IL MERCATO QUESTO SCONOSCIUTO

(II)

di Marco Borsotti

Cosa sono i “mercati” e chi c'é dietro ai mercati?

La parola mercato secondo lo Zingarelli ha varie accezioni correlate. 1.Luogo destinato alla vendita di merci; 2. movimento delle contrattazioni, operazioni al mercato; 3. complesso degli scambi di un dato prodotto; 4. complesso degli scambi di tutti i prodotti in un dato Paese o in una data area; 5. traffico illecito, mercimonio; e 6. chiasso, luogo di grande confusione o di grande affollamento.

Per molti italiani, la parola mercato indica il luogo od i luoghi della propria città dove ci si reca per comprare prodotti

{jcomments on} vari che agricoltori, artigiani e venditori al dettaglio portano sulla piazza per soddisfare le necessità della popolazione. Alcuni di questi luoghi hanno nomi suggestivi come “Campo dei Fiori” a Roma o “Porta Palazzo” a Torino o “Mercato delle Erbe” a Padova, nomi che ci ricordano che la tradizione di avere un punto fisso in città dove produttori, commercianti e compratori s'incontravano e tutt'oggi s'incontrano per scambiare merci per denaro, é altrettanto vecchia che l'esistenza stessa di molte di queste città e forse anche la ragione stessa del loro esistere in quel determinato luogo.

 

Infatti, io stesso ricordo i profumi del mercato della cittadina dove sono nato, luogo dove spesso mi recavo da ragazzo con i miei, il vocio incessante degli avventori ed imbonitori che caratterizzava quello spazio dove tutti erano impegnati a trovare al prezzo migliore possibile quanto abbisognavano. Mi ricordo anche che il prezzo del giorno per ogni articolo in vendita si stabiliva in fretta sin dalle prime luci dell'alba tenendo conto del volume dell'offerta di ogni prodotto di quel giorno e della domanda che si assumeva sarebbe venuta dal pubblico dei compratori. Per questo, ancora oggi, é possibile in qualunque mercato riuscire a fare buoni affari quando  prossimi al tempo di chiusura ci si avvicini ad uno dei banchi dove si possano trovare dei prodotti invenduti. Infatti, pur di non doverli riportare indietro, il proprietario accetterà vendere con sconti riguardevoli. Si sa non sempre tutto sarà della migliore qualità, ma il prezzo sarà certamente interessante. Un' insperata domanda dell'ultima ora trova sempre un'offerta disposta a far sconti pur di vendere.

La parola mercato in economia

La teoria economica ha semplicemente adottato le stesse terminologie che tutti utilizzano per descrivere questi fenomeni di vita corrente così come i processi che li caratterizzano. Il mercato, per gli economisti, é quindi il luogo reale o virtuale dove si scambiano merci, generalmente, in cambio di denaro contante o di fidi bancari. In questo luogo che nel mondo moderno é spesso virtuale, il volume della domanda e dell'offerta dei vari prodotti definisce ogni giorno e, quando le cose mutino rapidamente anche più frequentemente, il prezzo che permetta al numero più grande possibile di venditori di scambiare i loro beni con chi è interessato a comprare alle condizioni più vantaggiose per entrambi. Trasponendo questo processo in un grafico cartesiano, il punto d'intersezione della curva dell'offerta e quella della domanda é il valore del prezzo d'equilibrio di quel mercato; punto verso cui, la libera fluttuazione di domanda ed offerta tendono sempre a convergere.

Almeno questo é quanto insegna la teoria economica generalmente accettata da tutti. Però sin dagli inizi dello studio dell'economia come quella branca delle scienze umanistiche preoccupata di spiegare come e perché si producessero e scambiassero i prodotti del lavoro umano ad un dato prezzo, gli stessi ideatori dei principi di quella nuova scienza arguivano che perché il mercato possa svolgere il proprio ruolo calmierante dei prezzi, sia necessaria una semplice, ma complessa da realizzare, condizione: cioè, che nessuna delle due parti che partecipa nella vendita possa operare in condizioni di monopolio o di oligopolio.

Volgendoci nuovamente al dizionario per sapere il significato di queste parole: monopolio, dal greco monos, solo, e polein, vendere, é il regime di mercato in cui un determinato prodotto o servizio é fornito da un solo operatore economico, impresa che vende o produce un bene dato in regime di monopolio; mentre oligopolio dal greco oligos, pochi, significa quella forma di mercato caratterizzata dall'esistenza, di fronte a un numero imprecisato di compratori, di un numero limitato di venditori di un dato bene o servizio.

Già Adam Smith nel suo lavoro principale, “Indagine sulla natura e le cause della ricchezza delle Nazioni”, aveva allertato che essendo pochi coloro capaci di controllare l'offerta perché grazie alla loro larga disponibilità di capitali potevano accaparrarsi gran parte dei prodotti disponibili alla fonte, a fronte di un numero imprecisato di consumatori potenziali, il grande rischio fosse che i primi potessero cospirare per manipolare il mercato a loro favore. Smith scriveva proprio di una cospirazione, parola che contiene un significato certamente negativo, a danno dei consumatori ogni qual volta, anche per le ragioni più innocenti, dei grandi produttori e commercianti s'incontrassero tra loro. Infatti, scriveva Smith che le loro conversazioni sarebbero finite sempre per convergere sul tema di come calmierare il mercato a loro favore regolando il flusso dell'offerta. Il fine di questa “cospirazione” era sempre quello di far lievitare i prezzi verso l'alto per accrescere il profitto anche a fronte di livelli alti della produzione e quindi dell'offerta di quei beni, fatto questo che avrebbe dovuto, almeno teoreticamente, far calare i prezzi se la legge della domanda e dell'offerta avesse potuto funzionare senza interventi esterni a distorcerne l'operato.

Paradossalmente, in tempi recenti l'Amministratore Delegato della FIAT, Marchionne, ha confermato che simili pratiche continuano ad esistere quando ha denunciato una sua competitrice europea, la Volkswagen, per applicare gli stessi principi al riverso valendosi del controllo di mercato acquisito per condurre una guerra dei prezzi, questa volta al ribasso, per espellere o ulteriormente emarginare la FIAT dai mercati del Vecchio Continente. Dicendolo l'Amministratore Delegato della FIAT ammetteva che il mercato europeo dell'auto era il risultato di attività manipolatorie, in questo caso a sfavore di un altro produttore. I prezzi venivano determinati non dalla domanda e dall'offerta, ma da decisioni prese da chi godendo di una posizione di vantaggio potesse orientarne il valore per tentare di danneggiare un competitore.

Che cosa dovrebbe poter fare lo Stato nel mercato

In questa situazione di disparità, Adam Smith suggeriva che il compito di arbitro imparziale dovesse essere svolto dallo Stato, forza al di sopra delle parti, il solo interessato a servire gli interessi di tutti e a definire: il giusto guadagno per chi si disponesse a venderee prezzi accessibili e non manipolati per coloro che volessero comprare. Figure odierne come quella del Commissario alla Concorrenza nell'ambito della Commissione Europea, posto che fu per un tempo di Mario Monti che lo ricoprì con rigore, appartengono a quella scuola di pensiero che vuole che il mercato si auto-regoli, ma sotto la tutela di un'entità indipendente che vigili che il tutto avvenga senza frodi di parte. Il ruolo che Adam Smith assegnava all'autorità dello Stato.

Infatti, il liberismo economico classico alle sue origini sosteneva che di fronte a decisioni autonome di milioni di operatori indipendenti, siano essi compratori o venditori, preoccupati soltanto di portare a casa quanto abbisognavano al minor possibile costo, il mercato fosse il calmiere ideale per assicurare il prezzo più basso possibile per permettere la vendita di tutto quanto venisse immesso nello stesso soddisfacendo il numero massimo possibile di coloro che volessero comprare. Il mercato così inteso, non solo permetteva di generare il prezzo d'equilibrio per ogni bene, ma assicurava anche l'utilizzo migliore delle risorse sempre se il suo funzionamento fosse rimasto libero da interferenze. Assicurare questa libertà del mercato era la funzione primaria in economia dello Stato.

L'affermarsi del Neo-liberismo

Da allora, la scienza economica ha compreso che le cose erano più complesse ed i mercati lasciati a se stessi provocavano il ricorrere di crisi strutturali periodiche dovute all'eccesso della domanda o dell'offerta con conseguenti recessioni o stagnazioni che rendevano la vita economica un otto volante con alti e bassi che a loro volta davano adito a crisi sociali che spesso si risolvevano in scontri sanguinosi ed a volte fin anche in guerre tra Stati.

Senza entrare nel merito dell'evolvere delle teorie su come ci si dovesse comportare per permettere l'uso ottimale delle risorse al minor costo sociale possibile, a partire dalla fine degli anni settanta del secolo scorso con l'ascesa a Washington e Londra di governi di orientamento conservatore, iniziò a prevalere la teoria neo-liberista che le crisi erano governabili ed anche evitabili se soltanto si fosse lasciato che il mercato si regolasse da solo. Lo Stato doveva essere ridimensionato in tutti i suoi comparti, ma, cosa ancora più rilevante, doveva restare, per quanto possibile, al di fuori delle attività economiche perché i problemi economici del passato erano retaggio di uno Stato che aveva cercato di decidere arbitrariamente come le risorse dovessero essere impiegate. La ricetta era semplice:: meno Stato nell'economia, meno tasse soprattutto per chi investiva, meno controlli su tutto quanto potesse impedire la crescita anche a costo d'ignorare problemi che iniziavano ad emergere come quello della crisi ambientale verso cui il modello economico ci portava. Solo un mercato libero di scegliere come utilizzare le risorse, poteva garantire il massimo possibile benessere per tutti nel lungo periodo. Le teorie neo-liberiste di cui tanto si discute ancora oggi giorno, sono più o meno tutte inspirate da questa visione del mercato e dello Stato.

Tanto ottimismo é giustificato?

Tutti gli studenti che si avventurino per la prima volta tra i misteri della statistica e del calcolo attuariale, apprendono la legge dei grandi numeri. Più alto il numero delle osservazioni fatte, più ci si avvicina alla precisione matematica assoluta nelle stime. Con un numero vicino all'infinito d'osservazioni, il margine possibile d'errore si avvicina a zero. Insomma, si può essere sicuri di non sbagliare praticamente mai quando le decisioni sono il risultato di scelte indipendenti di miliardi di soggetti. E' vero tutto questo nel mercato globale che conta miliardi di potenziali compratori e venditori? I fatti ci dicono di no perché si opera in gran parte in condizioni di oligopolio ed a volte di monopolio.

I mercati di cui tanto si favoleggia non sono quei luoghi rarefatti di purezza quasi assoluta dove i numeri si allineano per legge matematica per assicurare la migliore distribuzione possibile delle risorse sempre e comunque. Essi sono nelle mani di soggetti che li possono manipolare a loro vantaggio. Queste manipolazioni non sono perfette e la crisi attuale lo dimostra, ma rimane il fatto che pochi soggetti possano prendere decisioni che ignorino le scelte e le necessità di miliardi di altre persone. Il movimento liberiamo Wall Street dice in fondo questo. Il problema prima di essere economico é politico. Purtroppo, in Italia si discute e si scrive molto di questioni di vita sociale che definirei marginali e forse anche surreali, mentre di quello che é il primo problema che sta causando miseria e non soltanto più povertà, si discute e scrive poco. Quando si tocca il tema del mercato, lo si fa in modo ermetico, accessibile a pochissimi, lasciando i più nella ignoranza perché così non si rischia di toccare interessi potenti e ben stabiliti.

I mercati sono presentati come entità astratte, idealizzate in un mondo tutto loro dove questi “enti” onnipotenti, che si accetta come dogma non possano sbagliare mai e che si considera al di sopra di ogni controllo o dubbio, decidano di cose che quasi nessuno capisce realmente come lo “spread” (parola inglese che indica il differenziale di rendimento tra i titoli di Stato, strumenti usati dai governi per raccogliere risparmio pubblico e privato per finanziare il disavanzo di bilancio tra entrate ed uscite, dei vari Stati). Nel caso italiano, per esempio, lo “spread” di maggior riferimento è quello che misura la differenza del tasso di rendimento dei titoli emessi dalla Banca Centrale tedesca (il Paese che offre l'investimento più sicuro e quindi il minor rendimento) e quelli emessi dalla Banca Centrale italiana.

Un altro indicatore quasi magico che i mercati modulano a loro discrezione é l'indice di borsa, il MIB italiano o il DAX tedesco. Si vuole far credere nel modo in cui ne parlano stampa e commentatori economici e politici, che quest'indicatore misuri l'efficienza dell'economia di un paese quando al massimo dà un'indicazione soggettiva del valore di un gruppo molto ristretto di titoli, in genere poche centinaia o, per le borse di maggiore importanza, poche migliaia che rappresentano imprese di vario tipo o fondi d'investimento. Questi indici denotano soltanto il valore attribuito agli stessi da chi vende o compra in Borsa, tenendo conto che pochi soggetti con larghe disponibilità, in genere istituti bancari, decidono con mosse speculative il valore di quei titoli.

Come conseguenza, il valore azionario di un'impresa può salire o scendere nel mercato borsistico senza relazione con i dati reali dell'impresa come il valore dei capitali investiti, le quote di mercato controllate, i volumi di vendita, ecc. Il valore azionario é da tutti i punti di vista soltanto il valore dell'aspettativa che pochi grandi investitori ripongono sulla crescita o decrescita dello stesso a scopo speculativo, la stessa motivazione che spinge a giocare il rosso od il nero alla roulette. Per questo grandi investitori istituzionali affidano a modelli matematici il controllo aggregato dei titoli che detengono in portafoglio. Questi modelli hanno incorporati algoritmi matematici che portano alla vendita o acquisto se le oscillazioni di valore presagiscono un possibile incremento o perdita del titolo. Spesso decisioni che fanno oscillare di vari punti percentuali le borse valori del mondo non sono altro che decisioni prese da delle macchine anche se le conseguenze saranno alla fine sentite dalle persone.

Altri indicatori utilizzati con frequenza da chi parla di materia economica sono il tasso di cambio delle varie monete tra di loro, la bilancia dei pagamenti o il Prodotto Nazionale Lordo spesso menzionato con l'abbreviazione PIL. Tutti sono presentati come fattori esogeni, cioè esterni all'influenza di parte, elementi che fluttuano per le decisioni dei “mercati” e non per la volontà di quei pochi che i mercati li controllano.

Chi si beneficia di questo mercato?

Politici e commentatori usano questo linguaggio perché devono giustificare le loro decisioni come se quest'ultime fossero non loro scelta, ma imposizioni che non possono essere evitate o discusse. “Le offerte che non si possono rifiutare” rese famose dal Padrino di Mario Puzo. Ne abbiamo avuto un esempio in Europa dove per proteggere gli interessi di gruppi bancari che avevano speculato sulla crescita di un dato paese, si é riusciti a far pagare le conseguenze di decisioni prese da pochi, a tutti i cittadini di quel paese ignari sino all'ultimo di quanto stava succedendo. Tutto per evitare il fallimento di chi quei prestiti aveva approvato senza tener conto di sia pur minime misure di controllo e dei politici che li avevano coperti.

A onor del vero, si deve riconoscere che i politici di carriera, per la loro necessità di trovare somme di denaro ingenti per foraggiare il loro permanere al potere attraverso costose campagne promozionali, siano molto vulnerabili alle offerte che non si possano rifiutare. L'attuale sistema ha infatti trasformato la politica in un esercizio del tutto simile a quello di vendere un prodotto qualunque sul mercato libero. Le idee politiche sono infatti elaborate basandosi sui risultati di studi di mercato che cercano di capire le aspettative degli elettori per poi formulare piattaforme elettorali che riflettano queste aspettative degli elettori.

Ma le strategie elettorali vanno ormai anche oltre da quando si é capito che con vere e proprie campagne di vendita si possono influenzare le stesse aspettative degli elettori non solo dirigendole verso certi interessi, ma anche generando al contempo apprezzamento o rigetto per una data personalità politica. Tutto questo si ottiene attraverso messaggi radio televisivi che sono il canale privilegiato per formare l'opinione pubblica e dirigerla verso un certo progetto politico. Il risultato di queste campagne di vendita di proposte politiche é quello di portare il cittadino elettore al momento di votare, influenzato da quanto visto ed ascoltato, ad esprimere il suo voto a favore di quel candidato e quel partito che meglio si sia avvalso di questi mezzi d'informazione di massa. Tutto questo costa milioni di Euro, rendendo l'accesso a fondi per sostenere la campagna elettorale il fattore di maggior rilevanza per determinare l'esito delle elezioni.


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