Gisella Evangelisti è una delle collaboratrici più assidue di Partecipagire.net. Farla conoscere meglio a chi segue questo sito ci è sembrata una buona idea. Paolo Basurto la conosce da anni e l'ha tartassata con le sue domande fino a spremerle queste riflessioni. Vedete un po' voi, se vale la pena leggerle fino in fondo.

SI DICE FELICITA' SI PRONUNCIA AMORE

Gisella Evangelisti conversando con  Paolo Basurto

Oltre la spiaggia, oltre il monte

L'ispirazione viene quando vuole. Così si dice, sempre che, come il postino, suoni almeno due volte,   e che qualcuno da dentro le apra la porta, anche solo per curiositá.  Io sono  curiosa da quando ero una bimbetta dai riccioli schiariti dal sole, e volevo scoprire cosa c'era al di lá del monte che era il nostro orizzonte, nella Sardegna meravigliosa, povera e selvaggia,  profumata di citiso ed elicrisio, della mia infanzia. Scoprire cosa c'era “oltre” la spiaggia del quotidiano. Ma anche cosa c'era “dentro” questa spiaggia e la sua acqua trasparente, ( ficcandoci tutta la faccia fino quasi ad affogare...) ,  e poi, da adulta, negli incontri di tutti i giorni, nelle strade asfaltate o sterrate di tanti paralleli, fra  Nord e Sud del mondo. A un certo punto, in un viaggio di lavoro del 97 in cui  percorsi  in sei mesi, i sette paesi del Centro America, capii che la sera dovevo rubare un paio d'ore al sonno, per mettere giú qualche immagine, qualche emozione provata incontrando gente straordinaria, per non farla inghiottire dai  pantani dell'oblio. Dovevo fermare su un foglio quei pensieri che stillavano dalla loro esperienza di vita, e li regalavano a una straniera, sotto un cielo stellato, in un bus sonnolento, o sorseggiando una birra in un bar rumoroso. Meritavano essere ricordate, le storie dell'ex guerrigliera  dagli occhi stanchi in El Salvador, del cafetalero guatemalteco che aveva visto uccidere suo padre dai guerriglieri, o dei campesinos dalle mani callose a cui i volontari dell'ONU cercavano di spiegare che ogni  Essere Umano (sí, sí, chiunque! Ricco e povero, uomo e donna!) ha dei diritti, anzitutto alla Vita e poi a lavorare ricevendo un Giusto Salario  (tutti i mesi???) e a esprimere la propria Opinione,  (senza essere arrestati e torturati? Siiii, ancora síiii) e tante altre idee incredibili,  inventate sicuramente in altri paralleli.

Gente ordinaria e straordinaria allo stesso tempo. “Ognuno ha tanta storia, tante cose nella memoria, tanto di tutto, tanto di niente”, cantava Gabriella Ferri. E' vero, sia per chi accumulato diplomi o teorie,  o chi invece accumula ferraglie in un  carrello del supermercato e poi le rivende per sopravvivere.

In Centro America la gente racconta la sua vita contando gli anni in modo curioso: “Questo successe prima dell'eruzione del vulcano, peró dopo il terremoto... spiega Elpidio. “No, vuoi dire dopo il maremoto, e prima della rivoluzione”... ribatte Erlinda, “Stai parlando del golpe”? Insinua Artemio.... Tutto cosí. Com'erano riuscite, quelle persone, a integrare tante terribili esperienze nella loro “spiaggia”, mantenendo o ritrovando il sorriso; come erano riuscite  ad accettare sole ed uragani come parte della stessa natura? Mi chiedevo mentre li ascoltavo, con gli occhi spalancati.

Suor Trini

L'aereo era quasi vuoto, quella  notte del 97, quando si imbatté nello strascico  di un tornado prima di atterrare a Tegucigalpa,  uno degli aereoporti piú pericolosi del mondo. Otto minuti da incubo, mentre l'aereo scendeva in picchiata, senza controllo, fra le grida dei pochi passeggeri.  Bianca come uno straccio,  mi rivolsi alla persona che avevo a fianco e ci stringemmo in un abbraccio, lungo tutti quegli otto minuti, ad occhi chiusi. Avrebbe potuto essere un commerciante d'armi o Jane Fonda, il contatto con un qualsiasi essere umano mi andava bene, in quel momento, per rendere meno terribili quei minuti che potevano essere gli ultimi della mia vita.

Ma quando, lentamente, potemmo riaprire gli occhi, vidi il sorriso di suor Maria Trinidad del Socorro delle Sorelle Poverelle del Sacro Cuore di Gesú e Maria, (e forse anche San Giuseppe, perché no?) Insomma, un nome che non finiva mai. Suor Trini (cosi la chiamai abbreviando un po'), salvadoregna,  era una lista di miracoli ambulante, con due pallottole che le erano entrate nell'intestino e lí si erano piazzate senza far troppo danno, quando si era trovata in mezzo al tiro incrociato di due gruppi armati. Il vero miracolo era invece il fatto di aver dimenticato un giorno la chiave dell'asilo che gestiva in un quartiere popolare, per cui, a malincuore, rimandó a casa i bambini. Pochi minuti dopo l'asilo crolló per un terremoto e i bimbi si salvarono.

Fu cosí, che all'arrivo a Tegucigalpa con le gambe ancora tremanti per il tornado, quella notte mi misi a scrivere ad amici e familiari dell'incontro con Suor Trini e altre storie.  Possibile?? Tutto vero?? mi rispondevano. Ancora, raccontaci ancora...dicevano. Non c'erano solo drammi, in quelle brevi note. C'erano anche frammenti di comicitá, captati nelle file di un aeroporto, nei labirinti di una pratica burocratica, nelle manovre amorose clandestine in un congresso serioso. L'America Latina non finiva mai di stupirmi, commuovermi, farmi incazzare.  E anche divertirmi. Un continente ad alto voltaggio, prendere o lasciare.

La ragazza della maquila 

Ero entrata in un bus che in due giorni andava da Managua a Cittá di Panamá, e aspettavo con curiositá chi avrebbe occupato il sedile accanto al mio. Decisi che a chi sarebbe arrivato non avrei fatto la solita domanda: “Di dove sei-Dove vai-Cosa fai?”, ma avrei provato a indovinare qual era il suo principale talento. E cosi, quando arrivó  Maricela, le chiesi: “Sei brava a organizzare, vero?” Come no, rispose lei un po' sorpresa. “Come fai a saperlo? Da quando ho 14 anni devo tirare avanti i mie cinque fratelli e da un anno mi  hanno assegnato un intero settore produttivo nella maquila dove lavoro,  (una di quelle industrie tessili delle zone franche  che hanno fatto la fortuna, per i loro bassi salari, di tanti marchi di lusso americani ed europei). Peró adesso che ho trent'anni e sono riuscita ad avere uno stipendio di mille dollari,  lavorando a volte anche di domenica, ecco che mi licenziano per non pagarmi l'anzianitá, e si prendono qualcuno da pagare poco. Tanto vale che cerchi la fortuna negli Stati Uniti. Illegale, ovvio, dove lo trovo un contratto? Mi hanno fatto conoscere un coyote, dice che ci guida fino a Tijuana, alla frontiera tra Messico e USA...”  Rabbrividii.   “Ma sei matta? Non lo fare!! Tijuana é un inferno per molti migranti che restano vittime del traffico clandestino di persone.

Ma lei si mise in viaggio lo stesso, mi raccontó dopo anni, giocandosi la vita. E alla fine,  dopo mille disavventure, desistette dal sogno/incubo americano. Oggi lavora in una associazione ecologica, e l'ho ritrovata in facebook. Che meraviglia, la Rete.  Ci scriviamo con affetto. Mi piacerebbe tanto rivederla, sentire dal vivo  le sue peripezie,  e la sua evoluzione come persona. Come continua la sua piccola storia, nel mare magnum della Storia.

Tante domande, e poche risposte

La Storia mi ha sempre affascinato. Quando ero una giovane prof  piena d'entusiamo facevo raccogliere ai ragazzi foto, storie e oggetti dei nonni, per ricostruire i cambiamenti avvenuti nelle ultime generazioni, ma tentavo anche qualche esperimento perché i loro piccoli cervelli si attivassero a riflettere sul “come” si evolvono e organizzano i gruppi umani e le societá. “Mettiamo che siamo molti e molti secoli fa... voi siete un gruppo umano che ha scoperto una risorsa importante, esempio un metallo per fare asce  che tagliano un albero piú rapidamente di quelle di pietra,... e si incontrano in un paesaggio sconosciuto con un popolo che ha addomesticato una varietà incredibile di patate ma non ha inventato la ruota...che puó succedere fra i due gruppi?”  I ragazzini immaginavano e poi sceneggiavano le varie possibilitá. Scontri, patti, scambi paritari o no.  Legge del piú forte, spesso. E´ obbligatorio?  Chiedevo. E poi le varianti, inganni, schiavitú eccetera. Perché questo? E perché quello? E poi? E allora? Chiedevo ancora. Quando un ragazzo una volta mi disse: “Non sono d'accordo, professoressa, con la sua ipotesi”, pensai con gioia che forse, qual ragazzo avrebbe continuato nella vita a chiedersi 'Perché', e non sarebbe diventato un'ennesima pecora belante nel gregge del conformismo. Perché la Guerra, per esempio? Possiamo abolirla una buona volta e per sempre? É la grande domanda a cui l'umanitá non ha ancora dato risposta,  quando ci sono da  risolvere problemi di convivenza internazionale, o anche nazionale. E poi, perché infliggere alle donne tante sofferenze solo perché donne? O lo spreco esponenziale delle risorse planetarie, chi l'ha detto che è  inevitabile?

Milioni di gocce d'acqua fanno un oceano, si dice. Nell'Oceano che é la Storia, ogni giorno milioni di gocce d'acqua, gli individui, la vivono, la subiscono o la reinventano con atti di eroismo o colpi di genio. E se si mettono insieme ad altri, le gocce d'acqua diventano una corrente che puó diluirsi, ma anche riemergere con piú forza, anche  in tempi e spazi diversi.

Tutto cominció con un viaggio

Fu il  mio primo viaggio in America Latina, (pagato a rate),  a cambiare la vita a me, alla mia famiglia, e anche ad alcuni amici.  Nell'80, con un gruppetto di trentenni, andammo in  Brasile  per  scoprire  cosa  c'era dietro quei paesaggi da cartolina.  Ovvio, a Rio andammo in spiaggia, come no. Ma era  un giorno umido e nebbioso, e di  mulatte con piume, nemmeno l'ombra.  Poi  ci addentrammo nel Nordest, coi suoi immensi problemi, i suoi grandi cieli, la sua gente semplice e calorosa. A Recife conoscemmo la resistenza di un barrio popolare che doveva essere distrutto per la costruzione di un grande albergo. Fra  i leaders popolari c'éra una donna bella e sexy. Ed era una suora.

Valeva la pena prendere armi e bagagli e andare lá a fare un'esperienza di vita, pensai all'improvviso. In Brasile, sí. Al momento  non avevo la piu pallida idea di cosa potessi andare a fare.  Sapevo che non doveva essere semplicemente trasferirmi in una scuola italiana all'estero. Quattro anni dopo, a Vicenza, portai i miei alunni in un parco, gli offrii un gelato e gli dissi: “Vi saluto, briganti,  perché devo andare in America Latina,  e...”. Cercai di spiegare brevemente cosa sarei andata a fare. Ma una ragazzina con difficoltá di apprendimento mi seguí per un po' fra le piante, chiedendomi tre volte: “Ma tu, perche te ne vai? Ma tu, perche te ne vai? Eh? Perché te ne vai?? “ “Vedrai, verrá un altro o altra insegnante che ti vorrá bene.  A te a ai tuoi compagni.  Ne sono sicura”, le  risposi col cuore stretto.  E non la vidi mai piú. Peró seppi, con sollievo, che dopo il passaggio di qualche professore che scappó da quella classe con  le mani nei capelli, ne arrivó uno capace di  riconquistarli.

L'oro del Perú

Fu in Perú, e non nel sognato Brasile, che una Organizzazione di cooperazione internazionale mi offrí di andare per 3 anni a coordinare le attività di 23 volontari che lavoravano in progetti sperduti nella sierra o nei barrios popolari, e preparare nuovi progetti con le organizzazioni di base.  Era un  lavoro senza orario, che coincideva con la vita,  tra attese estenuanti di un documento o di un fondo, o di notti passate a stendere progetti da presentare in improvvise  scadenze.  Era il Perú delle chimere di Alan Garcia, del decennio della violenza (82-92), dei  migranti andini che piantavano le loro stuoie nelle colline desertiche di Lima, delle auto-bomba di Sendero Luminoso, dei massacri nelle Ande, dei black out nella capitale.

I miei lunghi viaggi di lavoro, quasi sempre solitari, proseguirono anche con altre organizzazioni e lungo altri paesi latinoamericani, per oltre venti anni. Sulle Ande viaggiavo in camion o bus sgangherati, in aerei che a volte perdevano ruote per strada; nella selva, in avionetas in cui magari non si  chiudevano bene le porte,  in qualche caso in idrovolanti, o vecchi ferry dell'epoca del caucciú, o in canoa nei tratti piú brevi; in carro di buoi in una campagna sperduta del Paraguay. Riuscii sempre a riportare a casa la pelle, devo dire,  una volta con qualche germe di tifoidea nel sangue (o dove? ), con qualche pulce nella valigia, o sulla pancia i punti rossi degli  isango che si erano incastonati sotto pelle, e dovevano essere espulsi con un ago: nell'insieme,  bazzecole.  Avrei voluto assimilare la pazienza, e il coraggio enorme di tanta gente anonima, che tirava avanti anche solo con un carretto cigolante,  ma restavo pur sempre un'occidentale privilegiata. Imparai, questo sí,  a schivare assalti o affrontarli a testa alta, o rassicurare mia figlia atterrita,  mantenendo la calma  in un terremoto da 6 gradi Richter, o in un aereo dove volavano piatti.  Peró strillai  come un'aquila quando all'improvviso, al semaforo di una zona oscura di Lima, sbucó fuori qualcuno a rompere con una pietra il finestrino della  mia macchina e  zac,  mi fregó  la borsa.

Quali le cose o sensazioni piú belle?  Scoprire la profonda similitudine fra esseri umani, di qualsiasi colore e provenienza. Nella sosta di un camion che scendeva dalle Ande alla costa, invitare un gruppo di donne con trecce e bombetta, che viaggiavano per vendere in cittá le loro patate, a condividere una birra, e loro cominciavano  timidamente a raccontarti la loro voglia di libertá. Splendido. E poi condividere idee, progetti e utopie con dirigenti indigeni, con organizzazioni di donne, con funzionari onesti, (che ogni tanto  si trovano). E poi, soprattutto, potermi addentrare nel cuore dell'Amazzonia,  viaggiando in 7 grandi fiumi, e 33 comunita di 10 popoli diversi, per raccogliere storie e cultura di quella gente ignorata o disprezzata dal resto della societá, per conto di Terra Nuova, UNICEF e Universitá Cattolica.

Il Perú  intanto stava cambiando,  dalla crisi del debito-capestro coi paesi occidentali, curato con la medicina amara del FMI e delle liberalizzazioni,  alla fine della violenza politica di Sendero Luminoso, al governo autoritario e corrotto di Fujimori, alla lottizzazione dell'Amazzonia da parte delle  compagnie petrolifere,  alla crescita disuguale. La grande Storia fluiva incessante, trascinando pietre e macigni, su cui le piccole storie si imbattevano, facendo sforzi giganteschi per superarli.

In Perú adesso c´é un nuovo boom dell'oro, si inquinano i suoi fiumi col mercurio, e si devastano ettari ed ettari di selva, trasformandola in un deserto. E si ignora, ancora una volta,  l'oro della sua enorme biodiversitá e della sua varietá culturale, del  “buon vivere” in armonia fra comunitá umane e natura,  praticato dagli indigeni che hanno preservato per milleni l'Amazzonia. Con un cambiamento importante: in questi ultimi decenni gli indigeni hanno smesso di incarnare il mito occidentale del buon selvaggio o del poveretto da tenere buono con qualche cassa di birra, e hanno fondato le loro organizzazioni.  Da una delle comunitá  ashaninka della selva centrale, tra le piu provate dalla  violenza politica degli anni 80,  é emersa la figura di una giovane leader ( e madre di 5 figli), Ruth Buendia,  che tornando alla selva dopo un periodo di permanenza a Lima come desplazada, ha lanciato con la sua organizzazione una campagna internazionale contro la costruzione di due grandi dighe in territorio ashaninka, (senza nessuna forma di consultazione), che inonderebbero vasti territori e destinerebbero quel popolo alla sparizione. Per questa campagna, che ha portato al momento alla sospensione dei lavori, Ruth Buendia ha ottenuto recentemente il prestigioso Premio Goldman, che si dá ogni anno a 6 eroici attivisti ambientali, proveniente da 6 diverse aree geografiche del mondo.

Vittoria

Un giorno qualcuno mi disse di mandare una delle testimonianze di persone ordinariamente-straordinarie che raccoglievo di tanto in tanto,  a un concorso latinoamericano. Giá che c'ero,  ne mandai due (una a nome di un'amica) e vinsi due premi.  Ne fui felice come se avessi vinto un Oscar, anche se ero solo una scrittrice per caso, perché quelle storie avrebbero avuto una circolazione piú ampia. Consideravo lo scrivere solo un effetto (o danno?) collaterale  della cooperazione.... Mi interessava il lavoro di campo,  e la vita che fervevo in strada, molto di piú che inchiodarmi a una scrivania per mesi o anni per distillare e impacchettare ricordi in qualche libro. Ma poi arrivarono nella mia vita due persone  che mi sequestrarono l'immaginazione, e senza chiedermi niente, mi “obbligarono”, (come a Pirandello i sei personaggi in cerca di autore), a raccontare la loro avventura vitale in un libro. Furono Vittoria Savio e Maria Heise, due Donne dalla D maiuscola, diversissime tra loro, le mie tiranne. Vittoria, volitiva e barricadiera;  Maria, dolce e signorile: entrambe  di origine italiana, finite per propria scelta in posti impervi del Perú, fra gente di altra lingua e cultura,  nelle Ande o nella selva, ad aprire cammini nuovi nella cooperazione, dopo aver conquistato la loro libertá attraverso una faticosa rottura degli  schemi ideologici e affettivi del loro tempo.

Vittoria ci faceva sganasciare dal ridere ogni volta che a Lima raccontava a noi volontari, di come sulla sierra erano riusciti a derubarla per l'ennesima volta dei sacchi di riso e delle pentole che trasportava con la sua camionetta nell'immenso altopiano andino, e che in pochi anni era già al sedicesimo passaporto che doveva rinnovare. Al'ambasciata italiana ormai quando la vedevano arrivare le preparavano un altro passaporto con un sospiro, senza aspettare che lei glielo chiedesse. Ma Vittoria non raccontava solo scene grottesche o surreali; raccontava anche delle bambine che nelle comunitá quechua delle Ande, venivano portate via  a cambio di una capra o una pagnotta da qualche signora del Cuzco, con la scusa che le avrebbe fatte studiare, mentre in pratica diventavano piccole schiave obbligate a servire tutti, compresi i maschi con le loro voglie.  Vittoria stessa, come suor Trini, era ed é una corte di miracoli vivente. Adesso ha 80 anni, e da 40 anni vive senza stomaco, in barba ai medici che, dopo averle asportato un cancro, (arrivatole dopo la rottura con un grande amore) le avevano raccomandato, per i pochi mesi o anni di vita che le restavano, di mangiare solo semolini e riguardarsi molto, come una brava vecchietta. E lei, giá che aveva poco da vivere, decise di trasgredire alla grande,  fumando come una turca e zampandosi intere caffettiere di caffé ogni giorno, e andare a vivere a sud dell'equatore, in una sperduta comunitá quechua del Perú,  a 3800 metri sul livello del mare, raggiungibile solo con 8 ore di cammino dalla prima carrozzabile.

La comunitá le chiese di costruire una strada, per poter trasportare meglio i sacchi di patate che dovevano caricare a spalla, con gli scarsi fondi del progetto. E lei mise su un cantiere, (non era stata una prof di matematica?), e tutti al lavoro! La strada poi venne interrotta dalla guerriglia, ma il cammino di Vittoria proseguí, realizzando progetti di accoglienza e formazione per le giovani lavoratrici domestiche, e diffondendo nella societá i loro diritti. Adesso che ha 80 anni, é magra come un giunco, ma continua a gestire e costruire  progetti.

Il libro  di 260 pagine che ho costruito sulla base di 16 pagine di suoi ricordi, “Una vita firmata”, con capitoli non piu lunghi di 3 pagine l'una, si sbizzarisce in tre finali, dove mi sono divertita a giocare tra realtá e finzione. C'é un finale romantico (quello che segretamente speravamo) dove l'ex grande amore (nella realtá perso di vista) invece la stava aspettando con una valigia sotto la scrivania della sua impresa, e quando lei ricompare dopo vent'anni coi suoi occhi grandi come fanali alla sua porta e gli dice: Adesso vendi questa baracca e vieni via con me...lui prende la valigia e scappano via sotto la pioggia. Se questo finale  pare troppo holliwoodiano, eccone un altro di fantapolitica, dove un biologo peruviano scopre un pescetto  il cui olio fa scomparire definitivamente le rughe, e grazie alla sua improvvisa ricchezza, il Perú potrá inviare cooperanti di entusiasmo nel nostro depresso Belpaese.

Maria

Cos'aveva portato Maria Mondino in Heise, una donna colta, bella e gentile, discendente da famiglie nobili italiane (Pallavicino e Malaspina) a vivere per sette anni in una capanna di una comunitá amazzonica, come tante altre ignorata dallo stato? E com'era riuscita a sopravvivere all'assalto dei guerriglieri senderisti che seminavano il terrore nella zona, venuti a giustiziarla come gringa “sfruttatrice del popolo”?

Conobbi Maria quando aveva ottant'anni, e gli occhi ancora brillanti. Mi divenne grande amica e maestra, in lunghe conversazioni sul mondo e sulla vita, accompagnate da innumerevoli tazze di té. Col suo lavoro educativo fra Ande e Selva era diventata un punto di riferimento in Perú nell'Educazione Interculturale Bilingue, quella che alfabetizzando i bambini indigeni nella loro lingua, pretendeva che si riconoscesse la dignitá dei popoli originari, e del loro sapere, perché non fossero piú schiacciati dalla cultura dominante. Negli anni settanta l'EBI era solo un'utopia, adesso è una realtá, anche se va avanti fra mille difficoltá.

La storia di Maria, che trascorse in due continenti, mi parve affascinante, sia dal punto di vista personale che storico. Una ragazza educata in una buona famiglia tradizionale, che vive la guerra con emozione, e poi si sposa con un giovane tedesco, brillante e inguaribilmente infedele, si decide  molti anni dopo, a prendere la sua strada lontano dalla “razionalitá” europea, immergendosi nelle strade polverose o infangate di altre culture, favorendo con umiltá e tenacia importanti cambiamenti nel paese. Attraverso  la sua storia potevo raccontare anche la “mia” Amazzonia, gli incredibili personaggi che avevo conosciuto nelle spedizioni,  e le esperienze piu intense vissute con l'ayahuasca.

“Mariposa Rojas” (450 pagg. scritte in spagnolo, pubblicato a Lima nel 2010, e appena tradotte in italiano) é stato quindi il mio “grazie” al Perú, a cui ho ritrasmesso parte della sua grande e ignorata ricchezza culturale.  Maria ci ha lasciato due anni fa, e il giorno del suo funerale arrivó un gruppo di colibrí a posarsi sulla sua tomba. Realismo magico, si dirá. Quest'incorreggibile America Latina. Mi piace pensare che onoravano la loro amica, e il suo grande spirito generoso.

Com-passione e felicitá

In  quel mitico primo viaggio in Brasile nell''80, un incontro che mi commosse profondamente fu quello con dom Helder Camara, l'allora anzianissimo vescovo di Recife.  Il suo fisico era consumato (mi parve piccolo come un uccellino), ma emanava tale amore per la gente (i poveri!) che uscii da quell'incontro con le lacrime agli occhi. Amore, dicevo. Ogni tanto troviamo qualcuno che emana luce, quando ama, ci avete fatto caso? E ogni tanto, ma tanto tanto, troviamo qualcuno che brilla ancora di piú, perché non ama solo un fidanzato o i suoi figli, ma é affetto da quella rara sindrome che si chiama  “amore universale”.

Conobbi tempo fa una ragazza dal viso raggiante, che sembrava l'immagine della felicitá. Di cosa sei felice? Le dissi  invece di chiederle il nome: Sono maestra d'asilo, il lavoro piu bello del mondo, rispose. Adoro i bambini. Giá, amore che fa rima, ancora una volta con felicitá.

L'amore é il principale messaggio evangelico, ma é cosi difficile applicarlo, quando ci troviamo intorno tanta aggressivitá, competitivitá, egoismo. All'offrire l'altra guancia va aggiunto qualcosa che aiuti i violenti a smettere di picchiare.C´é un altro libro, (che parcheggió per molto tempo nel mio zaino) che dá delle buone piste sul come affrontare la parte oscura dell'essere umano: “L'arte della felicitá”, del Dalai Lama. Sofferenze, meschinitá, agressivitá sono frutto di paura, mancanza d'amore ed eccesso di attaccamento a cose, persone, potere, mi par di capire. “Dietro una persona che urla c'é un anatroccolo impaurito” , diceva anche mia madre, che non aveva letto Freud o Lacan. Osservare quei comportamenti, riconoscerli come parte dei meccanismi umani di cui nessuno di noi é esente, é un sollievo. Quanta sofferenza si sarebbe risparmiata l'umanitá se Hitler avesse avuto un'infanzia felice. Allo stesso tempo, c´é chi soffre cose tremende e riesce a perdonare.

Com-passione è “sentire insieme”, riconoscersi nelle comuni radici umane, in quasiasi societá si viva. Fare qualcosa perché aiuti ad ampliare ció che fa bene a me e agli altri, o ridurre la sofferenza nel mondo. Tutto qua, a ognuno la sua maniera. A me stimolano enormemente le persone che sono riuscite a superare orrori e a realizzarsi pienamente, e addirittura a influire in modo positivo nella societá.  Mandela e Pepe Mujica sono due grandi esempi, ma ci sono anche persone meno famose, i tanti eroi anonimi che ho conosciuto nel mio cammino.

Progetti per il futuro

Il giornalismo mi sta assorbendo molto, adesso. Ovviamente, freelance. Cogliere fatti, volti e persone dove mi trovo in quel momento, a Lima come a Barcelona o Washington o Tunisi, scrivere brevi note e diffonderle nelle reti, mi piace molto. Ti senti sempre in compagnia, nella rete, anche se in quel momento é silenziosa. Ampliare queste collaborazioni, non tanto in quantitá, quanto a diffusione ad altre reti di reti, ancora meglio. La rete é una delle migliori invenzioni di questo secolo, anche se assediata da pericoli e limiti non indifferenti. Ho voglia di scrivere anche un libro leggero, divertente e surreale come lo è la vita quotidiana, ambientato a Barcelona.

E poi? Non amo fare chissá quali progetti futuri. Le cose migliori nella mia vita sono venute con stimoli improvvisi, che ho colto al volo. Il Sogno e la Volontá costruiscono un destino, insieme al Caso, le opportunitá. Il mio ricordo d'infanzia più vivo  é quella grande nave  che a sei anni  mi stava separando dalla mia Sardegna, da mia madre, dalla spiaggia e dalla mia banda di piccoli briganti con cui ero cresciuta,  per portarmi prima in Toscana e poi, simbolicamente, ovunque. Se superi il trauma della perdita, e scopri che ti ha aperto nuove possibilitá, ti passa la paura di volare, direbbe Erica Jong. Il mio nomadismo spirituale continua.   Seguo una strada che, come dice Machado, si costruisce camminando. Le mie utopie sono forse una sola: la felicità con amore.

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