GLOBALIZZAZIONE, NEO-LIBERISMO, PROTEZIONISMO
(Tempi Moderni VIII)
 (link ai capp. I, II, III, IV, V, VI, VII )
di Marco Borsotti
                                                                                                                   
Soffiano altri venti
Ancora agli inizi del 2016, molti, tra cui io stesso, pensavano che la globalizzazione come modello di mercato stesse vincendo la battaglia, aprendo spazi per una nuova visione del capitalismo. Infatti, accordi commerciali incrociati che interessavano quasi tutte le aree del pianeta erano in procinto d'essere firmati a prescindere da una crescente pressione popolare che tentava, senza grande successo, di bloccarne il cammino. Questi accordi, tutti abbastanza simili nei contenuti, ambivano eliminare ogni possibile ostacolo alla circolazioni delle merci sopprimendo non soltanto i balzelli che avrebbero potuto appesantirne la loro distribuzione, ma anche gran parte delle normative a tutela dell'ambiente e dei consumatori che molti Stati avevano introdotto.
  Essi prevedevano, infatti, con clausole segrete, meccanismi che avrebbero permesso alle imprese multinazionali di chiedere risarcimenti multi-miliardari agli Stati che con normative restrittive avessero potuto danneggiare le loro aspirazioni di profitto in nome di interessi e valori sociali che venissero considerati prioritari agli interessi delle imprese. Un esempio di questi meccanismi, le cause già intentate dalla Philip Morris, che controlla a livello mondiale il commercio del tabacco, contro alcuni paesi che avevano introdotto leggi per obbligare il colosso delle sigarette ad inserire su ogni pacchetto una campagna di dissuasione dal fumo anche con immagini molto forti che mostrassero gli effetti del tabacco per informare i loro potenziali clienti dei rischi spesso mortali associati con il tabagismo. Ovviamente, questo colosso multinazionale non aveva iniziato attaccando grandi Stati o associazioni di Stati come la Unione Europea pur se anche loro avevano già imposto simili regolamenti per la vendita, ma paesi meno importanti come Togo, Uruguay e da ultimo Australia. Il disegno era ovvio. Per vincere cause future era indispensabile creare dei precedenti che poi potessero fungere d'appoggio quando Philip Morris avesse deciso di muovere le sue azioni legali contro avversari molto più impegnativi, almeno sulla carta. Per chi volesse approfondire il tema in questione, suggerisco la lettura del mio dossier: Il Mistero del TTIP su partecipagire.net
Ad oggi due di questi accordi sono stati firmati, il TPP e CETA, il primo tra un gruppo di paesi rivieraschi dell'oceano pacifico ed il secondo tra il Canada e l'Unione Europea. Il primo é stato firmato, ma il processo di ratificazione si é bloccato per la decisione degli Stati Uniti che tanto si erano spesi in passato per la sua approvazione, di denunciarne la ratifica e di fatto deragliarne la messa in atto. Il secondo, per il momento resterebbe formalmente in atto, anche se la sua attuazione risulterebbe molto compromessa se nessuno degli altri accordi dovesse giungere a buon fine.

Come accennato precedentemente, sono ormai trascorsi quasi due anni da quando pubblicai su Partecipagire.net uno studio sul TTIP, accordo commerciale tra gli Stati Uniti e l'Unione Europea, uno degli accordi sopra menzionati per il momento congelato. In quel lavoro di ricerca spiegavo, spero in modo convincente, le ragioni che a mio vedere avrebbero dovuto bloccarne l'approvazione. Poco dopo, le mie tesi sono state avvalorate dalla pubblicazione realizzata da Greenpeace Olanda di stralci delle parti segretate del testo della bozza d'accordo, appunto quelle che avrebbero permesso ad imprese private di mettere in discussione decisioni sovrane dei Parlamenti Nazionali sino ad arrivare ad ottenere la cancellazione di norme già approvate con la sola giustificazione che la loro attuazione avrebbe compromesso le aspettative di guadagno dell'impresa. Si tratterebbe di un vero paradosso legislativo che permetterebbe di considerare prioritari gli interessi delle imprese a scapito delle tutele dei cittadini anche quando queste leggi fossero state approvate con voto democratico dei vari Parlamenti nazionali tenendo in dovuto conto giustificazioni scientifiche come quelle che sconsigliano il fumo sia attivo che passivo per i rischi connessi. Badasi bene, non si tratterebbe neppure di guadagni realmente persi, ma bensì d'aspettative di guadagno, cioè nella pratica nulla di più che sogni futuri.
In sostanza, questi accordi sancirebbero il predominio del liberismo di mercato sulla democrazia, cioè quello che, come già scritto in precedenza, era auspicato da pensatori come Friederick Hayek, Ayn Rand, Milton Friedman.

Il liberismo non fa mistero di considerare la democrazia in qualunque delle sue forme un ostacolo allo sviluppo del libero mercato. Di questo scriveva in modo chiarissimo Hayek che nel suo libro   “ La Società libera” (titolo originale The Constitution of Liberty) pubblicato nel 1960 e che gli valse anche l'attribuzione del così detto Premio Nobel per l'economia (così detto perché Alfred Nobel non istituii mai questo premio essendo gli originali premi Nobel assegnati dal 1901 quelli per: Pace, Letteratura, Medicina, Fisica e Chimica, mentre quello per l'Economia fu stabilito dalla Banca Di Svezia nel 1969 ed é attribuito separatamente) definisce chiaramente quale debba essere l'ordine di valore tra liberismo e democrazia, dove il liberismo deve sempre e comunque predominare come valore assoluto prioritario su tutto, anche, ed io direi soprattutto, sulla democrazia. Quando nel 1973 Augusto Pinochet attuò il colpo di Stato in Chile uccidendo il Presidente Allende e massacrando e torturando decine di migliaia di oppositori, Hayek fu tra i primi a complimentarsi offrendo il proprio aiuto. Egli arrivò all'audacia di proclamare che per lui era meglio vivere in una dittatura che attuasse il liberismo economico che in una democrazia senza di esso.

I paladini moderni della globalizzazione
Quando si discute di globalizzazione verrebbe da pensare che i suoi difensori più loquaci ed instancabili dovrebbero trovarsi tra le schiere di coloro che proclamano una fede politica conservatrice. Invece, attualmente, almeno per quanto riguarda gli strumenti legali per facilitarne la realizzazione i difensori più determinati appartengono in gran parte alla social democrazia occidentale nelle sue varie forme che vanno dal partito socialista francese, al PD italiano, alla versione terza via del Labour inglese o del Partito Democratico statunitense, la visione Clinton-Blair, per intenderci. Non penso con quanto scrivo asserire che il liberismo non abbia anche importanti fautori in campo conservatore, pensiamo a personaggi come Roland Reagan, Margaret Thatcher, Alan Greenspan, Therese May, Wolfgang Schäuble, ma soltanto far notare come faccia specie che una simile ideologia trovi convinti sostenitori anche tra coloro che proclamano aderire ad una visione di sinistra del mondo, una visione, cioè, che dovrebbe mettere al primo posto gli interessi delle grandi masse e non, come proclamato dal liberismo, gli interessi di limitate oligarchie.

Quando per un momento sembrò che una piccola minoranza vallona potesse deragliare la firma del CETA da parte di tutta l'Unione Europea, il premier canadese Justin Trudeau, figura molto popolare nel mondo socialdemocratico, mise sul piatto della bilancia tutto il peso della sua popolarità minacciando cancellare il suo viaggio in Europa se il Belgio non fosse riuscito a portare a più miti intendimenti questo suo gruppo di riottosi cittadini.
In Italia, il governo PD nella persona del Ministro Calenda ha dato tutte le rassicurazioni alla Commissione Europea che firmerà il TTIP, se mai gliene sarà data l'opportunità, anche se l'opposizione a questo accordo sta crescendo nel paese. Persone come Tony Blair che, ormai fuori dall'arena politica inglese, non perde occasione per dare il suo appoggio a qualunque iniziativa che favorisca in qualche forma l'instaurarsi dell'economia globale. Come potrebbe non farlo, visto il ruolo di spicco che svolge non solo in medio oriente come mediatore politico, ma soprattutto per i suoi lucrativi incarichi nel promuovere la costruzione di oleodotti o gasdotti che servano gli interessi di BP come il TAP, Gasdotto Trans-Adriatico conosciuto con il citato acronimo inglese Trans-Adriatic Pipeline.

Non dimentichiamo, inoltre, che il TTP fu firmato per l'instancabile lavoro messo in atto da Barak Obama quando ancora Presidente degli Stati Uniti aveva ottenuto a fine mandato la firma dell'accordo che sarebbe poi entrato in attuazione dopo la ratifica da parte degli Stati firmatari perorandone personalmente i vantaggi con tutti i colleghi del Pacifico con cui ebbe occasione d'incontrarsi, fatta eccezione per la Cina che, come sappiamo, avrebbe dovuto essere svantaggiata da quel trattato. Lui paladino dell'ambiente e dei diritti umani pare non cogliesse nessuna contraddizione nell'attribuire a grandi imprese multinazionali poteri ancora maggiori di quelli che già godono nel mercato globale. Nulla di strano visto che si trattava di continuare sul cammino tracciato da Bill Clinton che Hillary Clinton, fosse stata eletta, avrebbe seguito.

La questione importante da segnalare é che, contrariamente a quanto filosofato da Hayek, il liberismo non é contraddittorio con la visione social democratica della democrazia. Per i campioni contemporanei della socialdemocrazia proteggere il mercato come strumento per risolvere problemi sociali é la ricetta da proporre. Per loro, cercare di condizionare le decisioni delle imprese in nome di interessi sociali “superiori” é uno dei mali peggiori del comunismo. Il mercato deve essere libero di assegnare le risorse a suo piacimento, ingabbiarlo in normative troppo stringenti porterebbe soltanto a crisi nel processo di sviluppo. Per difendere questa idea politica i parlamentari laburisti hanno per due volte in un anno tentato di scalzare dal suo scanno il segretario del partito, Jeremy Corbyn, che pure per due volte in meno di un anno fu confermato dal voto degli iscritti a larghissima maggioranza, perché lui intendeva ed intende abbandonare questa visione politica per adottare un modello Keynesiano di sviluppo economico. Sulla stessa linea, ma con risultato opposto, il Partito Democratico statunitense boicottò con successo nelle primarie la candidatura di Bernie Sanders, Senatore del Vermont, che aveva introdotto nel suo programma una chiara opposizione all'approvazione di tutti questi trattati commerciali internazionali.

I Termini del problema
Come spesso faccio dovendo riportare concetti mi affido al lavoro degli specialisti del ramo, quindi anche questa volta riporto dall'Enciclopedia Treccani on line le definizioni integrali.
 -liberismo In senso ampio, sistema imperniato sulla libertà del mercato, in cui lo Stato si limita a garantire con norme giuridiche la libertà economica e a provvedere soltanto ai bisogni della collettività che non possono essere soddisfatti per iniziativa dei singoli (in tal senso è detto anche liberalismo o individualismo economico); in senso specifico, libertà del commercio internazionale o libero scambio, contrapposto a protezionismo.
 -globalizzazione Termine adoperato, a partire dagli anni 1990, per indicare un insieme assai ampio di fenomeni, connessi con la crescita dell’integrazione economica, sociale e culturale tra le diverse aree del mondo.
 -protezionismo In economia, aiuto dato dallo Stato ad alcuni rami della produzione per mezzo sia di dazi che ostacolano o impediscono la concorrenza di prodotti stranieri sul mercato nazionale, sia di altri strumenti (divieti, contingentamenti, ostacoli all’esportazione di materie prime che possano essere utilizzate da industrie nazionali, nonché facilitazioni e franchigie all’importazione di materie prime e semilavorati esteri, premi all’esportazione di prodotti nazionali ecc.); in senso più largo, contrapposto all’accezione più ampia di liberismo, ogni forma di intervento dello Stato nell’economia nazionale.
La pratica protezionistica commerciale ha come obiettivo l’aumento dell’esportazione e la diminuita dipendenza dalla produzione estera; la protezione dei settori industriali nascenti per impedirne il soffocamento da parte di economie estere più progredite; l’indipendenza economica in alcuni settori produttivi dello Stato che, tutelati e stimolati, progredirebbero nella ricerca di perfezionamenti tecnici industriali. Tuttavia le politiche protezionistiche sono oggi poco praticate a favore di una politica di libero scambio delle merci e delle persone e dell’integrazione commerciale e culturale degli Stati (➔ globalizzazione) in grado di aumentare il reddito dei paesi partecipanti allo scambio (teoria dei vantaggi comparati).
Con riferimento al mercato del lavoro, si parla, per analogia, di p. dei paesi d’immigrazione per indicare il complesso di provvedimenti destinati a impedire, ridurre o selezionare l’afflusso di immigranti al fine di riservare le possibilità di occupazione alla mano d’opera nazionale e difenderne il tenore di vita contro la concorrenza di lavoratori stranieri disposti ad accettare salari e condizioni di lavoro meno vantaggiosi.
Il curatore della voce protezionismo di questa enciclopedia sostiene, come ho appena fatto, che oggi la pratica dovrebbe essere considerata in disuso, e di certo così era almeno sino a poco tempo fa. Cerco quindi di capire che cosa sarebbe cambiato e che cosa potremmo aspettarci.

La nuova guerra commerciale
In pagine precedenti ho già illustrato come la crisi finanziaria dei “sub-prime” che ebbe inizio negli Stati Uniti nel 2007 abbia messo in ginocchio l'economia occidentale causando un crollo verticale degli standard di vita soprattutto della media e piccola borghesia. D'allora, contrariamente a quanto proclamato in diversi fora, non si é riusciti a venirne fuori in modo sostenibile perché é mancata la volontà e forza politica necessaria per riconoscere le cause scatenanti della crisi. Il sistema finanziario é stato messo in sicurezza facendo ricorso in modo anche sostanziale a fondi pubblici dell'erario, ossia alle tasse dei cittadini, mentre i risparmiatori e tutti coloro che disponendo di un reddito certo avevano contratto prestiti, forse in maniera eccessivamente rischiosa, sono invece rimasti scoperti e ne hanno e stanno ancora oggi pagando le conseguenze. I cittadini elettori sanno di aver subito delle perdite e vorrebbero potersi rivalere su coloro che ne furono la causa. Questa aspirazione, peraltro legittima, rimane purtroppo inevasa perché il sistema finanziario e bancario, che furono la causa della crisi, si avvalgono della protezione politica dei governi e, direi, in generale di tutta la politica in forma bipartisan. I politici per interesse proteggono le banche e la finanza, ma per farlo debbono evitare d'essere troppo esposti per non doverne pagare il prezzo alle prossime elezioni. Quindi si sono ingegnati di identificare capri espiatori d'additare come gli artefici della crisi. Subito questo non fu possibile perché le persone erano consapevoli di quanto stava succedendo, ma passati pochi anni e manifestatesi ormai la crisi in mancanza di lavoro, riduzione del tenore di vita, difficoltà d'accesso al credito, le persone si sono ancora una volta dimenticate del loro recente passato per focalizzarsi sui problemi dell'oggi, fatto questo che permette a chi controlla gli organi d'informazione d'avvalorare la tesi che le attuali ristrettezze sono dovute a cause esterne, prima fra tutte l'immigrazione e, contemporaneamente, le pratiche scorrette di paesi che stanno approfittando della situazione per innondare i nostri mercati di merci che loro producono a basso costo con procedure fraudolenti. Ora, tornando alle definizioni appena riproposte, queste sono tutte ragioni che sosterrebbero l'adozione di politiche di tipo protezionistico.

I politici tradizionali, ma anche la finanza sanno che scelte simili, cioè adottare politiche proibizionistiche, sono controproducenti e finiscono per danneggiare tutti. Basta leggere qualunque trattato di commercio internazionale per trovare la spiegazione convincente che chiudersi a riccio come le pratiche protezionistiche impongono, finisce per danneggiare tutti. Allora, la politica decise di attuare in modo differente. Le cause prime continuavano a rimanere le stesse, ma si disse che le ragioni della non ripresa a fronte dei piani di ristrutturazione delle varie economie si dovevano a sbilanciamenti strutturali nei conti pubblici, eccessivo indebitamento, costi sociali insostenibili, politiche a tutela del benessere sociale che in tempi di vacche grasse avevano funzionato, ma oggi erano aggravanti che frenavano la ripresa. La risposta, dicevano, era nell'abbandonare pratiche economiche spendaccione per attuare sane politiche di rigore, d'austerità, parola questa che ovviamente piace molto a chi sia cresciuto in un contesto culturale moralistico come quello proposto dal pensiero calvinista. Non ci deve stupire che una figura politica di rilievo nel contesto europeo come l'olandese Jeroen Dijsselbloem, Presidente dell'Euro gruppo dal 2013, affermi che: non puoi spendere tutti i soldi in donne ed alcool e poi chiedere aiuto (riferendosi al comportamento dei paesi del Sud Europa).

Ma l'austerità funziona?
Come c'era d'aspettarsi dal momento che tutto quanto messo in opera evitava accuratamente di toccare le cause prime della recessione in atto, presto si vide che le politiche d'austerità non producevano altro che miseria addizionale. Chi si era impoverito per la crisi del 2007, non solo non migliorava la propria situazione, ma spesso la vedeva deteriorare. Divenne quindi imperativo rafforzare la tesi che la crisi era un fenomeno esogeno al sistema, causato cioè da fattori esterni, quindi incontrollabili come l'immigrazione e la concorrenza sleale tra Nazioni. Chi non ha letto su di un giornale o ascoltato in un dibattito televisivo persone sostenendo queste tesi? Molti commentatori sostengono che i recenti successi elettorali di movimenti di destra ed estrema destra in Europa siano la diretta conseguenza di queste campagne d'occultamento della verità.
Faccio alcuni esempio che spero risultino convincenti per tutti. Gli indici di criminalità in Italia sono ormai da lungo tempo in diminuzione, ma parlando con le persone si ha l'impressione dell'opposto. Questo si deve in grande misura all'informazione che, per sostenere le proprie vendite e la pubblicità che queste attraggono, tendono a sbattere il mostro in prima pagina come diceva profeticamente un film di Marco Bellocchio del 1972 con l'interpretazione raffinata di Gian Maria Volontè. Per questo da anni ormai vige la pratica di dividere i sospetti del crimine tra immigrati e non, con l'accentuazione a riportare con maggior risalto casi in cui i colpevoli possano essere immigrati, meglio se poi fossero immigrati clandestini. Infatti, i titoli che poi sono il fattore di maggior importanza nel meccanismo di diffusione della notizia, portano a caratteri cubitali la parola immigrato. Per esempio, di questi giorni il caso di una minore marocchina a cui la madre ha tosato il capo perché si rifiutava di indossare il velo. Si tratta senza dubbio di un caso di violenza familiare, ma i giornali però non riportano praticamente mai i casi di violenza contro minori avvenuti in famiglie italiane a meno che non siano sfociati in un omicidio, pur se i casi di violenza contro minori nelle famiglie italiane sono moltissimi visto che l'Autorità Garante per l'Infanzia dichiara che sono circa centomila i minori seguiti dai servizi sociali perché vittime o sospettate tali di violenza.
In questa pratica il fatto grave, che nessun giornalista può dimenticare, é che le colpe per attività criminali sono sempre e soltanto individuali, non possono in nessuna maniera essere estese a tutto un gruppo sociale. Quindi, quando scrivono che i ladri erano albanesi contribuiscono a far percepire le persone originarie dell'Albania come criminali, mentre invece si tratta soltanto di alcuni individui che accidentalmente sono cittadini albanesi che hanno commesso un crimine non per la loro nazionalità, ma per la loro mancanza di dirittura morale che gli possa permettere di riconoscere il comportamento delittuoso per quello che é, cioè, un crimine. Questi giornalisti e con loro tutti i politici e commentatori che fanno uso dello stesso approccio sono colpevoli di generare sentimenti d'ostilità nella popolazione verso persone di un certo gruppo etnico o di una certa estrazione sociale.
Purtroppo questo genere di cose é particolarmente effettivo e da sempre le persone tendono a prestare fede a questo modo d'esprimersi finendo per pensare che gli zingari, i meridionali, gli africani, gli yankee, gli ebrei, i mussulmani non possano essere altro che criminali. Da questo la facilità con cui si é accettato che la crisi attuale che non sembra voler mai finire é colpa in primo luogo degli immigrati che ruberebbero lavoro e poi di Nazioni che pratichino tecniche fraudolenti per favorire le loro esportazioni.

Le conseguenze di queste menzogne non si fanno attendere
Ormai la maggioranza dei cittadini dei paesi occidentali sembrano convinti che l'immigrazione, quale ne sia la forma e la causa, é alla base dei loro problemi. Questo messaggio lo hanno gridato politici di destra e di sinistra, mentre i giornalisti, fatte le debite, ahimè, poche eccezioni, si sono ben guardati di spiegare che queste affermazioni mancavano di una base che le legittimasse. I politici di destra lo hanno fatto per giocare su di una carta che sanno all'occorrenza può risultare vincente: la paura e la disperazione del ceto medio. Fascismo prima e nazismo poi fecero uso di questa base per mettere insieme il consenso richiesto che li portò alle soglie del potere nel 1922 e nel 1933. Ma ricordiamoci anche che, per poi vincere non avendone i numeri, contarono sull'apporto indiretto di altre forze politiche che, timorose d'essere marginalizzate, finirono per avvallare queste forze permettendogli di prendere il potere e proclamare le loro dittature.
Oggi i politici di sinistra ripetono lo stesso errore quando rincorrono la destra sul proprio terreno invece di smascherarne le asserzioni mendaci. Così, tutti finiscono per ripetere che l'immigrazione é causa dei mali e deve essere repressa. Quello che la sinistra sembra non capire e che, una volta convinti che questo sia il problema, i cittadini si rivolgeranno alla destra per cercare risposte adeguate perché sanno che solo loro metteranno in atto politiche xenofobe e razziste senza esitazioni e senza scrupoli. Rincorrere la destra non ottiene altro risultato che legittimare gli argomenti che loro propongono.

Al momento, soltanto negli Stati Uniti ha trionfato politicamente questo modo di pensare anche se ormai in molti paesi europei la destra estrema sta riuscendo a raggiungere risultati elettorali soltanto pochi anni fa impensabili. Il timore legittimo, a mio vedere, é che queste forze possano continuare a crescere sino ad arrivare a conquistare il potere. Comunque, osserviamo quali sono state le conseguenze dell'elezione di Donald Trump a soli 3 mesi dal suo insediamento.
Wilburn Ross, Segretario statunitense al Commercio, miliardario che ha messo insieme la sua fortuna rilevando per pochi spiccioli attività in difficoltà per poi rivenderle dopo averle spolpate di tutto, ha recentemente detto che gli Stati Uniti non intendono più chinarsi in fronte al resto del mondo, ma agire. A suo vedere, il paese da decenni é vittima di una guerra commerciale che é la causa principale del deficit tra esportazioni ed importazioni che ad oggi si aggirerebbe attorno ai 500 miliardi di dollari l'anno. Dopo decenni di passività l'amministrazione intende alzare le proprie difese che, come annunciato, saranno l'adozione di dazi per scoraggiare l'entrata nel paese di merci sussidiate all'origine dai governi dei paesi in cui sono manufatte affinché i loro prezzi siano allineati a quelli del mercato. L'obiettivo é prima di tutto la Cina, ma anche l'Unione Europea é nel mirino. Al momento i decreti attuativi di questa nuova politica di Washington non sono ancora stati pubblicati, quindi é impossibile valutarne l'impatto e le giustificazioni, ma certamente preoccupa già sufficientemente l'approccio adottato che vede nel flettere i muscoli la strategia a seguire. A sentire i discorsi della nuova amministrazione statunitense, il loro paese sarebbe penalizzato da legislazioni interne ai paesi esportatori verso gli Stati Uniti che ostacolano l'entrata nei loro mercati di prodotti manufatti d'oltre oceano, ma cosa ancora più grave il paese é quindi legittimato ad agire di propria iniziativa, senza aspettare il consenso o il mandato di nessun altro. Questo é un atteggiamento protezionistico.
Sulla stessa linea lo stesso Presidente Trump ha firmato decreti esecutivi per accelerare l'espulsione dal paese degli immigrati clandestini che si stima potrebbero essere almeno 12 milioni. In questo caso, presi di mira sono principalmente gli immigranti provenienti dal resto d'America, in modo particolare America Centrale. In campagna elettorale Trump aveva promesso farlo ed aveva anche promesso costruire un muro che dividesse gli Stati Uniti dal Messico facendo in modo che fosse il governo messicano a pagarne il costo. Mettendo di lato il fatto che un muro, sia pure incompleto, c'era già ed era stato costruito durante il mandato dei suoi predecessori e che il governo messicano non avrebbe mai acceduto alla richiesta di pagarne il costo, il Presidente ha quindi annunciato che il muro si farà, per questo ha messo fondi nell'attuale budget federale, e che recupererà questi costi imponendo una tassa su tutto quanto verrà dal Messico, facendone così, afferma lui, pagare il costo ai messicani. Al rispetto due considerazioni sono d'obbligo: la tassa non é altro che un dazio protezionistico e, secondo, il costo ricadrà soltanto sui consumatori statunitensi di prodotti messicani dal momento che tutti i costi ricadono sempre e soltanto sull'utente finale. Tutto questo é certamente ridicolo, ma tristemente molti tra coloro che lo votarono non capiscono e capiranno che si tratta di una truffa.
Sulla questione delle espulsioni l'amministrazione sta mostrando il pugno di ferro e mettendola in atto con determinazione, per altro soltanto inasprendo quello che già era in atto da tempo durante l'amministrazione Obama. Espulsioni e controlli rigorosi alle frontiere sono parte del piano e gli effetti sono già evidenti. Anche questo tipo di politiche é propria di un atteggiamento protezionistico, per cui é legittimo concludere che i primi atti dell'amministrazione Trump indicano che stiano applicando misure di stampo protezionistico.

Il protezionismo per fermare l'immigrazione
Come scritto precedentemente, almeno per ora l'estrema destra non ha ancora vinto elezioni politiche in nessun paese dell'Unione anche se i governi in carica per esempio in Ungheria o Polonia potrebbero per molti aspetti essere considerati, e con molte buone ragioni, governi di destra simili a quello attuale statunitense. Comunque, la politica della Commissione europea e di quasi tutti i governi dell'Unione si sta caratterizzando come una politica tesa ad impedire l'immigrazione visti i continui ostacoli all'arrivo di nuovi immigrati che vengono stabiliti.
Il vicino medio oriente é da anni in fiamme e le guerre spesso civili piagano tutta la regione causando un continuo esodo delle popolazioni per cercare rifugio altrove. Ora, i diritti dei rifugiati, persone cioè in fuga dalla guerra o da persecuzioni, sono chiaramente definiti in convenzioni internazionali ratificate da tutti i paesi europei. Queste convenzioni ribadiscono l'obbligo d'asilo per il rifugiato. I testi sono chiari e non lasciano scappatoie. Comunque, da tempo ormai l'Europa viene meno ai suoi obblighi perché l'arrivo di centinaia di migliaia di profughi spaventa i cittadini europei a cui campagne scellerate d'informazione hanno detto che costoro non sono altro che le avanguardie di una occupazione mirata a cambiare la struttura sociale del Continente. La narrativa é semplice. I rifugiati prevalentemente sono di fede mussulmana, quindi con la loro aumentata presenza finiranno per sovvertire la natura cristiana della tradizione di quasi tutte le Nazioni europee. I rifugiati sono in prevalenza giovani maschi, un vero e proprio esercito d'occupazione e tra loro si nascondono futuri terroristi. Per ultimo, i rifugiati vengono a rubare il lavoro ai residenti. Se molti paesi del sud d'Europa conoscono alti tassi di disoccupazione questo di deve all'immigrazione.
Ovviamente, le paure sono ingiustificate perché i numeri pur grandi, sono comunque di minore importanza in rapporto alle dimensioni della popolazione europea, centinaia di migliaia contro cinquecento cinquanta milioni ed oltre di cittadini. L'immigrazione non é un fenomeno nuovo, ma si sta realizzando da molti decenni al punto che ormai cittadini europei sono discendenti di seconda e terza generazione d'immigranti. L'Europa attraeva ed attrae un elevato numero d'immigranti perché da decenni la popolazione autoctona é in declino e quindi manca forza lavoro in molti settori dell'economia, generando un richiamo per chi, nei paesi di provenienza, é alla ricerca d'impiego. Date queste condizioni, si dovrebbe pensare a politiche d'accoglienza per gli immigrati che sono una risorsa per tutti i paesi e non un fardello, invece da tempo ormai la politica cerca soltanto di fermare, impedire l'immigrazione rendendo le condizioni per effettuare i viaggi dai paesi d'origine alle sponde dell'Europa un viaggio terrificante. Per tornare alle riflessioni sul comportamento dei politici socialdemocratici, per ora, l'unica personalità politica di rilievo che abbia parlato dell'immigrazione come risorsa é stata Angela Merkel, Cancelliera conservatrice tedesca, mentre i politici socialdemocratici come Hollande o Renzi tacciono o dissentono con quanto lei asserisce. Queste scelte di politica sono controproducenti, ma sono comunque effettuate perché ben accette a porzioni in continuo aumento della popolazione. Anche queste sono politiche protezioniste come indicato nella definizione della Treccani.
Il liberismo classico considera la libera circolazione di capitali, merci e lavoro condizione essenziale per permettere la concorrenza, fattore primario per un buon funzionamento del mercato. L'immigrazione non é altro che circolazione di forza lavoro che dovrebbe essere lasciata libera di fluire se si volesse seriamente attenersi ai principi predicati, altrimenti almeno in quest'area si starebbero mettendo in atto politiche di tipo protezionistico. Quanto sta succedendo e succede da molti anni é una contraddizione nel modo di mettere in atto politiche di stampo liberistico. La libera circolazione senza orpelli vale soltanto per capitali e merci, mentre per il lavoro si sono sempre mantenuti controlli per due ragioni di fondo: mantenere la pace sociale nei paesi sviluppati, pace che sarebbe compromessa da un'eccessiva competizione nel mercato del lavoro; garantire che la forza lavoro dell'occidente possa sostenere con il suo reddito la società dei consumi. La spinta verso una globalizzazione dei mercati ed il predominio dato ai prodotti finanziari che non abbisognano di centinaia di milioni di consumatori per generare profitti, hanno certamente messo in questione il modello seguito a partire dal dopo guerra generando la caduta dei redditi per la piccola e media borghesia, generando anche instabilità politica e opportunità per tutti coloro che si proponevano come antagonisti al modello economico imperante.

La caduta del muro di Berlino, la successiva decisione di smantellare il Patto di Varsavia tra paesi dell'area comunista accompagnata dalla crisi del potere centrale dell'Unione Sovietica avvenendo tutte in un arco temporale estremamente ridotto, permisero il superamento del sistema dei blocchi di paesi e delle aree d'influenza, la condizione necessaria perché si potesse per la prima volta in molti secoli parlare di vera globalizzazione. La globalizzazione, come ben spiega la definizione riportata, non sarebbe altro che un sistema di regole che permettano la realizzazione del liberismo a scala planetaria, mentre tutte le misure di cui ho appena accennato mirano a scoraggiare il commercio internazionale, lo spostamento di forza lavoro, sono quindi scelte di stampo protezionistico.

Questa é una profonda contraddizione del sistema economico e sociale attuale, contraddizione che ne sta minando la stabilità. Spesso nel passato anche recente, simili contraddizioni sono degenerate in conflitti armati. Oggi nel pianeta ci sono molte guerre in atto, ma per ora nessuna che possa essere comparata alle guerre mondiali del secolo scorso, sebbene l'instabilità che esse producono aggiunte alle crisi sociali dovute a politiche protezionistiche potrebbero degenerare come molti tra i signori della finanza e dell'industria delle armi vorrebbero in situazioni di conflitto armato aperto.
Ho aperto questo capitolo scrivendo che la globalizzazione sembrerebbe in crisi. Dopo averne esaminato vari aspetti, mi sembra a questo punto di poter concludere che non é tanto l'idea di globalizzazione ad essere in crisi, ma la possibilità che essa possa realizzarsi a scapito del concetto di supremazia che gli Stati Uniti sentono di possedere su tutto il resto del mondo. La crisi attuale che vede l'introduzione di dazi, la non ratificazione di Trattati già firmati, e severe limitazioni al diritto di circolazione delle persone vogliono asserire che solo gli Stati Uniti hanno la capacità di controllare la vita politica, sociale ed economica del resto del pianeta. L'amministrazione Trump appena insediata a Washington sta prendendo soltanto decisioni unilaterali che non tengono nella minore considerazione obblighi accettati dalle precedenti amministrazioni con la firma di Trattati internazionali come quello sul Clima di Parigi. L'unica globalizzazione che piace a Washington é quella a guida statunitense. In questo la visione di liberismo é quella assolutistica proposta da Hayek e Rand. Il più forte decide, ogni cedimento all'altruismo é segnale di debolezza perché l'egoismo é il solo comportamento compatibile con una vera visione liberista del capitalismo. Il più forte vince; tutti gli altri soccombono. Quindi, non si tratta di un ritorno alle visioni protezionistiche che precedettero la Prima Guerra Mondiale, ma di un utilizzo di pratiche protezionistiche per sconfiggere ed assoggettare tutti all'egemonia della sola superpotenza, gli Stati Uniti.

 
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