COMPRO ORO

piccole formiche incazzate protestano

di Santipaulia

Qui all’angolo, dove qualche mese fa c’era un raffinato negozio di delizie gastronomiche, adesso si vede un’insegna: COMPRO ORO, e sotto, pú piccolo, I Migliori Prezzi per Voi. Ove per “Voi” si intende quello che in gerga bancaria si chiama il “parco buoi”, le vittime necessarie a cui rifilare anni fa crediti a rischio perché alcuni speculatori potessero diventare milionari : quelli che adesso, nella resacca della festa, tra licenziamenti e imprese fallite, devono metter mano ai gioielli di famiglia per pagare bollette arretrate.

Eccone una, davanti a me. E´una distinta signora che sta gingillando fra le sue mani, contemplandola per lunghi minuti, prima di sacrificarla all’altare della finanza internazionale, una catenina d’oro leggerissima,  ma carica per lei di chissá quali ricordi. Una scena penosa, davvero.

Io imvece ho portato al sacrificio un chilo e mezzo di argenteria familiare , sí, di quei candelabri e posate pesantissime ereditate dalle bisnonne e usate solo tre o quattro volte nei miei quarant’anni di vita familiare, per qualche interminabile e noioso pranzo celebrativo. (Spero che le bisnonne adesso non si rivoltino nella tomba per questo sacrilegio e continuino nel loro sonno dei giusti). Una pena, un dramma silenzioso anche per me?

Macché. Nel mio caso, nessuna lacrima, sospiro, o rimpianto. Anzi, esco leggerissima, quasi volando, quanto mi permettono le mie solide gambe di settantenne, solo un po’ rallentate da una dignitosa anzianitá. Non so quanti dei miei antichi conoscenti possano riconoscere in questa signora senza gioielli che esce raggiante dal negozio di “COMPRO ORO. I Migliori Prezzi per Voi”, la stessa persona, ambiziosa e tenace,  che in una vita di lavoro creativo aveva riempito l’armadio di vestiti firmati e il salotto di quadri d’autore.

Educata all’arte da un padre intelligente, sono stata amata da un marito brillante, e con lui ho costruito una famiglia e un solido benessere, gestendo un’agenzia di pubblicitá. Insieme inventammo e realizzammo spot originali, scegliendo personalmente fotografi  modelle, e spente tutte le luci,  finivamo col fare all’amore negli sgabuzzini dove asciugavano le foto, ridendo come due studenti scappati via di nascosto da una celebrazione.  Accumulammo successi, auto potenti, frenesia. Tutto era velocissimo, come in un film d’azione.

E poi venne la caduta degli dei. Il 92, ricordate? Tangentopoli, e l’Italia si ferma guardandosi allo specchio, per tirare fuori i panni sporchi, uno dietro l’altro,  nascosti dietro gli scranni del potere. L’economia rallenta, le imprese di pubblicita non vendono piú, di 3000 esistenti in Italia ne rimangono un centinaio: una di quelle, la  nostra, che ha resistito per orgoglio, ma rimpiendosi di debiti. Tanto,  prima o poi passerá la nottata, si diceva. La nottata infatti passó, ma arrivó una mattina livida, con gli ufficiali giudiziari a sigillare la nostra casa per conto delle banche. Inutile urlare, si calmi signora, e non offenda un pubblico ufficiale, se no, potrebbe pentirsi amaramente.  Sí, la nostra bella casa dai pavimenti lucidi, i quadri d’autore, i candelabri d’argento e il pianoforte su cui mille anni prima, appena uscita dal collegio delle suore,  suonavo “Per Elisa”,  di Beethoven,  portata via a pezzi..

Mio marito non ce l’ha fatta. E´passato dalla depressione a una malattia grave, dalla malattia alla tomba. Quando i miei occhi hanno consumato tutte le lacrime, ho preso un aereo, con destino: Lima, Perú, solo andata. Rispondevo all’invito di un’amica d’infanzia, una bionda vivace che mi svegliava tirando sassate alle finestre della mia casa, in un paesino a volte sprofondato nella nebbia padana, per convincermi ad andare a giocare a tennis con lei. Come me, era una ragazza decisa e piena di sogni, che pensó di realizzare sposando un ingegnere bello e biondo che si stava trasferendo in Perú, la terra dorata degli Incas. Dove, invece,  le cose andarono nel peggiore dei modi possibili, con il marito che fece subito un figlio con un’altra, si separó da lei a pesci in faccia  e la fece curare con l’elettrochoc considerandola un’isterica fuori di testa. Trent’anni dopo, (l’ex marito rimasto senza un soldo, con la sua fabbrica fallita) vediamo la “pazza furiosa” aprirci la porta del suo bell’appartamento nel cuore di Lima, pieno di piante, cristalli di quarzo e grandi vetrate. Vestita di un camice bianco, una spilla di ametista, e un sorriso comprensivo, ha imparato a curare la gente dei suoi mali dell’anima e del corpo con il tocco di mani sapienti. Lei dice di essere affiancata da angeli e arcangeli, che l’aiutano, e nessuno vede. Sará come sará, molti guariscono di mali oscuri. Con me va giú di brutto. “Svegliati! Adesso sei sola”, mi grida. “Devi imparare a contare solo su te stessa. Devi imparare a fare benzina da sola, a gestire le tue insonnie e le tue tristezze senza un abbraccio che ti consoli, senza bombardarti di sonniferi e cioccolatini...devi imparare a darti obiettivi che sono solo tuoi!”. Giá, darsi obiettivi. I figli grandi, ormai non sono piú un obiettivo. Posso sentirli ma non invaderli, potrei essere ingombrante.

In Perú capii che dovevo darmi il tempo di perdere tempo, di pensare, di lasciare spazio all’intuizione. Guardavo la gente delle barriadas inventarsi la vita. Le donne andare su e giú dalle colline pelate del deserto con un carretto di fritture da vendere in giro, per mantenere una banda di bambinetti a volte abbandonati dal padre, emigrato chissa´dove. Eppure, tra problemi giganteschi, la gente ride, piange, inventa, sopravvive. Nei primi giorni li guardavo come fossero marziani. O forse eravamo noi europei i  marziani, con gli armadi strabuzzanti di vestiti e i cervelli di paturnie?

Al ritorno in Italia, la prima intuizione che seguii fu quella di lasciare la grigia Milano, una cittá ormai triste per me. Per andare dove? Presi la macchina e cominciai a guidare verso sud, cercando una cittadina tranquilla, dove fare lunghe passeggiate in spiaggia con un cane. Obiettivi terra-terra, come si vedrá, per niente glamorosi. E poi chissá. A un certo punto vidi un cartello: Fano. Non c’ero mai stata. Fermai la macchina, e ci restai qualche anno.

A Fano conobbi gente che pensava, che si interrogava, che invitava gente che si interrogava e pensava a parlare ad altra gente che si interrogava e pensava.

E cosi, pensando e interrogandomi, scoprii  Enzo Bianchi, il cardinal Martini, Massimo Cacciari, Mancuso, Galimberti, Rampini. Scoprii che c’era gente con idee e fede, non semplici arrivisti o sepolcri imbiancati. Mi alimentai e continuo ad alimentarmi di libri stimolanti, piú che di cibi gourmet. Per mangiare, mi basta una minestra di ceci o di zucca (di quelle felicemente giá pronte) o una frittatina magari arricchita di erbe di campo.

Ma ai libri non posso rinunciare, e per questo saccheggio la biblioteca piú vicina. Per fortuna, ci resta ancora quella, come ricordo dello “stato sociale”.

Adesso, dopo un periodo a New York in compagnia di mio figlio, vivo in un paesino del bergamasco, da sola, in un appartamento che mi costa 520 euro di affitto al mese. La mia pensione é di circa 800 euro. Si fa presto a fare i conti, care lettrici e  lettori, vivo con 300 euro al mese. Come me la cavo? Benissimo. Le mie esigenze, come si capirá, sono ridotte all’essenziale. Non perdo tempo a farmi analisi su analisi, come tanti miei coetanei ipocondriaci. Ho imparato ad ascoltare il mio corpo, cosa gli faccia bene e cosa no, evitando di rimpinzarmi di medicine. Accettando i limiti dell’etá, ma vivendo pienamente. Ho capito che devo mantenermi attiva, nella mente e nel corpo, non ingrassare, non appesantirmi, non camminare lentamente, perché allora sí che  il cervello si appanna. Se dovessi ammalarmi gravemente, un giorno, prima di decadere del tutto ed essere di peso ad altri, vorrei ricorrere ad alcune pastiglie misericordiose e andarmene in pace, e pazienza se i ministri del cielo e della terra non mi riconoscono questo diritto.

Vedo famiglie costrette a vivere in vari con 800 euro al mese. Quelli sí, che stanno male, e si disperano per dover perdere la dignitá chiedendo lavoro, aiuto, pane a chi non ce l’ha o non vuole darlo. Il nostro mondo basato sul benessere e sul successo fa acqua da tutte le parti. Le ingiustizie sono diventate colossali, il pianeta é in una lenta agonía. Come riuscire a non farsi travolgere dalla negativitá, dal “tutto va male e non si puó far niente”,  pur essendo ognuno di noi una formica nel cosmo? Forse qualcosa si puó fare, se é vero che un granello di sabbia, insieme a tanti altri forma un deserto. Osservo per esempio con ammirazione chi raccoglie firme online per questa o quella causa, e a volte centra in pieno l’obiettivo, come l’abolizione di certe leggi. In Spagna, mi dicono, dopo che una web creata da un giovane, “Actuable”, ha denunciato l’inumanitá dei centri di internamento  per immigrati, il governo ha ceduto e adesso li fa gestire ad Ong come centri di accertamenti legali, non piú di reclusione. Finalmente chi ha rischiato la vita fra deserti e mari per cercare fortuna in Europa non dev’essere considerato un delinquente.

Io invece alzo la mia voce di formichetta incazzata scrivendo ai giornali. Mi viene cosí. Denuncio ingiustizie, propongo soluzioni. Totalmente ignorate, finché mi firmavo col mio nome. Invece da quando mi firmo come Marcello, il nome del mio cane, vedo che qualcuno apprezza e risponde. L’interpretazione a questo fatto datela voi.

Nel paesino del bergamasco dove adesso vivo vado a prendere aria nei campi, con Marcello che scodinzola felice, e mi fermo a meditare a lungo, finché la pace mi invade e sono tutt’uno con l’aria, gli uccelli, l’erba. L’aveva capito anche un tipo fuori di testa, un certo Francesco d’Assisi, tanti secoli fa, quando si vedevano tante piú stelle in cielo.

A volte mi fermo a chiaccherare con la famiglia di un ex impresario dal sorriso felice di ragazzo. Anni fa ha chiuso la sua prospera falegnameria e si é stabilito in una discarica, dove ha messo su, stringendo un po’ la cinghia, un’azienda agricola didattica, dove oggi pascolano cavalli,  oche e caprette, saltellano i conigli e  i tacchini fanno splendide ruote. Una gioia per gli occhi. Dove  si allestiscono tavolate allegre a base di prodotti organici e si raccolgono anche soldi per progetti di solidarietá sparsi per il mondo. Dove possono essere invitati dagli USA gruppi di Apache veri (con piú piume possibili, mi raccomando) o piccoli pigmei africani (ipiú piccoli possibile, mi raccomando) per un bagno di fratellanza universale.

I bambini tripudiano, le mamme aggiungono torte e lasagne, tutti chiaccherano e ridono. Le autoritá invece hanno giá stilato dei piani che prevedono che ci passi sopra il tracciato di una superstrada, che scaccerá ochette e comigli e tacchini variopinti. La stessa cosa che in Amazzonia, o sulle Ande, o in India,  dove l’invasione delle compagnie minerarie o petrolifere, o la costruzione di dighe gigantesche segnano la fine di interi popoli, la sparizione di migliaia di specie animali. E´solo questo il progresso possibile, quello che scaccia gente tranquilla, scimmiette giocose e farfalle iridescenti?   E distrugge paesaggi e scatena guerre civili per appropiarsi di terre e risorse?

Se é questo, io non ci sto, e non ci stiamo. Marcello neppure, mi avvisa digrignando i denti. Per questo noi piccole formiche incazzate dobbiamo continuare nel nostro piccolo a protestare e proporre, come sappiamo e possiamo, insieme agli altri. Finché abbiamo fiato.  Perché é questo, alla fine, quello che ci mantiene ancora vivi, come esseri umani.

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