Recensione di Luciano Carpo

libri

“ L’animale che mi porto dentro” (Einaudi,2018)

 

Mi è venuta nostalgia di un buon dialogo tra due uomini o, meglio(per usare un termine alla moda) tra due maschi, dopo aver finito di leggere l’ultimo successo editoriale di Francesco Piccolo “ L’animale che mi porto dentro” (Einaudi,2018). Non perché lo consideri chissà che capolavoro originale (molti altri hanno trattato il tema con un valore letterario certamente superiore), ma solo perché potrebbe essere una scusa per parlare di noi, in quanto nati, culturalmente e socialmente educati come maschi, bianchi europei.  Con le nostre debolezze, sensibilità, rituali di branco, bisogno inespresso di tenerezza, romanticismi, aspettative, metamorfosi, meschinità, perversioni, grandezze, senso del potere, desiderio di erotismo sempre. Anzi, con esibizione del desiderio ( “los deseos”) anche quando il corpo è ormai stonato.

Un dialogo capace di offrire momenti di crudele lucidità. Un dialogo fatto con un linguaggio talora molto crudo, percepito normalmente come volgare o tutt’al più prosaico legato alla fisiologia del maschio e della femmina, eppure “vero” attorno al quale ( lo si ammetta o no) s’incaglia l’identità di genere e la vita sociale. Ed è proprio quando il linguaggio si libera dal convenzionale e dalla “poesia” e diventa scarno di orpelli, essenziale, che può far affiorare il profondo, la nudità. La verità.

Un dialogo, portandoci sempre dentro “l’animale, tenuto a bada dalla razionalità, dall’evoluzione, dal rispetto per gli altri, dalle convenzioni sociali, dal senso civile, dal mettere in connessione molti stimoli culturali per cercare di capire cosa sono i sentimenti, i limiti…”. Ma “animale” sempre ossessivamente vivo anche nelle fasi di vita più disparate e nei momenti più impensati, al punto che tutto sembra un’alternante lotta tra l'uomo che si vorrebbe essere e l'animale che ci portiamo dentro. Quasi un’unica carsica “occupazione” maschile per uscire dai codici genetici e sociali di genere dei quali – al pari e in contraltare alle donne-femmine - siamo storicamente e culturalmente impastati.

Ma un dialogo senza nessun senso fatalista di compiaciuta impotenza, come mi sembra di avvertire in Piccolo, quasi schiacciato dalla ripetitività animale.

Anzi, con la gioia vitalistica di riconoscere “l’animale dentro di noi”, di rispettarlo sospendendo il giudizio su di lui, di curarne la coesistenza con la razionalità, nel tentativo di crearci una sintassi emozionale nuova, adeguata al chi eravamo (e siamo) veramente dentro, al di là di autocolpevolizzazioni o di ideologiche sentenze sul maschio e sulla femmina del genere umano.

Riconoscere “l’animale dentro di noi” non significa “affidarsi alla virilità e alla potenza, ma trovare senso anche nella fragilità dei sentimenti”, in qualche pianto, in molte contraddizioni, e pure in mai appagati “deseos” perché, come dice Neruda, “ muchos somos y màs los deseos”.

 

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