Alla fine della giornata di domenica 12 giugno, con un ragguardevole risultato di partecipazione superiore al 41% che crea tante speranze di molti italiani per raggiungere la “vittoria del quorum”, tutta questa angoscia dimostra quanto difficile sia il rapporto tra voto e espressione democratica della volontà popolare.

Perché è così difficile riconoscere nella mera espressione elettorale che la democrazia  si sia veramente realizzata?

Vivendo all’estero, ove il voto di noi italiani

residenti oltre frontiera sta creando tanti interrogativi sul suo significato democratico, sono sensibile alla domanda che molti si fanno, se cioè sia giustificato che il famoso “quorum” per i referendum debba dipendere dalla percentuale di votanti residenti all’estero, quando la maggioranza degli emigrati iscritti all’AIRE non ha alcuna idea del contenuto dei quesiti contenuti nelle quattro schede spedite loro dal Consolato il 25 di maggio.

Non c’è dubbio che il foglietto esplicativo allegato dal Consolato non ha fatto molto per colmare il vuoto informativo sui quesiti referendari.  È questo il modo di informare il cittadino italiano che vive all’estero per assicurarsene la sua partecipazione democratica?

Non credo di essere rappresentativo dell’emigrato medio iscritto all’Anagrafe degli Italiani Residenti all’Estero: passo molto del mio tempo a leggere giornali italiani “on line”.  Trascorro una parte consistente dell’anno in Italia, e ho fatto uno sforzo considerevole negli ultimi anni per aggiornarmi sulla situazione politica italiana, mentre cambiava così profondamente rispetto a quella che avevo conosciuto prima di lasciare il paese.

Ma gli immigrati di lunga data, quelli che sono uniti da profondi  legami culturali e familiari alle loro radici e alle tradizioni italiane, spesso non hanno fatto lo stesso percorso.  Si sono visti riconoscere il diritto di voto all’estero, senza che nessuno abbia fatto uno sforzo serio di informarli.  Ricevono ogni tanto una busta bianca dal Consolato che contiene le schede elettorali e spesso non sanno che farci.

A nessuno è venuto in mente a Roma di accompagnare questo esercizio di un diritto democratico fondamentale con un’adeguata formazione e informazione.  Per questo l’editorialista Giovanni Sartori liquida il voto all’estero sul Corriere della Sera come una stupidata, perché troppo suscettibile a manipolazioni di cosche mafiose.  Forse ha ragione, ma molta responsabilità sta nel vuoto informativo lasciato dalle nostre autorità governative, e si sa che quando c’è un vuoto, le cosche mafiose si infilano dentro.  Eppure sarebbe sufficiente mandare con un pò di anticipo adeguato materiale informativo sull’oggetto delle votazioni per bloccare queste manipolazioni (dopo tutto gli stessi emigranti sono abituati ad esprimere le loro opinioni democratiche quando votano come cittadini americani o canadesi, per esempio, nei rispettivi paesi ove risiedono).

Per le elezioni politiche, basterebbe mandare un compendio di dichiarazioni programmatiche (redatte dai singoli partiti, senza filtro dal ministero degli esteri né da quello degli interni), tanto per permettere al cittadino medio di saperne di più rispetto all’asciutta scheda elettorale, ove a mala pena riconoscono simboli elettorali o qualche nome per le preferenze.

Nel caso di referendum, basterebbe mandare un opuscolo ove i sostenitori del referendum stesso sintetizzino le ragioni che li hanno motivati nel porre il quesito referendario, magari completando quest’informazione con una sintesi delle posizioni alternative di chi si oppone al quesito stesso.

Certo, non sarà facile scrivere con obiettività questo materiale informativo.  C’è il rischio di non essere accurati o sufficientemente neutrali, ma è meglio essere accusati di imprecisione che di vuoto assoluto  d’informazione.  Alla democrazia o al suo uso, bisogna pure esserci abituati e non c’è da stupirsi se abbiamo bisogno di un pò di educazione democratic a (la chiamavano educazione civica una volta).

Massimo D'Angelo

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