L'EUROPA DEVE MORIRE !
La miopia degli sfascisti
di Paolo Basurto
Siryza ha appena cominciato a governare la Grecia. Tsipras e il suo ministro per l'economia hanno subito intavolato conversazioni per capire fino a che punto la rigidità della politica cosiddetta dell'austerità avrebbe ancora una volta respinto qualsiasi prospettiva di ammorbidimento in nome dell'inviolabile principio che i debiti si pagano sempre. Un accordo minimo è stato raggiunto tra i governi. Dunque, potremmo essere ottimisti. Forse la Grecia si salva e l'Europa non verrà mutilata, almeno per ora. Invece no. Nessuno applaude. Tsipras aveva promesso fuoco e fiamme, si dice. Basta con le troike, basta con la Germania e con gli altri strozzini del continente. Niente accordi con nessuno. Il popolo greco soffre troppo e non potrà mai pagare i suoi debiti. La Russia, la Cina, la aiuteranno e al diavolo il crudele Occidente... Perché Tsipras ha ceduto? Ha negoziato? Si è accordato con i nemici? Che delusione! In Italia non sembra vero a molti, che si possa dire: vedete? non c'è altro da fare. Questi sono i poteri forti ed è inutile promettere vittorie impossibili. Dall'Europa non si esce e i debiti bisogna pagarli. Le altre alternative sono tutte peggiori, altrimenti perché Tsipras avrebbe ceduto?. Naturalmente questi sono i 'moderati'. Per gli euroscettici viscerali e sfascisti la conclusione è senza mezzi termini: l'Europa deve morire!
E' piuttosto singolare questa coralità di voci pessimiste perché a ben guardare il risultato raggiunto in brevissimo tempo da Tsipras e i suoi ha notevolmente cambiato i criteri stessi con i quali si è finora guardato alla soluzione del problema greco. La questione era semplice: per pagare i debiti si devono ridurre le spese e poco importa che ne vadano di mezzo servizi essenziali e migliaia di posti di lavoro. Solo così saranno possibili altri debiti con i quali andare avanti in una spirale senza fine, dove la crescita serve a pagare gli interessi e non a migliorare la vita. Ma d'altro canto sono stati i greci a fare i debiti e peggio per loro se non sono stati capaci di controllare la propria classe dirigente incompetente e corrotta.
L'Accordo
Ma è proprio in questo contesto che l'accordo raggiunto dalla Grecia è chiaramente un cambiamento di passo, ed è perfettamente coerente con il programma di Salonicco, il Programma politico di Syriza con il quale Tsipras ha vinto le elezioni. Fine dell'austerità e permanenza nell'Unione Europea, questa è sempre stata la strategia esplicita che si sarebbe seguita una volta al Governo. L'Accordo riguarda i nuovi fondi di cui la Grecia ha bisogno per andare avanti almeno altri quattro mesi. I fondi sono stati accordati e il grande fatto nuovo è che le condizioni richieste non sono più le solite riforme strutturali lacrime e sangue, fatte di ulteriori restrizioni di servizi e spese pubbliche. Le riforme alle quali Tsipras si è impegnato rappresentano un primo passo verso la fine dell'austerità cieca, perché sono destinate ad alleviare la terribile situazione di impoverimento che si è creata in questo Paese nel giro di pochi anni. Il nuovo corso promesso da Tsipras prevede tra l'altro la riassunzione di migliaiaia di impiegati statali licenziati ingiustamente e senza criterio, l'innalzamento del minimo salariale a 750 euro, la progressiva eliminazione delle aree di immunità fiscale che finora ha scandalosamente protetto categorie imprenditoriali ricchissime come quella degli armatori, la messa all'asta pubblica delle frequenze televisive e un controllo severo sui crediti che le banche concedono ai mezzi di informazione (comodo strumento di condizionamento della pubblica opinione). Certo, chi si attendeva una rivoluzione bolscevica o il gesto irrimediabile dell'uscita dall'euro, è rimasto deluso. Ma non era questo quanto era stato promesso in campagna elettorale. La fermezza e il buon senso hanno invece dato ottimi risultati, i greci riservano al Governo ancora un buon 80% di consensi e fa rabbia vedere come questo fatto importantissimo non venga valorizzato sufficientemente dalle altre forze politiche, in Grecia come altrove (1). Ha scritto Paul Krugman sul New York Times del 27 febbraio scorso: Nulla di ciò che è successo giustifica la pervasiva retorica del fallimento. In realtà, stiamo vedendo una diabolica alleanza tra gli scrittori di sinistra con aspettative irrealistiche e la stampa economica, che vuole vedere puniti i debitori arroganti.
Al momento il Parlamento tedesco ha già dato il suo assenso all'accordo e non ci si aspettano sorprese dagli altri quattro Paesi che si sono riservati il privilegio di confermare per via assembleare la decisione del proprio governo. Insomma non si dovrebbe negare che una breccia si è aperta nella visione ottusa che i debiti vanno pagati, costi quel che costi. Questa breccia è una grande opportunità per ridare speranza all'Europa, un'Europa che dà priorità alle persone e meno alle regole finanziarie troppo spesso al servizio di poteri politicamente ingovernabili come quelli delle banche, strumenti indispensabili per uno sviluppo economico sano ed armonioso, mezzi di corruzione senza limiti per un capitalismo transnazionale ed esclusivo votato alla speculazione e ribelle a qualsiasi controllo e regola.
Adjustement with Human Face
Quando si scarica sulle spalle dei greci un debito pubblico ormai chiaramente impagabile perché al di fuori delle capacità produttive strutturali di questo Paese, si vuole chiudere gli occhi su una realtà che pure è da tempo evidente. Non sono i greci che hanno consapevolmente scelto la loro classe dirigente che li ha portati al disastro. Il sistema apparentemente democratico è stato abbondantemente manipolato dagli speculatori finanziari. Quando questa manipolazione è arrivata al limite e l'insolvenza si è profilata, le banche hanno mosso l'Europa spostando sui governi dell'Unione l'onere di incassare un debito ormai irrecuperabile. I governi di destra (cioè quasi tutti) hanno accettato truccando questa mossa come gesto di solidarietà. In realtà non avevano scelta che 'salvare' le banche dalle quali la maggioranza delle loro economie dipende. Le hanno salvate, ma hanno così provocato due danni gravissimi: hanno impedito una revisione accurata del debito greco che avrebbe rivelato che almeno un 30/35 per cento di questo è stato contratto in forma illegittima o irregolare (a dir poco); e hanno spostato sui propri governati il peso di un debito altrimenti impagabile.
Niente di nuovo sotto il sole. Negli anni '80, un'operazione simile fu fatta in grande scala a danno dei Paesi cosiddetti in via di sviluppo, la cui classe dirigente era ancora più corrotta e manipolabile di quella greca. Ben presto un debito impagabile si accumulò a livello mondiale e il FMI applicò senza pietà la teoria dell'adjustement, cancellando progressivamente ogni prospettiva di sviluppo socialmente equo e provocando crisi di miseria con conseguenze gravissime persino sulla sopravvivenza infantile. Il costo sociale in termini di vite infantili fu talmente evidente e pesante che persino l'UNICEF osò ribellarsi alla politica del FMI, scatenando nel suo piccolo, una campagna umanitaria che fu conosciuta col nome di uno studio che ancora oggi (e a ragione) viene citato: Adjustement with Human Face. Anche se i risultati furono timidi, molti governi ricchi si convinsero che l'unico modo per uscirne era quello di cancellare parzialmente o totalmente il debito. Cosa che fu fatta solo per i Paesi più deboli e più piccoli. Ma quella crisi ha lasciato cicatrici ancora non rimarginate in Paesi come l'Argentina che quel debito si sono in parte rifiutati di pagare e che adesso scontano un isolamento finanziario insensato e ottuso. Anche allora le banche si salvarono spostando sui paesi ricchi, attraverso gli Organismi internazionali, il debito che esse stesse avevano aiutato a fare accumulare. La conseguenza è che quelle istituzioni finanziarie, che dovevano essere l'embrione di un sistema mondiale di buon governo economico e finanziario, si sono notevolmente screditate perdendo autorevolezza e calamitando il facile odio delle demagogie nazionaliste. Proprio come accade oggi per l'Europa e per le sue istituzioni. Ma se in epoca di relativa bonanza i Paesi industrializzati poterono assorbire gli insoluti bancari nel Terzo Mondo senza troppi traumi e nell'indifferenza di un'opinione pubblica abbastanza disinformata, in epoca di crisi grave e prolungata come quella attuale è difficile trovare chi si accolli i costi pesanti di speculazioni spericolate e spesso illegali senza forti reazioni sociali e politiche. Se l'Europa non avesse avuto governi (quale che ne fosse il colore) assolutamente soggiogati dai dogmi del liberismo senza regole e fosse stata capace di reagire allo strapotere dei circoli finanziari che ormai dominano il mondo, oggi esisterebbero alternative non solo per i greci ma per tutti coloro che pur senza avere avuto nessuna partecipazione alla creazione di questi debiti giganteschi che strozzano l'economia produttiva, ne stanno ora pagando il prezzo sulla loro pelle.
Bancocrazia
Capisco che la mia possa sembrare un'analisi superficiale che attribuisce al solito complotto dei misteriosi poteri forti il male che muove gli uomini cattivi ad abusare di quelli buoni. Ma di tanto in tanto emergono fatti che dovrebbero indurre ad approfondire questo maledetto problema del debito, feticcio negativo che nasconde nell'anonimato troppe cose giustamente assai sospette.
E' di alcune settimane fa la notizia che tra i clienti delle Banche UBS e HSBC si trovassero oltre ai soliti evasori fiscali anche sovrani e capi di Stato in carica. Ma questo ormai non stupisce più nessuno. Quello che sì, avrebbe dovuto stupire è che tra i conti rivelati ve ne sono alcuni inequivocabilmente destinati al terrorismo armato (notizia confermata da vari servizi segreti europei e non). Ebbene, questa notizia ha turbato solo per qualche giorno. Ormai è già insabbiata e le due banche continuano ad essere considerate tra le più grandi ed efficienti del mondo.
Bancocrazia (2), così Eric Toussaint ha chiamato il suo ultimo libro e certamente è un buon titolo. Toussaint lavora da anni sulla questione del debito ed è uno dei promotori dell'iniziativa francese Audit Citoyen che sta avendo notevoli risultati nel riesaminare il debito pubblico contratto dagli enti locali, grazie a una forte mobilitazione della cittadinanza (ne abbiamo dato conto in questo sito). Sono molte le cose sorprendenti (e ben documentate) che può offrire la lettura di questo libro.
La globalizzazione in termini finanziari significa la concentrazione del potere di investire e disinvestire capitali da capogiro, nelle mani dei consigli di amministrazione di non più di una cinquantina di banche. Tante sono le banche internazionali considerate 'grandi' perché le loro dimensioni consentono una presenza planetaria e gli attivi dei loro bilanci annuali spesso superano il PIL del loro Paese di origine. E, tanto per citarne qualcuna, nel 2011 il Santander aveva un attivo che rappresentava il 118 per cento del PIL spagnolo, così come l'attivo del Barclays superava quello inglese di 14 punti percentuali mentre il PNB Paris Bas uguagliava il PIL francese.
Ma la mostruosità di questi colossi bancari non sta solamente nelle dimensioni dei loro attivi e della potenza di fuoco di cui sono capaci semplicemente muovendo i loro giganteschi capitali. La loro rapacità speculativa sembra ormai non avere limiti da quando le norme di controllo sul mondo finanziario, norme volute fortemente da Roosvelt dopo la grande crisi del '29, sono scomparse grazie alla Scuola di Chicago e ai loro adepti, primo tra i quali Donald Reagan, il Padre della de-regulation.
Da quando con la scomparsa di sistemi di controllo, della tradizionale e sana distinzione tra Banche di deposito e Banche d'affari, e con l'applicazione di forti riduzioni fiscali alle rendite finanziarie, le Banche intervengono dovunque. Nate per sostenere investimenti produttivi e commercio, oggi le Banche sono sostanzialmente delle slot machines, delle macchine mangiasoldi il cui unico scopo è aumentare i loro capitali e dunque le loro capacità di controllo. Capacità dalla quale dipende anche buona parte dei loro guadagni, perché oggi le Banche hanno come principale attività quella di scommettere, scommettono su tutto, sulla crescita e sulla decrescita, sui cambi che vanno su e su quelli che vanno giù, sui prezzi delle materie prime e persino sulle derrate alimentari. E se le scommesse non si vincono allora si manipolano.
Banditismo bancario
Jean Ziegler, relatore alle Nazioni Unite per il diritto all'alimentazione, affermò senza mezzi termini, in un'intervista rilasciata nel 2012 (3), che la crisi del 2007-2008 fu provacata dal banditismo bancario, grazie al quale i prezzi degli alimenti di base (mais, riso e frumento, che soddisfano il 75 per cento della richiesta mondiale) aumentarono in modo sconsiderato e ingiustificato; il mais del 93 per cento; il riso aumentò da 105 a 1.100 dollari la tonnellata e il frumento nel primo semestre del 2012 raddoppiò il suo prezzo. Sono europee molte delle Banche che fanno il bello e il cattivo tempo nel settore alimentare e sono sempre le stesse: PNB, Duetsche Bank, Crédit Suisse. Un gioco tragico che, secondo dati della stessa Banca Mondiale provocò un drastico aumento della malnutrizione a livello mondiale. Nel 2008, nel pieno della prima fase della crisi, mentre Bush annunziava la creazione di un fondo di ben 700 miliardi di dollari per 'salvare' le banche sull'orlo della bancarotta, il prezzo della soya (altro alimento fondamentale nella dieta di miliardi di persone) schizzava rapidamente del 60 per cento. Naturalmente i Fondi d'investimento basati sulle materie prime alimentari andarono a ruba e questo spiega uno dei meccanismi che mossero le Banche ad accaparrarsi enormi quantità di derrate alimentari aumentandone così artificialmente il prezzo e quindi il rendimento dei Fondi. Una pubblicità belga offriva così prodotti di investimento finanziario nel settore alimentare: "Approfittate dell'aumento dei prezzi. La scarsità d'acqua e di terre agricole faranno la vostra fortuna".
Il termine banditismo usato da Ziegler non è un'esagerazione. Gli illeciti commessi dalle istituzioni finanziarie sono stati spesso rilevati dagli organi della giustizia di vari Paesi. Ma queste istituzioni sono ormai così grandi e influenti che incolparle delle loro attività criminali podrebbe avere serie ripercussioni nelle economie nazionali e mondiali. Così pensava Eric Holder, nientemeno che il Procuratore Generale degli Stati Uniti in una sua testimonianza data alla Commissione giudiziaria del Senato USA, nel 2013 (4). Sarà un'affermazione cinica quella del Procuratore Generale ma la realtà è che questi giganti sono ormai incontrollabili perché hanno accumulato un'enorme capacità di ricatto. Infatti seguono imperturbabili nelle loro operazioni rischiose e dannose, eppure le prove delle loro malefatte non mancano. Solo per citarne alcune: HSBC è stata scoperta complice di collaborare con i Cartelli della droga messicani e colombiani ed è stata provata la sua responsabilità nel lavaggio di denaro sporco per almeno 880 miliardi di dollari (5).
Nel 2012, diciotto tra le maggiori banche internazionali furono trovate responsabili della manipolazione del Libor (London Interbank Offered Rate) uno dei più importanti indicatori finanziari utilizzato tra l'altro per il calcolo degli interessi dei mutui a tasso variabile. Tra gli istituti coinvolti, gli immancabili UBS, Barclays, Deutsche Bank e la Royal Bank of Scotland.
Il Deutsche Bank, tanto caro alle Autorità monetarie tedesche, ha un dossier criminale per niente disprezzabile che va dalla vendita fraudolenta di titoli di garanzia, al falso in bilancio, alla manipolazione dolosa del prezzo di materie prime e alla corruzione di gestori di fondi pensione (grandi acquirenti di titoli bancari) giapponesi. Non manca l'accusa (ancora non provata) di lavaggio di denaro sporco.
E, a proposito di Grecia, una delle Banche più coinvolte nella famosa falsificazione dei conti pubblici greci è la Goldman Sachs, peraltro già più volte denunciata per frode, vendita abusiva di titoli ipotecari, sequestro illegale di immobili nonché condannata dall'Autorità di vigilanza finanziaria (SEC) degli USA per aver raggirato i suoi clienti nella vendita di un prodotto bancario, l'ABACUS (6).
L'elenco potrebbe continuare e si ritroverebbero praticamente tutte le poche decine di istituzioni bancarie internazionali che contano e alle quali Toussaint non risparmia indagini accurate anche sulla composizione estremamente significativa dei loro patrimoni e sui legami incrociati che spesso legano i loro Consigli di Amministrazione.
Ma quello che più colpisce è l'impunità. Per quanto il panorama delittivo sia inequivocabile e la giustizia riesca di tanto in tanto ad intervenire, queste Banche continuano tranquillamente ad operare pagando al massimo multe generalmente irrisorie per i loro patrimoni o dando in sacrificio (raramente) qualche loro dirigente troppo disattento e licenziandolo in forma dimostrativa. La loro licenza operativa è rimasta intoccabile.
La Speranza dell'Europa
E' una situazione kafkiana a livello mondiale. Un incubo dal quale non è facile uscire. La ricetta di Toussaint, sintetizzata all'osso, è nazionalizzare le Banche e metterle sotto il controllo dei suoi stessi clienti. Decisamente la proposta può sembrare ingenua e semplicistica, mette però il dito nella piaga: i Governi hanno perso ogni capacità di confronto con queste forze ultrapotenti e molti se ne sono lasciati asservire. L'unica altra possibilità di reazione e di difesa sta negli utenti, nei cittadini, nella gente comune, vittime costanti di un sistema vorace e criminale. Ma i cittadini di un Paese non bastano perché il fenomeno è planetario. Inoltre parlare di cittadini, di gente comune, di popolo è un po' cadere nella retorica che un tempo animava il socialismo d'azione. Le masse sono manovrate e manipolate con effetti ancora più perniciosi di quelli degli indicatori finanziari falsificati.
Tsipras e il suo partito hanno colto una fase di disperazione del popolo greco e sono riusciti a creare una breccia. Non bisogna lasciarlo solo. Bisogna che questa breccia si allarghi, che gli Indignati si organizzino e lo facciano a livello europeo. Podemos in Spagna è un'altra speranza in questo senso. La convergenza di queste due forze nuove basate su nuovi schemi di partecipazione politica può avere successo solo se riesce a contagiare l'intero scacchiere europeo. Chi sostiene che l'Europa deve morire non ha capito nulla della realtà nella quale ci troviamo e farà solo, e ancora una volta, il gioco dei grandi speculatori.
E' nell'Europa che bisogna agire. Agire con nuove espressioni politiche, aprendo a valori di partecipazione autentica, che convincano la gente ad esercitare i suoi sacrosanti diritti di indirizzo e di giudizio dell'operato dei Governi.
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(1) Vedi anche l'art. di Dimitri Deliolanes sul Manifesto del 22 febbraio.
(2) I riferimenti a questo libro sono tratti dall'edizione spagnola "Bancocracia",ed. Icaria, nov.2014.
(3) Bancocracia, pg. 148.
(4) Ibid. pg. 166.
(5) Ibid. pg.175.
(6) Ibid. pg.202.