QUELLI CHE CONTANO
(Tempi Moderni VII)
 (link ai capp. I, II, III, IV, V, VI )

di Marco Borsotti

 

Il Fenomeno Donald Trump negli Stati Uniti

Recentemente la crisi economica ha finito per provocare una specie di terremoto politico negli Stati Uniti dove nelle recenti elezioni presidenziali ha vinto il candidato repubblicano che però non rappresenta quasi in nulla la tradizione politica conservatrice di quel partito incorporata in persone come Eisenhower, Nixon, Reagan, Ford, Bush padre e figlio. Infatti, Trump riuscì nelle primarie repubblicane a sconfiggere i candidati tradizionali di quel partito per imporre un modo di fare politica completamente differente, basato sul dare voce alle preoccupazioni della classe media degli Stati a supremazia repubblicana che vedevano scomparire il loro modo di vivere.

In aggiunta, non saprei dire se consciamente o inconsciamente Trump fece anche suo l'estremismo ideologico di persone come la scrittrice-filosofa Ayn Rand, che con i suoi romanzi impregnati di una ideologia individualistica, forgiò la mente ed il “credo” politico di una intera generazione di giovani conservatori che finirono per essere l'asse portante dei “Tea Party”, associazioni che proclamano una visione direi edonistica dell'egocentrismo senza limiti. Rand rese l'egoismo un atto eroico svalutando allo stesso tempo l'attenzione per gli altri come una imperdonabile debolezza. Lei scrisse che il capitalismo e l'altruismo erano incompatibili. Steve Bannon, l'uomo che tutti indicano come l'ideologo di Trump é persona cresciuta politicamente in quel contesto ideologico, associato con Andrew Breitbart e, attraverso di lui con Bob Mercer e sua figlia Rebekah, miliardari statunitensi vicini al Tea Party ed all'estrema destra di quel paese. Il loro ingresso nel ristretto gruppo responsabile per la definizione delle linee guida per la campagna e poi, vinte le elezioni, per la gestione della Presidenza, portò Trump ad avvicinare sempre di più la sua strategia politica con quella proposta dalla destra conservatrice adottando molti dei punti di vista proposti da Ayn Rand.
In un certo senso, Trump si propose come candidato contro la globalizzazione facendo sue tutte le paure di una percentuale abbastanza elevata della popolazione, ma allo stesso tempo usò la sua immagine di miliardario per suggerire che per avere esito si dovevano mettere da parte scrupoli per cercare soltanto il proprio successo personale. L'errore di tutti, sia in casa repubblicana come democratica fu non capire il messaggio che Trump proiettava agli elettori che erano spaventati, ma anche infuriati con il sistema. Lui seppe presentarsi come l'alternativa alla politica delle caste, ma anche come il campione dell'individualismo e della spregiudicatezza nel realizzare le cose.
Trump fu attaccato perché contrario agli stranieri, ma questa era appunto una delle sue forze, perché indifferente al linguaggio politicamente corretto, fatto questo che lo rendeva popolare tra gli elettori stufi dei formalismi della politica dato che erano ormai convinti che la causa dei loro mali dovesse cercarsi fuori dal loro contesto, nei paesi avversari degli Stati Uniti e soprattutto tra gli immigranti. Lo criticarono perché nemico dell'Islam senza tener conto che ormai quasi tutti negli Stati Uniti identificano ormai questa religione come il principale pericolo dopo che la narrativa del 11 settembre aveva proposto il gesto suicida degli attentatori come una manifestazione della loro fede religiosa. Trump, inoltre, prometteva riportare il lavoro negli Stati Uniti, mentre i suoi avversari erano percepiti come troppo vicini a coloro che nel pensiero collettivo erano considerati responsabili per aver favorito l'esportazione del lavoro all'estero. Trump diceva anche che la scomparsa dei posti di lavoro era il risultato delle politiche ambientaliste che, basandosi su falsi pretesti, avevano forzato la chiusura di molti impianti industriali a solo vantaggio di paesi come la Cina. Trump asseriva anche che scelte di politica estera avevano danneggiato il paese come condurre guerre in teatri lontani e poco conosciuti come i vari fronti aperti nel Medio Oriente, o come scontrarsi con la Russia che invece poteva diventare un potenziale alleato nella lotta contro il fondamentalismo islamico.
Ossia, i suoi avversari lo attaccavano ed osteggiavano per cose che invece erano i suoi punti forti agli occhi dei potenziali elettori. Il risultato lo conosciamo tutti. Grazie al sistema elettorale per le elezioni presidenziali Trump vinse negli Stati in bilico dove il suo messaggio fu maggioritario e preservò tutti gli Stati che tradizionalmente votano repubblicano, lasciando ai democratici la maggioranza del voto popolare, ma vincendo comunque a grande maggioranza l'assegnazione dei grandi elettori, meccanismo introdotto sin dagli inizi nella Costituzione per bilanciare la sproporzionata presenza di persone nelle grandi metropoli a discapito degli Stati del Sud e del Centro.
Trascorso poco più che un mese dal suo insediamento alla Casa Bianca, egli ha continuato ad agire come faceva in campagna elettorale dopo essersi circondato di ministri e consiglieri totalmente in sintonia con il suo modo di gestire la politica. Prima di tutto attua in modo da ottenere il massimo effetto mediatico anche quando la sostanza si dimostri irrisoria o persino controproducente. Il sistema d'informazione negli Stati Uniti é quasi totalmente contrario al suo governo. Lui usa questo come un titolo di merito. Firma decreti che spesso si dimostrano così mal formulati da essere inattuabili, ma non se ne cura perché può asserire che lui ha onorato le sue promesse e se le cose non funzionano come dovuto la colpa é di un sistema amministrativo contrario agli interessi generali, un idea che tra coloro che l'hanno votato é profondamente radicata. Per ora é ancora troppo presto per sostenere che nulla nella sostanza sia cambiato in meglio o peggio per le vittime della globalizzazione. Per arrivare a tanto, dovranno passare molti mesi, persino alcuni anni ed allora sono certo che distrarrà l'attenzione generando crisi che servano da cortina fumogena come invero sta già facendo distogliendo l'attenzione del pubblico dal lavoro legislativo che porta avanti una agenda molto conservatrice e spesso dannosa per la classe media con accuse non circostanziate come quella che l'amministrazione Obama lo abbia spiato durante i mesi della campagna elettorale.
Per il momento, il partito repubblicano non si é ancora ripreso dallo choc della sua vittoria ed é preda di personaggi come Steve Bannon, ultra conservatore con una visione fondamentalista delle cose mettendo in disparte coloro che hanno una visione meno massimalista dell'agenda politica del partito. Il partito democratico sembra non stare meglio visto che continua ad addebitare la sconfitta di novembre a tutto e tutti, ma non ai propri errori. La resistenza a Trump nel Senato é gestita da figure che non appartengono alla nomenclatura democratica, come la Sen. Warren o il Sen. Sanders. La Direzione Democratica continua a negare le proprie responsabilità nell'aver imposto anche con sotterfugi una candidata che non aveva grandi speranze di vittoria, ma ancora più grave si chiude a riccio per non permettere che gruppi esterni che rappresentano i molti movimenti operanti negli Stati Uniti acquistino maggior peso per condizionare le scelte politiche del partito. La questione di fondo é che il partito é sostanzialmente a favore del neo-liberismo, mentre tutte le forze che potrebbero riformarlo non lo sono.
Il Sen. Bernie Sanders rappresenta queste forze e sono in molti a pensare che se non fosse stato ostacolato nella sua corsa verso la nomina come candidato democratico, avrebbe facilmente vinto contro Trump perché il suo messaggio politico avrebbe svuotato gran parte dell'interesse che costui riuscì a canalizzare a suo favore nei famosi Stati indecisi, quelli dove milioni di voti di protesta andarono a suo favore mentre con Sanders le cose avrebbero potuto essere differenti.
Ovviamente, non sapremo mai come sarebbero potute andare le cose, ma sappiamo che oggi gli Stati Uniti sono nelle mani di persone ultra conservatrici che faranno tutto quanto possibile per smantellare il sistema dei diritti civili che erano stati introdotti nel paese durante gli ultimi 40-50 anni. Donald Trump é un buon comunicatore, ma presto dovrebbe emergere che isolare il paese non produce i frutti sperati. D'altra parte, spero si renda conto che gli Stati Uniti sono certamente la nazione più forte militarmente, ma quella forza non li protegge dalle conseguenze catastrofiche se si dovesse arrivare ad un confronto termo-nucleare con la quasi certezza che paesi come la Cina, la stessa Russia ed altre nazioni alla fine potrebbero uscirne con danni minori di quelli sofferti dal suo paese. Di certo siamo in una situazione altamente esplosiva ed é impossibile prevederne con sicurezza l'evoluzione.
La Russia di Vladimir Putin
La Federazione Russa é per certi sensi uno Stato relativamente recente, nato dalla disintegrazione dell'Unione Sovietica decisa a Belaveza (Bielorussia) nel dicembre 1991 da tre persone, i capi di tre delle quindici repubbliche che la integravano, Russia, Bielorussia ed Ucraina dopo che nel marzo di quell'anno un referendum popolare aveva decretato l'opposto con il 76,4% dei voti a favore del mantenimento dell'Unione, ma in una forma riformata. Appena noti, i risultati del referendum non erano stati riconosciuti da sei delle repubbliche: Estonia, Lituania, Lettonia, Armenia, Georgia e Moldavia che però rappresentavano una piccola percentuale del totale della popolazione. Nel 1991, la popolazione dell'Unione era di poco superiore ai 293 milioni, mentre l'insieme degli abitanti delle sei repubbliche totalizzava poco meno di 21 milioni, ossia meno del 10% del totale.
Anche se il referendum aveva decretato che l'Unione dovesse continuare ad esistere, nei fatti il sistema era nel completo scompiglio incapace di gestire la propria situazione interna. Per questo, nei mesi che seguirono, in quasi tutte le repubbliche i fautori di una scissione unilaterale avevano visto aumentare il proprio appoggio tra la popolazione come dimostrato dai risultati elettorali nelle elezioni dell'Assemblea Nazionale di ognuna delle quindici repubbliche. Ma furono i fatti del 20 agosto quando ci fu un tentativo di colpo di Stato per deragliare l'approvazione del Nuovo Trattato dell'Unione voluto da Gorbachov che avrebbe dovuto rimpiazzare quello introdotto nel dicembre 1922 all'atto della creazione dell'Unione Sovietica che diedero il colpo finale alla situazione già molto instabile. Gorbachov aveva perso il controllo del paese e pur se rimesso al potere quasi subito perché le forze armate non avevano appoggiato i golpisti non potè nulla per fermare lo sfaldamento di un sistema che nei fatti ormai non funzionava. In giugno, Yelsin era stato eletto Presidente della Repubblica Russa e fu lui la persona che, presa la guida delle forze che, quasi senza colpo ferire, sconfissero i golpisti anche se tra loro vi era il capo della potente polizia segreta, emerse come l'uomo del cambiamento. Tra fine agosto e dicembre, quasi tutte le repubbliche optarono formalmente per l'indipendenza fatto che portò l'otto di dicembre alla decisione dei Presidenti delle tre repubbliche più popolose (insieme totalizzavano 209 milioni di persone pari al 71% del totale di 293 milioni) di riconoscere lo status-quo accettando che l'Unione Sovietica non esistesse più, fatto sancito formalmente da Gorbachov che rivestiva ancora la carica di Presidente dell'URSS, il 25 dicembre 1991 quando firmò l'atto di dissoluzione dell'Unione e passò tutti i poteri a Yeltsin.
Nel precedente paragrafo ho riassunto in poche righe i fatti convulsi che accompagnarono la sparizione dal contesto internazionale di uno Stato che per decenni aveva svolto un ruolo centrale in tutti gli eventi internazionali. Questi fatti sono ancora relativamente recenti e quindi mi pare presto per aspettarsi valutazioni distaccate sull'impatto che tutto ciò ebbe in quel contesto. Personalmente, ebbi la fortuna di vivere per un lungo periodo di quasi quindici anni in quella parte del mondo con un incarico importante nel sistema delle Nazioni Unite, fatto che mi permise d'incontrare di persona molte delle figure chiave di quegli anni, osservare da vicino molti dei conflitti armati che funestarono i primi anni dopo la dissoluzione, vivere la vita di tutti i giorni in quelle lande e viaggiare estensivamente per gran parte di quell'immenso territorio. Per quanto potei osservare mi sono fatto l'idea che l'implosione incontrollata dell'URSS, fatto certamente facilitato direttamente dagli Stati Uniti e da gran parte dei Paesi europei, ebbe un impatto negativo non solo per tutta quell'immensa regione, ma anche per il resto del mondo. Gorbachov e con lui i riformisti avrebbero voluto altra cosa, una sorta d'Unione decentralizzata con ampie autonomie per i 15 Stati membri che avrebbero però continuato ad essere parte di una Federazione con a capo un Presidente eletto dal suffragio di tutti con poteri su materie valutarie, la moneta sarebbe stato la stessa per tutti, le forze armate e molti aspetti della politica estera. Tutto il resto sarebbe stato delegato a ciascun Stato. Il loro disegno, però, non combaciava con quello di chi voleva la sparizione dell'URSS, soprattutto nelle principali capitali occidentali e nelle menti dei tanti nazionalisti che all'interno di ogni Repubblica avevano coltivato il sogno un giorno di poter proclamare la completa indipendenza dall'odiato oppressore russo. Qui mi pare stia il cuore della questione. L'URSS aveva dominato per 70 anni. Prima di loro era stato il potere dello Zar ad esercitare lo stesso controllo per un periodo molto più lungo. In ogni caso, il potere era stato centralizzato a Mosca o San Pietroburgo. I governatori locali erano sì scelte tra i nativi, ma a loro era sempre associato un numero due che era invariabilmente russo. Lo stesso valeva per tutto. Le decisioni veramente importanti erano prese al centro nella capitale. Le provincie come le repubbliche e tutte le varie divisioni territoriali in cui era diviso lo Stato sovietico avevano soltanto la funzione di cintura di trasmissione affinché le decisioni del centro fossero messe in atto ovunque. I fautori del sistema asserivano come fanno tutt'oggi che con un territorio di quelle dimensioni, 22 milioni di chilometri quadrati, non vi fossero alternative. Tutte le risorse confluivano al centro che poi decideva senza possibilità di discussione come ridistribuirle. Il potere centrale era un complesso meccanismo oligarchico. Praticamente in quel senso poco cambiò con il passaggio da essere impero dello Zar a Repubblica Socialista. Le decisioni erano prese da pochi in stanze chiuse allo scrutinio esterno e l'ultima parola toccava sempre a chi sedeva sul trono del potere, lo Zar prima, il Primo Segretario del Partito Comunista e Capo di Stato e di Governo poi. Francamente, avendo viaggiato molto in quel paese, non mi pare che le rimostranze dei nazionalisti avessero un vero fondamento, almeno sul piano materiale. La popolazione d'etnia russa non godeva di privilegi particolari, anzi, in alcuni casi, le loro condizioni di vita erano persino peggiori di quelle di chi viveva nelle grandi città o in regioni della periferia sud dell'Unione. Però il sistema era autoritariamente centralizzato ed erano pochi quelli che prendevano decisioni strategiche da cui tutte le repubbliche erano escluse. I nazionalisti, ho conosciuto personalmente molti di loro, vivevano nel migliore dei casi in un mondo che non esiste, fatto di sogni di poter ritornare alle origini quando il gruppo etnico da cui provenivano si era autogestito, spesso molti secoli prima, oppure erano degli approfittatori che facevano uso di questi argomenti quando in realtà cercavano spazi per il proprio potere personale.
Oltre all'odio o almeno al disdegno per i russi, vi é un altro fattore centrale, la supremazia dello spirito etnico su ogni altra forma di auto-riconoscimento. Essere russo, georgiano, ucraino, uzbeko, ceceno conta molto più della nazionalità dello Stato in cui si vive. É curioso, ma in tutta quella regione se chiedi ad un persona di definire la propria o altrui nazionalità, la risposta sarà sempre univoca, vi diranno a che gruppo etnico appartiene. Per questo Stalin che certamente di queste cose era molto esperto, fece sempre uso del fattore etnico come arma di controllo politico, arrivando a spostare interi gruppi etnici di migliaia di chilometri per seguire la convinzione che per dominare bisogna dividere.
Noi occidentali spesso parliamo e scriviamo di questi luoghi facendo uso di categorie politiche che in questi contesti hanno poco senso. Pensiamo che la democrazia sia un fattore importante, ma chi vota prima di tutto guarderà il gruppo etnico del candidato e solo dopo, forse, il gruppo politico d'appartenenza per ultimo l'ideologia che lo contraddistingue. La cosa più comune che ho ascoltato parlando con gente semplice e comune che comunque aveva quasi sempre un alto livello d'istruzione, é la convinzione che chi aspiri al potere lo faccia con un solo scopo, arricchirsi ed arricchire i suoi. Il bello é che nessuno lo giudica come un fattore negativo sempre se quella persona é del gruppo etnico giusto. Ovviamente, esistono minoranze che pensano in modo differente, più assimilabile a quello occidentale, ma sono pochi e spesso avendoli conosciuti mi sono chiesto quali fossero i veri motivi per cui si comportavano a quel modo. Spesso ho finito per pensare che lo facessero per interesse, per ottenere l'appoggio che molti paesi danno a chi si offre per cambiare regimi che all'estero sono invisi. Molte delle figure che i giornali occidentali propongono come gli alfieri della democratizzazione, i capi delle varie rivoluzioni colorate, sono e lo hanno dimostrato nei fatti, null'altro che mercenari al soldo di paesi stranieri che si gioveranno del cambio di governo che 
costoro realizzeranno se dovessero mai vincere e prendere il potere nel loro paese.
Vladimir Putin e il cerchio magico che lo sorregge sono espressione di questo mondo. Lui fu agente dei servizi segreti, responsabile di una stazione in un paese, la Germania, strategicamente molto importante per l'Unione Sovietica. Nel mio soggiorno in quei paesi mi sono convinto che essere stato membro del Partito Comunista o della Gioventù Comunista come molti di coloro che frequentai o essere stato (mi dicono che dai servizi non ci si dimetta mai) del KGB é un indicatore della capacità intellettuale della persona, un po' come da noi chi abbia frequentato con successo un corso universitario di prestigio. Non dice nu
lla sul valore etico di quella persona, ma indica che quell'individuo era stato scelto dopo un elaborato processo di selezione. Se poi avesse fatto carriera, questo confermava che difronte a me c'era una persona generalmente da non sottostimare. Il KGB fu sorpreso dagli eventi della fine degli anni novanta. L'eccessiva rudezza dei metodi lo aveva pericolosamente allontanato dalla gente e persino dalle persone di potere. Ma fu tra costoro che emerse quasi subito chi seppe reagire al crollo anche morale della società russa ed in breve riprenderne le redini. Il decennio iniziato nel 1990 fu certamente difficile per quasi tutti i russi, ma alla fine ne emerse una società rinnovata che riprendeva il cammino dove la fallita riforma degli ottanta aveva lasciato il paese. Putin ne é, a mio giudizio, una buona immagine, pragmatico quanto basta, focalizzato alla presa e mantenimento del potere, conoscitore della mentalità della gente che non é quella di noi occidentali, determinato a restituire alla Russia il ruolo che il popolo pensa gli competa. Non nego che ci siano molti che lo detestano, ma coloro che lo esaltano sono ancora oggi molti, moltissimi di più. Quasi tutto quello che l'occidente sta facendo a cominciare dall'embargo dopo le loro rapine realizzate nei primi anni novanta gioca a suo favore, avvalora la narrativa che la questione non é altro che l'atavico odio anti russo che loro conoscono troppo bene. Questo Berlusconi o Trump lo hanno capito anche se quest'ultimo, per ragioni interne agli Stati Uniti, non può comportarsi con la stessa disinvoltura con cui operò Berlusconi. Di una cosa sono abbastanza certo. L'atteggiamento di superiorità etica con cui l'occidente guarda alla Russia non ci porterà molto lontano e di certo non indebolirà il potere di Putin e dei suoi alleati interni.
La Cina di Xi Jinping
Per concludere questo rapido excursus, non posso trascurare di fare riferimento anche alla Cina pur se la mia conoscenza di quel mondo é a dir poco superficiale, basata più che altro sul non molto che i giornali riportano ed alcuni contatti personali che ebbi con il mondo cinese durante una visita che feci a quel paese ed ad incontri con politici e diplomatici cinesi. In aggiunta, come molti della mia generazione in gioventù leggemmo con interesse i pochi autori occidentali che avevano avuto l'opportunità di visitare la Cina e che non nutrivano pregiudiziali ideologiche contro il modello sociale cinese come John Reed, Edgar Snow e William Hinton. Quindi le mie considerazioni a seguire sono il frutto di questa sia pur minima documentazione e conoscenza.
Oggi la Cina é considerata la prima o seconda economia mondiale a seconda di come si vogliano guardare i numeri. Ben undici anni fa, l'allora vice-ministro delle finanze cinese con cui ebbi il piacere di pranzare a Vladivostok, mi aveva anticipato che nelle previsioni del suo ministero questo sarebbe stato il risultato dei loro programmi di sviluppo economico del paese. Il mio commensale lo disse senza prosopopea come annunciasse un fatto che dovesse essere noto a tutti. Se ben ricordo, allora la Cina aveva già raggiunto il sesto o quinto posto nella graduatoria mondiale per valore del Prodotto Nazionale Lordo, ma davanti vi erano ancora molte economie avanzate che in alcuni casi distaccavano di molte centinai di miliardi il valore totale dell'economia cinese e per certo l'economia statunitense dell'epoca era ancora più del doppio di quella cinese. Ebbene, il vice-ministro aveva ragione ed inesorabilmente con il trascorrere degli anni osservai la crescita del valore dell'economia cinese che, come mi era stato predetto, aveva anche iniziato a rallentare perché incrementi superiori al 10% annuo, se continuativi, avrebbero potuto generare eccessivi scompensi difficili da controllare. Questo me lo aveva spiegato lui aggiungendo che ormai il governo aveva deciso che fosse giunta l'ora di favorire un aumento della crescita del consumo interno spostando progressivamente l'attenzione dalle esportazioni che sino a quel momento erano state la forza trainante del modello cinese verso una crescita dei redditi della popolazione perché era intenzione portare il paese a basare in altri vent'anni il suo sviluppo principalmente sulla crescita del consumo interno.
Di una cosa sono certo, il modello econometrico del ministero delle finanze cinese era molto più preciso di quello utilizzato, per esempio, dal Fondo Monetario Internazionale che così raramente riesce a prevedere con anticipo le variazioni di tendenza dell'economia mondiale. Mi chiedo se questo non sia anche il risultato di una economia sì di mercato in molti suoi aspetti, ma ancora saldamente controllata con una accorta programmazione centrale.
Due anni dopo visitai Pechino e Shangai e vidi con i miei occhi come il paese crescesse. Non vi erano dubbi che quella crescita stesse anche generando incresciosi problemi come l'inquinamento atmosferico delle grandi città, ma pur con una comprensione inesistente della lingua, lasciai il paese con l'impressione che la gente credesse nello sviluppo e fosse abbastanza convinta della necessità di aspettare il momento migliore per vedere aumentare anche il proprio tenore di vita. I cinesi lavoravano alacremente e questo si poteva osservare ovunque, nei cantieri che stavano ultimando le opere per le Olimpiadi di quell'estate, nei centri commerciali, nelle fabbriche che ebbi il privilegio di visitare anche se sono cosciente che quelle visite erano opportunamente pianificate per darmi un'impressione positiva di quanto stavo vedendo. Allora la via più celere per viaggiare da Pechino a Shangai era ancora l'aereo, ma mi dissero che era in costruzione una linea ad alta velocità per treni che avrebbe permesso di compiere quel viaggio più rapidamente ed anche più comodamente visto che non si sarebbe più dovuti andare agli aeroporti che come tutti gli scali del genere erano lontani dal centro città e sottostare ai tempi richiesti per le operazioni d'imbarco e sbarco che richiedevano essere allo scalo almeno con due ore d'anticipo sulla partenza. Oggi quella ferrovia é in funzione essendo stata ultimata in soli 39 mesi per una lunghezza di quasi 1,400 chilometri.
La Cina oggi é una realtà. Ma per chi ha letto i libri degli autori che ho menzionato o visto le immagini di film girati in quel paese prima del 1949, anno del trionfo della rivoluzione di Mao Tse Tsung, la Cina in soli settant'anni é cambiata in un modo che non sarebbe stato facilmente prevedibile.
Tutti dovremmo sapere che la Cina fu un grande impero. Il nostro Marco Polo ci narrò delle sue meraviglie. Ma la Cina agli albori del secolo scorso non era in grado di contrastare la forza militare dell'Impero britannico vincitore delle infami Guerre dell'Oppio. Alcune località costiere erano certamente molto sviluppate con modelli di vita per le classi più abbienti simili ed a volte persino superiori di quelli delle grandi città europee o statunitensi, ma il paese era fermo al medioevo con una società basata su quello che posso definire servitù della gleba, ossia una economia agraria basata sullo sfruttamento assoluto dei contadini poveri che erano schiavi della terra e dei loro padroni. I comunisti cinesi partirono da lì, organizzando quelle masse perché lottassero contro i loro padroni nei vari villaggi dell'interno, contro i vari signori della guerra che poi non erano altro che banditi da strada, contro l'occupazione giapponese e per ultimo contro il governo filo-statunitense di Chiang Kai Shek. Mao chiamò questa lotta la lunga marcia, ma tappa dopo tappa quelle forze seppero imporsi e conquistare il potere.
In quegli anni il contesto internazionale era molto complesso. La guerra fredda imperava, ma la Cina con la sua visione eretica del marxismo non era ben vista neanche a Mosca che ne diffidava anche perché temeva la possibile penetrazione cinese in Siberia, territorio ricco di risorse, ma molto inospitale e quindi quasi disabitato. Erano anche gli anni della guerra in Indocina con una forte presenza militare statunitense. Sino al 1964 anno in cui anche la Cina sviluppò la bomba atomica, il paese non poteva confrontarsi su di un piano di parità con gli USA, ma con la bomba atomica ed una crescente conoscenza della missilistica le cose mutarono a favore della Cina che ormai disponeva di un deterrente per fermare ogni possibile disegno aggressivo da qualunque parte potesse venire.
Gli anni cinquanta e sessanta furono anche gli anni delle più scriteriate sperimentazioni sociali che si possa immaginare, fatti che provocarono carestie spaventose e culminarono nella famosa rivoluzione culturale iniziata nel 1966. La Rivoluzione Culturale durò sino a quando Mao morì nel 1976 causando un numero imprecisato di morti che alcuni stimano possano essere stati vari milioni. Poco dopo la morte di Mao, con il processo alla Banda dei Quattro, il Partito Comunista Cinese riprese il controllo del paese permettendo nel 1978 a Deng Xiaoping di assumere la posizione di Primo Segretario e Capo del governo. Deng che rimase al potere per una decade pose le basi perché la Cina cambiasse completamente passo. Egli fu infatti l'ideatore del modello cinese di sviluppo, quello che apriva alla concorrenza ed al capitalismo in economia, ma sempre e soltanto se sotto il ferreo controllo del Partito Comunista. Da quel mom
ento, la Cina che era uno dei paesi più poveri del pianeta iniziò a crescere in forma esponenziale, crescita che lo ha portata oggi ad essere la più grande economia in espansione della Terra e, penso, anche ormai la principale economia, superiore a quella di tutti gli altri paesi compresi gli Stati Uniti.
Oggi la Cina é a ragione guardata con grande attenzione da tutti e non vi é figura politica di rilievo che non abbia realizzato una visita a Pechino. Xi Jimping é l'attuale leader della Cina moderna. Come tutte le figure di primo piano del paese discende dalla nomenclatura che emerse alla conclusione della Lunga Marcia. Suo padre, Xi Zhongxun, fu un combattente di prestigio durante la Lunga Marcia ed arrivò a coprire cariche di grande importanza prima della Rivoluzione Culturale che, come con tanti altri come lui, lo mise da parte e mandò in Provincia i membri della sua famiglia come l'allora giovane Xi. Questo periodo gli permise di fare esperienza nell'amministrazione pubblica e, aggiungo, lo tenne lontano dai torbidi che si vissero nella ristretta cerchia dei potenti a Pechino. Finita la rivoluzione, Xi poté rientrare nella capitale dove iniziò l'ascesa nei circoli politici ricoprendo cariche di sempre maggiore importanza come governatore provvisorio di una provincia. Nel 2007 fu infatti mandato a Shangai come segretario del Partito per sostituire la leadership locale che era nel frattempo stata accusata di corruzione e deposta. Nel 2008 fu eletto Vice-Presidente della Repubblica, di fatto il numero due del paese e nel 2012 divenne Primo Segretario del Partito Comunista cinese, incarico che gli assicurò il posto di Presidente della Repubblica l'anno dopo all'età di sessant'anni. Oggi, a ragione, Xi é considerato figura centrale nel panorama politico internazionale.
I BRICS (Brasile, Russia, India, Cina, Sud-Africa)
Non sarebbe giusto scrivere dei potenti del mondo attuale senza menzionare questa importante associazione di paesi. Nei primi anni novanta, finita la guerra fredda, ci fu certamente un periodo dove tutte la Nazioni, soprattutto quelle in maggior crescita, accarezzarono l'idea d'integrarsi con i vincitori di quella guerra, gli Stati Uniti. In quegli anni, anche i paesi europei pensavano nello stesso modo e guardavano ad un'allargata e più coesa Europa come veicolo per entrare a far parte del ristretto gruppo dei, mi si perdoni l'espressione da tele-novella televisiva, Signori della Terra.
Penso oggi che tutti avessero fatto male i calcoli, avessero cioè sottostimato l'idea d'Impero che molti a Washington consideravano l'unica accettabile: gli USA al centro come Signore circondato dagli altri, ma soltanto in posizione di vassalli del trono. Il neo-liberismo che come abbiamo visto come idea politica aveva visto la luce in Europa, si era però trasferito per le molte vicende belliche del secolo scorso negli Stati Uniti e lì era prosperato diventando ideologia dominante portata ai suoi limiti più estremi da pensatori come Ayn Rand. Nessuno tra le élite statunitensi in campo democratico come repubblicano sarebbe stato disposto a compartire il centro del potere, la tolda in gergo marinaresco, con altri. Ma presto tutte le altre Nazioni, chi prima chi poi, arrivarono a capire che non vi erano spazi da compartire, l'unica soluzione sarebbe stata riconoscere la propria sudditanza. Alcuni, come gli europei, questa é la mia opinione, accettarono di continuare ad essere vassalli, ma altri se ne guardarono bene ed iniziarono a pensare come distanziarsi dalla supremazia di Washington, cioè che strutture gli avrebbero permesso di mantenere la propria indipendenza.
Per prima cosa capirono la necessità di allontanarsi dal controllo di tutte le istituzioni internazionali che erano i guardiani della supremazia USA, Banca Mondiale, Fondo Monetario, Organizzazione Mondiale del Commercio. Ma questo non bastava perché organismi internazionali erano pur necessari, quindi l'idea di crearne dei nuovi dove fossero loro a controllare i giochi. I Brics sono la risposta che cercavano dal momento che riuniscono le economie dei più importanti paesi emergenti, mercati in continua espansione perché soltanto tra cinque paesi raccolgono la metà della popolazione globale, gente giovane, dove si trovano centinaia di milioni di persone con un alto livello d'educazione a livello universitario, gente motivata a studiare, lavorare per migliorare la propria condizione e, così facendo, generando condizioni perché tutta la società attorno a loro cresca.
Cina, India e Russia sono anche coinvolte nel programma conosciuto come la Via della Seta, il mitico cammino che dagli albori della civilizzazione umana ha permesso a genti dell'est e dell'ovest di transitare tra i vari continenti. Si hanno notizie storiche certe di scambi commerciali tra Asia ed Europa che datano almeno al secondo millennio prima di Cristo. Le grandi invasioni barbariche che finirono per distruggere l'Impero romano venivano dall'est. Prima, Alessandro Magno si era spinto sino all'India ed all'Afghanistan, l'unico che si sappia sia riuscito a sconfiggere le tribù autoctone di quel paese. L'idea in se é di una semplicità disarmante. La Via della Seta, come un lungo nastro trasportatore si finanzia con il prosperare del traffico locale delle merci che paga le infrastrutture che alla fine facilitano il transito di merci dalle coste della Cina sino a Londra. É recente l'introduzione di un servizio ferroviario Shangai-Londra. Capitali cinese e spesso persino manodopera cinese hanno costruito anche il servizio ferroviario che unisce il Mar Caspio al Mar Nero.
La Russia dispone di un territorio immenso con risorse che non sono soltanto il petrolio di cui tanto si scrive. Dispone anche di un arsenale militare di tutto rispetto che sommato a quello in possesso della Cina e dell'India dovrebbe scoraggiare avventure belliche avventate. Cina ed India sono i due paesi più popolosi del pianeta con centinaia di milioni di consumatori in grado di comprare. Sud Africa e Brasile aprono le porte di due grandi continenti in espansione. Al rispetto, ricordo al principio degli anni ottanta, aver visto in Africa, soprattutto sulla costa dell'oceano indiano un importante presenza di genti che venivano dall'India, spesso come seconda o terza generazione. A loro si stavano sommando molti cinesi che arrivavano al seguito d'imprese di costruzione del loro paese, imprese che partecipavano e quasi sempre vincevano concorsi internazionali per l'edificazione di strade, dighe, ponti e città.
In Europa continuiamo a vivere nell'illusione d'essere il maggiore mercato del mondo, senza renderci conto che la competizione di altri continenti sta crescendo rapidamente mentre molti paesi europei stanno con fatica arrancando incapaci d'uscire dalla recessione della fine della scorsa decada perché bloccati da politiche recessive dettate dai criteri d'austerità voluti dal sistema bancario che non vuole pagare le perdite subite per i suoi investimenti azzardati. Questo, purtroppo, é il contesto in cui siamo intrappolati. A mio giudizio non abbiamo personalità politiche con una visione strategica di lunga gittata, ma soltanto nani seduti sulle spalle dei giganti che avevano disegnato il cammino sia in Europa che negli Stati Uniti. Nel mondo occidentale vedo soltanto Trump come persona di rilievo, ma penso anche che quello che lui rappresenti sia un passo indietro che non farà altro che facilitare quanto i paesi emergenti tra cui annovero anche la Russia di Putin, stanno conseguendo. La visione liberista che abbiamo é come un cappio al collo che ci sta progressivamente facendo mancare l'ossigeno, ma sembrerebbe che siano soltanto in pochi a rendersene conto. 
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