STORIA TRISTE DI UN DEBITO FOLLE

(I)

di Marco Borsotti

Debito pubblico, Spesa pubblica e Tassazione, tre aspetti di un solo problema.

Un problema con radici lontane.

La storia dello Stato italiano non é molto lunga. Ne abbiamo appena celebrato, tra grandi polemiche, i centocinquanta anni. Fa comunque riflettere sapere che questo nuovo Stato sin dalla nascita sia stato caratterizzato dal fatto di essere in debito. Cavour ed i Savoia, infatti, avevano vinto la guerra d'indipendenza contro il Regno delle due Sicilie, ma si erano anche indebitati per cui dovettero, come non ci insegnano a scuola, depredare le terre recentemente liberate per permettere ai conti di tornare a quadrare. Sappiamo tutti che di quei tempi con persone come Quintino Sella o Massimo d'Azeglio incaricate delle finanze, conti pubblici in rosso non erano proprio tollerabili.

Comunque, ho voluto rammentare questo fatto per sottolineare come nella stessa creazione del nuovo Stato

nazionale si fossero generate le condizioni che ne avrebbero condizionato sin ad oggi lo sviluppo per la mancata integrazione di tutto il territorio e di tutta la popolazione in una nuova Nazione. Per riuscire nell'intento di cementare l'Italia, paese che non era mai esistito e che non aveva una popolazione accomunata  da una lingua comune o da comuni tradizioni eccetto l'essere quasi tutti cattolici, si sarebbe dovuto puntare a garantire equilibrio nel tenore di vita tra le varie parti del paese.

 

A dire il vero questo equilibrio esisteva prima del 1860, cioè prima dell'unificazione, non essendoci una sostanziale differenza tra le condizioni di vita al nord o al sud, entrambe società contadine con strutture simili. Ma le casse vuote del Regno d'Italia richiesero sacrifici che con logica da vincitori, si pretese gravassero principalmente sulle popolazioni del sud. La guerra al brigantaggio che seguì a breve la conclusione delle epiche battaglie per l'unificazione, non fu altro che un pretesto con cui si volle coprire il fatto che gli occupanti piemontesi non esitarono ad usare le maniere forti per assoggettare al loro volere tutte le popolazioni delle terre appena “liberate” che di quei liberatori non volevano proprio saperne. La questione meridionale é un retaggio dell'unificazione che ancora oggi non abbiamo risolto e che pochi mostrano interesse ad approfondire seriamente, non per proporre irrealistiche rivincite o peggio separazioni che andrebbero contro il senso della storia, ma per capirne la matrice e studiare soluzioni diverse dalle tante scusanti che sono state proposte negli anni e che hanno finito tutte per giustificare a partire dalla decade dei sessanta la crescita del debito pubblico.

I principi di “sana” gestione della cosa pubblica promossi dall'amministrazione sabauda nei primi anni del regno che erano costati il sottosviluppo nel meridione, rimasero in atto con alti e bassi per molti anni a seguire, si può dire con certa approssimazione sino alla fine del boom economico degli anni sessanta, quando per bilanciare la crescente pressione dal basso per un paese meno squilibrato a favore di una piccola minoranza di ricchi e con grandi sperequazioni tra il nord sviluppato ed il sud arretrato, in mancanza di una crescita economica che potesse assicurare buone entrate all'erario si decise di rivolgersi al debito pubblico per sovvenzionare la spesa pubblica dello Stato.

L'evolversi del debito pubblico negli ultimi 40 anni.

Intendiamoci, allora il debito sommava appena al 40% del PIL, un'inezia da paese virtuoso del nord Europa secondo i parametri che leggiamo oggigiorno sui giornali, quindi esistevano margini ragionevoli per cercare nel credito internazionale e nazionale le risorse necessarie per affrontare i problemi del paese. Purtroppo, in soli cinque anni grazie all'ardore della classe politica al potere il valore di quel debito crebbe di più del 15% come valore percentuale della relazione debito/PIL e di più del 300% in relazione al valore assoluto iniziale segnando una tendenza che da allora ha continuato a crescere sino ad arrivare ai livelli insostenibili attuali. Dal 1970 sino ai giorni nostri, il debito pubblico  continuò ad incrementarsi in valori assoluti anche quando, a volte, il rapporto percentuale con il PIL possa aver conosciuto delle inversioni di tendenza.

La palma del campione in questo  corsa all'aumento spetta a Craxi che riuscì in soli quattro anni ad incrementare il valore del debito di poco più del 18%.  Salito al potere nel 1983 dopo le burrascose vicende che avevano visto in quattro anni succedersi ben cinque Presidenti del Consiglio, Andreotti, Cossiga, Forlani, Spadolini e Fanfani, aveva ereditato un rapporto debito/PIL del 70,3%. Ma questo rapporto era salito all'88,6% nel 1987, quando cessò di essere capo del governo, lasciando il posto a Fanfani che lo rimpiazzò e che fu a sua volta a breve rimpiazzato prima da Goria, poi da De Mita ed infine da Andreotti che guidò il paese per quasi tre anni sino al crollo della prima repubblica al . Va anche detto che Craxi riuscì a raddoppiare il debito da 235 miliardi di Euro a 460 miliardi. Da allora, nessun altro governo seppe, per fortuna, ripetere un simile risultato, ma ancora peggio nessuno fu altresì capace d'invertire in modo consistente la tendenza riducendo in valori assoluti l'ammontare del debito.

Bisogna riconoscere, che il rapporto percentuale debito PIL conobbe un'inversione significativa di tendenza con l'avvento del primo governo Dini nel 1995. Lo stesso avvenne durante i successivi governi Prodi, D'Alema, Amato e nei i primi due anni del secondo governo Berlusconi dove il rapporto passò dalla punta di 121,2% del 1994 a un minimo di 103,4% del 2004. Il rapporto percentuale tornò poi a ricrescere a partire dal 2005 sempre con il governo Berlusconi, ebbe una breve ricaduta con il secondo governo Prodi per poi scalare rapidamente nuove vette con il ritorno di Berlusconi al potere nel 2008. Nel solo 2009 il rapporto debito PIL crebbe di oltre il 10% per assestarsi a oltre 120% al momento delle dimissioni di Berlusconi e la nomina di Mario Monti nel novembre 2011. L'arrivo del governo dei tecnici non ha avuto comunque l'effetto sperato di una rapida caduta dei tassi d'interesse sul debito per cui il suo valore assoluto e relativo ha continuato a crescere e ormai si avvicina pericolosamente alla soglia dei 2,000 miliardi di debito, un peso insostenibile per gli italiani.

Gli apprendisti stregoni.

Per rendersi conto di quanto é successo in questi anni bisogna capire che se nel 1970 il valore del debito era di soli 14 miliardi di Euro, nel 1980 era già salito a 118 miliardi grazie sostanzialmente ad Andreotti, nel 1990 grazie al contributo di Craxi era poi salito a 667,8 miliardi, nel 2000 toccava ormai i 1,300 miliardi per raggiungere infine nel 2010 la non piccola cifra di € 1,842 miliardi.

La folle corsa al rialzo é la migliore spiegazione del disastro economico attuale che si stava preparando nel completo disinteresse generale, anzi con politici di tutti gli schieramenti pronti a proclamare che lo stato dei conti pubblici italiani era in ordine e che non vi erano ragioni di sorta per preoccuparsi. Questo non lo hanno detto soltanto Berlusconi o Tremonti, ma anche Amato, Ciampi, Prodi e D'Alema per citarne alcuni. Tutto il ventaglio politico italiano in questo era in assoluto accordo e con loro concordavano le parti sociali, la stampa scritta e televisiva, con pochissime voci fuori dal coro che erano sempre gentilmente emarginate per non turbare il sonno degli elettori italiani. Persino dopo l'inizio dell'ultima crisi finanziaria nel trascorso del 2007 sino ai primi del 2011 tutti coloro che contavano e contano in politica ed economia in Italia negarono che il paese avesse un problema associato con la poca salute dei suoi conti pubblici.

Scorrendo le tabelle pubblicate dalla Banca d'Italia che registra impassibile l'evolversi di questo dramma nazionale, mi viene in mente un cartone animato della mia infanzia “L'Apprendista Stregone” prodotto da Disney nel 1940 come episodio di un film ancora oggi conosciuto, Fantasia. Si tratta della composizione musicale ideata da Paul Dukas ispirandosi alla ballata di Goethe che narra appunto di un giovane apprendista stregone che per risparmiare fatica mette in moto un putiferio per aver tentato di far uso di magia senza saperne ancora controllare le conseguenze. La morale della ballata é semplice: non avviare cosa che non sai poi come fermare. A mio parere, qualche cosa di simile é successo con gli apprendisti stregoni della finanza pubblica che, senza capirne a fondo meccaniche e conseguenze e preoccupati soltanto del loro oggi, hanno messo in moto una spirale che dopo quarant'anni si é trasformata in un vortice che non solo sta risucchiando le nostre aspettative di benessere attuali, ma anche quelle dei nostri figli e nipoti e potrebbe portare tutti al fallimento.

Indebitarsi é sempre un male?

Intendiamoci, l'idea di fare debiti oggi per pagare servizi di pubblica utilità, debiti che saranno ripagati nel futuro non é necessariamente sbagliata, anzi la crescita del debito si può dimostrare come la spinta necessaria per rimettere in movimento l'attività economica in periodi di recessione o stagnazione. Sbagliato é fare di questo metodo un sistema per far crescere la spesa pubblica nel lungo periodo senza curarsi di bilanciarla con le entrate fiscali e con gli altri parametri macro-economici come livello dell'inflazione, valore della moneta, bilancia dei pagamenti, valore della produzione dei maggiori comparti, eccetera. Infatti, se il PIL continua a crescere e il sistema di riscossione delle tasse funziona in modo efficiente, il valore del debito si mantiene stabile nel tempo e può anche diminuire sia in valori relativi che assoluti, e soprattutto il tasso d'interesse che si deve offrire per attirare investitori interessati in quest'impiego sicuro di capitali, rimane a valori nominalmente bassi. Per intenderci, come é oggi il caso in Germania, ma non in Grecia, Italia o Spagna.

Il cerchio virtuoso dove tutti risulterebbero vincitori, coloro che emettano le offerte di debito pubblico, conosciuti come BOT o CCT nel caso italiano, e i loro sottoscrittori, presupporrebbe tassi d'inflazione bassi per mantenere i rendimenti remunerativi, ma al contempo contenuti. Invece molti si ricorderanno che dagli anni settanta sino agli inizi degli anni novanta, il tasso d'inflazione in Italia rimase alto ed in alcuni momenti altissimo sino a toccare punte di oltre il 21% nel 1980. Ancora fino a quasi la metà degli anni novanta, il tasso rimase attorno al 6%. Queste condizioni avrebbero dovuto consigliare prudenza nell'emettere nuovi titoli di Stato per il rischio che gli interessi che si sarebbe dovuto pagare per attirare compratori potessero finire per rappresentare una delle voci più onerose delle spesi correnti annuali del bilancio dello Stato. Per questo ho scritto che chi gestiva la questione finanziaria in Italia era un apprendista stregone capace soltanto d'avviare il processo per poi non saperlo gestire ed, all'occorrenza, fermare.

Peggio, molti di coloro che avevano queste responsabilità erano corrotti. Infatti, se almeno le spese fossero state realizzate per risolvere i problemi strutturali del mezzogiorno e di altre regioni del paese, migliorare i trasporti, finanziare la ricerca scientifica, pagare per garantire un sistema di salute e d'educazione pubblica di prima qualità, proteggere l'ambiente e stimolare la piccola e media impresa, in questo caso, l'indebitarsi avrebbe comunque aiutato il paese a migliorare sia sul piano economico che su quello sociale creando i presupposti per il raggiungimento di un benessere ed una stabilità necessari per il quieto vivere della popolazione. I dividendi per il paese risultati dagli investimenti realizzati avrebbero in poco tempo compensato le spese sostenute e contribuito alla progressiva riduzione del debito stesso.

Nulla di tutto questo fu realizzato, come si venne a sapere con l'avvio del processo conosciuto come “mani pulite” dove si scoprì il segreto di Pulcinella del nostro paese, cioè che i soldi pubblici spesi finivano nelle tasche di pochi imprenditori ammanicati con i partiti al potere, pagavano il costo di una amministrazione pubblica clientelare ed inefficiente, serbatoio di voti per chi ne assicurava l'assunzione, costruivano opere inutili che spesso non venivano neppure inaugurate perché non completate, pagavano insomma gli eccessi di un sistema politico corrotto e spendaccione.{jcomments on}

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