{jcomments on}LEGGE ELETTORALE

alla ricerca del menopeggio

di Roberto Villani

Su giornali e televisioni vengono presentate proposte di sistemi elettorali complicatissimi e spesso ispirati a esperienze di altri paesi che mai avremmo pensato di prendere a modello (p.es. Irlanda, Turchia) .

Credo che pochi siano in grado e abbiano la costanza di seguire calcoli e meccanismi contorti esposti con una terminologia di difficile comprensione.

Eppure la legge elettorale è la base della democrazia, perché fissa le regole attraverso le quali il cittadino può esprimere la propria volontà, scegliendo chi delegare a rappresentarlo in parlamento.

Mi sembra intuitivo che il sistema elettorale più comprensibile e che meglio rispecchia la volontà dei cittadini è quello proporzionale, dove ogni forza politica presenta delle liste di candidati e ha la forza parlamentare corrispondente ai voti presi.

Poiché il sistema può comportare il rischio di una frammentazione del parlamento in molti partiti, con conseguente instabilità del quadro politico e difficile governabilità del paese, sono state apportate, in molte democrazie, dei correttivi al proporzionale o sono stati introdotti altri sistemi che premiano, al di là della percentuale di voti ottenuta, il partito che in ogni collegio elettorale ha avuto la maggioranza (c.d. maggioritario, con diverse varianti).

A mio parere più ci si discosta dal principio di equivalenza fra numero dei voti e numero dei rappresentanti parlamentari, più si altera la volontà popolare e si rende di difficile comprensione il meccanismo.

Il sistema che abbiamo in vigore in Italia è misto, maggioritario – proporzionale, ma ha introdotto delle

storture tali da meritarsi l’appellativo di porcellum e la disapprovazione degli stessi che hanno contribuito a crearlo e che ora cercano di recuperare consensi proponendo delle modifiche.

 

Fino dai tempi della prima repubblica molti italiani hanno votato per il partito “meno peggio” degli altri (ricordo Montanelli che affermava di votare DC turandosi il naso). Ora in coerenza con questa triste propensione, anche le forze politiche attuali tentano di modificare la legge elettorale in vigore, da loro creata, mantenuta e definita porcellum, non puntando alla soluzione migliore ma  al compromesso e come al solito al “menopeggio”.

Corriamo il rischio quindi di continuare a turarci il naso non solo per la scelta del voto, ma anche per il sistema con cui ci fanno votare.

Tutto questo perché l’obiettivo dei nostri legislatori non è quello di avere un sistema elettorale che rispetti il più possibile la volontà popolare e sia di facile comprensione, ma  quello di evitare, attraverso una serie di correttivi, gli abusi che la stessa classe politica porrebbe in atto se ci fosse un sistema lineare, chiaro e pienamente rispondente all’orientamento politico dei cittadini.

L’aspetto più criticato della legge attuale è l’impossibilità per l’elettore di esprimere preferenze nell’ambito della lista di candidati prescelta. Insomma decidono tutto i partiti.

Il buon senso suggerirebbe di reintrodurre le preferenze dando al cittadino la possibilità di scegliere il partito e il parlamentare fra più candidati.

Ma, obiettano i nostri politici, la possibilità delle preferenze crea maggior competizione e quindi maggiori costi per la campagna elettorale; senza contare che in alcune regioni d’Italia, attraverso un controllo incrociato delle preferenze, si poteva pilotare il voto degli elettori nei singoli collegi.

Quindi invece di trovare gli strumenti per mandare in galera chi altera la libertà di voto o porre dei limiti alle spese elettorali, propongono di introdurre collegi elettorali uninominali che eleggono un solo parlamentare ( ma imposto dal partito come con la vecchia legge).

Un meccanismo al quale invece i riformatori della legge non vogliono rinunciare e che modifica considerevolmente la volontà popolare, è costituito dal premio di maggioranza, che l’attuale legge attribuisce alla coalizione di  partiti che ottiene più voti. In pratica se voti per il vincente il tuo voto vale di più.

Il legislatore così ritenne di dare maggiore stabilità al governo intervenendo anche in modo indiretto (direi subdolo) sulla costituzione, che prevede la formazione del governo nell’ambito del parlamento e su nomina del Presidente della Repubblica. Avendo attribuito invece la possibilità per i partiti di presentarsi coalizzati alle elezioni, così che l’elettorato vota la coalizione di governo e indirettamente anche il Capo del Governo, si è cercato di trasformare la nostra repubblica da parlamentare a presidenziale (dove il capo di governo è eletto dal popolo).

Tutte queste aspettative  sono state clamorosamente disattese e smentite dai  fatti recenti che hanno visto cadere il governo Berlusconi nonostante l’enorme maggioranza avuta grazie al premio elettorale e nonostante il voto di coalizione. Ma l’esperienza non insegna nulla e vengono ora riproposti, in varia forma, premi di maggioranza non più alla coalizione ma al partito che ottiene maggiori voti.

In sintesi siamo sempre alla ricerca del “menopeggio” perché non ci fidiamo di come verrebbe utilizzato il “meglio”.

Il tutto mi sembra che si svolga nell’indifferenza della cittadinanza e di tutti i movimenti politici e antipolitici che si accapigliano sulle parole e sugli insulti che reciprocamente si scagliano, mentre le regole del gioco le scrivono i soliti pochi.

Ultimamente abbiamo sentito solo imprecisati tentativi d’innovazione da parte dei gruppi definiti di antipolitica, essenzialmente i seguaci di Grillo, che hanno ipotizzato l’adozione di sistemi di partecipazione popolare non tradizionali, superando lo strumento della rappresentanza per avere l’intervento diretto della cittadinanza, per lo più attraverso la rete.

Al di là dei pronunciamenti piuttosto vaghi, non sono, però, mai state fornite precise descrizioni di come tecnicamente si vorrebbe sostituire la democrazia rappresentativa con quella diretta e francamente mi sembra di difficile, se non impossibile realizzazione.

Senza sminuire il potere di internet e della rete non è certo pensabile che si possa amministrare, dal paesino  di montagna all’intero paese, attraverso la continua consultazione dei cittadini.

Dando quindi per scontato che si può praticare la democrazia solo attraverso la rappresentanza (salvo il ricorso straordinario al sistema referendario su questioni di particolare rilevanza generale) si dovrebbe tendere ad una maggiore partecipazione dei cittadini alla selezione dei rappresentanti.

La partecipazione dovrebbe essere allargata alla scelta dei candidati delle elezioni politiche e di quelle amministrative, poiché l’attuale pratica delle primarie è ancora una volta il menopeggio essendo limitata alla scelta ( e solo nel PD) del premier; le liste invece vengono ancora  stilate dai partiti lasciando ai cittadini ( se verrà reintrodotto il voto di preferenza)  l’unico potere di scegliere nell’ambito dei “prescelti”.

La rete, come strumento di espressione della volontà, potrebbe avere un ruolo molto importante perché permetterebbe un continuo scambio di programmi politici fra aspiranti candidati e cittadini; alle elezioni così parteciperebbero solo soggetti che hanno superato l’esame di moralità e capacità da parte dei futuri elettori.

Ovviamente andrebbe studiato come poter raggiungere questo obiettivo, imponendo ai partiti, senza ledere la loro libertà, meccanismi interni che prevedano la partecipazione decisionale della cittadinanza.

Forse questi potrebbero essere argomenti di approfondimento per chi si pone come innovatore anziché le varie dispute di carattere spesso personale che non hanno nulla di nuovo.

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