LA GIUSTIZIA DISEGUALE

Esiste un diritto alla disfunzione della giustizia?

di Roberto Villani

La bagarre che ha suscitato la fissazione, in tempi particolarmente brevi, dell’udienza in Cassazione per Silvio Berlusconi solleva diversi quesiti, alcuni di carattere tecnico – giuridico e altri di carattere politico.

Esaminando i primi c’è da chiedersi se, nel caso in esame, venga in discussione il principio dell’eguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge. Dovendo fare riferimento alle critiche dei sostenitori del cavaliere dovremmo dedurre che la disparità di trattamento lamentata non è nella legge applicata, ma nel modo in cui la giustizia viene esercitata.

(*) Il punto è interessante perché indubbiamente il principio generale di uguaglianza riguarda le leggi (di definizione del reato, di applicazione della pena, di regolamento della procedura processuale); ma è possibile, e soprattutto può essere garantito, un diritto ad un identico modo di funzionamento dell’apparato giudiziario ? La risposta è scontata perché fin dall’inizio della commissione di un reato le componenti che determineranno la pena o la impunità sono infinite e diverse per ogni cittadino. A cominciare dall’acume e solerzia dell’inquirente (polizia giudiziaria, p.m.) che potrà scoprire o no il reato che potrà individuare o no il colpevole.

Per continuare poi con le capacità economiche dell’indagato, che potrà avere una difesa più o meno accurata, con il carico di lavoro del giudicante che sarà più o meno rapido e meticoloso. Inutile continuare perché è evidente che tali e tante sono le componenti nel procedimento di ricerca della verità e di applicazione della pena che, anche nel rispetto dell’eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, il risultato finale, pur di fronte a eventi delittuosi uguali ,difficilmente sarà uguale.

 

Una società civile dovrebbe adoperarsi perché tutte queste componenti soggettive ed oggettive, che incidono in modo differente  sulla sorte del cittadino processato, vengano  ridotte al minimo garantendo un’azione giudiziaria spedita e corretta.

Un’azione lenta e poco accurata porta ad una cattiva amministrazione della giustizia, con conseguenze diverse: che l’innocente venga punito o subisca un calvario interminabile, ma anche che il colpevole la faccia franca.

Quest’ultima ipotesi è molto frequente perché il mancato rispetto dei termini, dovuti alla lentezza della giustizia e spesso all’abilità dei difensori (elemento sperequativo soggettivo), determina la prescrizione del reato e il proscioglimento dell’imputato, che non sapremo mai se era colpevole o no; certo che quando la prescrizione interviene dopo due sentenze di condanna qualche sospetto sulla colpevolezza ce l’avrei.

Concludendo, l’anomalia tecnica che lamentano i seguaci del cavaliere è la corretta applicazione della legge, che fa sì che il processo di Berlusconi venga svolto in tempi utili per evitare la prescrizione, tanto che il suo nuovo difensore prof. Coppi ha dichiarato che giuridicamente non c’è nulla da eccepire.  Con ciò l’aspetto giuridico dovrebbe essere chiuso salvo che qualcuno non pensi di introdurre nel nostro ordinamento il diritto alla disfunzione della giustizia.

Passando all’aspetto politico della faccenda è evidente che  c’è la volontà di un terzo del parlamento di offrire (per l’ennesima volta) l’opportunità al leader del PDL di cavarsela grazie alla prescrizione quindi all’inefficienza della giustizia.  Ammesso che ci sia dell’accanimento da parte dei giudici (ma l’affermazione è smentita dai tanti proscioglimenti avuti per prescrizione), se è nelle regole, va accettato così come qualsiasi cittadino accetta di essere perseguitato per irregolarità che altri commettono impunemente.

Quella che è un’aspirazione, (solo) umanamente comprensibile, da parte di chi delinque e vuole cavarsi dagli impicci, non può diventare un diritto che il giudice non deve vanificare, facendo il proprio lavoro secondo le regole. Trasformare l’aspirazione del singolo, in teoria e pretesa da parte di un gruppo parlamentare, fa nascere un sospetto grave ma legittimo: se la classe politica non ha mai dato corso a quella riforma che potrebbe dare maggiore efficacia all’azione giudiziaria, la ragione va trovata nella convenienza a mantenere le cose come sono, così se non vengo assolto nel merito c’ho sempre la speranza  di cavarmela per altre strade. E infatti tutte le proposte di riforma hanno riguardato equilibri di potere fra magistratura ed esecutivo, fra magistratura inquirente e quella giudicante, fra C.S.M e Governo, nulla si è fatto di pratico perché i tempi della giustizia siano quelli che ora vogliono portare al processo Berlusconi e non quelli che lo hanno assolto per prescrizione in tante altre circostanze.

Lo sconforto è totale perché i cittadini, che seguono le teorie berlusconiane, sono molti, a giudicare dal numero dei loro rappresentanti. E non mi pare che siano da assolvere nemmeno quelle forze politiche che sopportano tali teorie per convenienza politica.

Come si fa a convivere nello stesso governo con chi non accetta le regole base della giustizia  e come si potrà mai trovare un compromesso decente quando si dovranno affrontare gli irrisolti problemi di riforma (vera) della giustizia, della legge elettorale, del conflitto d’interessi ecc.{jcomments on}

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vignetta: solobuonumore.com

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