{jcomments on}GLOBALIZZAZIONE

ruolo attuale e futuro del potere finanziario

di Marco Borsotti

La “Cortina di Ferro”

Con la caduta della “Cortina di Ferro” che separava il mondo occidentale ad economia di mercato ed i suoi alleati dai paesi dell'est ad economia pianificata centralmente  vennero meno tutte le barriere che impedivano l'istituzione di un unico mercato globale. Questo evento permise la rapida evoluzione dei mercati nazionali e regionali perché s'integrassero in questa nuova realtà planetaria che é conosciuta ai più come “Globalizzazione”, processo osannato da una parte ed aspramente criticato da un'altra. Come in un sistema di vasi comunicanti, non appena le barriere politiche che separavano il pianeta approssimativamente in due blocchi tra loro isolati vennero meno, le varie economie iniziarono ad integrarsi tra loro. Per questo,capitale, lavoro e merci iniziarono a circolare in maniera sempre più scorrevole rendendo presto chiaro che, come per altro definito dalla fisica, quando a parità di gravità sostanze fluide in grado di spostarsi  vengano a contatto in due contenitori diversi, ma comunicanti tra loro, dette sostanze tendono a raggiungere lo stesso livello nei due o più contenitori in cui si trovino, dando vita ad un unica superficie equi-potenziale. Va detto che la divisione in tre parti distinte del ciclo economico é uno dei lasciti di maggior rilievo concettuale dell'economia classica che dai tempi di Adamo Smith e Ricardo identifica nel capitale l'insieme dei mezzi di produzione e le materie prime necessarie alla produzione, nel lavoro il contributo della mano d'opera alla produzione delle merci e nelle merci stesse il fattore conclusivo del processo perché é soltanto al momento della loro vendita sul mercato che il capitale riacquista la sua forma originaria di denaro.

Questo processo di adattamento al nuovo mercato globale, però, non si é ancora realizzato in modo uniforme per tutte le componenti economiche. Infatti, leggi nazionali ed accordi internazionali hanno rapidamente reso possibile la libera circolazione di merci e capitali, mentre il lavoro, rappresentato da decine e forse centinaia di milioni di lavoratori pronti ad emigrare in cerca di condizioni d'impiego migliore, ha incontrato problemi maggiori nello spostarsi da un luogo all'altro del pianeta soprattutto perché la circolazione di persone é regolata esclusivamente a livello nazionale da leggi sull'immigrazione che hanno come primo obiettivo quello di proteggere gli interessi dei cittadini residenti a scapito di chi volesse trasferirsi in quel luogo a meno che costui non possegga qualificazioni professionali richieste in quel paese o disponga d'ingenti somme di capitale.

 

Una transizione imperfetta

Almeno per ora, quanto successe nella transizione tra il sistema di produzione feudale e quello artigianale capitalistico, dove enormi masse di persone si mossero dai feudi nelle nascenti città-Stato senza incontrare ostacoli eccessivi perché vi era una sostanziale convergenza d'interessi tra chi volesse liberare la propria capacità di lavorare dalla servitù della gleba e chi possedesse capitali fondiari che voleva liberare dalla terra per monetizzarli per aumentarne il profitto, non si  sta ancora realizzando nell'attuale transizione tra un sistema economico e sociale per molti versi a base sostanzialmente nazionale e la nuova economia che sta emergendo che invece opera a livello sovranazionale, appunto nella realtà globale di un solo mercato planetario dove gli Stati nazionali stanno perdendo  controllo e rilevanza.

Almeno sino ad ora, il capitale inteso come sistema di produzione di merci e servizi abbisognava di mercati che potessero garantire la domanda per i beni prodotti come unica forma per chiudere il ciclo economico e monetizzarne il profitto. Nei giorni nostri, la domanda e quindi il consumo di questi beni era, ed in parte ancora , presente in ordini di valore incomparabilmente maggiori nei paesi occidentali sviluppati dove la popolazione gode di livelli remunerativi più elevati di quelli delle popolazioni di altri paesi a minore sviluppo rendendo con questo possibile a una larga percentuale di coloro che si trovino nei paesi che definiamo ricchi accesso ad una maggiore quantità di beni e servizi prodotti.

L’ immigrazione incontrollabile

Per questa ragione le regole per disciplinare l'immigrazione di forza lavoro vogliono prima di tutto tutelare i redditi dei residenti nei paesi sviluppati per assicurare il mantenimento di un modello elevato di consumi.

Questa tendenza, in tempi più recenti, si sta certamente modificando per una concomitanza di cause. Infatti, per quanto ci si sia industriati di bloccare l'immigrazione definita a sfondo economico persino con la costruzione di barriere come quelle edificate al confine tra gli Stati Uniti ed il Messico, si é dimostrato quasi impossibile fermare del tutto e persino diminuire significativamente il flusso d'immigranti verso paesi con livelli retribuitivi maggiori con la conseguente caduta dei redditi nei poli d'attrazione di questa immigrazione di massa. Conseguentemente, la presenza di mano d'opera “illegale” sprovvista dei documenti necessari per risiedere e lavorare, quindi disponibile ad accettare condizioni di lavoro meno remunerate e con diritti minori, sta minando le basi per la difesa dei redditi della popolazione residente legalmente e, come successo recentemente in Italia, sta persino compromettendo la difesa di diritti sociali acquisiti.

Allo stesso tempo, per contrastare l'erosione del tasso di profitto sul capitale investito dovuta all'alto costo del lavoro nei paesi sviluppati, da decenni é iniziato lo spostamento della produzione di beni e più recentemente anche di servizi verso paesi a costo del lavoro di molto inferiore anche se analogo come qualificazione professionale, con la conseguenza che, come successe dopo la trasformazione del lavoro agricolo in lavoro industriale, si stia generando anche in quei paesi una crescita dei livelli salariali, fattore questo che, con il trascorrere del tempo, vanificherà o almeno ridurrà l'interesse a portare nuovi investimenti produttivi in quelle zone.

Quest'ultimo aspetto va riconosciuto per sottolineare come la globalizzazione tenda ad omogeneizzare tutti i mercati, fatto questo che porterà nel medio e lungo periodo alla stabilizzazione dei mercati di consumo su di una dimensione sempre più planetaria rendendo sempre meno necessarie barriere per impedire anche la libera circolazione del lavoro.

Al margine di questa discussione si deve anche aggiungere che la stabilizzazione dei mercati di consumo potrebbe provocare un crescita molto sostenuta della domanda aggregata di utilizzo di beni e servizi con conseguenze probabilmente negative per l'ambiente anche se questo cambiamento nei rapporti di forza tra i gruppi sociali potrebbe volgere il pendolo della relazione tra capitale e lavoro nuovamente a favore della mano d'opera.

La crescita anomala del capitale finanziario

In questa situazione di mercato ancora imperfetto dove alcune componenti si sono beneficiate di più e prima dei cambiamenti avvenuti, i capitali finanziari sono stati senza dubbio in grado di trarre beneficio dalle nuove condizioni di circolazione in cui si sono trovati ad operare aumentando a dismisura i loro margini di profitto anche per la creazione di strumenti finanziari derivati che hanno quasi decuplicato il valore mondiale del PIL. Attualmente si stima che il valore complessivo del PIL mondiale sia di circa 700 trilioni di dollari americani, mentre la produzione aggregata di beni tangibili di tutti i settori dell'industria e dell'agricoltura si assesta attorno ai 70 trilioni di dollari. Gli ingenti profitti generati dai mercati dei derivati ed altri prodotti finanziari similari sta, di fatto, riducendo la necessità di assicurare consumi di beni e servizi come unica fonte di realizzazione delle condizioni che permettano di monetizzare il profitto.

A questo rispetto va aggiunto che questa imponente massa di valore é essenzialmente di natura speculativa, i così detti derivati sono infatti strumenti per vendere il rischio assunto, con elevati margine di azzardo di cadute di valore quando queste bolle speculative esplodano come successo recentemente con la crisi dei prestiti sub prime nel 2007.

In aggiunta, é anche essenziale chiarire che il controllo di quest'ingente massa di valore monetario “virtuale”, é nelle mani di un numero ristretto d'istituti bancari e finanziari che trattano di questi “prodotti” a livello planetario praticamente al di fuori ed al di sopra di qualunque controllo non esistendo al momento strumenti legislativi e giudiziari che possano seguire e controllare queste masse virtuali di valore che si spostano 24 ore al giorno e sette giorni la settimana tra tutte le piazze finanziarie del mondo spesso operati da logaritmi matematici controllati da elaboratori elettronici di dati. Si tratta di una gigantesca roulette russa dove spesso il dito sul grilletto della pistola é controllato da una macchina.

Considerando adesso la circolazione di merci, grazie anche alla creazione dell'Organizzazione Mondiale del Commercio, la distribuzione dei prodotti a livello planetario ha certo tratto vantaggio dalla globalizzazione con la progressiva sparizione di barriere doganali, sparizione che dovrebbe continuare a rafforzarsi.

Per quanto riguarda il lavoro, come abbiamo visto, il mercato globale non é ancora operante a pieno e disparità anche molto sostanziali di trattamento continuano ad impedire un'integrazione tra i vari mercati nazionali. Come conseguenza, i lavoratori nei paesi sviluppati stanno perdendo diritti e margini di reddito, mentre i lavoratori nei paesi non sviluppati stentano ancora a veder riconosciuti diritti essenziali e miglioramenti salariali, anche quando i primi siano sanciti da accordi internazionali, e debbono quindi accettare di lavorare a condizioni meno remunerative e con rischi maggiori.

Il capitale finanziario é senza dubbio il vincitore nella globalizzazione essendo riuscito a sganciarsi da quasi tutti i vincoli materiali che sino a pochi decenni addietro ne limitavano lo sviluppo. Tutto questo é potuto succedere perché a partire dagli anni ottanta in nome del libero mercato come strumento unico per regolare l'utilizzazione delle risorse e contro lo statalismo visto come fonte di spreco ed allocazione inefficiente di risorse, si é deciso, tra l'altro, di eliminare vincoli che sino ad allora avevano impedito al sistema bancario commerciale di prendere parte nella speculazione finanziaria su larga scala.

Produzione e speculazione

Al rispetto va detto che le norme, che separavano nettamente le attività bancarie commerciali da quelle speculative finanziarie, erano state introdotte negli anni quaranta facendo tesoro dell'esperienza appresa analizzando le cause che avevano permesso la crescita della bolla speculativa negli anni venti del secolo scorso sino al famoso crollo di Wall Street del 1929. Tra i maggiori assertori della necessità d'impedire che normali attività bancarie di tipo commerciale, raccolta del risparmio privato per metterlo a disposizione di chi volesse investire in attività produttive od immobiliari, potessero essere messe ad azzardo da operazioni di speculazione finanziaria ad alto rischio, era stato Sir John Maynard Keynes, economista britannico che con le sue teorie sul ciclo economico aveva ispirato la politica economica americana del “New Deal” voluta dal Presidente F. D. Roosevelt per uscire dalla crisi in cui gli Stati Uniti si stavano dibattendo.

Scomparsa la separazione tra investimenti e produtti e speculativi, il valore delle monete nazionali, ma anche quello della maggior parte dei titoli trattati in borsa perse quindi riferimenti a fatti facilmente accertabili come livelli delle riserve monetarie, bilancia dei pagamenti, quote di mercato controllate o livello della produzione, diventando così oggetto e “vittima” delle aspettative di coloro che avendo a disposizione somme sufficienti di capitale possano determinare la salita o la discesa di valore di monete e titoli.

Le banche commerciali che precedentemente non potevano prendere parte in queste operazioni iniziarono a “giocare in borsa”, termine usato comunemente senza una particolare accezione negativa anche se il verbo “giocare” dovrebbe far capire subito che queste operazioni “ludiche” non dovrebbero essere permesse quando la posta in gioco é la vita economica che può trascinare in miseria milioni di famiglie senza colpa alcuna per la disgrazia che le ha colpite.

A più riprese, dopo le liberalizzazioni introdotte agli inizi degli anni ottanta, si é parlato a livello politico internazionale della necessità di introdurre meccanismi di controllo o quanto meno di applicare norme che scoraggiassero le speculazioni più rischiose. La tassazione Tobin sui profitti speculativi, dal nome del suo ideatore di cui molto si é discusso e scritto,  ne é un esempio, ma sino ad ora nulla di concreto é stato realizzato. Molte figure politiche di rilievo internazionale hanno introdotto questi elementi nei loro programmi elettorali, ma giunti alla prova dei fatti queste parole si sono dimostrate per quello che in realtà erano, un puro esercizio retorico senza sostanza e volontà politica.

A onor del vero, si deve riconoscere che per essere effettive in un sistema globale come quello attuale, le norme atte a controllare l'economia finanziaria dovrebbero essere valide ovunque e ovunque dovrebbe esistere la capacità di perseguire chi non le rispettasse. Al momento attuale, nessuna delle due condizioni é possibile perché tutte le Nazioni invece di mostrare un fronte comune contro questo nemico del benessere della grande maggioranza delle loro popolazioni, preferiscono cercare di trarne vantaggio a scapito degli altri.

Nell'ambito dell'Unione Europea, per esempio, l'Inghilterra e la Germania, per ragioni differenti, si sono opposte a qualunque tentativo d'introdurre a livello comunitario misure che potrebbero limitare i danni della speculazione finanziaria. A ragion del vero si deve anche aggiungere che neppure tra le strutture comunitarie come la Commissione si é realizzato molto persino solo a livello di elaborazione di proposte di regolazione mentre in altri settori dell'economia la Commissione é stata ed é molto attiva nell'elaborare norme comunitarie di controllo su quasi tutto.

Sin ora, l'interesse delle varie lobby finanziarie si é dimostrato efficace nel vanificare anche i tentativi più onesti e sinceri d'approvare regole che potessero diminuire il potere del capitale finanziario.

Criminalità e Finanza

A convalida di quest'ultima considerazione cito un esempio che serve bene a chiarire quello di cui si tratta. La lotta alla criminalità organizzata é un priorità per tutti gli Stati. Infatti, il crimine organizzato é una sfida al potere centrale e, dove le strutture criminali riescano a prevalere, lo Stato perde controllo ed autorità lasciando la popolazione alla mercé dei criminali per non parlare dei danni economici associati.

Il crimine organizzato, tra le tante attività umane, é certamente una di quelle che meglio e tra i primi ha saputo valersi della “globalizzazione”. Il mondo attuale é diviso in zone dove operano organizzazioni criminali diverse che collegate tra loro riescono a maggiorare il volume delle loro operazioni e dei loro guadagni. Dati certi non esistono, ma stime fors'anche conservative emesse recentemente dalle Nazioni Unite, situano attorno al trilione di dollari il giro d'affari delle varie mafie. Queste cifre non tengono conto degli eventuali profitti aggiuntivi che possono generarsi dall'impiego di questi profitti la cui origine é di natura criminale nelle grandi speculazioni finanziarie.

Il traffico di beni illegali come narcotici, armi, persone sono tra le fonti più redditizie del crimine. Spesso queste operazioni coinvolgono attività situate in svariati paesi da quelli d'origine delle merci trattate a quelli di consumo finale delle stesse passando, a volte, più di dieci frontiere nazionali. La complessità logistica di queste operazioni richiede livelli d'organizzazione sofisticati, sistemi di comunicazione sicuri e una larga disponibilità finanziaria.

Tutti sappiamo del dibattito tra chi asserisce che il modo migliore di combattere il crimine organizzato sia operare nelle zone di produzione o transito dei prodotti, mentre altri sostengono invece l'importanza di agire a livello dei mercati finali di consumo con attività repressive nei confronti dei distributori e consumatori. Tra quest'ultimi si annoverano anche coloro che in alcuni casi sostengono che la liberalizzazione del commercio di certi beni, come le droghe leggere, porrebbe fine al traffico illegale o almeno lo limiterebbe.

Per coloro che operano a monte del problema si dovrebbe intervenire nei posti di produzione e transito, la priorità é infatti eliminare le possibilità di produzione, tagliare le vie di trasporto o intercettare le vie di comunicazione, insomma impedire che i beni arrivino a destinazione.

Entrambe queste scuole di pensiero sono da anni impegnate con risorse anche ingenti ad arrestare il traffico criminale di beni. I risultati sin qui ottenuti sono a dir poco modesti dal momento che tutti questi traffici continuano a prosperare ed anzi sono cresciuti in volume senza che nulla di quanto realizzato abbia sortito un effetto apprezzabile nel limitarne l'efficacia.

Da anni si parla anche dell'importanza di porre controlli sul movimento finanziario che rende possibile mantenere in operazione tutta la catena di queste attività criminali. A dir del vero, misure sono anche state adottate per cercare di rintracciare l'origine dei capitali utilizzati dal crimine organizzato, ma i risultati sin qui ottenuti non corrispondono alle aspettative.

Il ruolo delle Banche

Ora, le quantità ad almeno undici zeri di cui stiamo scrivendo ed il numero relativamente ridotto delle banche che possono effettivamente garantirne la circolazione permettendo le operazioni di trasferimento tra i vari paesi in questione dovrebbe rendere il tutto più facile se si riuscisse ad ottenere una collaborazione piena ed incondizionata da parte di chi controlla il sistema finanziario mondiale. Si tratterebbe di chiedere ad un massimo di un centinaio di istituti bancari, quasi tutti con sede nei paesi occidentali, di assicurarsi, pena punizioni severe, che nulla o quasi di quel volume di valuta transiti attraverso il loro sistema di filiali e consociate per infliggere un colpo probabilmente mortale alla capacità del crimine organizzato d'operare a livello globale. Contro l'evasione fiscale che nel passato si era avvalso di queste protezioni, progressi sono stati realizzati, ma per ora nulla di serio é stato messo in atto per controllare efficacemente il crimine organizzato.

Quest'esempio dimostra che il sistema finanziario é quanto meno allergico ai controlli per ragioni di principio cercando di evitare pericolosi precedenti, per non voler trarre la conclusione più estrema che, dal momento che il denaro non ha odore, anche i flussi criminali siano ben accetti dall'alta finanza internazionale anche perché quest'ingenti masse di denaro sembrerebbe siano state essenziali per far decollare l'economia dei derivati e della speculazione ai suoi albori e servano ancora ora per assicurarne la crescita.

Il sistema mondo sta cambiando e il pianeta in poche decadi si é di fatto rimpicciolito perché si  comunica ovunque senza problemi ed a basso costo e spostarsi é altrettanto rapido anche se più costoso. Questi cambi stanno mettendo in discussione i modelli d'organizzazione sociale ed economica esistenti che ormai non corrispondono più ai requisiti del sistema che la globalizzazione sta forgiando. Per molti aspetti si può affermare che lo Stato nazionale che conosciamo sia ormai obsoleto. Come nel passato, grandi crisi sistemiche hanno finito per generare cambiamenti radicali nella società. Per il momento, il grande capitale finanziario é in vantaggio su tutti gli altri nel posizionarsi per decidere come debba essere strutturato il nuovo mondo.

Una nuova era

Al crollo del feudalesimo, una cosa simile era già successa con il ruolo che le Città Stato rette da banchieri e commercianti avevano occupato, ruolo che  aveva permesso loro di prevalere o almeno coesistere anche quando grandi Stati nazionali si erano consolidati. Successivamente, queste città avevano perso importanza e potere sino a scomparire quasi tutte come entità politiche indipendenti con l'affermarsi del sistema attuale di Stati nazionali che controllavano larghe regioni generalmente rese omogenee da similarità etniche, linguistiche e religiose. Il potere finanziario aveva quindi finito per essere conglobato con i nuovi Stati di cui era diventato presto un fattore rilevante di controllo e potere, integrato però nel sistema economico e produttivo del paese e non più libero come era stato ai tempi delle Città Nazione.

Al momento, non pare possibile definire come questa trasformazione possa evolvere e soprattutto quali potrebbero essere i suoi tempi. Comunque, più importante che dibattere pro o contro la globalizzazione é comprendere che questo processo é in corso ed é ragionevole aspettarsi che sia anche irreversibile a meno di eventi traumatici come quelli che seguirono la caduta dell'Impero Romano o in tempi più recenti il crollo dell'impero sovietico con il conseguente tracollo dell'intero sistema politico, sociale ed economico.

E' anche ragionevole dedurre che l'attuale ruolo di predominio del mondo finanziario finirà per acuire tensioni sociali dal momento che la logica della massimizzazione del profitto concentra ricchezza in sempre meno mani a scapito del benessere generale. Si stima che nel mondo attuale di sette miliardi di persone, meno di dieci milioni siano da considerarsi ricche  e di queste meno di dieci mila siano ricchissime. Questa piccolissima percentuale dell'umanità, i super ricchi, controlla capitali maggiori al prodotto nazionale degli Stati Uniti, dell'Europa e del Giappone messi insieme. Alcuni di loro dimostrano, come i coniugi Gates, di aver a cuore anche il vivere degli altri e per questo dedicano piccole parti della loro ricchezza per opere di carità e per favorire l'affrancamento dalla povertà di centinaia di migliaia di persone, ma quasi tutti gli altri “ricchissimi” si comportano come se quanto posseggano fosse loro dovuto per grazia divina e solo loro ne debbano quindi beneficiare. Le grandi rivoluzioni del passato sono nate tutte dal perdurare nel tempo di atteggiamenti simili. E' quindi probabile che negli anni a venire grandi cambiamenti, forse anche rivoluzioni più o meno violente occorreranno sino al sorgere di un nuovo ordine che stabilizzi la situazione.

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Nota

Questo breve scritto illustra brevemente fatti economici e sociali di  rilevanza attuale presentati tenendo conto dell'analisi dettagliata contenuta negli studi pubblicati da economisti di riconosciuta competenza come possono essere, Joe Stieglitz,  Dani Rodrik, Paul Krugman o la nostra Loretta Napoleoni ai cui testi si rimanda il lettore intenzionato ad avere una spiegazione più dettagliata sui temi della “globalizzazione”. Le conclusioni finali ed alcuni dei commenti sono invece d'attribuire soltanto al redattore di questo scritto.

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