L'ARROGANZA DEL NON-POTERE

Fare a meno del Governo

di Roberto Villani

In questi giorni assistiamo a un’altalenante ridda di opinioni sulla necessità che il Paese sia guidato da un Governo assistito dalla fiducia del Parlamento o sulla possibilità che invece possa sopravvivere benissimo con un Governo dimissionario e con la sola guida delle due Camere.

Intanto andrebbe fatta chiarezza sulla considerevole serie d’inesattezze che sono state scritte per sostenere tesi contrapposte.

Non è vero, come si sente dire, che non abbiamo un Governo; nel nostro sistema costituzionale sarebbe un’ipotesi impossibile. Abbiamo il Governo Monti anche se dimissionario già con il vecchio Parlamento e che lo sarebbe stato comunque, per prassi costituzionale, all’insediamento del nuovo Parlamento.

Quindi paradossalmente, è due volte dimissionario, una per impulso proprio, a seguito della sfiducia (non tecnica) del PDL che l’appoggiava, e l’altra per dovere costituzionale di fronte alle nuove assemblee che si sono insediate.

Anche se in pratica le conseguenze sono molto simili, non è vero che il Governo Monti è sfiduciato perché non ha mai subito un voto di sfiducia dal Parlamento. Il Governo è dimissionario; come tale è tenuto al disbrigo degli affari correnti e non potrebbe (per prassi costituzionale) assumere iniziative che non rappresentino una continuità rispetto a decisioni già prese quando era nel pieno dei poteri.

Al momento siamo nelle regole, perché il Presidente della Repubblica è ancora nella fase di ricostruire un Governo, quindi siamo in una fase transitoria di attesa. Ma non mi pare che questa possa diventare una condizione stabile come ipotizzato da alcuni politici.

L’art. 94 della Costituzione impone  che il Governo abbia la fiducia del Parlamento. Per poter dare un significato a questa disposizione, anche in mancanza di norme sanzionatorie, si deve dedurre: 1) che un Governo dimissionario in attività è l’eccezione per non lasciare il Paese scoperto, anche nella sua immagine esterna; 2) che l’attività è limitata al tempo necessario per formare un nuovo Governo; 3) che il Presidente della Repubblica, di fronte all’incapacità del Parlamento di proporre un nuovo Governo, dovrebbe sciogliere le Camere e indire nuove elezioni 4) che se il Presidente invece avallasse il procrastinarsi senza termine  di un Governo dimissionario tradirebbe il suo compito di garante della Costituzione.

Anche in mancanza di norme sanzionatorie a mio parere l’ipotesi di trasformare l’eccezione (Governo dimissionario) in regola, violerebbe la carta costituzionale e soprattutto i doveri del Capo dello Stato.

Nonostante questa evidente precarietà, diversi soggetti politici, proprio fra i più critici del Governo Monti, sono ferventi sostenitori del perpetuarsi oltre i tempi fisiologici della crisi, del Governo dimissionario. Non spiegano però come immaginano che possa essere svolta l’attività governativa e come il Parlamento, contro la previsione costituzionale, possa sostituirsi all’esecutivo. Nei rapporti con l’estero, con le istituzioni europee, con le parti sociali, con l’apparato della Pubblica Amministrazione ecc.. interverrà sempre tutto il Parlamento congiuntamente ? E come ? Daranno di volta in volta istruzioni e in che forma? E anche nel disbrigo degli affari correnti che credibilità può avere un Governo che si è dimesso perché non godeva più della fiducia (anche senza la procedura del voto) del maggior partito del vecchio Parlamento? Un Governo il cui leader ha preso il 10% dei voti e che ora ha di fronte un Parlamento ancora più ostile di quello precedente.

La conclusione dovrebbe essere che o si fa un Governo che goda della fiducia del Parlamento o si va al voto dopo l’elezione del nuovo Presidente.

Nulla impedisce che il Parlamento nel frattempo faccia il suo mestiere: legiferi, in primis modificando la legge elettorale che, almeno a chiacchiere, è invisa a tutti anche a quelli che l’hanno fatta (forse perché ora l’hanno subìta). Mi pare però evidente che sul punto non vi é nessuna intesa, se Napolitano, con un’iniziativa senza precedenti, s’è dovuto inventare una commissione che cerchi di mettere d’accordo i litiganti per stendere dei progetti di legge da far approvare a quel Parlamento che da solo non è riuscito ad accordarsi.

A tale proposito non mi sembra appropriato l’accostamento, fatto da alcuni, con esperienze apparentemente simili di altri paesi (Belgio e Olanda) dei quali non conosco nei dettagli il regime costituzionale ma che, essendo delle monarchie, hanno già una configurazione diversa per la presenza di una figura istituzionale che rappresenta l’unità nazionale e che non è soggetta alle oscillazioni dell’elettorato.

Sempre per restare in tema di riforma elettorale mi è incomprensibile la proposta di abolire il “porcellum” (legge attuale) per far rivivere il mattarellum (legge precedente) come se ci fosse un automatismo ineluttabile. Il Parlamento legifera come vuole, quindi se rivivrà il mattarellum è perché lo vorranno far rivivere  non essendo riusciti a trovare una soluzione migliore che ritornare ad una legge già non gradita in passato (certo, sempre meglio dell’attuale). A meno che la proposta non ne nasconda un’altra, veramente indecente, letta sui giornali: fare la riforma elettorale con un decreto legge del Governo. In pratica si vorrebbe affidare all’istituzione più svillaneggiata, più debole e meno credibile del momento, la riforma più importante, attraverso lo strumento che è certamente più veloce degli altri ma che richiede un’autorevolezza che nemmeno i Governi nel pieno della loro attività e con maggioranze schiaccianti, hanno mai avuto.{jcomments on}

DESIGN BY WEB-KOMP