borse di studio per raccogliere giovani promettenti da ogni parte del mondo era ampiamente ripagata con l'aver messo in piedi un sistema praticamente monolitico di pensiero impossibile da scalfire anche perché foraggiato da fondi incommensurabili messi a disposizione dai paesi occidentali, Stati Uniti in testa.
 
Riunioni che si svolgevano e si svolgono ancora oggi a porte chiuse a Parigi, Tokyo e Washington erano i luoghi in cui si consumava il rituale. Paesi debitori spesso costretti al debito da funzionari locali corrotti e facilmente corruttibili si presentavano senza speranza di fronte a queste sessioni dirette da organismi che, per esempio, avevano nei termini dei loro prestiti condizioni che possono essere considerate alla pari di veri e propri ricatti. Infatti il ritardato pagamento di una rata del debito con una qualunque di queste istituzioni comportava la sospensione immediata dal qualunque forma di credito bancario da qualunque banca del globo. Gli istituti di valutazione quindi decretavano immediatamente che i titoli di Stato di quel paese non avessero alcun valore. In altre parole, la Banca Mondiale o il Fondo Monetario potevano e possono far dichiarare fallito qualunque paese.
 
Le riunioni di questi Club molto selettivi si tacciano di essere strumenti di sostegno per i paesi debitori che qui vengono convocati. A mio giudizio e come già scritto avendovi partecipato, considero queste sessioni nient'altro che processi sommari dove le sentenze sono già state scritte in precedenza e dove non esistono meccanismi adeguati di difesa. Infatti, a nessuno importa che il debito sia frutto spesso di vere proprie operazioni truffaldine dove i funzionari nazionali responsabili sono stati corrotti dalle banche o altri istituti finanziari con cui hanno lavorato. Queste stesse banche si sono poi liberate dei debiti considerati con linguaggio medico tossici, passandoli con dinamiche molto dubbie a carico di prestiti dati dalle agenzie internazionali ai governi con loro indebitati su pressione dei paesi donanti da cui questi istituti che avevano concesso quei prestiti provenivano. Debiti contratti con istituti privati come per magia diventavano debiti contratti con organismi internazionali che avevano dalla loro tutti gli strumenti legali per dichiarare fallito un paese cosa che cambiava e non di poco le carte in tavola a partita già molto inoltrata. Mi si dica chi non butterebbe all'aria il tavolo da gioco se una cosa simile succedesse in una qualunque partita di carte? Ebbene, i governi recipienti, così si suole chiamarli per distinguerli dai governi donanti non avranno mai questa opportunità anche se risulta chiaro a tutti che la partita é viziata perché se lo facessero diventerebbero i paria del mondo, i nuovi intoccabili nel sistema internazionale di relazioni tra paesi sovrani.
 
Chi ha seguito la vicenda greca di questi anni avrà visto come sia facile far precipitare nel baratro un paese in un arco veramente ridotto di tempo per poi continuare a dissanguarlo a piacere per tutto il tempo che si voglia. Quanto successo in Grecia l'ho visto realizzare praticamente ovunque in Africa dove una classe politica spregevole, interessata soltanto al proprio arricchimento vendette anzi svendette le proprie Nazioni alla speculazione internazionale. Non facciamoci illusioni, quanto successo alla Grecia con la classe politica che abbiamo in Italia potrebbe succedere altrettanto facilmente in Italia. Basta per esempio che il governo in carica chieda alla Commissione Europea accesso al Fondo Salva Stati per far fronte al crescente problema del debito pubblico per avere in casa gli ispettori della Troica, quelli stessi che sono responsabili della carneficina sociale appena successa in Grecia.
Una considerazione a latere aiuta meglio a chiarire l'assurda perversità di questi meccanismi. Infatti, le spese di gestione ed il rinnovo dei fondi di capitale delle agenzie internazionali di finanza derivano in gran parte dagli interessi che i debitori pagano. Questo solo basterebbe a spiegare perché ripagare questi debiti sia una vera e propria missione impossibile, infatti se tutti i debiti fossero liquidati sarebbero anche liquidati Banca Mondiale, Fondo Monetario, ecc. Quindi, l'unica uscita possibile per un paese debitore sarebbe liquidare il debito con gli organismi internazionali, ma questa via l'hanno potuta mettere in pratica soltanto paesi con grandi economie ed importanti riserve primarie di valuta come Cina, Russia, Brasile e pochi altri. Per i restanti quest'alternativa semplicemente non esiste almeno sino a quando non diventi del tutto operativa la Banca realizzata recentemente dai BRICS (Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa) ed anche li dovremo vedere a quali condizioni vorranno operare e se vorranno in pratica smantellare con il loro operato l'attuale sistema finanziario internazionale basato sull'indebitamento forzoso di paesi ad esclusivo vantaggio della finanza internazionale protetta dai maggiori paesi sviluppati del pianeta.
 
Dove ci troviamo oggi
 
Tutto quanto ho descritto avvenne compostamente, senza spargimento di sangue, senza corpi di spedizione militare come in epoca coloniale, ma i risultati furono gli stessi o persino peggiori. Ovviamente, la fine della guerra fredda dette un nuovo impeto a queste vicende che precedentemente erano mitigate dal fatto che si temeva che un paese penalizzato potesse tentare di sfuggire alla sua sorte passando nel fronte socialista. Studi e documenti oltre alla mie osservazioni personali nei paesi dove prestai servizio documentano fuori di ogni dubbio come il neo-liberismo sia stato prima di tutto un sistema per depredare nel nome del predominio del più meritevole interi continenti.  Il caso attuale della Grecia o quello dell'Argentina ne sono ulteriori dimostrazioni.   
 
Tutto questo lo abbiamo visto diventare realtà praticamente ovunque negli ultimi decenni con una particolare accelerazione dopo il 1991. A tutt'oggi per quasi tutti i paesi incombe un nuovo problema addizionale derivante dal rischio molto reale che attraverso gli accordi di libero commercio TTP, TTIP, CETA, NAFTA si permetta alle grandi corporazioni d'ignorare e sovvertire le legislazioni nazionali a tutela dei lavoratori, dei consumatori e, più in generale, di tutta la popolazione per favorire gli interessi dei consigli d'amministrazione di quelle società. Questi accordi promossi con innegabile solerzia dall'amministrazione Obama sono il sogno del neo-liberismo. Se diventassero effettivi le grandi corporazioni avrebbero alla fine gli strumenti legali per neutralizzare su scala planetaria l'unica forza che può ancora contrastarle, gli Stati nazionali ed il loro sistema legale che, soprattutto nel mondo occidentale prevede garanzie per lo stato sociale e per la maggioranza dei cittadini. Per ora sembrerebbe che si stia vincendo la battaglia anche, ed onestamente faccio fatica a capirne a fondo le ragioni, per l'Elezione di Trump come nuovo Presidente degli Stati Uniti avendo egli annunciato in campagna elettorale e riconfermato recentemente dopo essere stato eletto che avrebbe tolto l'appoggio del suo paese al TTP e NAFTA, probabilmente inferendo un colpo mortale a tutto l'impianto degli accordi citati che possono sussistere veramente soltanto se coprono l'intero pianeta.
 
Contro questi accordi c'era stata e c'é una grande mobilitazione dal basso di cittadini che i potenti arroccati a Bruxelles o Washington hanno ignorato, ma che sarebbe sempre capace di mettersi di traverso per cercare d'ostacolare la loro attuazione. Probabilmente Trump disdegna questo tipo d'accordi perché nazionalista e isolazionista, mentre i cittadini che si sono mobilitati li disdegnano perché gli accordi vogliono privarli della loro possibilità di partecipare. In fondo la questione in discussione rimane la lotta tra i pochi che pretendono centralizzare e monopolizzare le decisioni ed i molti che invece vogliono continuare a contare facendo sentire la propria voce con la loro partecipazione. Per il momento, il neo-liberalismo ha accentuato lo scontro tra queste visioni mettendo in gran risalto gli aspetti più perniciosi per le masse dei cittadini della propria visione di sviluppo.
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