HO VOTATO SI'

di Paolo Basurto

5 dicembre; Lunedì. Gli italiani hanno già votato per riformare la Costituzione e la proposta del Parlamento, che l‘aveva approvata con meno dei due terzi necessari, è stata bocciata. Grande partecipazione di popolo; più del 65% degli aventi diritto al voto. Risultato indiscutibile: quasi il 60% ha detto no.
Sono in treno per Parigi. Sei ore da Barcellona; ho tutto il tempo per pensare. Gli opinionisti non si risparmiano; le interpretazioni serie sono ricche di ipotesi intelligenti per capire il comportamento degli italiani. Non spieghiamo tutto con il populismo, dicono alcuni. Anzi, gli italiani hanno fatto capire proprio questo: non vogliono cambiare per cambiare; e nemmeno vogliono mischiare la politichetta dei partiti con le decisioni maggiori; la Costituzione è una Legge troppo importante per il piccolo cabotaggio di una classe dirigente sempre tentata dalla manipolazione. Insomma gli italiani ci tengono alla Costituzione; per loro è una difesa contro le aberrazioni del potere. Finora ha fatto bene il suo servizio. Per modificarla bisogna dimostrare che vale la pena, e per questa volta le prove non erano sufficienti.
 Non è così, dicono altri, il voto è una dimostrazione indiscutibile dello scollamento tra la politica e i cittadini. Lo scontento è trasversale, verticale e longitudinale, ed è il vero vincitore del referendum. Il ‘no’ è un ‘no’ alla classe politica, incapace di formulare una buona proposta di riforma ma soprattutto incapace di affrontare con soluzioni valide i veri problemi della gente. Insomma, è una protesta assordante; guai a trascurarla. In questo senso la somiglianza con gli inglesi che hanno voluto la Brexit è innegabile. E’ una sonora sconfitta della politica e il paradosso è che solo la politica potrà porvi rimedio.
Poi ci sono le interpretazioni folcloristiche dei trionfatori del ‘no’. Salvini osa dire che ha vinto la democrazia e lo dice con entusiasmo, come se la democrazia gli importasse davvero. Il bello è che la stessa cosa dice Grillo mentre il suo portavoce Di Maio si azzarda a proclamare con disinvoltura che l’era di un uomo solo al comando è finita per sempre (naturalmente non si riferiva al suo Movimento 5 Stelle). La sinistra dissidente dei Dem è meno chiassosa. Qualcuno, come D’Alema, si stropiccia sicuramente le mani, pago della vendetta di vedere rottamato il rottamatore e pronto ad andarsene finalmente in pensione ancora convinto che dopo di lui il diluvio. Chi invece non ci sta per niente a  chiudere bottega, alla faccia delle sistole e delle diastole capricciose, è invece Berlusconi. Il suo occhio di falco aveva visto giusto. Senza di lui Renzi non ce l’avrebbe fatta. Adesso, dopo aver salvato l’Italia dall’autoritarismo intollerabile che la riforma avrebbe favorito, tende discretamente la mano e fa sapere che –perché no?- un nuovo patto del nazareno potrebbe ancora essere possibile.
Povero Mattarella, penso io. Renzi sta già lasciando il Governo. Chi mai potrà prendere il suo posto senza che le elezioni anticipate siano decise? Con quale Legge elettorale se non con il Porcellum nefandissimo, potranno farsi le nuove elezioni?
Mi sento sconsolato. Abbiamo superato Perpignan e ancora non sono riuscito ad alleviare il gusto amaro del pessimismo che lo svolgimento e il risultato di questo referendum mi hanno procurato.
Ho votato per il ‘sì’. E’ stata una decisione sofferta. Ho letto più di una volta la proposta di riforma. Ho cercato di capirla fino in fondo e non sempre ci sono riuscito. Ho letto molte valutazioni a favore e molte contro. La maggioranza dei miei amici era schierata per il no senza se e senza ma, ed era piuttosto sorpresa dei miei dubbi.
Ma per me la cosa non era affatto chiara. Già decidere di votare non è stato facile. Ormai è da un bel po’ che non riesco a vedere differenze significative tra gli schieramenti politici. Sempre di più mi sembrano assomigliare a bande in lotta tra loro per i tornaconti economici che la supremazia politica può offrire. Una supremazia frutto della manipolazione, della strategia del cul de sac, dell’eterno turarsi il naso sperando di scansare il peggio. Frutto anche della corruzione e della disinformazione. La causa di tutto questo, secondo me, non sono gli italiani ormai avvezzi a farsi lobotomizzare dalla pubblicità e dalla propaganda, ma risiede nel sistema. Un sistema troppo antiquato e fragile per garantire l’espressione e il rispetto della volontà di un popolo che ormai ha ben poco dei segni individuanti di una collettività consapevole e intelligentemente formata.
Votare significa riconoscere l’adeguatezza di questo sistema e avallare la retorica incoerente se non opportunista di chi lo difende come il sistema migliore che ci sia. Votare mi appare ormai una complicità con chi non vuole altro che mantenerlo in vita questo sistema, con tutte le opportunità malandrine che i suoi buchi offrono. Ma un referendum è pur sempre il maggior momento di partecipazione politica che questo sistema consente e anche se la manipolazione e la disinformazione possono trasformarlo in un pericolosissimo boomerang, lascia pur sempre uno spiraglio di speranza.
Siamo a metà strada per Parigi. Chissà Hollande a che pensa. Qualcuno dubita che pensi veramente. Un burocrate di partito arrivato all’Eliseo grazie alle manovre poco pulite interne al Partito socialista. Non ne ha azzeccata una da quando è Presidente. Quando ha visto che Le Pen conquistava consensi di gran carriera, ha cercato di rincorrerla sulle sue stesse piste, senza accorgersi che nemmeno Sarkozy, molto più legittimato di lui a farlo, ci stava riuscendo. Per fortuna hanno potuto convincerlo a non ripresentarsi. Mi piace immaginare che, nella sua intimità, forse superficiale ma più autentica, abbia tirato un sospiro di sollievo. Non sarà interamente per colpa sua se i nazionalisti francesi andranno al potere, tirandosi dietro tutta la loro retorica razzista, autoritaria e antieuropea.
A risultati referendari confermati, Salvini ha gridato, con quel senso dell’opportunità che lo contraddistingue: “Viva Le Pen, Viva Putin, Viva Trump”.  Sono sicuro che volentieri avrebbe aggiunto anche Grillo (che a sua volta non ha nascosto il suo gongolio quando Trump è stato eletto).
Che anno sarà mai, questo 2017 ? Tempeste o uragani preannunciano nuvole tanto dense e nere ? Un amico mi ha appena domandato, con evidente disappunto, perché mai abbia votato e votato ‘sì’. Credevo che sarebbe stato più difficile rispondere in modo chiaro e rapido come le conversazioni sui portatili impongono. Invece ho trovato subito una buona scorciatoia. Ho votato ‘sì’ per le stesse, ma opposte ragioni che hanno spinto, Berlusconi, Salvini e Grillo a combattere furiosamente per il ‘no’. Che cosa ha unito questa destra senza scrupoli alla sinistra estrema e miope che da sempre allieta lo scenario progressista del nostro Paese? Quali che siano le loro prospettive, queste possono avere un minimo di possibilità di successo solo se potranno alimentarsi abbondantemente dello scontento e della rabbia popolare. Lo scontento è il loro futuro e il referendum ha dimostrato che hanno ragione. L’immobilismo nel quale l’Italia è ripiombata dopo il referendum garantisce che lo scontento crescerà, chiunque sia la persona che sostituirà Renzi al Governo. Ho pensato che questo si doveva evitare, perché nella tradizionale guerra tra bande, il rischio di scenari neofascisti sta ormai infiltrando l’Europa e questa potrebbe essere una strada senza ritorno. Forse votare e votare ‘sì’ avrebbe potuto aiutare una presa di coscienza, una consapevolezza maggiore dei gravi rischi verso i quali stiamo andando. La riforma proposta aveva il pregio di scuotere dal torpore le istituzioni anchilosate del Paese, avviandole ad un centralismo pienamente giustificato perché più equilibrato e funzionale alle necessità di uno Stato in situazione di grave emergenza economica e sociale. Questo avrebbe dovuto aiutare a ricondurre lo sforzo necessario alla ripresa economica in un contesto più razionale e meno emotivo. Non scordiamoci che l’Italia è sull’orlo del fallimento perché nelle attuali condizioni il debito è impagabile e non potrà crescere più di tanto. Solo la banda che ha le mani in pasta con la finanza può riuscire a isolare e convincere quelle banche, in particolare quelle tedesche ed inglesi, che alla fine dovranno pagare il conto. La politica restrittiva ha dimostrato la sua inutilità. Rifiutarsi semplicemente di pagare come vorrebbero i Salvini e i Grillo vuol dire non aver capito che forze distruttive questa strategia potrebbe scatenare. Quando Hitler si decise per l’insolvenza sfacciata fu la seconda guerra mondiale. Cerchiamo in tutti i modi di non averne una terza, come Putin, di cui Salvini è tanto ammiratore, ha pronosticato, incolpando gli americani per questo.
Ci avviciniamo a Parigi. Manca poco. So che la conversazione telefonica con il mio amico controriformista, non è servita a molto. Ognuno è rimasto sulle sue posizioni. Almeno non abbiamo litigato. Ci vogliamo bene come prima. Lo scambio di idee da posizioni diverse e addirittura opposte mi ha offerto molti spunti di riflessione. Sarà così certamente anche per lui. L’intelligenza politica dovrebbe sempre essere capace di sfuggire all’irrazionale dell’emotività e cercare di trovare in modo incontestabile l’errore che impedisce di raggiungere il punto di incontro, i termini dell’accordo possibile e necessario. Forse, dovevo non votare nemmeno questa volta.
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