LE AMARE SORPRESE DELL'AGENDA MONTI

di Marco Borsotti

Il contesto generale

Il titolo scelto dal Presidente Monti per presentare il suo, diciamo, “Manifesto” per le prossime elezioni politiche di fine febbraio, da lui volute anticipare presentando in modo  poco ortodosso le dimissioni da Primo Ministro senza essere passato, come ci si sarebbe aspettati,  da un voto parlamentare, enuncia chiaramente le grandi ambizioni che il Professor Monti nutre su di sé chiamato, a suo parere, dal paese Italia a succedere a sé stesso. Essendo Monti uomo schivo nell’agire, modesto nel proporsi, non lo enuncia mai chiaramente, ma la lettura del paio di dozzine di cartelle che portano la sua firma indica tra le righe come il Professore si consideri in questo frangente storico il solo capace di continuare a guidare il paese fuori dalla crisi economica e sociale che precedenti governi avrebbero causato. Insomma, un moderno Cincinnato, uomo del bisogno, chiamato a ribaltare le avverse vicende del paese, senza la modestia del  Cincinnato tramandato dalla leggenda romana che, dopo aver conclusa l’opera di condurre i suoi alla vittoria, si era poi subito ritirato nuovamente  a vita privata lasciando ad altri il compito di gestire le sorti della riscattata Repubblica.

 

Ma vediamo in maggior dettaglio il contenuto di questo documento. L’Agenda Monti, così la definiscono un po’ tutti, si divide in quattro capitoli, un prologo ed epilogo relativamente corti, il primo per definire il quadro di riferimento esterno al paese, il secondo per accennare alle riforme istituzionali necessarie ed alle direttive di condotta che l’esecutivo vorrebbe adottare. Mentre il corpo centrale dell’Agenda è destinato agli altri due capitoli che trattano da diversi angoli il tema delle regole economiche a seguire per non abbandonare il modello neo-liberista assunto con l’arrivo del “governo tecnico” di Monti nel novembre 2011 come cammino di redenzione per l’Italia per condurla fuori dalla palude della crisi rispettandone le indicazioni.

Il programma contenuto in queste venticinque pagine enuncia, infatti, pur se generalmente espressi, in forma solamente implicita, scopi ambiziosi di riforma del paese non solo proponendo modifiche nella sostanza di gran parte della parte seconda della Carta Costituzionale, ma persino proponendosi di modificarne la prima parte, quella dei principi e dei diritti e doveri, se possibile, qualora si giungesse a formare le larghe intese auspicate dal Professor Monti, come già fatto nel caso del pareggio di bilancio inserito da poco all’articolo 81 della Costituzione, evitando il voto popolare di un referendum confermativo attraverso l’approvazione di queste norme di modifica a maggioranza qualificata superiore ai due terzi del totale aventi diritto di voto in Parlamento. .
In questi ultimi mesi molto si è scritto sui maggiori organi di stampa e molto si è chiacchierato nei salotti televisivi sulla mancanza di una chiara Agenda politica del Movimento Cinque Stelle, accusato di non spiegare che cosa intendesse realizzare qualora avesse vinto le elezioni. Mi sorprende, o forse no, notare come scrivendo o parlando dell'”Agenda Monti” nessuno o quasi si soffermi sulla genericità di quanto illustrato in questo documento, una lista al più di buone o cattive intenzioni, secondo i punti di vista di chi legge, senza quasi mai obiettivi quantificabili sia in termini di tempo che di quantità o qualità.

D’altronde, il Professor Monti ha già più volte affermato che certe complicazioni procedurali come la discussione in Aula o in Commissione dei disegni di legge approntati dall’esecutivo non siano in fondo auspicabili dal momento che certe scelte sono comunque ineluttabili e quindi non si dovrebbe perdere tempo a discuterne, fatto questo che, a mio parere, la dice lunga sul modo di pensare del Professore in materia di democrazia. Per questo, mi pare, che per il Professor Monti basti ed avanzi accennare ai contenuti del futuro programma, lasciando la comprensione e controllo dei dettagli a coloro che soli ne capiscano la rilevanza ed urgenza. Chi gli dovrebbe assicurare il voto, non dove pensare di poter disturbare il manovratore con inopportune richieste di chiarimento od altre minuzie simili, accontentandosi di conoscere che le credenziali riconosciute a Monti da prestigiose personalità e gruppi di potere nazionali ed internazionali sono tutte di prima qualità e sono garanzia della bontà del suo agire.

Considerazioni generali sui contenuti

Confesso che la lettura dell’Agenda mi ha frastornato dal momento che in quelle poche pagine ho percepito l’intendere di una persona priva d’empatia per le conseguenze a volte anche crudeli per altri delle proprie decisioni. La risoluzione di modificare le norme in materia di pensionamento, ad esempio, ha privato alcune centinaia di migliaia di persone di un futuro certo. Tuttavia, nel documento si esalta come avveniristica la riforma approvata, senza una parola per coloro che sono stati dimenticati come gli esodati, parola orrenda per descrivere una categoria di persone truffate dallo Stato che aveva loro promesso risorse che oggi dicono non esistere più, o come quelli che avendo lavorato ormai da quarant’anni vedevano vicino il momento in cui avrebbero anche loro potuto godere di questo diritto che oggi invece viene negato.

D’altra parte, scrivendo della crisi economica, del debito pubblico e degli altri aspetti della situazione attuale dell’Italia, nell’Agenda si parla genericamente di colpe politiche di governi passati, ma soprattutto si attribuisce il peso preponderante delle responsabilità per lo stagnare dell’economia e la crisi, a quei cittadini che evadendo le tasse hanno privato lo Stato dei fondi necessari per finanziarne il bilancio pubblico. Non si trova mai cenno nel documento alle banche o al sistema finanziario nazionale ed internazionale come fattori centrali della crisi. Pur esistendo un consenso quasi unanime che attribuisce alla finanza internazionale la responsabilità per la crisi attuale, il documento non ne fa cenno ed ovviamente non fa cenno al fatto che le banche dovrebbero essere quanto meno chiamate ad assumere in parte sostanziale l’onere di sanare i conti dello Stato essendo stata loro la responsabilità per la sottoscrizione di prestiti senza sufficienti coperture o per l'aiuto concesso alla  politica attraverso speciali meccanismi destinati ad occultare la poca salute del sistema finanziario pubblico al momento dell’ingresso dell’Italia nell’Euro.

La colpa invece sembrerebbe tutta esclusivamente di milioni di evasori, mentre le colpe della politica che ha sperperato migliaia di miliardi, della corruzione, della concussione, della speculazione finanziaria, del crimine organizzato spesso associato alla politica, dell’esportazione di capitali vengono convenientemente sorvolate. A dimostrazione di questo basta prendere in considerazione le cifre rese disponibili da altri organi pubblici come la Banca Centrale o il Ministero del Tesoro per capire che l’evasione fiscale diffusa nel ceto medio rappresenta una minuzia rispetto alle cifre ben più importanti che sono imputabili a tutte le altre categorie di evasione di cui invece non si fa cenno né nell’Agenda, né nel dibattito politico, cifre comprese tra i 7 e gli 11 miliardi di Euro per l’evasione accertata contro stime di un’evasione totale che toccherebbe i 120 miliardi di Euro l’anno.

Non affermo qui che l’evasione fiscale non sia stata e non sia un problema e che non sia per tanto indispensabile impedirne il proliferare, ma sostengo altresì che da sola l’evasione fiscale del ceto medio non è la causa centrale del problema, ma un fattore collaterale che sommato alla ben più rilevante speculazione finanziaria, allo sperpero delle risorse pubbliche ed al crimine finanziario ha contribuito a portare il paese nell’arco di poco più di quarant’anni ad accumulare un deficit di almeno il 120% del Prodotto Interno Lordo. A voler essere pedante, posso anche aggiungere che il Professore Monti, che oggi predica che la spesa pubblica non debba essere sostentata da una crescita del debito, all’inizio degli anni novanta fu consulente di uno dei Ministri che più fece crescere il debito dell’Italia, il ministro Pomicino. Ovviamente, o era allora in completo disaccordo con la politica del ministro per cui non si capisce perché non si fosse dimesso, o invece allora pensava anche lui che ricorrere al debito in momenti di crisi fosse una misura necessaria, parere che con gli anni è andato modificando sino ad arrivare alla posizione attuale che lo ha convinto dell'ineluttabilità di dover vietare con dettame costituzionale il ripetersi di simili scelte.

Italia ed Europa

L’Agenda apre con un breve preambolo di politica estera dove sono illustrate per sommi capi le linee guida che il Professor Monti vorrebbe attuare se riconfermato. In Italia, come del resto quasi ogni dove, la politica estera non è argomento che risvegli un grande interesse tra l’elettorato. Passate le passioni della guerra fredda, il cittadino medio segue svogliatamente i fatti internazionali e il ruolo e le alleanze che l'Italia svolge e promuove. Unica eccezione, forse, la questione europea che è vissuta da quasi tutti come un fattore molto vicino ai propri interessi per le ripercussioni che le decisioni prese a Bruxelles hanno sul vivere quotidiano. Per questo, molti si dividono tra un’avversione direi preconcetta contro l’Europa accusata di essere causa dei molti mali interni o un’accettazione spesso acritica di appartenenza percepita come uno scudo contro i malanni della politica italiana.

L’Agenda Monti ha un taglio chiaramente europeista vedendo nel processo d’integrazione economica una salvaguardia per il paese. Ma qui, a mio giudizio, si apre uno dei maggiori problemi; si parla di economia, d’unione monetaria e bancaria, ma non vi è cenno se non molto marginale agli altri aspetti dell’integrazione che sono ugualmente se non più rilevanti per il futuro successo dell’Unione Europea come allargare il processo d’integrazione politica verso una vera federazione di stati uniti economicamente, ma anche politicamente e socialmente, solidali tra loro e non divisi tra economie forti del nord e deboli del sud. Si menziona della necessità di dare al nuovo parlamento europeo che sarà eletto nel 2014 un mandato “costituzionale”, ma l’uso dell’aggettivo rimane privo di spiegazioni, anche se si potrebbe dedurre che Monti vedrebbe positivamente un progressivo passaggio dei poteri dagli stati nazionali alla Federazione o Unione.

Mi pare comunque che il Professor Monti prediliga una visione simile a quella attuale della Commissione e della gestione degli affari europei, un gruppo di funzionari tecnici scelti dai governi degli stati membri e non eletti dai cittadini e quindi non responsabili per il loro agire verso gli elettori. A mio parere, la scelta europeista di Monti è soprattutto una scelta verticista che attribuisce alla burocrazia funzioni esecutive sia nella politica interna che in quella estera. Una sorta di governo dei filosofi che sarebbe stato gradito a Platone che ne fu sostenitore nelle pagine della sua Repubblica. Per il resto, l’Agenda prospetta una politica estera a continuazione di quella seguita dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale con l’Italia parte dell’alleanza tra gli Stati Uniti e l’Europa con interessi prevalenti verso l’Asia ed il Medio Oriente. Personalmente, avrei varie obiezioni da prospettare in relazione a queste scelte, ma mi rendo conto che in Italia siano pochi coloro che assegnano a questi temi una rilevanza sufficiente per aprire un dibattito.

Interessante, perché nuova, la chiusura del capitolo che auspica una maggiore integrazione degli italiani all'estero nel sistema del nostro paese, punto che mi pare molto rilevante ed importante anche perché da sempre negletto dalla politica estera italiana.

La strada per la crescita

A dimostrazione dell’importanza assegnata al tema, questo capitolo è quello più lungo ed articolato dell’Agenda. La narrativa del testo si basa sull’accettazione di una serie di assiomi che vengono presentati come scelte obbligate per poter far fronte ai problemi del paese, e su di una lunga serie di omissioni di fatti che se citati porrebbero in dubbio la correttezza delle proposte enunciate.

Quali sono gli assiomi alla base del ragionamento che accompagna l’elaborazione delle varie proposte. In primo luogo la soluzione della crisi richiede una crescita sostenuta nel tempo del PIL. In secondo luogo il pareggio di bilancio è condizione ineludibile per assicurare la crescita e permettere l’uscita dalla crisi. In terzo luogo il mercato libero è il solo luogo in cui domanda ed offerta trovino il loro punto d’equilibrio migliore. Per il Professor Monti la concorrenza è lo stimolo ideale per assicurare l’utilizzazione efficiente ed efficace delle risorse, quindi come quarto assioma lo Stato deve lasciare nella maggior parte dei casi spazio al settore privato, il solo che operi in un contesto di competizione perfetta anche per la gestione di servizi di pubblica utilità. Per ultimo, il cittadino è prima di tutto consumatore desideroso di ottimizzare l’uso delle risorse scarse a sua disposizione per soddisfare la quantità maggiore possibile dei suoi desideri. Peccato che per essere veri questi assiomi  richiedano l’esistenza di condizioni che poco si avvicinano alla realtà di un qualunque paese o di un qualunque individuo.

Infatti, è ormai accettato che parlare esclusivamente di crescita in un contesto dove le risorse sono limitate e spesso in rapida decrescita può soltanto portare a situazioni di crisi per mancanza o scarsità di elementi primari come energia, materie di base o beni comuni come suolo ed acqua. Il mercato, poi, è, di fatto, sempre controllato da pochi agenti oligopolistici che sono soltanto interessati alla massimizzazione del loro profitto a scapito degli interessi di tutti gli altri. Il pareggio di bilancio come vincolo invalicabile è invece condizione che accentua l’aggravarsi della crisi rendendo impossibile garantire i servizi essenziali e soffocando l’attività produttiva. Il predominio del privato privilegia soltanto i servizi che siano fonte di profitto facendo mancare beni primari a popolazioni sia marginali che troppo povere per sostenerne il costo di mercato. Infine, il consumo non è l’ambizione primaria dell’individuo che in ogni caso è sempre anche, in qualche forma, produttore e distributore e quindi non solo consumatore. Inoltre le relazioni presenti nella struttura sociale del paese conoscono molte altre forme di scambio che coesistono con il commercio in cambio di denaro, come il dono e il contro dono, lo scambio solidale, il baratto, tutte forme che integrano i rapporti tra individui in una comunità e che in genere non vengono registrate nella contabilità nazionale perché non comportano necessariamente uno scambio di denaro. Insomma, gli assiomi sono in realtà soltanto ipotesi di lavoro che richiederebbero una verifica e un'approfondita discussione prima di essere presentati al corpo elettorale come una serie di soluzioni senza alternativa o, come scritto nel documento, scelte per cui non si può fare marcia indietro.

Ugualmente gravi sono le omissioni riscontrate nella lettura dell’Agenda che evita accuratamente la menzione di fattori negativi che la messa in atto del programma di risanamento economico del governo Monti nel novembre 2011 ha in molti casi persino accentuato. Infatti, pur dopo tagli severi della spesa pubblica realizzati troppo spesso con criteri lineari ed a scapito di servizi essenziali come la previdenza sociale, i trasporti, l’educazione e la sanità, il valore assoluto del debito pubblico ha continuato a crescere e si stima che continuerà a farlo anche nei prossimi anni dal momento che non sono state prese misure per rinegoziarne i termini e si continua a far uso di emissioni di nuovi Buoni del Tesoro (BOT) per finanziare ammanchi di bilancio. Il valore del disavanzo di valore tra i BOT italiani ed i Bund tedeschi è certamente diminuito negli ultimi mesi, ma non grazie alle politiche economiche del governo, ma bensì alla decisione presa a Francoforte dalla BCE di operare sul mercato delle valute quasi come prestatore di ultima istanza, fatto questo che ha convinto gli speculatori a desistere nei loro attacchi contro le economie deboli della zona Euro.

I valori della disoccupazione sia totale che giovanile sono ormai sproporzionalmente alti a dimostrazione che le misure adottate hanno portato alla chiusura di molte attività con la conseguente perdita di posti di lavoro. Gli indicatori settoriali dimostrano altresì cali significativi in tutti i comparti produttivi che hanno portato l’economia del paese in fase di grave recessione, ai livelli dei primi anni novanta. L’ISTAT e varie organizzazioni assistenziali come Caritas denunciano una crescita del livello di povertà tra la popolazione con molti cittadini che ormai vivono in condizioni di miseria totale e debbono recarsi alle mense pubbliche per potersi alimentare. Il documento non accenna poi al fatto che mentre si è provveduto a tagli nella spesa pubblica per servizi di prima necessità, nulla di significativo è stato fatto per ridurre i costi della politica o dell’amministrazione pubblica (il cenno alla riduzione delle auto blu suona quasi patetico al confronto di quanto si sarebbe potuto e dovuto realizzare), assicurando tra l’altro il finanziamento all’acquisto di armamenti o alla realizzazione di lavori pubblici della cui utilità molto si discute come il ponte sullo stretto di Messina o le varie tratte per treni ad alta velocità. Come dimostrano i fattori appena menzionati affermare come si legge nell’Agenda che l’attuale piano di governo si stia dimostrando risolutivo per migliorare le condizioni del paese è quanto meno esagerato per non  voler scrivere errato ed intenzionalmente fuorviante.

Invece, l’Agenda enuncia come fattore centrale della strategia del nuovo governo la continuazione della politica del rigore finanziario per assicurare a partire dal 2015 una riduzione lineare del debito in un valore del 5% annuo del suo ammontare totale sino a riportarlo entro i parametri richiesti dall’Europa per un valore non superiore al 60% del PIL di ogni anno. Anche di fronte ad una decrescita significativa degli interessi da pagare, il disavanzo esistente tra entrate fiscali e spese del bilancio pubblico non potrà garantire, almeno nei primi anni, risorse sufficienti a onorare quell'impegno. Insomma, l'Agenda ci sta dicendo che a partire dal 2015 saranno necessarie ogni anno nuove misure di prelievo aggiuntivo sul reddito, le così dette manovre correttive di bilancio, per assicurare la copertura al piano di rimborsi di capitale. Manovre aggiuntive dell’ordine di grandezza di almeno 10 miliardi di Euro l’anno per un numero imprecisato di anni a venire.

È certo che l’Agenda fa anche menzione della necessaria riduzione del carico fiscale con priorità per il lavoro e le imprese, ma su questo punto dopo aver enunciato il principio non vi sono indicazioni su tempi e modalità rimandando tutto alle “tracce” di riforma del sistema fiscale, contenute nel disegno di legge presentato dal passato governo e mai approvato, che, a detta dello scrivente, dovrebbe rendere la materia fiscale più semplice e trasparente. Per ora, si parla nella pratica soltanto dell’introduzione del “redditometro” strumento ideato per orientare le verifiche fiscali verso quei contribuenti che sembrerebbero avere una situazione sbilanciata tra quanto dichiarato come entrate e tenore di vita presunto. È importante capire che il tenore di vita non è quello reale, ma quello desunto da modelli che stimano abiti di consumo per categorie di reddito.

Le critiche a quest’approccio sono molte e tutte convergono nel sostenere che il sistema riuscirebbe al massimo a scovare evasioni nell’ambito del ceto medio senza avere effetti significativi per i grandi canali d’evasione che toccano in genere pochi soggetti  che sono quasi sempre operatori di natura prettamente finanziaria per non menzionare poi la violazione nell’applicazione del Redditometro di due importanti principi di diritto: la presunzione d’innocenza e il carico della prova sempre dalla parte dell’accusa.

Il documento continua enunciando le linee direttive che il Professor Monti considera necessarie. La spesa pubblica deve eliminare sprechi e per ottenere questo obiettivo bisogna soltanto favorire spese che stimolano la crescita. A questo rispetto mi chiedo se la decisione presa dal governo Monti di limitare, e persino in alcuni casi cancellare, spese d’assistenza alle persone disabili fosse dovuta alla scarsa utilità che queste spese avrebbero per la crescita. Ascoltando le disinvolte risposte date da alcuni autorevoli rappresentanti dell’esecutivo, si può, infatti, dedurre che molte scelte di taglio o riduzione di spesa siano state realizzate dando scarsa rilevanza alle possibili implicazioni sociali che ne sarebbero derivate.

Il documento auspica quindi che l’amministrazione pubblica debba essere snellita e semplificata, fatto questo di certo necessario ed urgente, ma poi non convince quando propone come esemplificazione di quanto debba essere realizzato, l’idea di proporre ad  esempio i modelli americano e britannico che tutti sappiamo si basano in molti settori sulla privatizzazione dei servizi pubblici. A questo rispetto preoccupa anche il cenno, nel capitolo che parla delle liberalizzazioni, alla necessità di aprire il comparto dei servizi pubblici al mercato, modo implicito ma chiaro di suggerirne la privatizzazione. Scelta inspiegabile e persino offensiva dal momento che la maggioranza dei cittadini ha chiaramente rifiutato questa strada in un recente referendum.

Si parla poi del comparto delle grandi imprese in crisi senza menzionare, sia pure superficialmente, le ragioni della crisi che alcune di loro soffrono. Si propongono poi, come fonte d’appoggio per la ripresa del comparto industriale, misure discutibili come la riduzione dei costi energetici per attività industriali dal momento che l’onere aggiuntivo per lo Stato andrebbe a carico di tutti i contribuenti a solo vantaggio della proprietà di queste imprese. Si propone anche, nell’Agenda, di facilitare e promuovere l’esportazione favorendo vecchi carrozzoni come l’ICE, fatto questo che non merita commento visti i risultati poco incoraggianti del passato.

In questa sezione del documento, il settore dell’educazione riceve una particolare attenzione, come dovuto, ma manca per esempio il riconoscimento che i problemi di questo comparto sono la diretta conseguenza delle scelte che anche il Governo Monti ha fatto, di ridurre le spese per l’educazione. Non riconoscere questo fatto non permette di capire perché in Italia il tasso di abbandono scolastico sia tra i più alti in Europa, perché il corpo docente sia demotivato dalla precarietà, perché i livelli medi d’apprendimento siano tra i più bassi in Europa. Per questo, subordinare come fatto un incremento nella spesa per l’istruzione alla riduzione del debito, quando invece si è deciso di dare priorità a spese per armamenti senza vincoli attaccati, è dimostrazione che l’Agenda persegue priorità quanto meno discutibili senza attribuire all’istruzione l’importanza che meriterebbe.

Il capitolo si conclude con indicazioni sull’importanza che si vorrebbe assegnare allo sviluppo informatico, all’economia verde, all’agricoltura e per ultimo al patrimonio artistico, ma nuovamente il testo è scarno d’indicazioni concrete su come si pensi operare in questi settori per cui non vi è neppure accenno ad obiettivi di massima da raggiungere.

In conclusione, la strada per la crescita prospettata dall’Agenda indica chiaramente l’intenzione di continuare a tagliare la spesa pubblica aumentando anche la pressione fiscale, contrariamente alle promesse elettorali dell’ultima ora fatte dallo stesso Monti, dal momento che il programma prevede ridurre l’indebitamento del paese sino a portarlo a valori inferiori al 60% del PIL nazionale e questo risultato, in mancanza di una rinegoziazione del debito, può soltanto essere raggiunto con maggiori tagli alla spesa pubblica e maggior prelievo fiscale. Per il resto, vi sono soltanto indicazioni generiche d’intenti senza obiettivi quantificabili di massima. Per questo, molti commentatori e molti economisti considerano il programma di governo contenuto nell’Agenda Monti come una serie di scelte recessive che non potranno far altro che aumentare la contrazione economica ormai in atto da diversi trimestri consecutivi.

Costruire un'economia sociale di mercato, dinamica e moderna.

Il terzo capitolo inizia con un lungo panegirico di due riforme attuate dal governo Monti nel 2012, riforme che, tutti ricorderanno, il Presidente del Consiglio e vari Ministri avevano per vari mesi negato a più riprese che fossero nell’Agenda di Governo; mi riferisco alla riforma delle pensioni e a quella del lavoro. Nella loro natura queste riforme spazzano via gran parte dei valori che nella parte prima della Costituzione erano stati enunciati per assicurare la fondazione di una nazione basata sul rispetto di coloro che con le loro fatiche quotidiane garantiscono il prosperare della società.

Il valore del lavoro come diritto e la responsabilità pubblica d’assicurare condizioni favorevoli all’impiego, principi, come già scritto prima, sanciti nella Costituzione nonché la responsabilità pubblica dello Stato di garantire una dignitosa conclusione del ciclo vitale di una persona attraverso un valido sistema pensionistico e l’assistenza sanitaria necessaria, sono alcuni dei principali pilastri su cui si fonda la Repubblica. Nel 1946 durante i lavori della Costituente, le forze di sinistra avevano rinunciato a lottare contro la proprietà privata ed avevano anche accettato la collocazione del paese nell’ambito dell’alleanza con gli Stati Uniti e l’Europa occidentale, pur di ottenere la definizione solenne di questi principi.

Queste due riforme di cui Monti si vanta esserne stato l’artefice smontano nella pratica questi principi, anche se per ora non si è ancora tentato di cassarli anche come dettami costituzionali. A mio vedere, proprio per questo le recenti proposte referendarie per abolire queste due riforme riuscirono in breve tempo a raccogliere un ampio consenso tra i cittadini al punto da superare la soglia del milione di firmatari in poche settimane. Se si riuscirà ad andare al voto per questi due quesiti referendari contro l’opposizione di quasi tutto il sistema politico e delle principali istituzioni dello Stato, sono convinto che entrambe le riforme saranno rigettate dagli elettori come già successo quando il governo Berlusconi tentò di riformare a maggioranza articoli della seconda parte della Carta Costituzionale.

Ma queste riforme non solo scardinano lo stato sociale attaccando alla radice i principi della contrattazione sindacale ma hanno anche il chiaro intento di privare i sindacati della loro forza contrattuale a livello nazionale. L’Agenda Monti tenta di contrabbandare come giustificazione per questa politica, la necessità di agilizzare il mercato del lavoro per difendere le opportunità d’impiego per i giovani e per le donne, opportunità che sarebbero precluse dal perdurare di meccanismi atti a proteggere coloro che un impiego già ce lo hanno. In realtà quello che veramente si otterrà è lo smantellamento del sistema dei diritti dei lavoratori, risultato di decine d’anni di lotte sindacali, a tutto vantaggio dell’adozione, anche nel nostro paese, di regole d’impiego proprie degli albori del capitalismo, regole che oggi sono in atto in molti paesi emergenti verso cui gli investitori italiani trasferiscono i loro capitali per accrescere il loro margine di profitto.

Il capitolo in esame tocca anche senza approfondire o dare indicazioni su come si pensi di agire in vari altri settori come quello della sanità dove si auspica l’introduzione di principi di appropriatezza delle cure, costo/efficacia, riduzione al massimo degli sprechi e gestione manageriale basata su una valutazione trasparente dei risultati, oppure l'uso dell’assistenza ai parzialmente sufficienti o ai non autosufficienti a condizione che, in entrambi i casi si ottengano cospicui risparmi di spesa, con l'esplicita intenzione di considerare questi settori alla stregua di qualsiasi industria di servizio, governata, ovviamente, dall'inflessibile legge del profitto. Il capitolo si conclude con una serie di enunciazioni d’intenti per aiutare i nuovi poveri o i giovani che cerchino lavoro all’estero perché trovino simili opportunità anche in patria e per ultimo la famiglia che, per quanto scritto, parrebbe essere soltanto l’unione matrimoniale tra persone di genere diverso, tesa alla procreazione di figli. Comunque, in questa parte, come nel resto del capitolo, mancano indicazioni anche solo di principio su come si intenderebbe procedere fatta eccezione per i costanti riferimenti alla necessità di contenere le spese.

Concludendo il breve esame di questo capitolo, mi preme sottolineare come l’Agenda parli di economia sociale di mercato, dinamica e moderna, non di un più ampio ambito sociale che includa anche altri aspetti della vita della Nazione che esulino o vadano oltre le pure relazioni economiche. Manca poi un qualsiasi riferimento alle annose questioni dei diritti. Accennavo prima che leggendo i brevi paragrafi dedicati alla famiglia si ha l’impressione che l’Agenda non prenda neppure in considerazione altre forme famigliari che non siano quella tradizionale tra un uomo ed una donna. Parlando del lavoro, si ignora totalmente la questione dell’immigrazione anche quando è noto a tutti che il sistema produttivo non potrebbe funzionare senza l’apporto dei milioni d’immigrati che si sono stabiliti in Italia. Parlando di diritti non vi è cenno alla questione di coloro che, figli d’immigrati, sono nati e cresciuti in Italia e non conoscono altra patria che il nostro paese. Si menzionala necessità di riforma del sistema giudiziario soltanto con un breve riferimento al bisogno di stabilire un sistema giudiziario funzionale alle necessità delle imprese. Si ignora lo scandalo del sistema carcerario o dei centri di detenzione per immigrati, scandalo che ha causato la condanna dell’Italia per violazione dei principi sanciti dalla Carta dei Diritti del Consiglio d’Europa.

In conclusione, su molti aspetti rilevanti per la situazione sociale del paese e per l’attuazione di un sistema moderno di diritti e doveri del cittadino, l’Agenda è silente sui piani o le idee che eventualmente vorrebbe portare avanti. Tenendo conto dell’esperienza appena vissuta sulla questione del lavoro e delle pensioni, mi pare si debba temere non solo per quanto già previsto nel testo anche se solo in forma accennata, ma anche e forse di più per quanto è omesso perché le sorprese potrebbero rivelarsi alquanto amare.

Cambiare mentalità, cambiare comportamenti.

Quest’ultimo capitolo dell’Agenda si apre con l’affermazione che in Italia sia necessario procedere al più presto ad una revisione sostanziale delle istituzioni della Repubblica, quelle descritte e sancite nella parte seconda della Costituzione. Il Professor Monti si dimentica apparentemente che questo fu già un tentativo non riuscito del governo Berlusconi nel quinquennio 2001-2006 quando l’allora Parlamento approvò a maggioranza una radicale riforma dello Stato repubblicano per poi vedere la proposta respinta a larga maggioranza dal referendum confermativo che seguì il voto in Parlamento. Non stupisce questa apparente dimenticanza dal momento che nell’anno appena trascorso più volte il Professore aveva manifestato fastidio per i procedimenti di approvazione delle delibere di governo perché esse potessero essere trasformate in leggi dello Stato.

Non voglio affermare che tutto quanto scritto nell’Agenda non meriti considerazione. Per esempio, l’attuale legge elettorale deve essere cambiata come si deve disporre che non si possano cambiare le regole elettorali nell’anno precedente le elezioni e che comunque qualunque proposta di riforma debba sempre passare prima per il vaglio della conferma referendaria. Ugualmente valida sarebbe la proposta di cancellare le provincie dal momento che rappresentano un pesante costo amministrativo e non si vede la loro utilità in presenza dei comuni e delle regioni. Nella stessa ottica, altre riforme potrebbero essere avviate come quelle che vorrebbero accrescere le responsabilità amministrative delle regioni attuando un processo responsabile di decentralizzazione dello Stato che non perda però il senso della solidarietà sociale tra regioni del paese a diverso livello di sviluppo.

Meno convincenti, mi paiono le idee sulla concertazione dal momento che la funzione del Governo soprattutto in materia d’interesse sociale, prima che decisionale, deve essere tesa a trovare un punto d’equilibrio tra istanze a volte contrapposte a tutela dei più deboli e delle minoranze, mentre trovo molto necessaria l’intenzione espressa di porre un controllo sui vari gruppi d’influenza che a vario titolo operano nelle vicinanze del potere esecutivo e legislativo per curare l’interesse di gruppi economici e di altre istanze di pressione. Il documento poi annuncia l’intenzione di aprire il capitolo della riforma della politica, fatto questo necessario per l’elevato senso di disaffezione dei cittadini verso la politica gestita e controllata dai partiti. A questo riguardo mi stupisce leggere nel testo che si attribuisca la responsabilità per gli eccessi della politica ai cittadini che a detta del Professor Monti sono stati e sono troppo “comprensivi” verso il malcostume del sistema. Sorprende che non ci sia menzione del fatto che invece furono gruppi di pressione coloro che contribuirono a distorcere il sistema prendendo il controllo dei partiti politici per non menzionare poi gli interventi, anche pesanti, di forze esterne al paese o di altre nazioni. Non bisogna ovviamente sottovalutare la pigrizia intellettuale di molti italiani che al momento del voto dimenticano troppo in fretta le malefatte dei partiti e dei candidati che stanno votando, ma da qui a menzionare questo come il problema principe del malcostume politico in Italia, mi pare ci sia molta strada da percorrere. Stupisce anche che si parli soltanto di ridurre i contributi pubblici per i partiti, mentre il volere degli elettori era stato chiaro nel domandare l’abolizione di qualunque contributo pubblico.

Infine, il documento conclude con la promessa di condurre a fondo e senza sconti la lotta contro il crimine in qualunque forma si manifesti, con alcune considerazioni che trovo preoccupanti come quella che auspica l’introduzione di una disciplina sulle intercettazioni a scopo investigativo giudiziario, fatto questo di cui non si vede alcuna necessità e tanto meno una giustificazione.

A conclusione di questo lavoro d’analisi, mi pare si possa affermare che l’Agenda Monti sia più interessante e preoccupante per le sue omissioni od i suoi sottintesi che per la chiara linea neo-liberista che adotta. Infatti, su quest’ultimo punto tutti possono capire dalla lettura del testo in che direzione il nuovo esecutivo intenderebbe muoversi, mentre omissioni e sottintesi lasciano presagire sorprese non proprio piacevoli se a febbraio la maggioranza degli elettori volesse dare il suo consenso a questa visione del paese. Preoccupa infine il fatto ripetuto da quasi tutti i partiti, con poche eccezioni, che comunque vadano i risultati del voto e qualunque sia l’appoggio elettorale che la Lista Monti riuscirà a raccogliere, molti sia a destra che a sinistra dello schieramento siano comunque convinti ed impegnati a mettere in pratica quanto proposto dal Professor Monti nell’intendimento che questo sia quasi un cammino obbligato da cui non sia possibile distogliersi.

Questo fenomeno è senza dubbio molto rilevante al momento attuale perché, a causa della legge elettorale, è quanto meno improbabile che uno degli schieramenti riesca a maturare una maggioranza sufficiente nei due rami del Parlamento. Questo evento renderebbe perciò il gruppo che si riconosce nell’Agenda scritta dal Professor Monti, gruppo che secondo quasi tutte le proiezioni elettorali non dovrebbe neppure raggiungere il 15% dei suffragi, comunque essenziale per l'eventuale formazione del nuovo Governo senza dover tornare immediatamente alle urne. In queste condizioni, l’ipotesi di lavoro dell’Agenda diventerebbe così vincolante trasformando in realtà politica le preoccupazioni che ho espresso nella mia analisi.{jcomments on}

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