Cittadini non si nasce. Cittadini si diventa.

Viaggio nella scuola dove si apprende a diventare cittadini (2)

Seconda Tappa: Istituti Superiori

 

Cosa sarà mai questa “ identità ”

A cura di: Luciano Carpo

Tranquilli, stiamo parlando di buone pratiche di cittadinanza tra italiani e immigrati, anche se in questa occasione presentiamo “ parole”. Le parole in questione sono “ identità” e “radici”.

La sala è piena di genitori italiani e di genitori immigrati. Entrambi rivendicano la rispettiva “ identità?”.

E allora chiedo: “ E cos’è questa “ identità? ”.

Entrambi mi rispondono: “ Le nostre radici”, che tradotto significa:  una nebulosa di componenti e di frammenti culturali originari, che ci vengono da tempi e luoghi lontani ( lingua materna, immaginario collettivo, ricordi, volti, emozioni primigenie, storie comuni, riti ed espressioni cultuali; modi di pensare e di organizzare gli spazi, i ruoli, la produzione e la convivenza familiare e sociale; concezioni di vita e manifestazioni artistiche; costumi, feste, ricorrenze,  personaggi, i colori della bandiera nazionale, ecc.).

I più impegnati nel descrivere la propria identità come una pluralità di “radici”, sono i genitori  più avanti negli anni. I nonni presenti – sia italiani che immigrati- sono addirittura emozionati quando parlano di “radici”, che inconsciamente legano ad immagini di qualcosa di materiale (totalmente idealizzato, come ogni cosa lontana): i cibi, gli odori, i sapori, l’infanzia, i monumenti antichi, i vestiti, il paesaggio, la casa, il cimitero, il campanile, il minareto, ecc.

Alla prima occasione, faccio la stessa domanda ad una classe di un Istituto Superiore di Bassano del Grappa, con una percentuale molto significativa di studenti figli di immigrati.

Tutti indistintamente – figli di italiani e figli di immigrati residenti-  mi guardano stupiti, senza rispondere, come a dire: che cavolo di domande fai? In altri termini, mi fanno capire che non idealizzano proprio niente, che non si identificano solo con i gruppi parentali-monolinguistici, che vanno ben oltre i confini della lingua e della mentalità degli avi, e che si trovano a proprio agio anche con l’immateriale delle “reti”: internet, network, facebook, skipe, ecc.

Racconto loro che i rispettivi genitori, invece, parlano di “radici”.

“ Certo,  interviene una studentessa, parlano di “radici” perché gli adulti e gli anziani hanno nostalgia di un qualcosa che non c’è mai stata, della stabilità, miticamente identificata con la terra. Oggi giorno, meno che mai, esiste la garanzia di stabilità e di futuro: noi giovani viviamo la “liquidità” del mondo globalizzato. Le “radici”, di cui sentono infondato rimpianto alcuni dei nostri vecchi, si possono muovere solo per qualche metro, nel piccolo ambito territoriale, sotto terra, nella piccola profondità. Non possono spaziare nel virtuale planetario e nell’immediato, come ora ci viene richiesto dalla globalizzazione. Le radici, alla fin fine, costringono ad un pensiero immobile, senza strumenti  flessibili per affrontare la velocità imposta dai ritmi della contemporaneità. Le radici, quindi, non possono essere una metafora totalmente adeguata per descrivere la nostra identità di giovani”.

Colgo l’importanza di questa negazione e lascio intrecciarsi il dialogo attorno al filone: quale metafora allora è più indicata per accennare a quella nebulosa che qualcuno si ostina a chiamare “identità”.  Una nuova buona metafora ti cambia il modo di pensare, di parlare, di agire, diceva il grande attore Troisi nel film “ Il postino”, riferendosi alla capacità di creazione innovativa del poeta Pablo Neruda. E, allora, quale metafora?

Apparteniamo ad un fiume

Ecco il percorso dialogico, fatto insieme con i ragazzi, attorno a questo complesso ma fondamentale nodo. Mai nella storia umana è esistita l’immobilità. Tutto è sempre stato in movimento. Da sempre i popoli si sono spostati, combattuti, guardati in cagnesco e poi si sono “meticciati” o sposati tra loro. Non esistono identità culturali, ma persone che hanno cosmovisioni, sistemi e riferimenti culturali. Queste cosmovisioni non sono bocce di cemento, realtà compatte, monolitiche, impermeabili. I sistemi culturali sono spugne, realtà porose, pronte allo scambio.

Tutto è sempre stato dinamico, in continua evoluzione e adattamento alle circostanze, ai climi, agli eventi. In questa perenne trasformazione, ci sono certamente punti saldi di continuità. Ci sono Valori essenziali che si perpetuano, sempre più depurati e filtrati. Come ci sono sali minerali che continuano ad esserci essenziali per vivere.

Forse, più che interrati con “ radici”, ci riconosciamo di appartenere ad un fiume, che si arricchisce di tanti affluenti, che a loro volta hanno sorgenti diverse e lontane tra loro. I sali minerali dei distinti affluenti confluiscono nel grande alveo, mischiati anche a impurità, a sterpaglie, a tronchi marci. Sta a tutti noi giovani – tanto figli di italiani e figli di immigrati- avere senso critico e autocritico, depurare e filtrare il meglio dei rispettivi bagagli ereditati. All’inizio, le correnti fluviali si scontrano, si azzuffano anche,  non si fondono subito automaticamente: possono scorrere parallele anche per molto tempo. Poi, un po’ alla volta, faticosamente fluiscono, trovano un primo assestamento nell’intercambio di risorse, poi un secondo, e così via.

I sali minerali sono diversi, tutti preziosi. Ognuno che appartiene al fiume, ha diritto ai “ suoi” sali minerali e che questi vengano rispettati. Nello stesso tempo, la diversità e la molteplicità dei sali minerali sono a disposizione di tutti, sono patrimonio comune.

Le diverse forme di esprimere “umanità” rendono grande il fiume-società, che è incessante (magari turbolento) movimento, sempre aperto a nuovi apporti, con la sola clausola che questi nuovi apporti si mettano in gioco all’interno di sponde salde e chiare per tutti, quali sono le sponde della legalità e della convivenza democratica basata sulla Costituzione. Sì, forse quella del fiume è una metafora da prendere in considerazione. Il fiume è inarrestabile, come lo è il carattere multiculturale della nostra società. Il fiume cresce, andando. Come ognuno di noi diventa veramente se stesso, solo alla fine, dopo aver dato e ricevuto molto.  Se si assume il fiume come metafora, non ha molto senso chiedere “ da dove vieni? ”, ma chiederci tutti: “ Dove stiamo andando, verso quale foce vogliamo andare tutti insieme? Se esiste, l’identità non è neppure il mare. Sono gli oceani ”.

Lascio che i giovani studenti continuino il loro dialogo. Non stanno perdendo tempo su concetti astratti. Stanno riflettendo su qualcosa di molto pratico: come concepire la nuova cittadinanza interculturale a Bassano del Grappa, nel Nordest, in Italia, in Europa, nel mondo. Nuova cittadinanza che è un qualcosa da costruire, da inventare; un qualcosa di inedito per tutti, che esige menti aperte, in movimento. Che chiama tutti alla corresponsabilità. Al Bene Comune.

Non ha molto senso domandare all’anagrafe di quale nazione siano stati iscritti alla nascita questi nostri studenti, che ora stanno dialogando.  Sono provenienti da cento affluenti, tutti  sono “nuovi italiani”. Come le generazioni del passato se la sono cavata con le sfide del loro tempo, così questi “ nuovi italiani” sapranno nuotare nelle acque che li attendono, impareranno a selezionare i “loro” sali minerali e adotteranno le loro metafore.

Di una cosa sono certo: che nel corso della storia del novecento passato e anche adesso nella  quotidianità di certo meschino politicume nostrano, ci sono sovente usi strumentali delle parole “ identità”  e “ radici”, alle quali vengono iniettati significati che celano antiquate concezioni di staticità, di delimitazione regionale, di presunta gerarchizzazione, di immotivata superiorità e di preconcetta emarginazione dell’Altro. Con conseguenze gravi per quanto riguarda la pratica del microrazzismo, proprio perché – una volta interiorizzati questi significati restrittivi – non ci si rende neppure più conto che alcuni nostri comportamenti sono inadeguati, se non incivili.{jcomments on}

Meglio questi giovani che si concepiscono in rete, che coltivano alcuni dubbi e si fanno delle domande. Meglio questi giovani che ricercano, che si sforzano di andare oltre gli stereotipi e adottare nuovi parametri. Che “ navigano ” non solo in internet, ma soprattutto nel “fiume” della storia e del futuro.

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