LA NUOVA MINIERA D'ORO: I MIGRANTI

di Gisella Evangelisti

Mentre a Barcellona  400.000 persone scendono in piazza il 18 febbraio per chiedere al governo che accetti una buona volta di accogliere  i 16.000 migranti destinati alla Spagna nell'ambito dell'accordo stipulato dall'Unione Europea nel 2015, il “quartetto ribelle” composto da Ungheria, Polonia, Repubblica Ceca e Slovacchia, insiste che non fará entrare neanche un profugo sul suo sacro suolo. In un clima di crescente timore e/o intolleranza della popolazione europea verso i migranti, spesso associati tout court con criminalità e terrorismo, ci appare significativa una ricerca condotta sul campo da due giornaliste americane, Malia Polizter ed Emily Kassie, che hanno viaggiato in quattro punti chiave o "hotspot" della migrazione: il Niger, la Turchia, la Sicilia, Berlino, per osservare i cambiamenti che si verificano in queste società. Cambiamenti nell'economia, nella politica, nei rapporti di potere. Intorno ai migranti, scoprono le giornaliste, si muove una vera e propria "corsa all'oro", come quella verso la California nell'800, ma  stavolta con dimensioni globali. "Il Gold Rush del 21 secolo" – Come la crisi dei rifugiati cambia l'economia mondiale, è il titolo della loro ricerca, pubblicata nel dicembre 2016, con il sostegno del Pulitzer Center on Crisis. Allora, chi si arricchisce sulla pelle dei migranti, diventati la nuova "miniera d'oro" del 21° secolo?

 In Turchia, a Istambul ma soprattutto nelle città vicino al confine con la Siria, come Gaziantep, le giornaliste hanno osservato come i profughi siriani, accolti in massa, ma senza un permesso di lavoro, per sopravvivere hanno dovuto mandare i figli a lavorare, e 400.000 bambini stanno perdendo la scuola. Ragazzi e ragazze sono pagati la metà degli adulti, e questo contribuisce a far diminuire i salari e le opportunità di lavoro per gli adulti non qualificati, soprattutto se donne. Per quanto riguarda la Siria, la sua economia é crollata con la guerra di un 75%, e manca di tutto. Così nelle città di confine con la Turchia c'è chi si é dedicato a produrre o scambiare cibo, medicine, materiali di costruzione eccetera, sia per le aree controllate dal governo che per i gruppi di opposizione e ISIS. Arricchendosi alla grande. Infatti, le imposte sul passaggio di merci e persone (profughi)  tra un luogo e l'altro, anche tra aree "nemiche", oltre ai rapimenti per il traffico di organi, si sono dimostrati molto più redditizi delle attività di un'economia formale, e questo è uno dei i motivi per cui questa guerra sembra destinata a durare all'infinito.
Per conoscere le modalità della migrazione Africa-Europa, le giornaliste hanno viaggiato ad Agadez, una città nel centro del Niger, dal 1400 centro di scambi tra i popoli del deserto del Sahara, e considerata patrimonio artistico dell'umanità dall'UNESCO. Dopo il collasso della Libia Agadez è diventato un importante punto di passaggio per i migranti subsahariani diretti a nord, attraverso il terribile deserto del Ténéré. Sulla pelle dei migranti, ad Agadez si sta arricchendo un gruppo di personaggi: prima di tutto, gli "agenti informali", che organizzano il viaggio da piccoli centri del Burkina Faso o Gambia, fornendo alloggio, trasporti, cibo, lungo il percorso. Sono responsabili che i migranti arrivino in modo sicuro alla "Casa Bianca", il principale punto di transito in Libia verso l'Europa. In più ci sono i proprietari dei ghetti  dove ammucchiano almeno un centinaio di persone per volta, i camionisti che attraversano il deserto, i poliziotti che riscuotono le tangenti, gli sfruttatori della prostituzione. Molte ragazze originarie del Gambia o Nigeria, vengono convinte a emigrare da parenti o "madame" (ex prostitute) provenienti dall'Europa con promesse di ricchezza, o costrette a viaggiare per aiutare la famiglia. Prima di partire, devono passare per  riti magici di "juju" dei guaritori locali, e ad Agadez hanno la loro iniziazione alla prostituzione, tra percosse e stupri. Dopo la quinta e ultima preghiera musulmana della sera, le ragazze bloccate in casa tutto il giorno sono messe in strada per guadagnare, con il corrispondente di 3 euro per prestazione sessuale, la cifra di 3.000 euro necessaria per essere trasportate in Libia.
 
L'"agente di viaggio" che riesce a organizzare viaggi e soggiorni di una media di 66 migranti al mese, guadagna sui 17.000 € in totale. Ancora piú ricchi diventano i trafficanti di droga (hashish, cocaina e oppioidi analgesici), nascosta nei camions. Il viaggio attraverso il deserto dura due o tre giorni, anche se a volte si scelgono percorsi alternativi più lunghi e più pericolosi per evitare di pagare le tangenti. In Libia la droga viene ripartita fra vari contatti. Se capita un guasto meccanico durante il viaggio, è l'inferno. Secondo il Danish Refugee Council, le morti nel deserto, non registrate, sono superiori a quelle registrate nel Mediterraneo, che sono state piú di 5000 nel 2016. Una volta che i migranti arrivati in Libia, avvisano l'agente di viaggio che tutto è andato bene, questi paga il proprietario del camion. Prima di tornare, il camion è riempito di armi, che potranno essere vendute a gruppi secessionisti in Niger, ad Al Qaeda nel Maghreb, al gruppo ISIS, o Boko Haram in Nigeria, tra gli altri. Così Agadez è diventata un fiorente commercio di armi, riciclaggio di denaro, traffico di migranti e prostitute. Un fiume di denaro che non beneficia la popolazione, ma gli attori del traffico e le amicizie del governo. E, al contrario, continua ad alimentare il terrorismo da cui fuggono i migranti.
 
La Libia, lo Stato che prima della “Primavera araba”, dell'eliminazione di Gheddafi da parte della coalizione occidentale e della successiva guerra interna aveva il piú alto indice di sviluppo umano e attraeva migranti da tutta l'Africa, come si sa continua nel caos. Attualmente, gran parte del territorio libico è dominato dalle milizie che controllano anche un centinaio di centri di detenzione illegali dove amassano i migranti, sottoponendoli ad abusi estremi. L'UNICEF riporta il numero di 250.000 persone imprigionate nei  centri di detenzione, o schiavizzate nei  "campi di lavoro". Le donne e i bambini sono quelli che soffrono più violazioni, in attesa di attraversare le duecento miglia di mare che separano l'Africa dalla Sicilia, verso la sognata Europa.
 
Le leggi che fabbricano illegalitá
Teoricamente la Sicilia e l'Italia dovrebbero essere solo una tappa verso il prospero Nord Europa, tuttavia, per la mancanza di impegno nella distribuzione delle quote di migranti tra gli stati dell'Unione Europea, l'Italia si trova ad affrontare una situazione sempre più problematica, dovendo gestire l'accoglienza e la selezione di 181.000 persone arrivate nel 2016, oltre a integrare le decine di migliaia di quelle arrivate in precedenza. Ci vogliono da 6 a 18 mesi per esaminare la richiesta di asilo e reubicare verso una determinata destinazione profughi e migranti, che nel frattempo vengono alloggiati in alberghi o centri di accoglienza, ma senza permesso di lavoro. Poi, quando alla stragrande maggioranza di loro viene negato il permesso di residenza, di solito non hanno né la possibilità né il desiderio di tornare in patria, per la mancanza di accordi con i paesi d'origine e l'alto costo del viaggio di ritorno. Quindi, questa situazione legislativa risulta una vera e propria "fabbrica di clandestinitá".  Che possono fare persone di pelle scura, con competenze molto diverse, senza conoscere la lingua, in un paese che ha la disoccupazione giovanile al 42%? E´ facile immaginare come il lavoro illegale (in agricoltura nel migliore dei casi), il traffico di droga o lavori sporchi per la criminalità locale possano rappresentare una via d'uscita.

Non mancano le sorprese, a questo proposito, come hanno potuto osservare le due giornaliste, girando per  il mercato di Ballarò, un antico e pittoresco mercato di Palermo. Prima dominato da Cosa Nostra, che costringeva i negozianti a pagare il “pizzo”, ora di notte il mercato è frequentato da bande di africani, come i nigeriani “Black Axé”. Grazie a quali patti fra "Cosa Nostra" e gli africani?  c´é da chiedersi. A quanto pare, la mafia siciliana, piuttosto debilitata dalla giustizia negli ultimi anni, ha imparato a differenziare i suoi redditi, dedicandosi anche alle energie rinnovabili (sí! che bravi!) e alla (mala) gestione dei centri per migranti, (perché "con loro si puó guadagnare più che con la droga", come disse un mafioso in una famosa intercettazione telefonica di Mafia Capitale), oltre che prestandosi come "agenti di viaggio" per i migranti che vogliono  andare verso il Nord Europa.  Insomma, "Cosa Nostra" continua a gestire il traffico della droga su larga scala, ma permette agli africani a Palermo il piccolo traffico di strada, sempreché sia diretto ad altri africani, non portino armi ma solo machete, e paghino qualcosa  per l'utilizzo del territorio. In particolare, sembra lascino loro il lucroso business della prostituzione delle donne africane, (che ha avuto in Italia negli ultimi tre anni un incremento del 300%), perché considerato poco rispettabile dai mammasantissima. Per liberarsi dai loro rapitori, le donne devono pagare da 30.000 a 50.000 euro. Osas Yvonne,  una ex prostituta nigeriana, ha fondato a Palermo un'associazione  in contatto con l'Africa per cercare di far capire alle donne di Benin City, in Nigeria, che i soldi non cadono dagli alberi in Europa e che nella prostituzione si fa una vita dura.
Un'altra preoccupazione è il fatto che le bande africane, di cui gli immigrati sono vittime e non alleati, possano espandere i loro traffici nel territorio europeo.
 
Per quanto riguarda la Germania, l'accoglienza di un milione di profughi nel 2015, (una parte dei quali accettati in vista della prossima crisi demografica che renderá difficile il mantenimento del welfare), ha rappresentato una vera e propria sfida.  Di fronte all'arrivo di migliaia di persone in poche ore, le autorità tedesche hanno dovuto allestire in fretta e furia  palestre, o hangar (addirittura anche il vecchio aeroporto usato da Hitler per le sue cerimonie, il Tempelhof di Berlino) come centri temporanei di accoglienza. Per far questo inizialmente sono state incaricate le ONG, ma non essendo queste in grado di farvi fronte, sono state convocate successivamente le aziende private in grado di fornire case gonfiabili, containers e simili, a prezzo di economia di scala, ma di qualità a volte scadente. Per quanto riguarda il lavoro,  osserviamo che finora sono stati assunti nelle grandi aziende solo 63 migranti, perché l'apprendimento del tedesco e dei  processi tecnologici richiede un tempo abbastanza lungo. Tutto questo movimento di denaro intorno ai  migranti beneficia l'economia tedesca, che continua a crescere, ma questo dato non è sufficiente a frenare l'influenza del partito nazionalista "Alternativa per la Germania" di Frauke Petry, che soffia sul fuoco del razzismo e alimenta l'ostilitá verso i migranti, associati tout court al terrorismo. Fino a qui, la ricerca delle due gionaliste.
 
Quali alternative?
E 'possibile evitare la “fabbrica di clandestinitá” che produce tanta insicurezza nei migranti e anche nella popolazione residente che si sente “invasa” da gente diversa e apparentemente oziosa? Ci chiediamo. Le organizzazioni della società civile, dalla Comunitá di Sant' Egidio alla Chiesa Valdese, le centinaia di variopinte Ong e le migliaia di volontari che lavorano a contatto coi migranti dicono di sì, e sono misure che rispondono al buon senso. Si tratta essenzialmente di tre proposte di legge: i "corridoi umanitari" da zone di guerra o campi di rifugiati, che eviterebbero la tragica rotta mediterranea, i visti per studio, lavoro o ricongiungimento familiare, e la "protezione umanitaria" con permessi di soggiorno di due anni per coloro che hanno sub¡to violenza in Libia e rischiato la vita attraversando il mare ma a cui non è stato concesso l'asilo. Invece, di fronte alla crescente ondata di argomenti razzisti e anti-europei in molti paesi, e contro il pericolo stesso della propria dissoluzione, l'Unione Europea sta optando per ridurre i visti e chiudere anche la via del Mediterraneo, dopo aver chiuso la rotta dei Balcani con un accordo discutibile ma efficace con la Turchia. La sua strategia è adesso quella di fornire fondi ai paesi africani, da dove provengono i migranti, in modo da fermarli prima che partano e rimpatriarli se sono giá partiti, offrendo loro anche opportunità di sviluppo.

Tutto bene sulla carta: aiutiamo nei loro paesi.

Alcuni risultati sono visibili ad Agadez, dove passarono 70.000 migranti nel 2016, mentre adesso ce ne sono  circa 1.500, sono stati arrestati 100 trafficanti e sequestrati i loro veicoli, e il presidente del Niger Mahamadou Issoufou riceve finanziamenti europei per l'educazione, la salute, la sicurezza alimentare, lo sviluppo rurale. Saranno in grado di migliorare la vita delle persone o finiranno in tasca ai burocrati?  Ci chiediamo. Ancora più complessa è la situazione in Libia (dove il governo di Tripoli di Al Serraj controlla solo la capitale), a cui l'Unione Europea concederá  400 milioni di euro per rafforzare la guardia costiera e bloccare l'uscita dei barconi,  aumentando allo stesso tempo il giá alto numero di centri di detenzione,  e favorendo i rimpatri volontari. Qui, il dettaglio che preferiamo  non vedere è che in Libia chi dovrebbe pattugliare la costa è direttamente coinvolto nel traffico di migranti. Alcune guardie costiere recuperano i migranti in mare e li vendono alle milizie che trasportano nelle carceri illegali, sequestrandoli fino a quando qualche parente paga per il loro rilascio. Inoltre, ogni migrante paga per il viaggio in Sicilia circa 1500 euro, e nel 2016 i trafficanti hanno realizzato un guadagno di  250 milioni di euro, che in un paese distrutto significa molto. Non sará facile quindi riuscire a fermare il flusso dei migranti, perché quando si chiude una rotta, per disperazione o illusione i migranti ne cercheranno altre.

Il "salto"
Una storia abbastanza insolita ci aiuta a capire ciò che spinge molti migranti.
In Marocco c'è una montagna, dove si gode uno splendido panorama sul mare blu del Mediterraneo; uno spettacolo piacevole, ma non per i turisti. Sul Monte Gurugú, che domina la città di Melilla, enclave spagnola in Marocco, sono accampati un migliaio di giovani provenienti da paesi africani in guerra con la miseria. Si preparano ad attraversare una recinzione metallica tripla, la principale delle quali é  alta sei metri ed é dotata di lame, sensori elettrici, telecamere per la visione notturna, ed altro, che protegge la città di Melilla. Da lì, se sono in grado di superare la “missione impossibile” e posare i piedi a terra, cercheranno di proseguire il viaggio e raggiungere in qualche altro modo, pericoloso e illegale, l'Europa. Intanto alcuni muoiono per le ferite, altri rinunciano dopo un paio di tentativi e tornano indietro, altri  affogheranno in mare. Di tanto in tanto la polizia arriva a bruciare il campo, e le poche cose dei migranti, coperte, pentole, sacchi di riso. Un anno fa sono arrivati a Gurugú con la loro videocamera due documentaristi tedeschi, Estephan Wagner e Moritz Siebert, per intervistare i migranti. Uno di loro, il maliano Abou Bakar Sidibe, un ex insegnante di inglese esperto in tutti i lavoretti del mondo per sopravvivere, si é entusiasmato tanto della videocamera, che i tedeschi gli hanno permesso di fare lui il documentario sul campo. Così,  Abou ha girato i momenti felici in cui i ragazzi giocavano appassionate  partite di calcio; i momenti tristi, quando dovevano avvisare i parenti della morte di uno di loro; i momenti di preghiera, le paure e i dubbi; i rituali per la buona sorte, come quello di spruzzare sangue di gallo sul disegno di un cuore, ma soprattutto, i momenti di tensione quando tutto il gruppo si organizzava per attraversare la recinzione, in un'azione a sorpresa all'alba dopo aver lasciato silenziosamente la montagna durante la notte. Il fattore chiave era riuscire a formare un gruppo compatto di qualche centinaio di persone, per rendere difficile l'opposizione di qualche decina di guardie.  (Recentemente, c' è stato un assalto alla recinzione da parte di 800 migranti,  e 400 di loro sono riusciti a superarla). Il documentario mostra tutto questo e altro: perché i migranti perseguono questi sogni ostinati, per esempio. “Ci hanno rubato tanto, gli europei. Abbiamo il diritto di andare in Europa”, dice uno. “Mio fratello mi chiama dalla Francia, o dalla Germania, mi incita a provarci anch'io, ci riusciró”, dicono altri.  “O forse, vedró che tutto sará stato inutile”, dice un altro ancora. 
Il documentario “Les sauteurs”, “Quelli che saltano”, termina senza che possiamo sapere se Abou riuscirá o no a saltare quei dannati sei metri di spade e coltelli. Sappiamo che tempo dopo, nel 2016, il documentario viene presentato al festival di Berlino. E all'improvviso appare Abou Bakar, in carne e ossa, e dice: “Eccomi qua. Illegale”. Il documentario ha vinto il Premio della Giuria Ecuménica.
DESIGN BY WEB-KOMP