BUONE PRATICHE DI INTERAZIONE CON GLI IMMIGRATI
Scavare nella miniera del genere musicale giovanile Rap
di Luciano Carpo
avvertiamo un aumento di incertezza, di perplessità, di sgomento. In alcuni, di esplicito disagio e quasi di rancore verso tutto e tutti, inclusi verso i propri genitori che sono immigrati in un’Italia in crisi, e verso l’Italia stessa, che li tiene emarginati, ancora sull’uscio di casa, senza un riconoscimento effettivo di “cittadinanza”.
La scuola, si sa, ha il compito di intercettare tutte quelle situazioni di fragilità e di rischio di abbandono precoce e deve, al contempo, coltivare il capitale umano promuovendo, anche tra gli alunni figli di immigrati, l’emergere del loro potenziale nella prospettiva di una crescita complessiva della società italiana. In caso contrario, le frustrazioni possono evolvere in rancore, in ricerca di alternative fondamentaliste violente, come si è verificato in Francia e in Belgio.
Nello stesso tempo, questi stessi atti terroristici perpetrati in Europa e in Medio Oriente e le ondate inarrestabili di flussi migratori contribuiscono a ulteriori chiusure e nuovi muri; a gelare ulteriormente i rapporti; e anche a depotenziare e a demotivare le persone impegnate nell’ambito scolastico in percorsi di costruzione identitaria. Se sul terreno della “cultura dell’incontro” falliscono la scuola e le varie “comunità educanti” nel loro complesso( oratori, parrocchie, cooperative sociali, associazioni giovanili, sportive e della società civile, ecc.), il rischio di frammentazione e di conflittualità si aggrava.
dove dire immigrato era dire criminale-nation
e quando rivelavo ke la mia famiglia era tale-attention please
mi davan del particolare “ tu sembri normale”, come se la normalità fosse una conquista eccezionale.
Non dipende mai da te/ dipende dalla classe sociale, dal colore della tua carnagione personale:
se 6 diverso, 6 in prigione, 6 illegale, 6 un diverso antisociale
un antipatico, un diverso culturale, un diverso asociale.
Invece se ti associano alle caratteristike della gente locale, allora si che 6 un pari,
6 simpatico e impari ad apparire normale.
Se per apparir normale, bisogna omologarsi sconfinar nel superficiale, allora me ne vado mi trasferisco al paranormale:son palestinese, sono siciliano
sono albanese, sono africano
sono cinese, sono latinoamericano, sono napoletano
sono il siriano di Milano, metrocosmopolitano,
so di essere un essere umano
tutti su un piano, tutti su una mano
perlomeno non dovrò riskiare di rubare un lavoro a coloro ke nella vita non vorrebbero mai fare il tuttofare,
potrò avvicinare una sciura, kiederle una pura curiosità senza ke abbia paura di un malaffare,
senza ke si prenda la premura di guardare la borsetta con cura:
il normale non ruba, non stupra, non frusta le donne, non è frustrato e non ti disgusta,
la sua gente è dalla parte giusta giustamente.
Se 6 di fuori, 6 di una casta di inferiori,
vai bene finké lavori ma solo sotto gli altri
con salari bassi.
Consolati perkè se apri
una tua attività, non va giù a po’ di benpensanti
crolla il politically correct per i privilegi pericolanti.
nonostante la sua fedina sia pulita e come una vagina vergine
arditamente gli dedicano un cofano di 1000 e oltre pagine,
in accuse rakkiuse in 1000 pratike burocratike
+ che pratike sadiche, in pratica mi sa che a volte il crimine è
provenire da un’altra terra, avere una certa origine
mi sa di ghetto e uso per descriverne il culmine il termine “ruggine”
come fossimo tutti partecipi di ottike terroristike.
Multicultura è cardine di metropoli cosmopolite:
te la immagini o no una società cosi, amico Sadik?
Parola di arabo made in Italyk.
Eppure lo sapevamo anche noi/ l’odore delle stive/ l’amaro del partire./ Lo sapevamo anche noi/ e una lingua da disimparare/ e un’altra da imparare in fretta/ prima della bicicletta./
Lo sapevamo anche noi/ e la nebbia di fiato alla vetrine/ e il tiepido del pane/ e l’onta del rifiuto.
Lo sapevamo anche noi/ questo guardare muto./ E sapevamo la pazienza/ di chi non si può fermare
e la santa carità/ del santo regalare./ Lo sapevamo anche noi/ il colore dell’offesa/ e un abitare magro e magro/ che non diventa casa/ e la nebbia di fiato alla vetrine/ e il tiepido del pane/ e l’onta del rifiuto/ lo sapevamo anche noi/ questo guardare muto.