INDIPENDENZA CATALANA: ELOGIO DEL NONSENSO

di Paolo Basurto

Lo scorso 9 novembre (il 9N, come lo chiamano gli spagnoli), la Catalogna è stata teatro di uno spettacolo che lascia a dir poco, perplessi. I giornali italiani hanno chiamato l'avvenimento: referendum sull'indipendenza. E ne hanno parlato, quasi tutti in toni sorprendentemente elogiativi, come una manifestazione democratica di massa. In realtà, nelle intenzioni dei massimi promotori, e cioè la coalizione dei partiti attualmente al governo nella regione, avrebbe dovuto essere un referendum sull'indipendenza. Ma il Governo centrale non lo ha permesso ed è ricorso alla Corte Costituzionale che ha dichiarato l'iniziativa inammissibile perché contraria alle norme abbastanza chiare della Costituzione. Il Presidente della Regione, Arturo Mas, ha allora astutamente aggirato i 'no' del Governo e della Corte, e il 9 novembre ha fatto svolgere una consultazione sondaggio, formalmente voluta e organizzata, non più dalle istituzioni locali, ma da alcune delle tante organizzazioni private collegate ai partiti indipendentisti.

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CHI HA VINTO?

Secondo i calcoli più accreditati, basati sui dati dell'Istituto Nazionale Statistico, gli aventi diritti al voto, in Catalogna si aggirano sui cinque milioni. Tuttavia questa volta i milioni erano sei, perché a questa insolita consultazione sono stati invitati i cittadini di almeno 16 anni (nelle politiche il limite è 18) e tutti gli stranieri in possesso di residenza legale (che non sono pochi perché ammontano a circa 700mila).

Secondo le cifre non controllabili dichiarate dagli organizzatori, sarebbero due i milioni di persone che sono andate a votare. Il quesito proposto aveva una formulazione plebiscitaria e si articolava in due domande: Vuoi che la Catalogna sia uno Stato? Vuoi che la Catalogna sia uno Stato indipendente? L'80 per cento di quei votanti ha espresso 'Sì' a tutt'e due i quesiti. Un 10 per cento si è dichiarato contrario all'indipendenza ma non a che la Catalogna diventi uno Stato (il significato pratico di questa scelta può solo essere immaginato perché non esiste nessun progetto formale nel senso di uno Stato federato a quello centrale ma con maggiore autonomia di quanto attualmente ne goda ora la Regione), il resto si è dichiarato contrario ad entrambe le opzioni. Tralasciando l'attendibilità di questi dati e le scarse garanzie di neutralità offerte dagli organizzatori che presiedevano al voto e che chiaramente ostentavano la loro passione indipendentista, l'affluenza alle urne è stata considerata una manifestazione chiara di una massiva volontà popolare.

Il Governo regionale ha festeggiato pubblicamente i risultati, salutandoli come un grande successo che il Governo centrale non potrà ignorare. A queste conclusioni hanno fatto eco molti giornali tanto spagnoli che esteri, compresi i nostri.

Eppure, a ben vedere, non sembra per nulla un gran risultato. Solo un terzo degli aventi diritto è andato a votare. Chi non c'è andato è perchè era contrario all'iniziativa e quindi all'indipendenza. Se si fosse trattato di un vero referendum ci sono molte ragioni per credere che i risultati sarebbero stati abbastanza diversi. Rimane il fatto che più di un milione e mezzo di catalani ha detto chiaramente che voleva la sua regione indipendente dalla Spagna, alla quale è sempre stata legata da secoli di storia. Ma anche questo non è una novità. Il progetto indipendentista è stato elaborato nelle cucine dei due maggiori partiti della Regione, oggi al governo: il CiU (Convergenza e Unione) e Esquerra republicana (Sinistra Repubblicana). Approfittando del potere nelle loro mani, sono mesi che vanno svolgendo una propaganda piena di slogan populisti assai simili a quelli dei nostri conterranei leghisti. Il motivo dominante è lo stesso, solo che la ladrona non è più Roma ma Madrid. I catalani sono stati ossessionati, in questi ultimi due anni, dalla propaganda del Governo regionale indipendentista e molti si sono convinti che la colpa della crisi economica, che qui ha colpito duro ma assai meno che altrove nel Paese, era tutta da attribuirsi alle 'rapine' del Governo centrale, che imponeva alla Catalogna di dare sempre molto di più di quanti benefici potesse ricevere. Insomma, le vere ragioni del relativo successo della proposta indipendentista, sono di natura economica e acquistano efficacia grazie alla suggestione di slogan facili da diffondere e difficili da controbattere senza una dettagliata analisi che la gente comune non ha alcuna voglia di fare.

UN PO' DI STORIA

Nessun irredentismo nazionalista, culturale o storicamente fondato, regge o rafforza questa proposta. La Catalogna non è mai stata una nazione indipendente. Le sue autonomie di epoca medievale sono sempre state frutto di occasione o di rivendicazioni baronali, come in qualsiasi altra regione di europa. Terra di frontiera sempre, la sua identità culturale si fonda su un dialetto diffuso di piena matrice latina e che ha saputo dare buoni esponenti nella letteratura come nelle altre arti. Nulla di molto diverso da regioni come la Sicilia o la Campania. Quando nel 1931 la Spagna sprofonda in una gravissima crisi politica e il Re, spaventato, si autoesilia, nel Paese si proclama la Repubblica. Pochi giorni prima che la nuova forma di governo venisse installata, il Presidente della Catalogna, Francesc Macià (un ex militare dei tempi del dittatore Primo de Rivera, con il quale era entrato in dissenso), dichiara la regione, Repubblica indipendente. Durerà poco perché la neonata Repubblica spagnola si affretta a negoziare uno statuto speciale riconoscendo autonomie di gestione e non solo, per l'epoca assai pronunciate, in cambio la Repubblica Catalana scompare, anche se da quel momento e fino alla fine della guerra civile che scoppierà nel '36, il Catalano acquista formalmente dignità di lingua ufficiale. Del resto era questo il vero obbiettivo di Macià, già in carica da 10 anni e pronto e rinsaldare il suo potere con la creazione di un partito che, ancora oggi, si chiama Esquerra republicana. A questo si riduce l'unica esperienza di stato indipendente della Catalogna.

Tutto crolla con la dittatura di Franco, che cancella ogni autonomia e commette il grande errore di proibire addirittura l'uso comune del catalano. Il periodo franchista viene sentito dalla maggioranza dei catalani come quello dell'oppressione del Governo centrale e, anche se il tempo è più che passato, è probabilmente quella l'esperienza più vicina che, come una ferita mal cicatrizzata, può dare qualche spiegazione oltre a quella economica, della passione indipendentista che oggi brucia l'anima di almeno un milione e mezzo di catalani. C'è infatti chi addirittura si rifà alla resistenza opposta dai barcellonesi all'esercito dei borbone che si erano insediati sul trono di Spagna al posto degli Asburgo. Ma non si è trattato d'altro che della lunga guerra di successione che si conclude nel 1714 e che vede un nuovo assetto degli equilibri di potere che si erano mantenuti fino ad allora in Europa. Roba tra Re e regnanti, figli e nipoti di Re e regnanti in conflitto tra loro a causa dei loro pasticci matrimoniali. Nessuna vera partecipazione né popolare né nazionale.

MADRID LADRONA...

Non rimane a questo punto, che analizzare un po' di più la motivazione economica. La Catalogna è la regione più ricca della Spagna e il suo contributo al PIL è superiore al 20%. Nel peggior momento della crisi, il 2012, il PIL per persona era pari a 27.700 euro, mentre la media nazionale superava di poco i 22mila. Tuttavia la Catalogna è la regione più indebitata della Spagna, circa il 21% del suo prodotto interno. Il bilancio regionale è strutturalmente in rosso e il deficit si aggira intorno ai 6/8 milioni di euro, superando di un bel po' i severi limiti imposti a tutte le regioni, dalla politica di austerità adottata dalle Autorità centrali. Crisi a parte, l'amministrazione catalana non è sempre stata sprecona. Una classe imprenditoriale astuta, ma anche intelligente, colse con intuito la grande occasione delle Olimpiadi tenutesi a Barcellona nel 1992. La città subì una trasformazione impressionante (invito a vedere un video che dà un'ottima idea del colossale investimento fatto- link). Da allora il turismo è cresciuto a un ritmo vertiginoso e costituisce una delle principali fonti di reddito per tutta la regione. Da questo successo è nata una strategia vincente che ha puntato tutto sugli investimenti esterni, lo sviluppo delle attività finanziarie (poche città con poco più di un milione e mezzo di abitanti, contano tante banche come Barcellona), l'internazionalizzazione del commercio (la Fiera di Barcellona ha una rinomanza che ben può dirsi mondiale), il tutto ammantato da un'ostentazione di virtuosità e da un evidente interesse per la qualità della vita dei cittadini che non può che sedurre e aumentare credibilità.

Da quando scoppia la crisi, però, questa virtuosità è messa a dura prova. Nel 2007 la disoccupazione  era del 6,7% , nel 2013 raggiunge il 22%. La Catalogna vede crescere il suo debito e la solvibilità scricchiola. Gli investimenti si riducono troppo rapidamente per consentire adeguati aggiustamenti fiscali e di bilancio. La classe politica regionale decide di giocare di anticipo e dà il via alla campagna indipendentista quasi esclusivamente centrata sulle responsabilità di Madrid. Il sistema fiscale spagnolo, prevede, secondo la Costituzione approvata da tutte le regioni, l'istituzione di un Fondo comune costituito dagli apporti di ciascuna regione. Fondo che viene poi redistribuito dal Governo centrale sotto forma di investimenti. La regione catalana sostiene di contribuire a questo fondo molto più di quanto poi non riceva sotto forma di benèfici investimenti. Se così non fosse, il debito sarebbe assai più ragionevole e il deficit di bilancio forse scomparirebbe. Il Presidente Mas ha ricordato mille volte nei suoi discorsi che la Catalogna è la terza regione contribuente al Fondo e la decima in quanto a vantaggi ricevutine. Eppure queste affermazioni non sembrano essere ben sostenute dai numeri. Secondo l'unico studio comparativo disponibile, fatto purtroppo solo nel 2011 (Ángel de la Fuente, Rapporto del BBVA Research), le uniche regioni ad avere un saldo negativo in quanto a costi/benefici del Fondo per le regioni, sono Madrid e le Baleari. Tutte le altre hanno un saldo positivo, Catalogna compresa anche se è vero che in valore assoluto è la decima in classifica mentre è tra le prime per contributi. A questo punto sarebbe opportuno considerare che il Fondo, come ogni sistema fiscale che si rispetti, ha un naturale obbiettivo di solidarietà che si raggiunge attraverso una redistribuzione che si spera sia il più possibile equa. Ma la parola solidarietà è purtroppo assente dal vocabolario indipendentista. Anzi, la penetrazione propagandista è stata talmente forte che non è raro ascoltare il macellaio o la pescivendola dichiararsi a voce alta arcistufi di dover finanziare quei morti di fame dell'Andalusia, anche se tre su dieci catalani di oggi vengono da altre regioni della Spagna e molti, ovviamente, proprio dal Sud, che, manco a dirlo, è anche la parte più povera del Paese.

I RISCHI DEL FANATISMO

Quello che preoccupa di tutto questo pasticcio è la manipolazione spericolata dell'opinione pubblica operata dalle Autorità politiche regionali, che invece di assumere responsabilmente l'onere di fronteggiare una crisi economica, che è mondiale, invece di trattare con il Governo centrale, che non sempre mantiene i suoi impegni finanziari con puntualità ed ha le sue colpe nel non aver messo allo studio meccanismi fiscali più adeguati ed aggiornati, cercano di arraffare quello che possono mettendo spalle al muro le Autorità di Madrid con il ricatto dell'indipendenza. In questo gioco oscuro il dibattito al livello della gente comune ha perso ogni lucidità ed è divenuto visceralmente appassionato, con manifestazioni di fanatismo crescente che lasciano interdetti per la loro assoluta mancanza di senso. Per fortuna la violenza non è ancora emersa né in forma organizzata nè in quella casuale. Ma non mi stupirebbe che con il progressivo arroventarsi del clima questo avvenisse, coinvolgendo altri temi caldi, come quello dell'abolizione della monarchia, cavallo di battaglia di Esquerra republicana. Catalogna non è i Paesi Baschi e un ETA catalana è impensabile; così dicono i catalani anche più arrabbiati. Ma queste non sono affermazioni quanto, piuttosto, speranze.

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COMMENTI

Antonio Ingles - Ho l'impressione che l'articolo sostenga un punto di vista viziato all'origine e perciò sia essenzialmente condizionato. Secondo me le fonti utilizzate non includono mai documentazione diversa da quella ufficialmente ammessa dallo Stato spagnolo. Questo rende le argomentazioni un tanto sospette. E' possibile che un italiano sia inoltre influenzato dalla situazione politica dell'Italia. Anche se è perfettamente comprensibile, bisogna tenerne conto perché è un'altra possibile ragione di cattiva interpretazione della realtà e di quello che significa l'identità catalana.

Molte affermazioni e conclusioni non riesco francamente a condividerle. Non voglio cadere in sofismi retorici cercherò invece di sintetizzare quello che penso sul perché il popolo catalano si riconosce come Nazione e come Stato, indipendentemente dal fatto che lo sia assieme ad altre Nazionalità o Stati. Mi sembra che fu Mancini che meglio definì che cos'è una nazionalità: una comunità naturale di uomini che vivono assieme e che hanno in comune un territorio, una stessa origine, le stesse tradizioni e una stessa lingua e che inoltre hanno piena consapevolezza di essere una comunità. D'altro canto la base filosofica del principio delle nazionalità è la stessa di quella del principio della libertà individuale: il riconoscimento della sua personalità. Giunti a questo punto discutere della personalità dell'essere catalano è negare la sua esistenza e quindi mettere in forse la sua identità. Questa è, secondo me, la rivendicazione principale del popolo catalano.  Del resto, non mi pare che la Costituzione spagnola  neghi questa realtà. Lo Stato spagnolo invece la ostacola e la minimizza.

Forse vale la pena ricordare quello che un gran pensatore e poeta, Antoni Rovira i Virgili diceva in proposito: ogni Nazionalità ha il diritto a costruirsi uno Stato indipendente o autonomo. [trad. dallo Spagnolo]

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Marco Borsotti - Premetto di non avere mai seguito seriamente la questione catalana limitandomi a registrare in memoria che ci fosse un problema d'autonomia che sarebbe potuto sfociare in una richiesta d'indipendenza dal governo centrale. Capisco che forze politiche catalane odierne spingano per l'indipendenza per ragioni propagandiste a loro favore, anche se mi pare di ricordare che le radici del movimento vanno lontane nel tempo al punto che, alle Olimpiadi del '92, si fece uso del catalano come lingua ufficiale al pari dello spagnolo. Ricordo aver trovato la cosa curiosa, ma anche di aver letto che molti catalani già allora non si sentivano rappresentati dal governo di Madrid. Leggo, poi, che il problema era ancora più antico anche se la dittatura aveva bloccato ogni espressione di dissenso sino alla morte di Franco nel 1975.

Capisco la preoccupazione che movimenti come questo possano finire per minare dall'interno le basi dell'Unione Europea, ma questa ragione non mi sembra sufficiente per squalificare qualunque desiderio di rivedere le frontiere nazionali. In fondo, le frontiere nazionali che oggi come nel passato si tende a proclamare come inviolabili, sono state nei secoli non solo violate, ma letteralmente stravolte mutando ad ogni piè sospinto la geografia del continente europeo. Il fatto che questo sia successo con tanta frequenza nel passato per le più svariate ragioni, mi porta a pensare che succederà ancora e che non ci sia nulla di male, almeno in principio, a che questo succeda. Sarebbe potuto succedere in Scozia pochi mesi or sono e, come ho letto in molti commenti, il voto a favore dell'indipendenza ha continuato a crescere negli ultimi anni sino al punto da far dire ad alcuni degli sconfitti che vista la relativamente piccola differenza, meno del dieci per cento, la prossima volta il risultato potrebbe essere a favore di una Scozia libera da Londra.
Personalmente, mi pare che cambi nelle frontiere non debbano portare necessariamente a cambiamenti nell'assetto europeo. La Scozia o la Catalogna potrebbero essere il ventinovesimo Stato dell'Unione Europea, nulla in principio lo impedirebbe a parte, forse, le ripicche della Nazione abbandonata che potrebbe volere una ritorsione contro coloro che li hanno abbandonati.
Mettendo da parte le celie, mi pare che il problema vero dell'Europa sia la sua mancanza d'esistenza come riferimento culturale tra i popoli che abitano quelle lande. Sovrani hanno sognato unificare il Continente per ragioni di dominio, ma nessuno riuscì mai nel farlo. Gli europei dovrebbero capire da soli che é nel loro interesse essere una sola cosa anche politicamente, ma per ora mi pare che né i governi né i popoli abbiano maturato una tale visione. Il Manifesto di Ventotene rimane un testo ben scritto, ma non ispira nessuno o quasi a mettere da parte i nazionalismi, regionalismi, le diatribe linguistiche, religiose e culturali, la memoria storica, e tutto quello che divide per cercare invece quanto unisce.
Io penso che un'Europa unita sarebbe un bene perché sarebbe una grande forza di pace prima che una forza economica e politica, ma per farlo dovrebbe essere diversa da quello che é, non più sottomessa ad un'alleanza militare che non dovrebbe avere più senso e soprattutto succube dell'idea che l'Europa debba essere sempre e comunque alleata minore degli Stati Uniti. Ma per poterlo raggiungere, mi pare che si debba scardinare la forza degli interessi degli Stati Nazionali e del meccanismo quasi dittatoriale che essi hanno messo in piedi, ossia la Commissione europea. L'Europa Unita non sta funzionando, a mio parere, prima di tutto perché é una specie di dittatura benigna di una sistema burocratico che i cittadini non capiscono e non controllano. Gli eventi del TTIP ne sono l'esemplificazione migliore, ma mi pare che potremmo trovare mille altri esempi a suffragio della mia tesi. Forse, dico forse perché penso che questo sarebbe un tema interessante da discussione e gli scenari futuri potrebbero essere quanto meno incerti, dare sfogo alle spinte indipendentiste potrebbe alterare lo Status Quo sparigliando le carte e permettendo una ripresa del dialogo per la formazione di un'Unione politica vera basata sul mandato dei popoli e non sul volere dell'élite politica di alcune grandi Nazioni europee.  Capisco benissimo che chi ha lavorato per promuovere l'indipendenza catalana non intendeva servire questa causa, ma proprio se forze simili dovessero prevalere, si potrebbe aprire lo spiraglio per ridiscutere l'Unione e non rassegnarci ai Trattati che la stanno uccidendo. In momenti di crisi economica, discorsi come il mio sono di certo una follia, ma d'altronde se non riusciremo a smuovere il monolito dai piedi di fango rappreso, le piogge del malessere popolare lo faranno crollare compromettendone il futuro.
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Andreina Russo - Una analisi, lucida e strutturata. Mi ha fatto finalmente capire tutti i termini della questione, che conoscevo a pizzichi e bocconi. Impressionanti le analogie con il Nord-Nord Est italiano,la dimenticanza delle radici comuni, l'abolizione del concetto di solidarietà, la prevalenza del dio denaro che detta odi e simpatie, scelte politiche ed etiche. Oggi sui giornali italiani c'erano begli articoli sull'interpretazione monetaria del fenomeno ISIS, apparentemente basato su fanatismo politico e religioso ma in realtà una sanguinaria macchina per far soldi. Ecco perché la politica di oggi non mi appassiona più. Sono vissuta troppo a lungo tra i classici greci e latini, tra le meravigliose, illuminanti riflessioni di geni universali come Tacito e Tucidide, Eschilo e Sofocle e Platone e Aristotele e mille altri che già avevano visto tutto. Ora ho mille anni e SO che l'uomo è sempre quello, non cambia, le pulsioni quelle, allora come ora, dentro in fondo in fondo. La sua natura si traveste sotto mille forme ma la sostanza è quella del predatore, sotto lo strato sottile di "civiltà" che millenni di storia gli hanno spalmato addosso come una vernice brillante e illusionistica. Come sono contenta che viviamo così poco, eppure così tanto da vedere corsi e ricorsi, così tanto da annoiarsi del dejà vu.
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Gisella Evangelisti - Che i catalani abbiano una lingua  e una cultura propria, non c'é dubbio. Hanno per esempio la sardana, un ballo (noiosissimo), e le  torri umane (fantastiche) dei castellers, con sei o sette gruppi umani sempre piú piccoli uno sopra l'altro; entrambi i costumi inneggiano all'importanza del gruppo. Nei paesini celebrano feste medievali e addirittura dell'epoca romana cosí dettagliate che manca solo la triremi sulla spiaggia. Hanno la passione dei musei e delle memorie.
Possono dimostrarti che Colombo era catalano, e cosi pure secondo loro anche  Cervantes e Leornardo da Vinci nacquero e crebbero in Catalunya. Se non stiamo attenti ci pigliano anche Dante e il Dolce Stil Novo. Ma se io dico agli amici catalani che da un documento del 1432 risulta che Berlusconi e Borghezio nacquero in questa terra, e se li riprendano pure, mica ci credono!
Potrebbero mettere su un museo di AFC (aria fritta catalana) e sono sicura che ci sarebbero file di turisti sul marciapiede. Perché si sanno vendere, i nostri vicini: vendono bene la loro immagine di cittá smart, pulita, coi trasporti funzionanti,  piena di congressi, biblioteche, cineteche,  bycing, centri civici dove i vecchietti possono ballare la rumba e cosi via. Roba da far invidia a tante nostre cittá bellissime lasciate decadere. (meno male che si é svegliata, e alla grande, Matera!!) Vendono bene quello che hanno ed é ammirevole, e anche quello che non hanno, ossia un buon governo, puro e democratico..
Che l'attuale governo spagnolo col suo bipartitismo corrotto sia particolarmente impresentabile, e possa spingere molti alla ricerca di autonomia, é un dato di fatto, cosí come il vestido di Libertador al mediocre Arturo Mas gli stia davvero largo, e il padre della Patria Jordi Pujol sia anche lui un corrotto, che peró a tutti andava bene.
E allora? ridurre le dimensioni di uno stato lo fa piú gestibile, se si mantengono i difetti di quello grande?
A Barcelona "Ci sono tante case vuote senza famiglie e tante famiglie senza casa", leggo su un giornale locale. E bravi!  E che fare degli anziani che cercano cibo nella spazzatura, di quelli che alle otto di sera si rubano il posto per dormire al caldo nello stanzino del bancomat? non ce la fanno piú a stargli dietro, la Caritas e gli Ayuntamientos: é la globalizzazione, giá! e  i problemi globali si affrontano facendo PIU EUROPA, non meno. E se sembra avanzare la  tendenza a che si formino molti staterelli regionali, al posto degli stati, non sarebbe drammatica se contemporaneamente nell'immaginario collettivo non si diluisse ancora di piú l'immagine di una debole Europa. Ma ho l'impressione che questo non interessi ai piú fanatici catalanisti, quanto, piuttosto, i destini del Barça. Se non ci fosse piú la Liga, il campionato nazionale, il Barca non giocherebbe piú col Real Madrid, ma col Cadaqués e col Palamós..oddio, questo sí che é un problema!
E senza esercito come facciamo? non solo se ci invadono quelli di Andorra o del Lichtstein, ma magari se ritornano i deprecati Mori adesso nei nuovi panni dei Decapitatori (anche nostrani) trasferitisi all'ISIS?
Insomma, quello che mi auguro é che separati in casa, divorziati forever o nemici per la pelle, Catalunya e Spagna abbiano, piú prima che  poi, quello che tutti avevamo sempre sognato ma non osavamo dirlo:  un governo decente, attento ai problemi reali del common people.
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Marco Ferretti - Condivido in parte il primo commento (Antonio Ingles). il tono dell'articolo non dà la sensazione di grande obbiettività. Suppongo che la sgradevole similitudine con le nostrane argomentazioni leghiste abbia un po' polarizzato l'approccio di Paolo Basurto.
Se da una parte non si può non prendere atto che la diversità catalana esiste, dall'altra non credo che l'indipendenza risolverebbe i problemi economici della Catalogna.
Qui stiamo cercando di integrare due paesi diversi come l'Italia e la Finlandia in una stessa entità politica, e questi ancora festeggiano la diada (11 settembre 1714, caduta di Barcellona nelle mani di Filippo V di Spagna durante la Guerra di Successione Spagnola).
Fra l'altro non mi pare che nessuno di questi indipendentisti si sforzi di immaginare come una eventuale Catalogna indipendente potrebbe integrarsi nella Comunità Europea, con la Spagna che sicuramente si opporrebbe.
Infine non mi pare che il risultato della consulta sia poi così positivo per gli indipendentisti. Al massimo potranno ritenersi soddisfatti di aver salvato la faccia e aggirato la sentenza della Corte Costituzionale.


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