L'INCONTRO

di Ida Verrei


Le parole sono colorate diceva Eduardo, “…tu liegge e vide ‘o blu, vide ‘o cceleste, vide ‘o russagno, ‘o vverde, ‘o ppavunazzo…”
Ma le parole sono anche suoni, immagini, musiche dell’anima.
Talvolta la parola, una sola, un’unica parola, “quella parola”, è un incontro, un avvicinarsi inaspettato tra sconosciuti, tra diversi, tra chi avrebbe potuto anche non trovarsi mai. E quando alla parola si accompagna lo sguardo, allora due mondi si fondono, si ri-conoscono, vite che si sfiorano e restano legate da un filo sottile che avvolge, stringe e impedisce di dimenticare. Una traccia indelebile nell’anima.
È così che è accaduto, pochi giorni fa, mentre camminavo di corsa per le strade di una città infreddolita ma frenetica, volgarmente addobbata per un Natale che bisogna a ogni costo festeggiare, illuminata in modo sciatto, così, quasi per forza, perché “a Natale si fa”, a Natale si truccano strade e piazze, si mascherano miserie e squallori. A Natale, i colori artificiali non sono quelli delle parole.
Macchine che sfrecciano e strombazzano, passanti carichi di pacchi che ti urtano indifferenti, con occhi vuoti, il sorriso stampato su volti di pietra, finto, come le luci, come i colori. E, a un incrocio, l’unico buio, addossata al muro, una grande macchia scura accartocciata; ai suoi piedi, un largo panno che intraved i sporco, carico di cianfrusaglie, radioline, statuette, portafogli: un piccolo bazar.
Passo oltre, uno dei tanti uomini-sacco, come li chiamano ora. Ho fretta, ho freddo, devo compiere il solito rituale dei regali, non ne ho voglia. Ma, qualcosa mi blocca, qualcosa mi spinge a tornare sui miei passi, una insolita curiosità, o forse no, forse il richiamo per quell’”invisibile” che sta lì, muto, rassegnato, in un luogo inconsueto. “Ecco”, penso, “ecco che come sempre mi intenerisco per un derelitto e faccio il solito gesto di generosità pelosa. Non sfuggo alla regola, a Natale si diventa tutti più buoni ed altruisti, come se, con un po’ di elemosina, ci si lavasse le coscienze”.
Ma quel cartoccio umano ha su di me uno strano fascino. Mi accosto, vorrei dargli dei soldi e poi scappare via, ma ho paura di offenderlo, e allora fingo di interessarmi a un piccolo portamonete, quasi perfetta imitazione Gucci. Lo prendo e guardo l’uomo. Senza parlare, lui alza una grande mano dal palmo rosa e mi mostra le cinque dita. Faccio il conto che, se tutto va bene, a lui andrà la metà; gli porgo una carta da dieci euro. Lui cerca in un sacchetto di pezza il resto, sempre senza parlare gli faccio cenno che va bene così, non voglio il resto.
E allora avviene l’incontro. Il giovane alza su di me due immensi occhi neri e liquidi, “occhi di paglia bruciata”, avrebbe detto Pasolini, “…occhi di poveri cani dei padroni”. Mi guarda serio per un lungo istante. Quegli occhi non sorridono, “vedono”, mi riconoscono, quegli occhi sanno. Sanno il segreto di una vita che rotola ancora alla ricerca di un senso, sanno, sanno di un Natale, di mille Natali mai arrivati. E anche io so, e vedo. Vedo tracce della sua “storia antica”, vedo la sua crudele innocenza, vedo lui, vero testimone dell’Avvento.
”Alì, uno dei tanti figli dei figli…” “essi che ebbero occhi solo per implorare…” “essi che si adattarono ad un mondo sotto il mondo…” (1)
Abbassa il capo, Alì; prende dalla tasca qualcosa e me lo porge: è un piccolo ciondolo d’avorio, una minuscola testa d’elefante. Io compro, lui dona.
Apre la bocca, le sue grosse labbra si stirano sui denti bianchissimi. La voce dura, roca, un’aspra carezza: “AMICA”, dice, solo “AMICA”.
Avrebbe potuto pronunciare altre parole: “grazie” per esempio , oppure “ciao”, o anche: “è per te”. E invece sceglie di dire: “AMICA”. E quella parola ha il colore di tutti i mondi lontani, il colore di tutti i Natali del mondo.
Sono tornata a quell’incrocio, ci passo spesso, ma lui non c’è.
Altre strade, altri marciapiedi, altri incroci lo vedranno, grande ombra scura dagli occhi brillanti, neri e lucidi come la sua pelle, porterà altrove la sua storia, la storia  dei figli di “Alì dagli occhi azzurri”, pronuncerà ancora “quella parola” ad orecchi sordi, guarderà sempre in fondo a occhi ciechi, e la “profezia” di un Vate rimpianto,  non troverà ancora echi. “Se egli non sorride, è perché la speranza per lui non fu luce, ma razionalità”. (1)
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(1)  da “Profezia” di P.P.Pasolini

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