IL POTERE DELLA PAROLA NELL’ERA INFORMATICA

di Ivana Pinna e Paolo Basurto

La Parola. Il Verbo. La sua sacralità è antica. E’ l’evoluzione dell’umanità verso la socialità, la comunicazione, lo sviluppo delle relazioni individuali attraverso lo scambio di concetti e non solo di suoni.  Ma la parola è fatta di suoni, di emozioni evocate, invocate, pronunciate con forza, durezza o tenerezza. Anche quando è scritta, conserva la sua trascendenza, la sua energia penetrante e a volte esplosiva. Difficilmente la parola è neutrale. Mai è una semplice convenzione. E’ uno strumento geniale, un veicolo di intenzioni che informa, suggerisce, seduce, manipola, ferisce e consola, rivela e inganna.

E quando credevamo di sapere già tutto sulla parola ecco che nell’era di Google, scopriamo nuove valenze nel suo enorme potenziale: la capacità di persuadere, inconsapevolmente, subliminalmente, subdolamente. La capacità di convincere inconsapevolmente: a comprare…  Penso a tutto questo dopo una lunga chiacchierata con Ivana. Quando l’ho conosciuta e le ho chiesto che ci faceva a Barcellona, mi ha risposto con un sorriso leggermente ironico: compro parole… Ho immaginato farfalle, surreali semantiche per acchiappare suoni e significati nuovi, versi svolazzanti e bachi verbali appena schiusi. Una poetessa in cerca del futuro, a modo suo. Non sbagliavo del tutto. L’espressione primaria di Ivana è attraverso la sua arte. Dipinge e scolpisce e la sua voglia di condivisione creatrice meriterebbe un’attenzione esclusiva. Ma l’acquisto di parole nuove appartiene a un altro mondo. Il mondo dell’avanguardia informatica, dell’e.commerce, del marketing e della speculazione. Un mondo dal quale cerca di allontanarsi, dopo averne sentito la curiosità e il fascino e dopo averne scoperto il potenziale perverso.

Ivana si è laureata in scienze politiche. Ha studiato e frequentato dal di dentro le istituzioni europee. Ha creduto nelle possibilità di un modo nuovo di essere e di relazionarsi come nazioni e come popoli. Il suo incontro con internet ha alimentato l’illusione di disporre di uno strumento ultrapotente in grado di offrire possibilità prima inimmaginabili per sviluppare i rapporti umani e moltiplicare le occasioni di condivisione. La Rete, era questo. Poi, è cominciata l’epoca dei grandi investimenti speculativi. Ivana ha voluto coinvolgersi. Capire e operare al di dentro di una trasformazione che l’ha spinta ad apprendere e a dominare le varie tecniche di management che fiorivano e continuano a fiorire, nell’universo della Rete, tutte destinate a massimizzare il profitto commerciale e finanziario. La mia conversazione con Ivana è un tentativo di gettare uno sguardo indiscreto su questo universo, poco noto e così pieno di rischi per una sana convivenza in una società moderna.

1 : Ivana, hai svolto fino a poco fa un lavoro abbastanza singolare: cercavi parole. Parole in certo senso magiche. Qual’era il loro potere? Perché le cercavi?

Più che cercare, compravo parole chiave.
Agli inizi del 2000 (o anche un po' prima) c'è stata l'esigenza di attrarre visitatori indicizzando il sito internet sui motori di ricerca, in primis Google (1998). Era di vitale importanza individuare parole chiave da inserire all'interno del proprio sito web, in modo che l'utente, quando cercava quelle specifiche parole su Google, giungeva a dei risultati di ricerca corrispondenti.
Mi sono specializzata in Search Engine Optimization in Germania, e mi occupavo di SEO prima ancora che se ne parlasse. Le parole chiave venivano utilizzate

all'interno del testo, posizionate in punti chiave, per ingannare non tanto l'occhio dell'utente, quanto gli spider di Google (algoritmi), suscettibili alle parole in corsivo, grassetto, o al numero di volte che veniva utilizzata una parola all'interno di una pagina web. Gli spiders rispondono a dei calcoli predefiniti. Inizialmente si cercava di “ingannare gli spider”, in modo che potessero avvantaggiare il ranking del sito web e raggiungere un posizionamento più alto su Google.

Il contenuto era scritto più per compiacere l'algoritmo, che l'utente. Poi si è passati al Search Engine Marketing, che consentiva di acquistare annunci pubblicitari su Google (o Yahoo) visualizzati nel formato di “risultati di ricerca” ogni qualvolta l'utente digitava determinate parole chiave. Qui a Barcellona gestivo campagne di marketing per clienti interessati al posizionamento a pagamento. Si compravano in questo caso parole. 
In 18 anni vi è stata una rapida evoluzione.
Abbiamo il Contextual Advertising, pubblicità contestuale, in cui un annuncio appare se ha attinenza con il contenuto della pagina web visualizzata dall'utente. Tutto funziona all'oscuro dell'occhio umano. Gli spider, anche in quel caso, analizzato il testo di un sito web per parole chiave e contenuto, restituisce annunci pubblicitari relazionati con esse.

     Ora si è giunti al Behavioral advertising o “pubblicità comportamentale “, una tecnica utilizzata dagli inserzionisti online per presentare annunci mirati raccogliendo informazioni sul comportamento di navigazione dell'utente. Per fare questo è necessario un sistema di comunicazione, consentito in questo caso dai cookies.

I cookies sono delle piccole porzioni di dati/codice inviati da un sito Web e memorizzati sul computer dell'utente nel browser Web dell'utente durante la navigazione. Sono stati progettati per ricordare informazioni come gli elementi aggiunti nel carrello di un negozio online o per registrare l'attività di navigazione dell'utente (incluso fare clic su pulsanti particolari, accedere o registrare quali pagine sono state visitate nel passato).
Attraverso i cookies è possibile raccogliere informazioni e costruire un'identità dell'utente.

Tutto è automatizzato, i dati vengono raccolti, immagazzinati ed analizzati attraverso gli algoritmi; non c'è un individuo che fa questo manualmente, è impossibile. Si è di fronte ad una sorta di “intelligenza artificiale”, che può però essere utilizzata per reperire informazioni. Anche in questo caso tutto si basa sulla “corrispondenze semantica”, ma con l'avvento dei Social Media, anche sui likes. Co questo sistema potrebbe essere semplicissimo individuare il sesso, interessi, gusti, predisposizioni di un utente, grazie al contenuto da lui visualizzato o alla sua interazione con esso. 

2: Che effetto ti faceva  fare questo lavoro?

Il mio lavoro consisteva non certamente nello spiare il comportamento degli utenti, perché non avevo un sistema che mi consentisse di farlo, ma ovviamente mi rendevo conto di come le parole chiave fossero alla base di un sistema di comunicazione da cui si potevano carpire tante informazioni sul comportamento dell'utente, grazie alla tracciabilità delle informazioni. Era curioso analizzare come certe parole, pur se simili, avessero un appealing maggiore rispetto ad altre, generando un ritorno dell'investimento maggiore.

3: Qual’era il tuo rapporto … affettivo, con le parole che trovavi e che poi abbandonavi nelle mani degli speculatori?


Il mio lavoro era un po' quello dello “speculatore”. Se un cliente vendeva scarpe con il suo sito internet, il mio compito era cercare parole chiavi corrispondenti a quel settore economico. Dovevo mettermi io stessa nei panni di chi cercava un paio di scarpe (scarpe da uomo, scarpe da donna, scarpe da tennis, scarpe rosse, scarpe con il tacco, mocassini etc). Una volta individuate le parole chiave (tantissime, anche più di 10.000), si segmentavano per categoria, in modo da proporre, per ciascun gruppo di parola, l'annuncio pubblicitario adeguato.
Quando si hanno le prime statistiche si procede all'analisi dei dati e si fanno delle offerte di prezzo sulle varie parole. E' un lavoro di analisi e di ottimizzazione, tramite una lettura delle statistiche e grafici sui dati in massa degli utenti (non si hanno gli strumenti per identificare il singolo utente, anche se è possibile). 

4: Quanto può rendere una parola che…funziona?

Dipende dal tipo di parola chiave. Ho comprato kws (key words) per 0,02 centesimi, con un ritorno dell'investimento del 300% su quanto veniva investito. Si pagava per click su ogni annuncio. Gestivo delle campagne in cui arrivavano anche 5000 o più click al giorno. Mi è anche capitato di acquistare parole chiave nei settori finanziari con un costo di 50€ o più, ma non erano “campagne” che funzionavano. Una campagna è fatta per promuovere gli acquisti e con loro i profitti. Se i primi mancano o non coprono i costi, allora non funzionano.

5: Come si fa a conoscere se una parola funziona?

Ci sono i grafici, le analisi, e si studia il rendimento delle Kws (Keywords) attraverso un Content Management System che permette di visualizzare ed ottimizzare i risultati.

6: Qual’è il meccanismo di utilizzazione di una parola che funziona?

Una parola funziona se c'è un ritorno dell'investimento, e quindi si investe di più in modo da generare un profitto maggiore.

7: Le imprese di manipolazione -se così le possiamo chiamare- sono consapevoli della loro pericolosità sociale?

Non le chiamerei propriamente “imprese di manipolazione”. Chi lavora in questo ambito non si pone il problema della manipolazione, fa un lavoro di analisi di dati, non c'è alcun legame con chi sta dall'altra parte del PC. C'è solo un user, un numero. Nient'altro.
All'interno delle aziende che operano in questo settore ognuno ha il proprio compito e la propria specializzazione e si occupa di quello, non c'è a volte molta interazione fra quello che fa un collega di un altro dipartimento. E' come una catena di montaggio, e a volte si perde di vista quelli che sono gli effetti della somma delle singole azioni di ciascun individuo.  E' un grandissimo organismo in cui ognuno apporta le proprie competenze con il fine di attrarre utenti, non di “manipolare”. 
Chi si occupa del design deve trovare l'immagine più appealing e la frase ad effetto; chi cerca le parole chiave, deve capire quali sono quelle che hanno una rendita maggiore. Chi si occupa della programmazione ed integrazione di un "traking pixel" lavora su un codice. Tutto è orientato alla vendita. Sorge allora un dilemma: Vendita= Manipolazione?

8: Può, il procedimento di persuasione subliminale essere usato anche per scopi politici? Le elezioni in USA o anche in Italia, potrebbero essere state influenzate da procedimenti simili? Perché ‘sì’ o perché ‘no’ ?

Mi sono occupata di semantica, l'usuario cerca quello che conosce e accetterà dei messaggi a lui non estranei.  In un motore di ricerca quale Google, egli cerca quello che vuole trovare, non si inventa nuove parole, inoltre sarà sempre attratto da ciò che riconosce e che gli risuona.
Non ho seguito la campagna elettorale USA. Si parla tanto di manipolazione. A quel che ho letto nei giornali sono stati targhetizzati circa 200 milioni di americani i cui dati come propensione al voto, comportamento, interesse,  acquisti, sono stati raccolti in grandi database, successivamente si è utilizzato una sorta di “Behavioral marketing”, inviando a specifici gruppi di utenti dei messaggi  targhettizzati in base alla propria “orientazione” o gusto.
Non so realmente se questo tipo di messaggi possa essere stato la causa del successo di Trump, dei 5s, o della Lega. Ciò che è vero è che la targhettizzazione funziona ed è possibile proporre un linguaggio specifico per gruppi di individui pur diversi fra loro. Sono necessari degli strumenti molto sofisticati, e chi oggi si può permettere di avere un sistema del genere sono i grandi colossi dell'I-Tech. I loro database raccolgono tantissime informazioni e attraverso le loro piattaforme per la vendita di spazi mettono a disposizione un sistema di controllo dati per utente. Chi vuole vendere un prodotto o fare una campagna di Branding (anche politica) ha degli strumenti utili allo  scopo.                                                                                                                                                                   

 9. Perché hai smesso di fare questo lavoro? Ritieni che sarebbe necessario creare più consapevolezza dei rischi che corre una società fragile come quella democratica?

Ho smesso di lavorare in quell'ambiente perchè non ero in linea con il linguaggio adottato in ufficio e non volevo che influenzasse il mio modo d'essere. Dopo 7 anni che lavoravo nella stessa impresa incominciarono ad essere adottate parole per me aggressive e forti: uccidete la concorrenza, sparate al nemico. Kill, shooting  erano vocaboli sempre più presenti nei meetings, e con un poco di auto ironia, potrei dire che se la mattina prendevo parte ai meetings di lavoro, e la sera andavo a yoga, correvo il rischio di diventare schizofrenica. Decisi di abbandonare quel “campo di battaglia”, ma la mia scelta era anche influenzata da una riflessione su come stavo impiegando le mia energie e sugli effetti del mio lavoro. Generare click ed analizzarli a vita non era qualcosa che mi entusiasmava.

Oggigiorno la società civile democratica corre vari pericoli, perchè si è inondati di messaggi che hanno come scopo la manipolazione dell'utente. La cosa più grave è che sono le stesse Università a preparare i giovani a questo. Chi si occupa di marketing non avrà problemi a concentrarsi sulla vendita di scarpe o slogan politici. D'altronde è quello che fanno oggi gli Spin Doctor, professionisti che hanno come obbiettivo l'acquisizione di utenti (elettori). Questi professionisti sono giovani, creativi, svegli, con tante nuove idee e l'obbiettivo della crescita, non certo dei valori.  Questi professionisti sono abili nel “trovare degli spot”, “ricamano parole”, usano qualsiasi metodo di persuasione al solo scopo di vendere. Questo è ciò che chiamo, distacco dall’etica. Separare, cioè, la propria condotta professionale dalla responsabilità degli effetti che questa può provocare sugli altri.
Vendita=Manipolazione? Io rifletterei molto su questo.

 10: Chi corre più rischi di manipolazione occulta, un regime di democrazia rappresentativa o di democrazia diretta?

Non saprei rispondere a questa domanda. Oggigiorno siamo sottoposti a tantissimi messaggi. Siamo già manipolati senza rendercene conto. Basta pensare in

che modo operiamo le nostre scelte d'acquisto sotto l'influenza di messaggi targhettizzati ed individualizzati.
Ho notato che già sul mio profilo Facebook appaiono per giorni gli stessi post degli stessi amici. Allo stesso tempo, se cerco qualcosa, mi ritrovo per giorni messaggi promozionali di prodotti pertinenti la ricerca del giorno o settimana anteriore. 
Uno degli altri “pericoli” è l'eccesso di informazione, che genera molta confusione. Sorge spontaneo domandarsi come attua l'individuo: o assorbe passivamente o si allontana.
L'eccesso di informazione (se i messaggi sono contrastanti fra loro) può infatti creare forte stress e frustrazione. Non si può assorbire tutto ed il contrario di tutto. Tornando al discorso Democrazia Rappresentativa-Democrazia Diretta.
Vedo un rischio di manipolazione nel momento in cui devono essere prese delle decisioni.
In una democrazia rappresentativa l'individuo dà fiducia a dei rappresentanti che decidono per lui. Il politico legifera, ha un potere decisionale in funzione anche delle informazioni di cui dispone. Ma se le informazioni non sono corrette?     

Con la democrazia diretta il singolo è chiamato a prendere delle decisioni, ed in questo caso è importantissimo conoscere l'argomento ed avere un certo livello di preparazione. Se le informazioni vengono manipolate il problema che si pone è enorme, e le scelte impatterebbero l'intero sistema. Ma questo limite è presente in entrambi i sistemi politici.

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Nota: le immagini si riferiscono ad opere di Ivana Pinna. Chi fosse interessato a visitare il suo sito trova il link qui o qui.

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