I LIMITI DELLA TOLLERANZA

di Paolo Basurto

“La tolleranza [….] non è solo un principio ma anche una condizione necessaria alla pace ed al progresso economico e sociale di tutti i popoli.” [‘Dichiarazione dei Principi sulla Tolleranza’, Preambolo – UNESCO 1995].

“Tolleranza non è concessione, condiscendenza, compiacenza. La tolleranza è, soprattutto, un atteggiamento attivo animato dal riconoscimento dei diritti umani universali e delle libertà fondamentali degli altri. In nessun caso la tolleranza potrà essere invocata per giustificare attentati a questi valori fondamentali.”[Ib. art. 1.2].

Buenos Aires, giugno 1983: “Ecco, Lei sta per visitare un luogo che non esiste.  Non è un qualsiasi sobborgo di una grande città latinoamericana. Non è solo una favela una barriada un pueblo libre, uno dei tanti posti dove vive la povera gente ai margini dei centri urbani.  Questa che lei sta per vedere è una Villa Miseria. Non una Villa pobreza, ma una Villa Miseria. Una città della miseria e…della vergogna.  I militari non sono riusciti a sgomberarla. Allora le hanno costruito un muro attorno; perché non si vedesse. Con la speranza di annullarla dalla coscienza e di dimenticarla. Non ci sono riusciti, perché di Villas Miseria a Buenos Aires ne sono sorte così tante che non si poteva farle sparire tutte. Però questa è rimasta la più trascurata. Non è un fenomeno solo della capitale. La miseria ormai affligge tutto il nostro grande paese. Il giorno in cui i militari se ne andranno e quel giorno è ormai venuto, questa realtà emergerà e il nuovo governo democratico dovrà affrontarla con urgenza prima che la rabbia scoppi e comprometta questo miracoloso processo di normalizzazione senza guerra civile.   Lo dica, questo, a New York. Faccia capire a tutti che il nostro Ambasciatore vive ancora nell’orgoglio mal riposto di rappresentare un paese ricco e forte. L’Argentina non è quella di una volta. Anche se tutti abbiamo vergogna di ammetterlo, il quaranta per cento degli argentini ha fame !  Noi abbiamo bisogno di un grande programma di assistenza e le Nazioni Unite dovranno tenerlo pronto per quando le elezioni saranno concluse e avremo finalmente un governo liberamente eletto.  So benissimo che un programma di aiuto deve essere richiesto formalmente. E sappiamo tutti che i militari non lo faranno e il nostro attuale Ambasciatore a New York non ci darà certo una mano. Ma per preparare un’ iniziativa così grande, e con la vostra burocrazia ultralenta, si rende necessario un minimo di un anno per diventare esecutivi. Non ce lo possiamo permettere.”

Chi aveva parlato fino a quel momento sarebbe poi divenuto Ministro della Salute nel governo radicale di Alfonsìn, il primo Presidente eletto, dopo il ritorno incruento della democrazia nel Paese. Intanto eravamo entrati nella Villa Miseria.

Era davvero un cambio di scena impressionante. Al di là del muro, una grande strada che delimitava un vasto quartiere residenziale pieno di case eleganti e lussuose. Al di qua, le straducole erano di terra battuta e fangosa per la pioggia recente. Le fogne erano a cielo aperto e i rifiuti scorrevano con il liquame, per la gioia dei bambini che non trovavano di meglio per giocare. Le case erano angusti cubi di mattoni di scarto, irregolari e approssimativi.  Mancava la luce e l’acqua. Una piccola folla sostava dinanzi ad una porta e alcune donne piangevano. Ci spiegarono che era morto un bambino. Aveva appena un anno. Era morto di dissenteria. Disidratato. E non era l’unico. In un mese ne erano morti altri sette. Avevo reclutato un giovane medico, Diego, perché mi accompagnasse e mi aiutasse a disegnare quello che avrebbe dovuto essere il primo programma di sviluppo sociale che le Nazioni Unite avrebbero offerto alla nuova Argentina. Quando la visita si concluse, Diego mi spiegò che le piogge torrenziali che avevano inondato mezzo paese, avevano infettato i rudimentali sistemi di approvvigionamento d’acqua esistenti in questi quartieri della miseria. Per salvare quei bambini sarebbe bastato distribuire con abbondanza dei sali di reidratazione dal costo irrisorio.  Ma poiché il Governo non riconosceva l’esistenza di questi agglomerati abusivi, mancavano le condizioni ‘formali’ per iniziative del genere. Sia pubbliche, che private.

Ero disgustato e depresso anche se non era, purtroppo, la prima volta né il primo paese dove constatavo quanto cinico ed ottuso potesse essere il comportamento di un governo autoritario, e quanto disastrose potessero esserne le conseguenze sul piano sociale. Ma Diego sembrava impassibile e freddo. Ormai eravamo soli nell’auto che mi riportava in Ufficio. Cercai di stimolare una conversazione chiedendogli se pensasse realistico mettere in piedi un piano come quello che il possibile futuro ministro aveva in mente.

“Come può essere”, scattò Diego con rabbia imprevedibile, “che lei creda davvero che questa gente sarà tanto meglio dei militari, quando avrà in mano il potere ?”. “Beh!” feci io perplesso, “A me è sembrato che fossero sinceramente preoccupati dei problemi delle tante persone realmente povere e che siano pronti a rimboccarsi le maniche.” “Se davvero fossero sinceri non tollererebbero quello che abbiamo appena visto. E’ questa tolleranza borghese che li smaschera. Loro cercano solo di tener buoni i militari perché la successione avvenga in modo indolore e siano loro a ricevere il bastone del comando. Hanno già accordato tutto. Hanno già negoziato ogni impunità. Anche quella per delitti insopportabili come  quelli cui siamo stati testimoni  oggi. Testimoni e…forse anche complici.”  “Ma non mi pare”, reagii  con veemenza, “che evitare una guerra civile sia poi una strategia così criminale. In fondo, che una dittatura crolli senza spargere sangue, non è una cosa tanto frequente nella storia. Riuscirci è un segno di grande progresso. E’ una speranza per un sacco di altra gente che ancora non sa quando riuscirà a recuperare la propria dignità. Gente molto vicina, come i cileni e gli uruguaiani, per esempio. Non mi sento di disprezzare questa ‘tolleranza borghese’ come la chiami tu. Io invece la chiamerei tolleranza intelligente. Non c’è convivenza possibile senza tolleranza.” Ma la tolleranza non era evidentemente il forte di Diego, e questa volta si arrabbiò sul serio: “Senza spargimento di sangue ? Ma il sangue è stato già sparso e a fiumi. E voi benpasciuti funzionari internazionali, eravate qui nei vostri comodi uffici e non ve ne siete nemmeno accorti. Oppure sì, ve ne siete accorti e non avete mosso un dito ? Se davvero aveste a cuore la gente povera cerchereste di dare loro una voce, di organizzarli, di armarli. Armarli perché si possano difendere. Perché possano farsi giustizia. La gente, la povera gente ha più sete di giustizia che di acqua pura. Ma perché non ci ribelliamo. Perché non ci ribelliamo almeno adesso che sappiamo che sono deboli e basta una spinta per farli cadere. Farli cadere a faccia in terra e non in piedi come questi signori (radicali e peronisti, non fa differenza) vogliono per mantenere il controllo. Ma perché dobbiamo aspettare anche un solo giorno in più e sopportare che simili infamie, come quelle che abbiamo visto oggi, continuino ad avvenire. E non parlarmi di democrazia. La democrazia la volete voi, perché, maggioranza o opposizione, sarete sempre voi al potere e non la povera gente.”

Il giorno dopo Diego non venne in ufficio e da allora non l’ho più incontrato.

I Radicali vinsero le elezioni in ottobre e Aldo Neri divenne Ministro. Uno dei migliori di Alfonsìn.

Poi vennero i Peronisti, che ancora sono lì, al potere.

Il programma di aiuto riuscì ad essere avviato ancora prima della caduta dei militari perché fu approvato come misura eccezionale e di emergenza. Qualche Villa Miseria riuscì ad ottenere almeno l’acqua potabile.

Dopo la seconda Guerra Mondiale, l’Argentina era un paese ricco almeno quanto il Canadà. Nel 2001 l'Argentina dichiarò fallimento, raggiungendo un tasso di disoccupazione del 55 %. Oggi, dopo un politica illusionista di  crescita diseguale, l'inflazione è tornata a superare il 20 % e la disoccupazione ha ripreso a crescere.

Ho pensato spesso a Diego. Tutte le volte che mi è toccato agire e prendere posizione di fronte all’alternativa: dialogo o conflitto; lotta o tolleranza; buon viso a cattivo gioco o rottura esplicita; il minor male o l’affermazione di principio.  In Cile, mentre Pinochet induriva il suo pugno, nel timore che avvenisse quello che già stava accadendo in Argentina,  Amnesty international mi invitò ufficialmente alla più tremenda cerimonia cui mi sia stato possibile assistere: la denuncia pubblica dell’elenco dei bambini torturati dalla Polizia di Stato. Andarci o non andarci ? Farmi dichiarare persona non grata o tentare di fare il possibile. Accettare quel terribile documento pieno di prove irrefutabili e diffonderlo, oppure negoziare.

Casi limite. Eppure non ho mai, onestamente, avuto le idee chiare su questi temi cruciali. Però con il tempo mi sono quasi convinto che attuare una condotta ispirata solo a principi ideali, non basta. E’ sempre utile tentare un approccio, un negoziato, con il ‘nemico’, con l’oppositore, per verificare se i nostri principi ed ideali reggono sul piano pratico, sul piano della realizzabilità, o se invece rischiano di apparire semplicemente dogmi.

Poiché mi occupavo di infanzia, una volta mi fu chiesto perché bisognava darsi tanto da fare e profondere tante risorse, per salvare dei bambini che, se non fossero morti nei loro primi anni, sarebbero sopravvissuti pieni di handicap, costituendo solo un peso per le loro famiglie già in condizioni di miseria. Me lo chiedeva non uno qualsiasi ma un Presidente, un Capo di Stato, che diceva (e forse era anche vero) di amare moltissimo la sua gente. Dovetti convincermi che raccapriccio e scandalo non mi sarebbero bastati. Dovevo offrire delle ‘ragioni’ convincenti oltre a quelle del ‘sacro valore della vita’. Ma questa è un’ altra storia.

Non basta credere per convincere. Forse credere serve a capire in che modo convincere. Anzi, sospetto che proprio in questo consista il compito sociale più difficile del credente: capire come convincere, quando la verità gli appare grazie a ciò in cui crede.

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